Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10368 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10368 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 12120/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME controricorrente avverso la sentenza n. 3228/2019 della Corte d’ appello di Bologna, depositata il 18-11-2019,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4-42025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il Tribunale di Ferrara, in accoglimento del ricorso di NOME COGNOME ha emesso decreto ingiuntivo con il quale ha condannato RAGIONE_SOCIALE a pagare Euro 150.000,00 a titolo di restituzione della caparra confirmatoria versata al momento della conclusione del contratto preliminare del 28-1-2011, con il quale RAGIONE_SOCIALE
OGGETTO:
contratto preliminare
RG. 12120/2020
C.C. 4-4-2025
era impegnata a trasferire a NOME COGNOME la proprietà di appartamento in Ferrara INDIRIZZO e di posto auto interrato in condominio sito in Ferrara INDIRIZZO; il contratto era sottoposto alla condizione risolutiva, che si era verificata, del denegato consenso da parte di RAGIONE_SOCIALE Bank RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, proprietaria dell’appartamento di INDIRIZZO concesso in leasing a RAGIONE_SOCIALE, al riscatto anticipato dell’immobile da parte della promittente venditrice, prima della data del 20-3-2011 fissata per la stipula del contratto definitivo di compravendita; il contratto si era comunque risolto di diritto in quanto NOME COGNOME si era avvalsa della clausola risolutiva espressa, pure pattuita nel preliminare, della mancata concessione, da parte della società di leasing, della possibilità di riscatto dell’immobile da parte di RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 1142/2014 depositata il 9-10-2014 il Tribunale di Ferrara ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta da RAGIONE_SOCIALE e la domanda riconvenzionale proposta dalla società al fine di ottenere la condanna di NOME COGNOME al risarcimento del danno ‘per la mancata disponibilità dell’immobile’ dal 28-1-2011 al rilascio. La sentenza ha considerato che la società aveva promesso in vendita immobile del quale non aveva la proprietà ma solo il possesso, essendo la proprietà in capo a RAGIONE_SOCIALE, e si era impegnata a procurarsi la proprietà entro la data fissata per il rogito; ciò non era avvenuto, quindi nulla poteva essere imputato alla promissaria acquirente ed era privo di rilievo anche il dato che la stessa avesse atteso fino a maggio 2012 che la società si procurasse la proprietà del bene. Ha rigettato la domanda riconvenzionale dell’opponente, rilevando che la de tenzione del bene da parte dell’opposta era avvenuta in forza di contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, che la Corte d’appello di Bologna ha rigettato con sentenza n. 3228/2019 depositata il 18-112019. Per quanto ancora rileva in relazione al contenuto del ricorso per cassazione, la sentenza ha dichiarato che, stante il collegamento negoziale tra preliminare e comodato, non poteva essere condivisa la pronuncia del giudice di primo grado, laddove da una parte aveva ritenuto risolto di diritto il contratto preliminare per essersi la promissaria acquirente legittimamente avvalsa della clausola risolutiva espressa con raccomandata ricevuta da controparte il 3-5-2013 e dall’altra aveva ritenuto che il contratto di comodato gratuito collegato continuasse a produrre i suoi effetti; quindi ha dichiarato che, dopo la data del 3-5-2013, la detenzione del l’immobile da parte della promissaria acquirente non si poteva ritenere qualificata e dunque legittima a titolo gratuito. Perciò ha rilevato che la domanda di risarcimento del danno per mancata disponibilità dell’immobile era astrattamente fondata, quanto meno con riferimento al periodo successivo alla data di risoluzione di diritto del contratto preliminare. Ha rilevato che la società non aveva fornito alcun elemento per la determinazione di tale pregiudizio, nulla sapendosi sulle caratteristiche dell’immobile al fine di quantificare un eventuale canone di locazione; ha aggiunto che non risultava neppure che alla data del 3-5-2013 la società fosse ancora legittimata a tale domanda, per essere ancora efficace il contratto di leasing, e anzi la promissaria acquirente aveva prodotto ‘transazione’ recante timbro postale del 20 -9-2012, di cui aveva dedotto essere venuta a conoscenza dopo il giudizio di primo grado, da cui risultava che il contratto di locazione finanziaria avente a oggetto anche l’immobile in questione era stato sciolto consensualmente dal giorno 1-7-2012; ha altresì rilevato che la società non aveva provato l’ammontare dei canoni di locazione finanziaria che assumeva di avere pagato durante l’occupazione dell’immobile da parte
di NOME COGNOME e dei quali aveva chiesto il rimborso, in quanto non potevano essere utilizzati gli estratti conto prodotti in allegato alla seconda memoria ex art. 183 co. 6 cod. proc. civ., la cui produzione era stata dichiarata inammissibile dal giudice di primo grado, con pronuncia non oggetto di appello.
2.RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato in realtà a tre motivi, seppure rubricato come unico motivo articolato in tre distinti profili volti a censurare il capo della sentenza con la quale è stata rigettata ‘la domanda restitutoria per il mancato utilizzo del bene’ .
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio la controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 4-4-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale sollevata dalla controricorrente.
La procura speciale è in calce al ricorso e contiene l ‘espresso e specifico mandato ‘ a proporre ricorso avanti la Suprema Corte di Cassazione avverso la sentenza n. 3228/19 -R.G. n. 696/2015 pronunciata da lla Corte d’ Appello di Bologna ‘ , per cui risulta irrilevante che, di seguito, il mandato faccia riferimento ad altre attività relative al giudizio di merito anziché a quello di cassazione. Le sezioni unite di uesta Corte hanno ridotto notevolmente i casi di nullità della procura, valorizzando anche il principio di conservazione (cfr. Sez. U – , Sentenza n. 36057 del 09/12/2022; Sez. U – , Sentenza n. 2075 del
19/01/2024): non si ritiene pertanto di aggiungere altro sulla questione.
2. Passando dunque all’esame dei motivi, c on il primo di essi la ricorrente censura la sentenza impugnata sotto il profilo dell’individuazione della data dalla quale fare decorrere gli effetti restitutori connessi alla risoluzione del contratto. D educe l’erronea applicazione dell’art. 1458 cod. civ., in ordine all’effetto retroattivo della risoluzione del contratto; sostiene che la società abbia diritto alla restituzione del bene non dal momento in cui la promissaria acquirente ha deciso di fare valere la clausola risolutiva espressa, e perciò dal 35-2013, come ritenuto dalla sentenza impugnata, ma dal precedente momento della stipula del contratto preliminare, in quanto è a tale momento che retroagiscono gli effetti restitutori; richiamando i precedenti di Cass. 24325/2017 e di Cass. 6575/2017, rileva che, venuto meno il contratto preliminare, a prescindere dal dato della responsabilità del promittente venditore, risulta che l’immobile è stato detenuto senza causa e perciò non solo deve essere restituito, ma devono essere anche corrisposti i frutti.
2.1.Il motivo è formulato in modo ammissibile, per cui devono essere rigettate le relative eccezioni della controricorrente, ed è anche fondato.
La Suprema Corte ha già enunciato il principio secondo il quale, in caso di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare di compravendita, sussiste a carico del promissario acquirente che abbia ottenuto dal promittente venditore la consegna e la detenzione anticipate della cosa, l’obbligo di restituzione, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., della cosa stessa e degli eventuali frutti ( condictio indebiti ob causam finitam); la retroattività della pronuncia di risoluzione, in ragione del venire meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente,
dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell’indebito ; quindi, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., sussiste l’obbligo di corrispondere anche i frutti per l’anticipato godimento dell’immobile promesso in vendita , e cioè l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene consegnato anticipatamente, per il tempo compreso tra la consegna e la restituzione (Cass. Sez. 2 14-3-2017 n. 6575 Rv. 643371-01, Cass. Sez. 2 28-11-2017 n. 28381 Rv. 646528-01, Cass. Sez. 2 30-11-2022 n. 35280 Rv. 666326-01). Come rilevato da Cass. Sez. 2 5-3-2024 n. 5891 (Rv. 670863-01), la promessa di vendita di immobile con consegna anticipata integra un contratto misto, la cui causa è data dalla fusione di quelle di due contratti tipici, il preliminare di compravendita e il comodato precario; pertanto, stante l’unitarietà funzionale che contraddistingue il collegamento negoziale, il contratto trova la sua disciplina giuridica in quella prevalente del preliminare di vendita, con conseguente applicazione degli effetti restitutori ex art. 1458 cod. civ. Invece, non è pertinente alla fattispecie Cass. 9369/2024, richiamata dalla controricorrente nella memoria illustrativa, in quanto è relativa a contratto di finanziamento, che la stessa pronuncia (cfr. pag. 18) qualifica come avente natura di contratto a esecuzione continuata e periodica, sottratto alla disciplina dell’art. 1458 cod. civ.
Ne consegue che erroneamente la sentenza impugnata ha dichiarato che la domanda di RAGIONE_SOCIALE riferita al mancato godimento dell’immobile era fondata con limitato riferimento al periodo successivo alla data di risoluzione di diritto del contratto preliminare; ugualmente, non rileva quanto dedotto dalla controricorrente, in ordine al fatto che la società non avesse mai chiesto in via stragiudiziale la restituzione del bene. Infatti, per le ragioni esposte, l ‘obbligo restitutorio della prestazione anticipatamente eseguita e dei frutti del
bene in ragione dell’effetto della risoluzione decorreva dalla data di conclusione del contratto preliminare o, se successiva, dalla data in cui la promissaria acquirente aveva avuto la consegna dell’immobile. Né rilevava che la società avesse proposto la domanda a titolo di risarcimento del danno anziché a titolo di restituzione della prestazione anticipatamente eseguita, perché era il riferimento eseguito alla mancata disponibilità dell’immobil e a individuare il bene della vita oggetto della domanda e perciò a imporre al giudicante la corretta qualificazione della domanda medesima.
3.Deve a questo punto -per evidenti ragioni di priorità logica scrutinarsi il terzo motivo, con il quale la ricorrente censura la sentenza per la parte in cui la Corte d’Appello ha dichiarato che l’appellante non aveva fornito alcun elemento per la liquidazione del pregiudizio riferito al periodo in cui la promissaria acquirente aveva goduto dell’immobile senza averne titolo. Sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sia manifestamente illogica o perplessa, in quanto gli elementi che la sentenza ha ritenuto mancanti, riferiti alle caratteristiche dell’immobile, erano specificati già nell’art. 1 del contratto preliminare e il giudice di secondo grado avrebbe comunque potuto disporre consulenza tecnica, per cui sotto questo profilo sussiste la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. Aggiunge che la sentenza ha erroneamente dichiarato anche che non erano utilizzabili gli estratti conto allegati alla memoria istruttoria, in quanto il giudice di primo grado non aveva pronunciato su quelle produzioni e il giudice d’appello erroneamente ha ritenuto irrituale la memoria trasmessa a mezzo fax.
3.1.Il motivo è inammissibile con riferimento ai documenti costituiti dagli estratti conto allegati alla prima memoria istruttoria depositata in primo grado. In via assorbente rispetto a ogni altra questione e diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, risulta
dalla sentenza impugnata (pag.3 e pag.10) che la sentenza di primo grado ha confermato l’ordinanza 10 -5-2014 con la quale il Tribunale aveva dichiarato l’irritualità del deposito della prima e della seconda memoria ex art. 183 co.6 cod. proc. civ. della società opponente. A fronte di questo dato, esattamente la sentenza impugnata ha dichiarato che la società appellante avrebbe dovuto proporre motivo di appello avverso quella pronuncia perché, in mancanza, non è stata devoluta al giudice d’appello la questio ne relativa alle modalità di deposito di quelle memorie; quindi, è passata in giudicato la pronuncia di inammissibilità del deposito eseguita dal giudice di primo grado con riguardo alle memorie e ai relativi allegati e la ricorrente non può dolersi della mancata disamina dei documenti dichiarati inammissibili in via definitiva.
Per il resto il motivo -formulato in modo ammissibile, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente- è fondato, perché effettivamente la sentenza, laddove ha dichiarato che l’appellante non aveva fornito alcun elemento per determinare la perdita subita con riferimento al periodo di occupazione dell’immobile, non rispetta il minimo costituzionale entro il quale è circoscritto il sindacato di legittimità e si sottrae all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost. e nel processo civile dall’art. 132 co.2 n. 4 cod. proc. civ.; tale obbligo è violato, concretandosi nullità processuale deducibile ex art. 360 co. 1 n.4 cod. proc. civ., qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, o viziata da manifesta e irriducibile contraddittorietà o sia perplessa e incomprensibile, purché il vizio risulti dallo stesso testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, Cass. Sez. 6-3 25-9-2018 n. 22598 Rv. 650880-01, per tutte). La sentenza, nel dichiarare che nulla si sapeva sulle
caratteristiche dell’immobile utili per quantificare un eventuale canone di locazione non percepito, non spiega per quali ragioni tali caratteristiche dell’immobile non potessero essere ricavate dal contenuto del contratto preliminare intercorso dalle parti e per quali ragioni il valore locativo dell’immobile non potesse essere oggetto di accertamento tecnico. Per queste carenze, l’affermazione risulta illogica e meramente apodittica, in quanto tale inidonea a comprendere il ragionamento svolto per giungere alla conclusione.
4.Resta da esaminare il secondo motivo, con cui la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ammesso la produzione in appello del documento attestante che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avevano sciolto consensualmente, a decorrere dal luglio 2012, una serie di contratti di locazione finanziaria, tra i quali quello relativo all’immobile oggetto del contratto preliminare. Deduce la violazione dell’art. 345 co. 3 cod. proc. civ., in q uanto la disposizione nella formulazione risultante dal d.l. 83/2012 conv. con mod. nella legge 134/2012 applicabile alla fattispecie per essere stato il giudizio introdotto dopo l’11 -9-2012- pone il divieto assoluto della produzione di nuovi documenti in appello, salva solo la possibilità per la parte di dimostrare di non avere potuto produrli prima e a prescindere dall’indispensabilità della prova. Evidenzia che nella fattispecie il documento era venuto a esistenza prima dell’introduzione del giudizio di primo grado e quindi avrebbe potuto essere prodotto tempestivamente; sostiene che le ragioni addotte dalla Corte per ammettere la produzione non integravano gli estremi né del caso fortuito né della forza maggiore; ciò in quanto NOME COGNOME, dal momen to in cui aveva ricevuto la notificazione dell’atto di citazione di opposizione al decreto ingiuntivo da parte di RAGIONE_SOCIALE ben avrebbe potuto rivolgersi a RAGIONE_SOCIALE per accertarsi se RAGIONE_SOCIALE fosse ancora titolare del contratto di locazione
finanziaria. Lamenta perciò che la sentenza non abbia neppure una motivazione logica e coerente sul punto, con conseguente nullità ex art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ.
4 .1.Il motivo è infondato laddove deduce la violazione dell’art. 345 co. 3 cod. proc. civ. vigente, nel testo introdotto dall’art. 54 d.l. 83/2012 conv. con legge 134/2012. Infatti, il divieto di produzione di nuovi documenti in appello di cui all’art. 345 co. 3 cod. proc. civ. vigente può essere superato solo ove il giudice accerti che non era possibile provvedere al tempestivo deposito nel giudizio di primo grado, per causa non imputabile alla parte, restando a tal fine ininfluente l’indispensabilità del documento ai fini del decidere (Cass. Sez. 1 12-6-2024 n. 16289 Rv. 671542-02, Cass. Sez. 2 24-10-2023 n. 29506 Rv. 669299-03, Cass. Sez. 3 9-11-2017 n. 26522 Rv. 646466-01). La sentenza impugnata ha fatto applicazione di tale principio, in quanto ha ammesso la produzione in appello del documento relativo alla transazione tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sulla base del dato che l’appella ta COGNOME aveva detto di esserne venuta a conoscenza a seguito di contenzioso promosso da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dopo la conclusione del primo grado del giudizio e sul punto non c’era contestazione. In questo modo, la Corte d’appello non ha ammesso il documento per averlo ritenuto indispensabile, come lamenta la ricorrente; diversamente, ha esposto il concetto esatto che la produzione del documento era ammissibile in quanto la parte non aveva potuto produrlo in precedenza e ha accertato in fatto tale circostanza, in termini che resistono alle critiche della ricorrente, in quanto ha evidenziato che si trattava di documento attestante transazione avvenuta tra soggetti diversi e della quale NOME COGNOME era venuta a conoscenza solo a seguito di contenzioso promosso da RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE Sulla questione, non ha rilievo neppure la deduzione della ricorrente secondo la quale RAGIONE_SOCIALE non
aveva sollevato contestazioni in quanto non aveva accettato il contraddittorio sulla produzione documentale, perché neppure tale dato è utile a fare emergere la lamentata violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.
La motivazione della sentenza impugnata sul punto non è neppure affetta da vizio tale da determinarne la nullità, perché pienamente rispetta il minimo costituzionale entro il quale è limitato il sindacato di legittimità (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01); infatti, esplicita le ragioni in forza delle quali ha ritenuto che il documento non potesse essere prodotto in precedenza, riferite al fatto che si trattava di documento attestante transazione intercorsa tra parti diverse, del quale NOME COGNOME aveva potuto veniva a conoscenza solo a seguito del contenzioso instaurato nei suoi confronti da una delle due parti della transazione.
Il rigetto del motivo comporta che il giudice del rinvio, nell’accertare il diritto della società promittente venditrice di ottenere l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento dell’immobile a decorrere dalla data di consegna, terrà conto che tale diritto sussiste limitatamente a l periodo nel quale la società ha avuto sull’immobile un titolo che le consentiva di disporre dell’immobile anche dandolo in godimento ad altri.
5. In definitiva, l’accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso nei termini predetti impongono la cassazione della sentenza impugnata. Il giudice del rinvio, facendo applicazione dei principi esposti e attenendosi a quanto sopra ritenuto, accerterà il diritto della società promittente venditrice a ottenere dalla promissaria acquirente l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene, per il tempo compreso dal momento della consegna dell’immobile fino al momento in cui la società ha avuto sul bene un titolo che le consentiva di disporre
dell’immobile anche lasciandolo in godimento alla promissaria acquirente.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione