Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18875 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 18875 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso 15944-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE n. 233/2019
– intimato –
avverso la sentenza n. 499/2023 della CORTE DI APPELLO di ROMA, depositata il 24/01/2023;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME;
udito il P.G., nella persona della dott. NOME COGNOME udito il difensore della parte ricorrente
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 7.7.2014 COGNOME NOME evocava in giudizio RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Roma, invocando in via principale la declaratoria della risoluzione consensuale del contratto preliminare di compravendita immobiliare del 26.6.2008, stipulato tra le parti; in subordine, della risoluzione del predetto contratto per inadempimento della convenuta; ovvero, in ulteriore subordine, per reciproco inadempimento; invocando, in tutti i predetti casi, la condanna della società convenuta alla restituzione degli acconti percepiti a fronte della progettata compravendita. In ulteriore, ed estremo, subordine, l’attore spiegava altresì domanda ex art. 2041 c.c., chiedendo la condanna della convenuta ad un indennizzo per arricchimento senza causa, da parametrarsi agli acconti percepiti, ovvero alla somma diversa che fosse stata ritenuta di giustizia.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda ed invocando a sua volta, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dell’attore, l’accertamento del proprio diritto di trattenere gli acconti percepiti e la condanna dell’attore predetto al risarcimento del danno derivante dal mancato perfezionamento della compravendita.
Con sentenza n. 4344/2017 il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda di risoluzione del contratto preliminare oggetto di causa per reciproco inadempimento, rigettava le altre domande di parte attrice ed accoglieva parzialmente quella riconvenzionale, condannando il COGNOME al pagamento in
favore di RAGIONE_SOCIALE della somma di € 1.802.000 oltre accessori e spese del grado.
Con la sentenza impugnata, n. 499/2023, la Corte di Appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame principale spiegato dall’odierno ricorrente, riformava la decisione di primo grado, rigettando la domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE, medio tempore dichiarata fallita, e confermando, nel resto, la sentenza del Tribunale. Riteneva, in particolare, la Corte distrettuale, inammissibile la domanda subordinata di risoluzione per inadempimento del preliminare oggetto di causa, perché in contraddizione con la domanda principale, di accertamento dell’intervenuta risoluzione consensuale del detto accordo.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, affidandosi a cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità, ma ha depositato istanza di sollecita trattazione in data 6.2.2024.
In prossimità dell’udienza pubblica , il P.G. ha depositato note scritte.
Sono comparsi all’udienza pubblica il AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, l’AVV_NOTAIO, per la parte ricorrente, che ha insistito anch’egli per l’accoglimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1350 e 1351 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe errato nel non ravvisare, nella vicenda oggetto di causa, un accordo risolutorio del contratto preliminare di cui è causa. Ad avviso del ricorrente, infatti, il preliminare del 2008 non era mai sfociato in un rogito definitivo, e nel 2012 le parti avevano raggiunto un accordo verbale per la risoluzione di quel primo accordo, in seguito al quale la società odierna intimata aveva
alienato a terzi i beni originariamente compromessi in vendita tra le parti. La prova dell’esistenza dell’accordo risolutorio si ricaverebbe dal fatto che lo stesso era stato posto in esecuzione, appunto mediante la vendita a terzi, operata dalla società promittente venditrice, degli stessi beni oggetto del preliminare di cui è causa.
La censura è infondata.
La circostanza che RAGIONE_SOCIALE abbia alienato a terzi i beni originariamente compromessi in vendita con il preliminare del 2008, oggetto di causa, non implica affatto l’esistenza di un accordo risolutorio di detta pattuizione, trattandosi di atto a contenuto neutro, che ben potrebbe esser stato compiuto dalla società, originaria promittente venditrice, anche sulla base di un diverso intento. RAGIONE_SOCIALE, infatti, avrebbe potuto decidere di vendere a terzi i beni oggetto del preliminare del 2008 sia allo scopo di non adempiere allo stesso, sia in conseguenza dell’inadempimento del promissario acquirente. Nel primo caso, l’alienazione a terzi non soltanto non dimostrerebbe l’esistenza di un accordo risolutorio del preliminare, ma (al contrario) la escluderebbe, poiché la società promittente venditrice avrebbe agito allo scopo di non adempiere alle obbligazioni derivanti dal richiamato preliminare. Nel secondo caso, invece, l’alienazione a terzi sarebbe fondata sul presupposto del venir meno degli effetti obbligatori del preliminare, non già a fronte di una comune volontà risolutiva delle parti, ma in ragione dell’inadempimento della parte promissaria acquirente.
In ogni caso, la sentenza impugnata evidenzia che, poiché il contratto preliminare di cui è causa aveva ad oggetto beni immobili, anche l’accordo con il quale lo stesso fosse stato convenzionalmente risolto avrebbe dovuto rivestire la medesima forma, dovendosi dunque ritenere nulla e priva di validità una intesa meramente verbale.
La statuizione è coerente con il consolidato principio, affermato da questa Corte, secondo cui ‘ Anche il contratto con il quale le parti manifestano la volontà concorde di sciogliere il precedente contratto preliminare di compravendita immobiliare deve avere, ad substantiam, la stessa forma scritta richiesta per il contratto originario che si intende sciogliere, pur non essendo ciò espressamente disposto dall’art.1351 c.c.’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 945 del 27/04/1961, Rv. 882839; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 07/06/1990, Rv. 467578; Cass. Sez. U Sentenza n. del 28/08/1990, Rv. 469104; Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 11/10/1991, Rv. 474183; Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 30/01/1995, Rv. 490119; Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 18/02/1995, Rv. 490524; Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 23/12/1995, Rv. 495204; Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 30/01/1997, Rv. 502139; Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 27/11/1997, Rv. 510466).
La ragione di tale scelta, cui la Corte di Cassazione è pervenuta dopo alcune iniziali differenti interpretazioni (cfr., ad esempio, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7551 del 16/12/1986, Rv. 449574 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3816 del 06/06/1988, Rv. 459047, che avevano considerato ammissibile un accordo risolutorio di un contratto preliminare di compravendita immobiliare concluso in forma verbale o per facta concludentia ) risiede nel fatto che la ragione giustificativa dell’assoggettamento del preliminare alla forma scritta indicata dall’art. 1351 c.c., da ravvisare nell’incidenza che il preliminare spiega su diritti reali immobiliari, sia pure in via mediata, tramite l’assunzione della relativa obbligazione di trasferimento, si pone in termini identici per il contratto risolutorio del preliminare stesso.
Poiché dunque, nella specie, lo stesso ricorrente riconosce che non è mai stato concluso un accordo di risoluzione del contratto
preliminare del 2008 in forma scritta, la censura in esame è da rigettare.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1453, 1454 e 1457 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile la domanda di risoluzione del contratto preliminare di cui è causa per inadempimento della promittente venditrice, formulata in via subordinata dall’odierno ricorrente, ritenendola intrinsecamente in contrasto con quella principale, secondo cui l’accordo predetto si sarebbe risolto consensualmente, sulla base di un gentlemen agreement .
La censura è fondata.
La Corte di Appello ha affermato che ‘… non è lecito sostenere che il contratto si è risolto in forza di un gentlemen agreement e poi, in via subordinata, sostenere il contrario: non più un accordo tra gentiluomini ma l’inadempimento della controparte. Si tratta di due soluzioni che pur se poste formalmente in via gradata sono del tutto incompatibili dato che l’una esclude l’altra. Anzi, sostenere che il contratto si è risolto per mutuo consenso, ma non provarlo, sta a significare che il contratto si è risolto per propria volontà senza che alla propria dedotta volontà di uno scioglimento per mutuo consenso -che sta a confessare l’intenzione del COGNOME di non essere più interessato al contratto -corrisponda quella omologa altrui, in sostanza denunciandosi da parte del COGNOME RAGIONE_SOCIALE un proprio inadempimento’ (cfr. pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata).
In realtà, nel caso di specie l’odierno ricorrente aveva chiesto, in via principale, accertarsi l’intervenuta risoluzione del contratto preliminare per mutuo consenso, e, in subordine, la risoluzione del predetto accordo per inadempimento della società convenuta. Tra le due domande, proposte non cumulativamente, ma in ordine
gradato l’una nei confronti dell’altra, non sussiste alcuna incompatibilità logica, posto che, anche nel caso in cui (come nella specie) non si ritenga conseguita la prova dell’esistenza di un accordo di risoluzione consensuale del contratto preliminare, rimane integro il diritto di ciascuna delle parti di invocare la risoluzione del predetto accordo per qualsiasi altro motivo, ivi incluso l’inadempimento della controparte, ed il correlato dovere del giudice di merito di verificare se, in concreto, il dedotto inadempimento sussiste, o meno.
Nel caso di specie, inoltre, alla domanda subordinata di risoluzione per inadempimento della promittente venditrice, proposta dal COGNOME COGNOME, aveva corrisposto la domanda riconvenzionale, identica e contraria, proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE, di accertamento della risoluzione dell’accordo per inadempimento del promissario acquirente. Una volta esclusa l’esistenza di un accordo risolutorio del preliminare, e dunque accertata l’infondatezza della domanda principale formulata dall’odierno ricorrente, la Corte di merito era in presenza di due contrapposte domande di inadempimento, e dunque era tenuta ad operare un giudizio comparativo tra il comportamento delle parti.
Sul punto, va data continuità al principio secondo cui ‘ Nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 30/05/2017, Rv. 644328; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza
TABLE
Detto accertamento comparativo, nel caso di specie, è completamente mancato, in quanto la Corte di Appello non ha esaminato la domanda di risoluzione per inadempimento che il COGNOME aveva proposto, in subordine, ma si è limitata a ritenerla inammissibile, sulla scorta di una ravvisata sua incompatibilità logica con la domanda principale di accertamento dell’esistenza di un accordo di risoluzione consensuale del contratto preliminare di cui è causa. Incompatibilità logica che, viceversa, non sussiste affatto, posto che la mancata prova dell’esistenza dell’accordo consensuale oggetto della domanda principale non esclude la sussistenza di un inadempimento colpevole dell’una o dell’altra parte.
Non sono neppure coerenti gli argomenti logici che la Corte di merito ha ritenuto di trarre dalla scelta processuale dell’odierno ricorrente: aver proposto una domanda di accertamento dell’esistenza di un accordo di risoluzione consensuale del contratto preliminare, infatti, non presuppone affatto l’esistenza della volontà del COGNOME di non adempiere alle obbligazioni derivanti dal predetto preliminare, poiché l’eventuale accordo a contenuto risolutorio può prescindere dall’esistenza di un inadempimento, e trovare la sua motivazione in una nuova, e diversa, configurazione dell’assetto della volontà dei paciscenti. Il sillogismo apparente utilizzato dal giudice di appello, secondo cui la proposizione della domanda principale del COGNOME COGNOME costituirebbe una sorta
di conferma della sua volontà di non essere più interessato al contratto preliminare e dunque una autodenuncia di un suo inadempimento allo stesso, si rivela in effetti erroneo.
Da quanto precede discende l’accoglimento della censura in esame, che a sua volta assorbe le altre, con le quali il ricorrente contesta, rispettivamente:
-la violazione o falsa applicazione degli artt. 1453, 1455 e 1460 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare il complessivo comportamento delle parti, e di ravvisare, in base ad esso, l’inadempimento della società promittente venditrice (terzo motivo);
-la nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di gravame e la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe dovuto condannare la promittente venditrice anche alla restituzione degli acconti ricevuti a fronte della programmata compravendita (quarto motivo);
-la nullità della sentenza per omessa motivazione e la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe trascurato di fornire alcuna motivazione in relazione al motivo di gravame non esaminato, di cui alla doglianza n. 4 (quinto motivo).
In definitiva, va rigettato il primo motivo, va accolto il secondo e vanno dichiarati assorbiti i rimanenti.
La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
la Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata, in
relazione alla censura accolta, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione, anche per le spese del