Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8645 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8645 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2024
ORDINANZA
R.G.N. 11978/19
C.C. 20/3/2024
Vendita -Preliminare -Risoluzione per inadempimento -Risarcimento danni sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in proprio e in qualità di procuratori generali, in forza di procura per atto pubblico del 18 dicembre 2015, rep. n. 151.530, racc. n. 43.811, di COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1819/2018, pubblicata il 27 novembre 2018, notificata a mezzo PEC il 4 febbraio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione del 16 giugno 2009, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Imperia, COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME, per sentire pronunciare l’esecuzione in forma specifica del preliminare di vendita concluso tra le parti il 22 dicembre 2006, con il conseguente trasferimento della proprietà del terreno oggetto di compromesso, subordinato al pagamento della residua somma dovuta di euro 920.000,00 entro 30 giorni dalla ritirabilità del permesso di costruire, oltre al risarcimento dei danni subiti.
Si costituivano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali contestavano le pretese avversarie, eccependo che era stato l’illegittimo, colpevole e reiterato comportamento del promissario acquirente a determinare la risoluzione del contratto, con il conseguente grave danno patito dai promittenti alienanti. In specie, esponevano che, con lettera raccomandata a.r. dell’8 febbraio 2008, COGNOME NOME aveva chiesto al COGNOME informazioni sull’adempimento dell’obbligo previsto nella clausola negoziale di presentazione di una progettazione completa entro il termine massimo di sei mesi dalla sottoscrizione del preliminare, cui seguiva, in mancanza di alcuna risposta, lettera raccomandata
a.r. del 23 aprile 2008, con la quale il COGNOME era diffidato ad adempiere al menzionato obbligo nel termine indicato, pena la risoluzione automatica del preliminare, termine inutilmente spirato. Per l’effetto, i convenuti, dopo aver precisato che l’obbligo dei promittenti venditori di concludere il definitivo era subordinato al rilascio del permesso di costruire, previa approvazione dei progetti presentati e completamento dell’iter burocratico da avviare, chiedevano, in via riconvenzionale, che, all’esito della ‘dichiarazione’ ‘che il contratto preliminare di compravendita sottoscritto dalle parti e versato in atti si è risolto’ per fatto e colpa esclusivi del promissario acquirente, l’attore fosse ‘condannato al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi in favore dei conchiudenti’, con contestuale autorizzazione per questi ultimi a trattenere, a titolo definitivo, la caparra confirmatoria a suo tempo incassata e pari ad euro 80.000,00, ‘salvo i maggiori danni da determinarsi con separato giudizio’.
Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse (interrogatori formali e prove testimoniali) ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Si costituivano poi volontariamente in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME.
Ancora, all’udienza di precisazione delle conclusioni, COGNOME COGNOME mutava la domanda e, per l’effetto, chiedeva che fosse dichiarata la risoluzione del preliminare di vendita immobiliare concluso tra le parti per grave inadempimento dei promittenti alienanti, con la condanna di COGNOME NOME e degli eredi di COGNOME NOME al pagamento della somma di euro 160.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria versata, o -in via
subordinata -con la condanna alla restituzione della somma corrisposta di euro 80.000,00, oltre al risarcimento dei danni.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 85/2013, depositata il 29 aprile 2013, notificata l’11 giugno 2013, dichiarava la risoluzione di diritto, ai sensi dell’art. 1454 c.c., alla data del 15 maggio 2008, del contratto preliminare stipulato il 22 dicembre 2006 e condannava COGNOME NOME al risarcimento dei danni, in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella misura di euro 134.321,17, oltre interessi legali, per la sola voce riconducibile alla perdita subita rispetto al valore commerciale del cespite, al netto della compensazione con la somma ricevuta a titolo di acconto e da restituire, disattendendo le domande proposte dal promissario compratore.
2. -Con atto di citazione notificato il 9 luglio 2013, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado COGNOME, il quale lamentava: 1) l’indebita modificazione delle conclusioni rassegnate dai convenuti, poiché -a fronte della richiesta di risoluzione giudiziale -era stata accolta una domanda di contenuto maggiore di risoluzione automatica, con la conseguente integrazione di un vizio di ultrapetizione; 2) l’erronea valutazione della gravità dell’inadempimento dedotto, prendendo in considerazione anche il comportamento delle parti successivo alla scadenza del termine assegnato per adempiere; 3) l’omessa ponderazione dell’oggettiva impossibilità di ottenere un progetto completo di fattibilità per la reale carenza dei mezzi di smaltimento delle acque reflue e piovane dei manufatti da costruire sul fondo oggetto di compromesso, senza alcuna considerazione delle attività espletate per addivenire alla
conclusione del definitivo, come i contatti avvenuti tra le parti, gli incarichi affidati ai tecnici incaricati, i depositi comunali effettuati, i sopralluoghi e il disboscamento svolti, gli studi compiuti per l’individuazione di un percorso alternativo degli scarichi, le trattative avviate con i confinanti per la costituzione di una servitù di canalizzazione; 4) l’indebita condanna al risarcimento dei danni, nonostante la richiesta di liquidazione in separato giudizio, e l’erronea quantificazione oltre i limiti della caparra confirmatoria ricevuta.
Si costituivano nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali concludevano per il rigetto del gravame.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Genova, con la sentenza di cui in epigrafe, respingeva l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la qualificazione della domanda quale risoluzione di diritto, conseguente all’inviata diffida ad adempiere, era giustificata dall’espresso richiamo all’art. 1454 c.c. e, in specie, alla lettera di diffida ad adempiere del 23 aprile 2008, con la concessione di un termine di 15 giorni per il deposito dei progetti presso gli uffici comunali, termine spirato inutilmente, come confermato dalla successiva lettera dell’8 settembre 2008; b ) che, pertanto, la domanda giudiziale era stata interpretata avendo riguardo alla effettiva volontà della parte, come emergente non solo dalla formulazione letterale delle conclusioni rassegnate, ma anche dal contenuto complessivo dell’atto che le conteneva, sicché doveva essere escluso alcun
vizio di ultrapetizione; c ) che doveva essere confermata la valutazione in ordine all’integrazione di un inadempimento di non scarsa importanza, in quanto il promissario acquirente aveva l’onere di attivarsi per la predisposizione tempestiva del progetto e per il suo deposito presso gli uffici comunali entro sei mesi dalla stipula del preliminare, mentre dalle verifiche effettuate era risultato che, ad oltre un anno dalla stipula di detto preliminare, non era stato presentato presso il Comune neanche un progetto di massima, circostanze, queste, corroborate dalle deposizioni testimoniali rese e dall’esito della disposta consulenza tecnica d’ufficio, senza che potessero assumere alcun ruolo dirimente i capitoli di prova non ammessi e riproposti in appello, aventi ad oggetto attività collaterali alla presentazione della progettazione entro i termini indicati; d ) che nessun diritto di recesso era stato esercitato, bensì era stata richiesta la risoluzione automatica del contratto con effetti ex tunc , sicché non poteva essere invocata la tutela risarcitoria emarginata alla ritenzione della caparra confirmatoria ricevuta, ma il risarcimento avrebbe dovuto seguire le norme generali di quantificazione.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, COGNOME NOME.
Hanno resistito, con controricorso, gli intimati COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e in qualità di procuratori generali di RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa
applicazione dell’art. 1385 c.c., in relazione agli artt. 112, 183 e 189 c.p.c., con error in procedendo , vizio di attività e mancato esame di eccezione procedurale, per avere la Corte di merito confermato la quantificazione dei danni oggetto di domanda di risarcimento, benché i promittenti alienanti avessero fatto riserva della liquidazione in un separato giudizio.
Ad avviso dell’istante, tale espressa riserva avrebbe inibito la liquidazione del risarcimento, con la correlata, indebita modificazione delle conclusioni assunte e con l’integrazione del vizio di ultrapetizione, senza peraltro che fosse consentita alcuna conversione della domanda di risarcimento connessa alla risoluzione in domanda di recesso, con trattenimento della caparra confirmatoria ricevuta.
2. -Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., in relazione agli artt. 112 e 189 c.p.c. e 1454 c.c. nonché agli artt. 1218, 1176 e 1256 c.c., con error in procedendo , vizio di attività e mancato esame di eccezione procedurale, per avere la Corte territoriale confermato la qualificazione della domanda giudiziale proposta dai convenuti nel giudizio di primo grado quale domanda volta ad ottenere l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto, per effetto della diffida ad adempiere inviata, con il decorso del termine ivi stabilito senza esito, benché, nelle conclusioni rassegnate, detti convenuti avessero fatto riferimento alla risoluzione ‘per fatto e colpa’ esclusivi dell’attore, il che avrebbe dovuto indurre a configurare la domanda quale risoluzione giudiziale per inadempimento.
Secondo l’istante, la Corte d’appello sarebbe perciò incorsa nella violazione del divieto di ultrapetizione, avendo sostituito la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi e fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti, quantomeno in sede di formulazione delle specifiche conclusioni.
Segnatamente i giudici di merito non avrebbero potuto accogliere la domanda ai sensi dell’art. 1454 c.c., poiché essa sarebbe stata proposta ai sensi dell’art. 1453 c.c., con l’effetto che, trattandosi di una richiesta di pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto, non avrebbe potuto essere adottata una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione automatica, peraltro prendendo indebitamente in considerazione anche il comportamento delle parti successivo alla scadenza del termine concesso per adempiere e non verificando che il contegno del promissario acquirente si fosse adeguato al parametro della diligenza del buon padre di famiglia, in ragione della sopravvenuta, definitiva impossibilità della prestazione, senza pregiudizio per gli interessi dei promittenti venditori.
3. -Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., in relazione all’art. 1454 c.c., per avere la Corte distrettuale convalidato la conversione non consentita della proposta domanda di risoluzione giudiziale per inadempimento in domanda di risoluzione di diritto, domanda, quest’ultima, di contenuto diverso e maggiore, con l’indebita modificazione del thema decidendum .
Obietta l’istante che sarebbe stata considerata, peraltro, la sola lettera di diffida ad adempiere del 23 aprile 2008 e non già la successiva lettera dell’8 settembre 2008 ed il termine espressamente stabilito dalle parti nell’ambito della stipulazione del preliminare di vendita, con la ponderazione di fatti e circostanze avvenuti successivamente alla scadenza del termine concesso con la menzionata diffida ad adempiere.
4. -In primis , devono essere scrutinati congiuntamente il secondo e il terzo motivo, in quanto attinenti a ragioni logicamente e giuridicamente pregiudiziali e avvinti da evidenti profili di connessione.
Dette censure sono infondate per le argomentazioni che seguono.
Anzitutto, l’interpretazione della domanda è avvenuta dando conto delle precipue ragioni giustificative della sua classificazione giuridica.
In questa logica, il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7322 del 14/03/2019; Sez. 6-1, Sentenza n. 118 del 07/01/2016; Sez. 3, Sentenza n. 26159 del
12/12/2014; Sez. 1, Sentenza n. 23794 del 14/11/2011; Sez. 2, Sentenza n. 3012 del 10/02/2010; Sez. 3, Sentenza n. 22665 del 02/12/2004).
In particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un’istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi .
Sicché, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonché del provvedimento in concreto richiesto.
Nella specie, il giudice di merito ha adeguatamente motivato le sue conclusioni, qualificando la domanda proposta come risoluzione ope legis del contratto per effetto di diffida ad adempiere (all’obbligo di presentazione dei progetti presso gli uffici comunali competenti ex art. 10 del preliminare, allo scopo di dare impulso alla pratica volta ad ottenere il permesso di costruire, al cui rilascio era stata posticipata la stipulazione del definitivo), diffida espressamente richiamata nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio, e non già come risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c., stante che nelle conclusioni della citazione introduttiva si fa espresso riferimento alla mera ‘dichiarazione’ della risoluzione per inadempimento ‘per fatto e colpa’ del promissario acquirente, ossia all’accertamento di un effetto già
maturato (come da espresso richiamo alla verifica che il contratto preliminare si fosse già risolto).
Mentre nel corpo della citazione si evoca espressamente -quale causa petendi dell’invocata risoluzione la diffida ad adempiere di cui alla lettera del 23 aprile 2008, con cui si intimava espressamente il promissario acquirente a presentare agli uffici competenti il progetto completo e debitamente corredato, come da impegno contrattualmente assunto, entro 15 giorni dal ricevimento della missiva, con l’avvertimento che, in mancanza, il contratto preliminare si sarebbe inteso risolto ai sensi dell’art. 1454 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19051 del 12/12/2003).
E ancora si allude, sempre nel corpo della citazione introduttiva del giudizio di prime cure, contrariamente all’assunto del ricorrente, all’intervenuta risoluzione del preliminare per effetto della scadenza del termine concesso senza alcun adempimento, come da lettere inviate dell’8 settembre 2008 e del 12 gennaio 2008 ( recte 2009).
D’altronde, il richiamo nelle conclusioni rassegnate all’inadempimento ‘per fatto e colpa’ esclusivi del promissario acquirente non è affatto significativo di un diverso inquadramento giuridico della domanda, posto che anche la risoluzione automatica conseguente all’invio di una diffida ad adempiere postula che l’inadempimento contemplato nella diffida sia di non scarsa importanza e imputabile alla parte inadempiente.
Infatti, l’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere, di cui all’art. 1454 c.c., e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento, non eliminano la necessità, ai sensi
dell’art. 1455 c.c., dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento, in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed al permanere dell’interesse della parte all’esatto e tempestivo adempimento, nonché dell’integrazione del presupposto soggettivo dell’imputabilità a colpa della parte inadempiente (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25703 del 04/09/2023; Sez. 2, Sentenza n. 18696 del 04/09/2014; Sez. 2, Sentenza n. 9314 del 18/04/2007; Sez. 2, Sentenza n. 5407 del 13/03/2006).
Non è casuale la collocazione topografica della norma sulla gravità dell’inadempimento (art. 1455 c.c.) dopo le norme rispettivamente dedicate alla risoluzione giudiziale (art. 1453 c.c.) e alla risoluzione di diritto per intervenuta diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.).
In particolare, deve comunque essere verificato, sotto il profilo oggettivo, che l’inadempimento sia di non scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 c.c., e, sotto il profilo soggettivo, che operi la presunzione di responsabilità del debitore inadempiente fissata dall’art. 1218 c.c., la quale, seppure dettata in riferimento alla responsabilità per il risarcimento del danno, rappresenta un principio di carattere generale.
Non risulta, dunque, integrato alcun vizio di extrapetizione.
E ciò sebbene la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c. e la domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto ex art. 1454 c.c. si differenzino tra loro per diversità dei presupposti e per diversità di petitum , mirando la prima all’ottenimento di sentenza
costitutiva di risoluzione -giudiziale -e la seconda, invece, al conseguimento di sentenza di accertamento dell’avvenuta risoluzione -di diritto -(Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 36918 del 26/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 4776 del 21/07/1980).
Sicché nella fattispecie non è stata compiuta alcuna illegittima conversione della domanda, in spregio al principio nomofilattico secondo cui, in tema di inadempimento contrattuale, mentre nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto per l’inosservanza di una diffida ad adempiere può ritenersi implicita, in quanto di contenuto minore, anche quella di risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 c.c., non altrettanto può dirsi nell’ipotesi inversa, nella quale sia stata proposta soltanto quest’ultima domanda, restando precluso l’esame di quella di risoluzione di diritto, a meno che, appunto, i fatti che la sostanziano siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 23193 del 23/10/2020; Sez. 1, Sentenza n. 11493 del 23/05/2014; Sez. 2, Sentenza n. 17703 del 29/08/2011; Sez. 1, Sentenza n. 4036 del 04/07/1985).
4.1. -Quanto al profilo della contestazione della gravità e imputabilità dell’inadempimento, a fronte delle argomentazioni fornite dalla pronuncia impugnata, l’apprezzamento, congruamente e correttamente motivato, del giudice di merito importa una indagine di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 18953 del 13/06/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 12182 del 22/06/2020; Sez. 3, Sentenza n. 6401 del 30/03/2015; Sez. 3, Sentenza n. 14974 del 28/06/2006; Sez. 3, Sentenza n. 16579 del 25/11/2002; Sez. 2,
Sentenza n. 3182 del 14/05/1980; Sez. 2, Sentenza n. 4233 del 27/12/1975; Sez. 2, Sentenza n. 222 del 24/01/1973).
Nel caso in disputa, è stato dato atto che, ai sensi dell’art. 10 del contratto preliminare del 22 dicembre 2006, il promissario acquirente aveva assunto lo specifico obbligo di presentazione del progetto, completo e debitamente corredato (oltre che intestato allo stesso promissario acquirente), ai fini di ottenere il permesso di costruire, entro sei mesi dalla stipulazione del preliminare, in quanto la stipulazione del rogito definitivo era subordinata, ai sensi dell’art. 9 del contratto, alla ritirabilità del permesso di costruire.
Ora, a fronte della condizione sospensiva (mista) cui era subordinata la stipulazione del definitivo, l’obbligo della presentazione del progetto costituiva un presupposto indispensabile per contribuire alla realizzazione dell’evento futuro e incerto a cui era rimessa la stipulazione del definitivo, in quanto costituente impulso necessario per avviare la relativa pratica amministrativa.
Orbene, secondo l’analitica ricostruzione della sentenza impugnata, detta presentazione del progetto non è mai avvenuta.
Peraltro, il ricorrente non ha contestato specificamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione del progetto ai sensi dell’art. 10 del preliminare, ma più semplicemente ha ritenuto che questo inadempimento non fosse grave e imputabile, in ragione della sussistenza di asseriti ostacoli nella presentazione di questi progetti, quali le difficoltà nella progettazione di una rete fognaria idonea rispetto agli immobili da costruire sul terreno
edificando oggetto di compromesso, ragioni disattese dalla Corte territoriale.
Tanto più che, a fronte di una ‘doppia conforme’, con instaurazione del giudizio di gravame successivamente all’11 settembre 2012, è preclusa ogni indagine ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., secondo il dettato dell’art. 348 -ter , quinto comma, c.p.c. vigente ratione temporis (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17563 del 31/05/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 17520 del 31/05/2022; Sez. 5, Ordinanza n. 11439 del 11/05/2018; Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Sez. 5, Sentenza n. 26860 del 18/12/2014).
5. -Anche il primo mezzo di critica è infondato.
E ciò perché, come testualmente riportato anche nel ricorso, i convenuti hanno espressamente richiesto nel giudizio di primo grado che, all’esito della declaratoria di avvenuta risoluzione del preliminare concluso il 22 dicembre 2006 per inadempimento grave imputabile al promissario acquirente, quest’ultimo fosse condannato al risarcimento dei danni patiti e patiendi, con autorizzazione all’incameramento definitivo della caparra confirmatoria, a scomputo del quantum del risarcimento liquidato, fatti salvi i ‘maggiori danni’ da liquidarsi con separato giudizio.
Sicché la riserva riguardava i soli danni ulteriori che non fossero stati richiesti e dimostrati all’interno di quel giudizio.
Ne discende che correttamente la domanda è stata interpretata nel senso che la riserva di agire per le ulteriori somme dovute in separato giudizio attenesse ad ulteriori voci di nocumento non comprese nelle causae petendi dedotte (Cass.
Sez. 6-3, Sentenza n. 21318 del 21/10/2015; Sez. 3, Sentenza n. 28286 del 22/12/2011; Sez. 3, Sentenza n. 13086 del 05/06/2007).
6. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore dei controricorrenti, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda