Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12177 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12177 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 331 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliat a presso l’avvocato NOME COGNOME ;
contro
ricorrente
nonché contro
Intesa Sanpaolo s.p.a.RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso l’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 2385/2020 depositata l’11 settembre 2020 della Corte di appello di Bologna.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 marzo 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bologna ha rigettato l’opposizione proposta ex art. 615 c.p.c. da NOME COGNOME ed NOME COGNOME il primo quale mutuatario e la seconda quale datrice di ipoteca, avverso il precetto loro notificato da Banco Emiliano Romagnolo s.p.a., nella cui posizione creditoria sono succeduti prima Intesa Sanpaolo s.p.a., quindi RAGIONE_SOCIALE; il precetto aveva ad oggetto il pagamento della somma di euro 291.187,98 di cui euro 10.735,44 per nove rate insolute, alla data del 19 ottobre 2012, di un mutuo ipotecario; il restante importo era costituito dagli interessi di mora e dal capitale residuo (siccome dovuto in ragione della intervenuta risoluzione del contratto).
COGNOME e COGNOME hanno proposto appello avverso tale pronuncia; nel giudizio di gravame è intervenuta, quale acquirente del credito, NOME RAGIONE_SOCIALE
La Corte di Bologna ha respinto l’impugnazione.
Ha osservato, in sintesi: che il 19 ottobre 2012 la banca mutuante aveva invitato gli appellanti alla corresponsione, nei successivi cinque giorni, di nove ratei scaduti, con avvertimento che, in assenza del pagamento di quanto dovuto, il contratto di mutuo avrebbe dovuto dichiararsi risolto; che alla data del 20 maggio 2012 (a partire dalla quale operò la sospensione dei termini di pagamento contemplata dal d.l. n. 74 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 122/2012) gli intimati erano incorsi in ritardi variabili tra i ventotto e i centoventinove giorni nel pagamento di sedici rate del mutuo; che inoltre alla predetta data del 20 maggio 2012 gli appellanti avevano omesso il pagamento di tre rate del mutuo (le nn. 32, 33 e 34); che «nonostante la diffida della banca esordisca con l’invito ai destinatari a pagare nove rate arretrate (per euro 10.735,44), senza far cenno ai
pregressi sedici ritardi, è palese che i presupposti per la risoluzione del mutuo sussistessero tutti alla data del 19 ottobre 2012, sia in base all’art. 40 t.u.b., sia in base all’art. 10, all. A, del mutu o»; che i pregressi sedici ritardi, uniti all’omesso pagamento di tre ratei, consentivano alla banca di avvalersi della risoluzione sulla base delle norme suddette (la prima, quanto ai ritardi, la seconda quanto ai mancati pagamenti); che non emergeva alcun elemento tale da far ritenere che l’azienda di credito avesse sostanzialmente rinunciato al diritto potestativo risolutorio; che la riduzione del termine di adempimento a cinque giorni doveva ritenersi giustificata dalla gravità e frequenza dei pregressi inadempimenti.
La pronuncia della Corte di appello di Bologna è stata impugnata per cassazione da COGNOME e COGNOME con un ricorso articolato in quattordici motivi. Resistono con controricorso RAGIONE_SOCIALE e Intesa Sanpaolo. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo moti vo è denunciato l’ omesso esame di un fatto decisivo della controversia discusso inter partes avente ad oggetto «il computo dei termini afferenti la sospensione ex lege (legislazione emergenziale) dei pagamenti di quattro specifiche rate di mutuo».
Il secondo mezzo oppone l’«o messo esame di un fatto decisivo riguardante l’applicabilità della sospensione ex lege nel periodo di mora ex art. 40, comma 2, t.u.b.», nonché l’omessa motivazione.
Col terzo motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione dell’art. 40 t.u.b., del d.m. 1 giugno 2012 e della d.l. n. 74/2012, convertito, con modificazioni, in l. n. 122/2012.
Il quarto motiva lamenta l’errata interpretazione dell’art. 10, all. A, del contratto di mutuo e l’errata interpretazione degli artt. 1362 ss. c.c., con particolare riferimento agli artt. 1370 e 1371 c.c..
I detti motivi, in quanto connessi, si prestano a una trattazione congiunta.
2 . -Col primo motivo i ricorrenti sostengono, in sintesi, che il centottantesimo giorno successivo al maturarsi delle rate nn. 31, 32, 33 e 34, che la Corte di appello ha detto impagate, cadeva in un momento successivo all’inizio del periodo di sospensione contemplato dall’art. 8, n. 9 , d.l. n. 74/2012, convertito, con modificazioni, in l. n. 122/2012: tale è il fatto di cui si lamenta il mancato esame; la circostanza risulterebbe decisiva in quanto in ragione di essa non sarebbe possibile qualificare come inadempimento definitivo il mancato pagamento dei detti ratei.
Come si ricava dal prospetto presente nella sentenza impugnata, oltre che da quanto precisato in proposito dalla Corte territoriale, le richiamate mensilità non vennero affatto pagate.
Il Giudice distrettuale non ha raccordato detto inadempimento al disposto dell’art. 40, comma 2, t.u.b. .
La norma in questione dispone che la banca può invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive, e precisa che a tal fine costituisce ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata.
Dal secondo periodo della norma si ricava, a contrario , che il pagamento intervenuto oltre i centottanta giorni è da considerare inadempimento definitivo e che l’effetto risolutorio, con riguardo a tale inadempimento, non è subordinato alla condizione contemplata nel primo periodo.
L’art. 40, comma 2, non prende tuttavia in considerazione il vero e proprio mancato pagamento, ragion per cui, a fronte dell’omessa corresponsione di uno o più ratei, operano le regole ordinarie della risoluzione, onde questa potrà determinarsi in ragione di quanto contrattualmente previsto dalle parti e, in mancanza, in presenza di una non scarsa importanza dell’inadempimento .
Tale conclusione trova conferma nella giurisprudenza di questa
Corte, essendo stato rilevato che, anche a voler considerare la disposizione di cui all’art. 40, comma 2, t.u.b . come una norma imperativa, non derogabile per volontà delle parti, la clausola risolutiva espressa del contratto di mutuo che faccia riferimento all’omesso integrale pagamento anche di una sola rata deve certamente ritenersi valida ed efficace, quanto meno con riguardo agli inadempimenti che, in base all’espresso disposto della predetta norma, legittimano comunque la risoluzione, cioè con riguardo ai pagamenti del tutto omessi o comunque tardivi di oltre centottanta giorni, relativi anche ad una sola rata, oltre che in caso di pagamenti tardivi contenuti nei centottanta giorni dalla scadenza di ciascuna rata, ma reiterati per più di sette volte (Cass. 23 dicembre 2022, n. 37734, in motivazione).
Deve ritenersi, dunque, che il mancato pagamento sia da considerarsi sempre inadempimento definitivo e che esso possa giustificare la risoluzione del contratto se e in quanto ciò preveda la clausola risolutiva espressa o, in difetto, in base alla regola generale posta dall’ art. 1455 c.c.; viceversa, il pagamento ritardato integra inadempimento definitivo se il ritardo si protrae oltre i centottanta giorni, operando in tal caso, ad opera della legge, una fictio che assimila il primo inadempimento (quello ritardato) al secondo (quello definitivo).
Quanto dedotto col primo motivo a proposito del mancato maturarsi del termine di centottanta giorni con riferimento ai ratei rimasti inadempiuti non coglie allora nel segno; e ciò è assorbente rispetto alla considerazione per cui, comunque, alla data del 19 ottobre 2012, in cui la banca lamentò il mancato pagamento, per tre dei quattro ratei sopra indicati il centottantesimo giorno era comunque spirato.
3 . -Il discorso si sposta, dunque, sulla previsione dell’art. 10 , all. A, del contratto di mutuo, che contiene la clausola risolutiva espressa.
I ricorrenti, col quarto motivo, mostrano di voler censurare, con l’evocazione degli artt. 1362 ss ., 1370 e 1371 c.c., l’interpretazion e che
la Corte ha dato di tale disposizione negoziale.
La doglianza è però del tutto priva di specificità, e dunque inammissibile, perché chi solleva un a censura vertente sull’ermeneutica contrattuale deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 16 gennaio 2019, n. 873; Cass. 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 9 agosto 2004, n. 15381).
In definitiva, è decisivo che consti precisa ricognizione del Giudice di appello quanto al fatto che, in base alla disciplina pattizia, il riscontrato inadempimento era tale da giustificare la risoluzione: evenienza, questa, che i ricorrenti non si mostrano capaci di censurare in modo efficace.
4 . -Pure inammissibile è il secondo motivo.
Esso è incentrato su di una questione di diritto: quella per cui la sospensione prevista dal cit. art. 8, n. 9, d.l. n. 74 del 2012 opererebbe anche nei confronti di retei scaduti prima della data del 20 maggio 2012 presa in considerazione della norma.
La sentenza impugnata non può essere però censurata, sul punto, con la deduzione dell’omesso esame di fatto decisivo , che deve riguardare un fatto storico (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054); né i ricorrenti possono dolersi, al riguardo, della mancanza di motivazione, posto che tale vizio motivazionale è in sé irrilevante per le questioni di diritto (Cass. 28 magio 2019, n. 14476; Cass. 10 gennaio 2004, n. 188 ) .
5 . -La richiamata questione è riproposta col terzo motivo attraverso la denuncia del vizio di violazione o mancata applicazione di norme di diritto.
Deve ritenersi che la censura sia infondata.
L’art. 8 del cit. d.l. n. 74 del 2012 (decreto-legge recante « nterventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012 ») dispone che il pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti di qualsiasi genere resta sospeso fino al 30 novembre 2012; poiché il cit. art. 8 contiene una prescrizione «n aggiunta a quanto disposto dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 1° giugno 2012 », l’inizio del periodo di sospensione cadeva il 20 maggio 2012 (termine a partire dal quale col detto decreto ministeriale erano stati sospesi, per le aree terremotate, i termini dei versamenti e degli adempimenti tributari).
Il riferimento della norma alle « rate dei mutui e dei finanziamenti » lascia intendere che il legislatore abbia inteso riferirsi alle frazioni di rimborso che erano in scadenza nel periodo della sospensione: diversamente la disposizione non avrebbe richiamato le singole rate, ma avrebbe considerato, in modo onnicomprensivo, quanto dovuto in forza dei contratti di mutuo e di finanziamento in essere. Tale conclusione è del resto coerente con lo spirito del testo legislativo, diretto a disciplinare gli interventi per la ricostruzione, l’assistenza alle popolazioni e la ripresa economica nei territori dei comuni delle province interessate dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012: la disciplina in questione intendeva far fronte a una situazione emergenziale venutasi a creare in quel preciso periodo e in tal senso si giustificava la dilazione dei pagamenti che fossero divenuti esigibili nel medesimo arco temporale.
Il terzo motivo è dunque infondato.
6 . -Il quinto mezzo oppone l’«omesso esame di un fatto decisivo della controversia avente ad oggetto l’affermata circostanza documentalmente provata e non contestata ex adverso della causa dei risalenti ritardati pagamenti delle rate di mutuo e dell’affermata circostanza non contestata ex adverso avente ad oggetto l’accettazione senza riserve degli stessi», oltre che il «conseguente vizio di motivazione».
La doglianza è incentrata sul rilievo per cui il ritardo nel pagamento era dipeso dalla mancata possibilità del debitore di effettuare la prestazione a causa della chiusura di tutti i conti correnti in essere presso filiale del Banco Emiliano Romagnolo, stante la procedura di amministrazione straordinaria cui era stato sottoposto l’istituto di credito.
7. ─ Il motivo è inammissibile.
Come si dirà (§ 12) , l’effetto risolutorio si è potuto determinare in ragione del solo mancato pagamento dei ratei nn. 31, 32, 33 e 34, onde la censura, siccome vertente sui pagamenti tardivi, è carente di decisività.
Peraltro, nell’ipotesi di «doppia conforme» ex art. 348ter , comma 5, c.p.c., è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse (Cass. 20 settembre 2023, n. 26934; Cass. 28 febbraio 2023 n. 5947). I ricorrenti non hanno adempiuto a tale onere.
8. ─ Col sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. «su onere probatorio in relazione al principio di mancata contestazione».
Sostengono gli istanti di aver allegato l’accettazione senza riserve, da parte dell’istituto bancario, dei pagamenti ritardati di sedici retei del mutuo; rilevano che l’istituto bancario era tenuto a contestare tale deduzione: ciò che non sarebbe avvenuto.
9. ─ Anche tale motivo è inammissibile.
Vale quanto rilevato al § 7 in ordine alla non decisività della questione, pure inerente ai pagamenti tardivi.
La censura è oltretutto carente di specificità. L’onere del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – valido, oltre che per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, anche per quello di cui all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. – sussiste infatti anche quando si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum , in quanto non contestata (Cass. 23 luglio 2009, n. 17253). In particolare, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c. (Cass. 29 maggio 2024, n. 15058).
10. ─ Col settimo motivo la sentenza impugnata è censurata per nullità, stante la violazione dell’art. 36 c.p.c. , non essendo stata dichiarata l’inammissibilità della domanda riconvenzionale subordinata dell’appellato «volta a modificare la causa petendi , fondandosi la stessa non già sulle rate oggetto di diffida ad adempiere, ma su altre risalenti nel tempo, pagate in ritardo ed accettate senza riserva dalla banca».
Con l ‘ottavo motivo ci si duole che la Corte di merito abbia sostituito le obbligazioni descritte nella diffida ad adempiere e nel precetto con altre adempiute nel consentito ritardo ex art. 40 t.u.b.; si denuncia la violazione dell’art. 1454 c.c..
Il nono mezzo oppone la nullità della sentenza per violazione di norme processuali, avendo il giudice del merito sostituito le obbligazioni descritte nella diffida ad adempiere e nel precetto con altre adempiute
col ritardo ammesso dall’art . 40 t.u.b..
Anche tali motivi possono essere esaminati unitariamente.
11 . -Il contenuto delle censure sollevate si riassume nei termini che seguono.
Con il settimo mezzo i ricorrenti rilevano che la banca aveva domandato in via riconvenzionale subordinata che la diffida inoltrata il 19 ottobre 2012 fosse interpretata quale atto idoneo a provocare la risoluzione del contratto di mutuo per motivi differenti rispetto a quelli in essa espressamente specificati e osservano che «ove si fosse voluto far valere il meccanismo del ritardato pagamento delle risalenti sedici rate, tale fatto non avrebbe potuto essere inserito in una diffida ad adempiere provocando l’automatismo della risoluzione in caso di inadempimento» : di qui l’inefficacia del la diffida, con conseguente travolgimento dell’atto di precetto e del successivo pignoramento immobiliare.
Con l’ottavo mezzo si lamenta che la Corte di appello avrebbe modificato le motivazioni poste alla base del titolo stragiudiziale pur mantenendolo fermo: essa avrebbe cioè attribuito rilievo non già al mancato pagamento delle nove rate indicate nella diffida, ma al ritardato pagamento di sedici rate diverse.
Il nono motivo investe il medesimo tema. Si deduce che la sentenza impugnata sarebbe nulla per error in procedendo in quanto avrebbe modificato «la struttura e il contenuto precettivo della diffida ad adempiere e, quindi, del titolo esecutivo del precetto richiamante detto titolo».
12. ─ La Corte di appello ha ritenuto che il contratto si sia risolto indipendentemente dalla diffida ad adempiere; tale diffida non è stata difatti considerata nell’economi a della vicenda che qui interessa: significativo, in proposito, è il richiamato passaggio con cui la Corte di merito ha osservato che «nonostante la diffida della banca esordisca con l’invito ai destinatari a pagare nove rate arretrate», i presupposti
per la risoluzione erano presenti, alla data del 19 ottobre 2012 «sia in base all’art. 40 t.u.b., sia in base all’art. 10, all. A, del mutuo» . In tal senso, anche la considerazione svolta a pag. 12 della sentenza impugnata circa l’esiguità del termine entro cui avrebbe dovuto adempiersi integra una motivazione ad abundantiam che esula dalla vera e propria ratio decidendi .
Ora, la manifestazione della volontà della parte di avvalersi della clausola risolutiva espressa può essere resa in ogni modo idoneo, anche implicito, purché inequivocabile (Cass. 5 gennaio 2005, n. 167; Cass. 8 luglio 1987, n. 5956; Cass. 23 maggio 1972, n. 1611): così, con la notificazione al debitore inadempiente dell’atto di precetto per il pagamento dell’intero credito residuo la banca mutuante manifesta, per fatti concludenti, l’intendimento di avvalersi della detta clausola risolutiva espressa (in tal senso la cit. Cass. 23 dicembre 2022, n. 37734).
Deve credersi che la Corte di appello, attraverso il puntuale richiamo della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 10, all. A, del contratto di mutuo, abbia inteso affermare che il precetto esprimesse la volontà di avvalersene. E’ vero che la detta clausola raccordava la risoluzione del contratto alla sola ipotesi di mancato pagamento di tre ratei di mutuo (pag. 9 della sentenza impugnata) e che quindi i ritardi maturati con riguardo a pagamenti pregressi, sebbene idonei a giustificare la risoluzione giudiziale , giusta l’art. 40, comma 2, t.u.b., non potevano essere posti alla base del meccanismo contemplato dall’art. 1456 c.c.; è altrettanto vero, però, che il mancato pagamento occorso, pacificamente riferito a tre interi ratei di rimborso del mutuo, oltre che alla frazione di un quarto rateo, era tale da giustificare lo scioglimento del contratto, in base alla clausola risolutiva espressa.
I tre motivi in esame sono dunque inammissibili, in quanto non colgono il reale portato della decisione impugnata, per la parte che qui interessa. L’ottavo e il nono lo sono anche in quanto si basano su di un
assunto ─ quello della sostanziale immutazione del titolo esecutivo posto a fondamento della procedura espropriativa ─ che avrebbe dovuto essere adeguatamente illustrato, laddove, di contro, le censure proposte si mostrano carenti di specificità, mancando gli stessi ricorrenti finanche di trascrivere il contenuto dell’atto di precetto loro notificato (atto cui si correla, come si è detto, la vicenda risolutoria).
Il decimo motivo è titolato come segue: «omesso esame di un fatto decisivo della controversia e discusso inter partes , e, cioè, la contrarietà del termine inferiore assegnato dalla banca per l’adempimento all’art. 1454, comma 2, c.c.» .
Con l ‘undicesimo mezzo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1454, comma 2, c.c. e dell’art. 132, n. 3 , c.p.c..
Le due censure, da esaminarsi congiuntamente, investono la sentenza impugnata nella parte in cui è ivi affermato che la gravità e la frequenza dei pregressi inadempimenti erano tali «da giustificare una richiesta di immediato rientro dell’insoluto entro cinque giorni». Rilevano i ricorrenti che, a norma dell’art. 1454 c.c., il termine assegnato con la diffida ad adempiere può essere inferiore a quindici giorni solo in presenza di una diversa pattuizione delle parti e salvo che, per la natura del contratto e secondo gli usi, risulti congruo un termine minore: deducono che la Corte di merito avrebbe mancato di misurarsi con tale prescrizione, dando esclusivo rilievo a una circostanza, la precedente condotta inadempiente di essi debitori, che la norma non prenderebbe in esame.
Le menzionate doglianze sono inammissibili, in quanto eccentriche rispetto alla ratio decidendi , che, si è detto, prescinde dalla diffida ad adempiere.
Col dodicesimo mezzo si lamenta il vizio di motivazione, la motivazione apparente e la violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c..
La stessa censura risulta formulata col tredicesimo motivo.
I ricorrenti lamentano non siano state prese in esame le
loro deduzioni relative all’inosservanza, da parte della banca, dei principi di correttezza e buona fede.
E’ da osservare che la Corte di merito ha ritenuto assorbito il quinto motivo di appello in ragione di quanto da essa motivato con riguardo ai contestati inadempimenti.
Nel caso di assorbimento la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento: in conseguenza, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33764; Cass. 12 novembre 2018, n. 28995). La parte ricorrente avrebbe dovuto quindi semmai impugnare la correttezza della valutazione di assorbimento, ciò che non è accaduto.
Il dodicesimo e il tredicesimo motivo sono dunque inammissibili.
13. ─ Il quattordicesimo motivo oppone la violazione dell’art. 112 c.p.c..
14. ─ I ricorrenti denunciano per cassazione l’ omessa pronuncia sul settimo motivo di appello. E’ spiegato che la Corte distrettuale non si sarebbe pronunciata sulla vigenza della sospensione ex lege del pagamento delle rate dei mutui e sulle conseguenze che ne derivavano con riguardo al rapporto per cui è causa.
Il motivo è anzitutto inammissibile per difetto di autosufficienza. Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione
specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del «fatto processuale», intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. 14 ottobre 2021, n. 28072; Cass. 4 luglio 2014, n. 15367)
Peraltro, quanto dedotto dalla ricorrente lascia credere che la questione da essa posta col settimo motivo di appello sia da qualificare di mero diritto. Ebbene, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 19 aprile 2018, n. 9693; Cass. 28 giugno 2017, n. 16171). E si è visto, esaminando il secondo motivo di ricorso, che la sospensione prevista dall’ art. 8, n. 9, d.l. n. 74 del 2012 non poteva interessare i retei scaduti prima della data del 20 maggio 2012.
15 . -In conclusione, il ricorso è respinto.
16. -Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta e il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida,
per ciascuna di esse, in euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione