Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12842 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12842 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
R.G.N. 17405/2019
C.C. 24/04/2024
CONTRATTO PRELIMINARE DI VENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.RNUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME NOME, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO;
–
ricorrente –
CONTRO
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, nonché, quali eredi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi, in virtù di procure speciali rilasciate su fogli separati materialmente allegati al controricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO, NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultima, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 3378/2018 (pubblicata il 6 dicembre 2018);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le memorie depositate da entrambe le parti.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 323/1998 (passata in giudicato a seguito della sentenza di rigetto del ricorso per cassazione di questa Corte n. 17112/2006), il Tribunale di Padova aveva trasferito a COGNOME NOME i beni immobili, oggetto della scrittura privata conclusa il 7 gennaio 1981 tra il medesimo e COGNOME NOME, quale procuratore di COGNOME NOME, beni che erano individuati al catasto terreni del Comune di Albignasego sez U, foglio 12, mapp. 356 (ex 51 v) e 343 (ex 343 a), con l’obbligo del versamento da parte del COGNOME a COGNOME NOME -della somma corrispondente a quella di euro 29.954,50 (quale prezzo residuo indicato nella sentenza stessa), oltre interessi legali dal 30 ottobre 1981 al saldo, a detrarre l’importo di euro 1.936,71 (a titolo di spese processuali liquidate con la medesima sentenza), il tutto in accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. proposta dal dante causa dei controricorrenti di cui in intestazione per l’esecuzione dello stesso preliminare.
Gli eredi del COGNOME NOME provvidero a registrare la suddetta sentenza e, in seguito, ebbero dapprima a notificare alla citata COGNOME NOME verbale di offerta reale dell’importo di lire 88.672863 il 29 giugno 1999 e, quindi, previo avviso dell’ufficiale giudiziario in data 8.7.1999, proceduto all’esecuzione del versamento del predetto importo presso il Banco Ambrosiano Veneto il 14.7.1999.
In seguito, COGNOME NOME, avente causa della predetta COGNOME, citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Padova, i predetti COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME per sentir accertare l’invalidità dell’offerta reale dai medesimi fatta ai sensi dell’art. 1208 c.c. in esecuzione della suddetta sentenza dello stesso Tribunale n. 323/1998 (divenuta irrevocabile), con conseguente declaratoria della sopravvenuta risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. del rapporto giuridico originatosi per effetto della predetta sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. e la derivante condanna dei
medesimi acquirenti alla restituzione, in favore di essa attrice, dei beni immobili oggetto del trasferimento, nonché dei frutti civili maturati dalla data della trascrizione della sentenza alla consegna effettiva, oltre al risarcimento dei danni.
Nella costituzione dei convenuti, l’adito Tribunale padovano, con sentenza n. 2777/2012, pur dichiarando l’invalidità della suddetta offerta formale, rigettava la formulata domanda attorea di risoluzione per inadempimento del rapporto contrattuale conseguente alla sentenza ex art. 2932 c.c., escludendo la gravità del dedotto inadempimento e ravvisando la buona fede contrattuale degli aventi causa del COGNOME NOME; accertava, altresì, che l’importo dovuto dagli acquirenti a saldo del prezzo per il trasferimento dell’immobile disposto con la più volte indicata sentenza, divenuta cosa giudicata, del Tribunale di Padova n. 323/1998 -era pari ad euro 29.954,50, oltre interessi legali dal 30.10.1981 e fino all’effettivo soddisfo, con detrazione dell’importo di euro 1.936,71 (corrispondente a quello imputabile alle spese processuali liquidate con la medesima sentenza), maggiorato dell’importo degli interessi maturati dal deposito della sentenza al saldo.
Decidendo sull’appello interposto dalla COGNOME NOME, resistito dagli appellati (che formulavano, a loro volta, appello incidentale, al fine di ottenere il pagamento della somma corrisposta a titolo di RAGIONE_SOCIALE, dagli stessi anticipata), la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 3378/2018 (pubblicata il 6/12/2018), rigettava il gravame principale ed accoglieva quello incidentale, con condanna della COGNOME alla rifusione delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte veneta, quanto alle ragioni di reiezione dell’appello principale, nell’aderire alla motivazione della sentenza di prime cure (sul dovere di cooperazione che deve sussistere fra le parti di un rapporto obbligatorio anche nella fase esecutiva), nel considerare i parametri oggettivi e soggettivi cui rapportare la valutazione della sussistenza o meno della gravità dell’inadempimento
in capo agli appellati (già convenuti), osservava che: – il contrasto tra le parti riguardava il pagamento non del capitale e degli interessi sul prezzo del trasferimento del bene ma il soggetto obbligato al pagamento delle imposte; – alla parte obbligata al pagamento del prezzo era stata data la possibilità di integrare la propria offerta evidenziando che dovesse distinguersi, tenendo conto di un precedente di legittimità (Cass. n. 2807/1981), fra spese processuali concernenti la registrazione della sentenza e imposta di registro per il trasferimento immobiliare; – il comportamento della venditrice aveva dimostrato non tanto di conseguire, come suo diritto, il prezzo del bene senza sopportare indebite decurtazioni per tribuiti a carico degli acquirenti, ma di sottrarsi al comando giudiziale contenuto nella sentenza passata in giudicato emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c.
Pertanto, alla stregua di tali considerazioni, la Corte territoriale riteneva che il rimedio della risoluzione esercitato dalla RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato giustificato se l’inadempimento avesse pregiudicato il suo interesse e avesse fatto venir meno il ragionevole affidamento sull’esecuzione del rapporto contrattuale. Quindi, un comportamento improntato a buona fede avrebbe dovuto imporre alla stessa creditrice di palesare le proprie contestazioni prima di iniziare una nuova causa per ottenere la risoluzione del rapporto conseguente alla sentenza costitutiva del contratto non concluso, e, quindi, gli acquirenti avrebbero dovuto essere posti nella condizione di conoscere che l’offerta fosse stata rifiutata e quali erano stati i motivi di tale rifiuto, ragion per cui il loro inadempimento difettava dell’elemento della gravità.
Di contro, la Corte lagunare ravvisava la fondatezza dell’appello incidentale sul presupposto che la parte obbligata al pagamento dell’RAGIONE_SOCIALE si sarebbe dovuta identificare in quella proprietaria -venditrice.
Contro la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la COGNOME NOME.
Hanno resistito con un unico controricorso i controricorrenti come indicati nell’intestazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 57, comma 8, del d.P.R. n. 131/1986, nonché dell’art. 91 c.c. (recte: 91 c.p.c.), in combinato disposto con l’art. 2932 c.c., per avere con la sentenza impugnata – la Corte di appello di Venezia, modificando sul punto la statuizione adottata dal Tribunale di Padova nella decisione di primo grado, ritenuto addebitabile alla parte venditrice l’onere economico del pagamento dell’RAGIONE_SOCIALE, per ciò stesso concludendo che il saldo del prezzo dovuto in suo favore, in esecuzione della sentenza emessa ex art. 2932 c.c., andasse defalcato del corrispondente importo.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e falsa applicazione degli artt. 2453 e 2455 c.c. (recte: artt. 1453 e 1455 c.c.), interpretati in combinato disposto con l’art. 1208 c.c. (e la sua interpretazione uniforme giurisprudenziale), nonché dell’art. 1525 c.c.
Con il terzo motivo, la ricorrente ha lamentato -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1375 c.c. (e, più in generale, del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto).
Con questi due ultimi motivi, la ricorrente ha, in effetti, inteso dedurre la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., in relazione alla valutazione da compiersi, in via giudiziale, in ordine alla ‘non scarsa importanza dell’inadempimento’: ciò precipuamente per averne -nella fattispecie – la Corte di merito escluso la gravità sulla scorta di considerazioni da reputarsi del tutto estranee all’unico dato, certo ed oggettivo, pacificamente acquisito agli atti del giudizio, rappresentato dall’inidoneità dell’offerta reale eseguita dai sigg.
COGNOME ad integrare un esatto adempimento della controprestazione gravante a loro carico.
Il primo motivo è infondato.
Invero, la Corte di appello ha -sulla base degli accertamenti documentali adeguatamente svolti -riscontrato che nell’offerta formale notificata alla dante causa dell’odierna ricorrente l’8 luglio 1999, gli eredi di COGNOME NOME avevano univocamente indicato l’importo dovuto a titolo di capitale e di interessi, sottraendo dal totale la ‘tassa di registrazione della sentenza’ e le spese di soccombenza, così residuando un credito in favore della parte creditrice nella somma di euro 88.672,863. Inoltre, la Corte di appello ha dato atto che lo stesso giudice di primo grado aveva considerato che la somma computata a titolo di tassa di registrazione comprendeva anche l’importo dovuto a titolo di RAGIONE_SOCIALE e che, con la promessa di vendita del 7 gennaio 1981, le stesse parti avevano concordato che quest’ultimo importo e per il titolo indicato era a completo carico della parte venditrice (con una clausola, del resto, in linea con la prescrizione normativa di cui all’art. 4 del d.P.R. n. 643/1972, la quale prevede che tale tipo di imposta è dovuta dall’alienante in caso di negozio a titolo oneroso: cfr. Cass. n. 10161/1990 e Cass. n. 23615/2006).
Il secondo e terzo motivo -esaminabili congiuntamente in quanto all’evidenza connessi sono anch’essi privi di fondamento.
La Corte di appello ha preso le mosse, con l’esplicata motivazione della sentenza impugnata, dal presupposto che, effettivamente, la somma -riconducibile all’esecuzione della sentenza presupposta emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c. -messa a disposizione con l’offerta formale non fosse completamente sufficiente e, del resto, il relativo capo non risulta essere stato impugnato.
Tuttavia, ai fini della valutazione dell’inadempimento da considerare nel giudizio conseguente che era stato intentato dalla RAGIONE_SOCIALE per far dichiarare l’invalidità della stessa offerta formale (che non era stata contestata stragiudizialmente dopo la sua notificazione), la Corte di
appello -così come già il Tribunale di Padova -ha ritenuto che il rimedio della risoluzione attivato dalla citata RAGIONE_SOCIALE con l’esperita azione avrebbe potuto avere una sua idonea giustificazione se l’inadempimento della controparte avesse pregiudicato l’interesse della stessa quale creditrice e avesse fatto venir meno il ragionevole affidamento sull’esecuzione del rapporto contrattuale.
In altri termini, la Corte territoriale -per confortare la compiuta valutazione circa l’insussistenza della gravità dell’inadempimento quale condizione idonea a consentire l’ottenimento della risoluzione del contratto preliminare presupposto in virtù di un’offerta formale pur dichiarata invalida -ha rilevato che un comportamento improntato a buona fede avrebbe dovuto imporre alla stessa creditrice di palesare le proprie contestazioni prima di iniziare una nuova causa per ottenere la risoluzione del rapporto conseguente alla sentenza costitutiva del contratto non concluso. Il che significava che gli acquirenti divenuti tali per effetto della sentenza ex art 2932 c.c. passata in giudicato avrebbero dovuto essere posti nella condizione di conoscere che l’offerta fosse stata rifiutata e su quali ragioni tale rifiuto fosse stato fondato.
Alla stregua di tale condotta imputata alla RAGIONE_SOCIALE, la Corte veneta -in consonanza con il giudice di primo grado -ha considerato che l’inadempimento degli eredi del COGNOME NOME difettava dell’elemento della gravità tale da giustificare la risoluzione contrattuale invocata dall’odierna ricorrente. Al fine di rafforzare tale convincimento lo stesso giudice di appello ha evidenziato che la parte creditrice era venuta meno al suo dovere di cooperazione con la parte debitrice nella fase di esecuzione del contratto per individuare la somma esattamente dovuta pur essendoci stata un’offerta formale (il cui importo, peraltro, avrebbe potuto scontare una incertezza nella determinazione in conseguenza della commistione tra quanto dovuto a titolo di tributi, di spese di registrazione, di capitale e di interessi), avendo, invece, optato direttamente per l’esercizio dell’azione diretta all’ottenimento della
dichiarazione di invalidità di detta offerta formale al solo fine di raggiungere l’obiettivo della risoluzione del contratto traslativo conseguente alla sentenza precedentemente emanata ai sensi dell’art. 2932 c.c. (così intendendo non ottemperare ad un comando giudiziale ormai divenuto definitivo). Ciò senza obliterare -ha aggiunto la Corte di appello – la circostanza che, in effetti, la differenza tra la somma offerta ed il prezzo effettivamente dovuto (nell’ordine di circa 1/5) era giustificata da un’errata ed inconsapevole interpretazione in ordine alle spese legali, il che corroborava la valutazione di esclusione della gravità dell’inadempimento imputabile alla parte debitrice.
Nel complesso, quindi, le censure della ricorrente tendono, in effetti, a confutare una valutazione di merito adeguatamente operata dalla Corte di appello – in sintonia con quella compiuta dal giudice di prime cure -sulla sussistenza o meno della gravità dell’inadempimento imputabile alla parte debitrice, che è stata, tuttavia, esclusa sulla scorta del congruo ed equilibrato esame di plurimi elementi oggettivi e soggettivi, con l’adozione, quindi, di una motivazione insindacabile nella presente sede di legittimità.
La giurisprudenza di questa Corte ha, peraltro, precisato che, in tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase; pertanto, l’apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento si ripercuote sulla valutazione della gravità dell’inadempimento stesso, nel caso in cui tale soggetto abusi del suo diritto potendo comunque realizzare il suo interesse senza ricorrere al mezzo estremo dell’ablazione del vincolo.
In altri termini, si è puntualizzato che il principio, sancito dall’art. 1455 c.c., secondo cui il contratto non può essere risolto se l’inadempimento ha scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altra parte, va adeguato anche ad un criterio di proporzione fondato sulla buona fede
contrattuale. Pertanto, la gravità dell’inadempimento di una delle parti contraenti non va commisurata all’entità del danno, che potrebbe anche mancare, ma alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse dell’altra parte all’esatta e tempestiva prestazione (cfr. Cass. n. 15363/2010 e Cass. n. 19879/2011).
Ciò comporta che, ai fini della valutazione della sussistenza dell’inadempimento nei contratti sinallagmatici, il giudice – alla luce dei criteri legali e, primo fra tutti, di quello dell’esecuzione del contratto secondo buona fede (art. 1375 c.c.), che impone di evitare il pregiudizio dell’interesse della controparte alla corretta esecuzione dell’accordo ed al conseguimento della relativa prestazione, non potendosi invocare a giustificazione l’altrui errore, ove agevolmente rilevabile e rimediabile senza dover sopportare sforzi o costi sproporzionati al risultato – deve tener conto di tutte le circostanze rilevanti e, segnatamente, delle eventuali negligenze di entrambe le parti, l’una nei confronti dell’altra, non essendo sufficiente che abbia riguardo alla condotta, ancorché negligente, di una sola di esse.
Oltretutto, è stato anche acutamente affermato (v. Cass. n. 4022/2018) che la gravità dell’inadempimento ai sensi del citato art. 1455 c.c. va commisurata all’interesse che la parte adempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto e non alla convenienza, per detta parte, della domanda di risoluzione rispetto a quella di condanna all’adempimento (v. anche Cass. n. 8212/2020).
E’ importante in proposito sottolineare che, in via generale, l’interesse di cui all’art. 1455 c.c. non si identifica con l’interesse alla risoluzione, ma consiste nell’interesse all’adempimento. L’interesse richiesto da detta norma, quindi, non può che consistere nell’interesse della parte non inadempiente alla prestazione rimasta ineseguita: interesse che deve presumersi (con presunzione semplice, ex art. 2727 c.c.)
vulnerato tutte le volte che l’inadempimento sia stato di rilevante entità.
E’ opportuno, inoltre, rimarcare che, in tema di contratto preliminare, le sentenze emesse ai sensi dell’art. 2932 c.c. producono dal momento del passaggio in giudicato gli effetti del negozio comportando, nel caso di vendita, il trasferimento della proprietà del bene e correlativamente l’obbligo dell’acquirente di versare il prezzo (o il suo residuo) eventualmente ancora dovuto, obbligo sancito con una pronuncia di accertamento o di condanna o di subordinazione dell’efficacia traslativa al pagamento; si origina, così, un rapporto di natura negoziale e sinallagmatica suscettibile di risoluzione nel casi di inadempimento che, ai sensi dell’art. 1455 c.c., deve, però, essere comunque di non scarsa importanza.
Pertanto, sulla scorta di tale complessivo ragionamento, l’azione di risoluzione direttamente intrapresa dalla RAGIONE_SOCIALE senza minimamente prendere in considerazione la pregressa condotta dei debitori sostanziatasi nell’offerta formale da intendersi riferita alla somma indicata nella sentenza ex art. 2932 c.c. e, quindi, la loro volontà di conformarsi a quest’ultima, ha comportato la violazione da parte della ricorrente -del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, non tenendo conto di aver in precedenza determinato un affidamento nei debitori in ordine all’accettazione dell’offerta formale (pur se in ipotesi non coprente l’intera somma dovuta), così preferendo agire in via giudiziale per la risoluzione del contratto, anziché chiedere l’adempimento totale dell’obbligazione di pagamento incombente sui debitori, invocando l’integrazione dell’importo già individuato con l’offerta formale.
Occorre, altresì, osservare che il riferimento alla pregnanza dell’art. 1208 c.c. operato dalla ricorrente non assume rilievo determinante nella specifica vicenda, assumendo, invece, rilevanza centrale la discussione sulla sussistenza o meno della gravità dell’inadempimento da parte dei COGNOME ai fini della valutazione di fondatezza o meno
dell’azione di risoluzione esperita dalla RAGIONE_SOCIALE, e non certo l’esistenza di un inadempimento in quanto tale: la parzialità dell’offerta reale, quindi, pur determinandone la sua invalidità, non avrebbe potuto comportare -di per sé sola -la risoluzione per inadempimento del rapporto giuridico in relazione a cui era stata fatta, conseguente di una pronuncia giudiziale adottata ai sensi dell’art. 2932 c.c. (divenuta irrevocabile in favore del dante causa degli odierni controricorrenti, ancorché condizionatamente al pagamento del residuo del prezzo da parte del promissario acquirente), essendo necessario l’accertamento del requisito imprescindibile della sua gravità, invece legittimamente esclusa dalla Corte di appello con l’adeguata valutazione di merito complessivamente compiuta avuto riguardo alla natura della causa, alla condotta delle parti e alla corretta applicazione degli artt. 1453, 1455 e 1375 c.c.
Il riferimento, infine, che la ricorrente fa all’art. 1525 c.c. non risulta conferente, avendo tale norma carattere speciale ed essendo relativa alla vendita rateale con riserva della proprietà, oltre a non prevedere alcuna presunzione di gravità dell’inadempimento; comunque non può trovare applicazione nel caso di specie od essere ritenuta idonea ad offrire un parametro di riferimento per l’applicazione e l’interpretazione della portata dell’art. 1455 c.c.
La giurisprudenza di questa Corte è uniforme sulla questione, avendo, più volte, statuito che la norma di cui all’art. 1525 c.c., secondo la quale il mancato pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo non dà luogo alla risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà è dettata con esclusivo riferimento a tale fattispecie contrattuale, e non è, pertanto, suscettibile di applicazione analogica con riguardo ad altre figure negoziali (cfr. Cass. n. 5324/1998 e Cass. n. 9356/2000).
6. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle
spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P .R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che si liquidano, in complessi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltra contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P .R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della