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Risoluzione contratto mutuo: il fallimento è causa

La Corte di Cassazione ha stabilito che la risoluzione contratto mutuo può derivare automaticamente dal fallimento del debitore principale. Se il curatore fallimentare non subentra nel contratto e il creditore si insinua al passivo, il contratto si considera risolto. Di conseguenza, il creditore può legittimamente agire contro i fideiussori per recuperare il credito residuo, poiché il fallimento è stato invocato come causa petendi fin dall’inizio dell’azione monitoria.

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Risoluzione Contratto Mutuo: L’Impatto Decisivo del Fallimento del Debitore

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto bancario e fallimentare: la risoluzione contratto mutuo a seguito del fallimento del debitore principale e le sue conseguenze sui garanti (fideiussori). La decisione chiarisce che il fallimento, se correttamente invocato dal creditore, può costituire la causa stessa della risoluzione, legittimando l’azione per il recupero del credito nei confronti di chi ha prestato la garanzia.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore immobiliare stipula un contratto di mutuo ipotecario con un istituto di credito. A garanzia dell’operazione, due soci prestano fideiussione personale. Anni dopo, la società viene dichiarata fallita. L’istituto di credito originario, e successivamente la società di securitizzazione a cui il credito era stato ceduto, agiscono per ottenere un decreto ingiuntivo contro i fideiussori per il pagamento del debito residuo. I garanti si oppongono, sostenendo l’illegittimità della risoluzione del contratto, ma la Corte d’Appello dà ragione alla società creditrice, ritenendo che il contratto di mutuo si fosse risolto di diritto a seguito del fallimento, ai sensi dell’art. 72 della Legge Fallimentare. I garanti, insoddisfatti, ricorrono per Cassazione.

La Decisione della Corte: La Risoluzione Contratto Mutuo e il Ruolo del Curatore

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso dei garanti, confermando la decisione d’appello. Il punto centrale della controversia ruota attorno all’interpretazione della domanda presentata in origine dalla società creditrice. I garanti sostenevano che il fallimento fosse stato menzionato solo per quantificare il debito residuo, non come causa di risoluzione del contratto. La Suprema Corte, invece, chiarisce che l’interpretazione del contenuto sostanziale di una domanda giudiziale è compito del giudice di merito. In questo caso, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che il fallimento fosse stato invocato fin dall’inizio come fatto giustificativo della pretesa creditoria. La risoluzione contratto mutuo si è perfezionata non per una dichiarazione esplicita, ma implicitamente: con la dichiarazione di fallimento, il curatore aveva la facoltà di subentrare nel contratto. La richiesta di ammissione al passivo fallimentare da parte della banca e la successiva mancanza di opposizione o di una volontà di subentro da parte del curatore hanno determinato lo scioglimento del contratto. Questo evento ha reso il credito immediatamente esigibile nei confronti dei fideiussori.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su principi procedurali e sostanziali solidi. In primo luogo, viene ribadito che l’interpretazione della domanda giudiziale è riservata al giudice di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità se non per vizi logici, qui non riscontrati. I ricorrenti, secondo la Corte, non hanno dimostrato un travisamento dei fatti, ma si sono limitati a proporre una diversa interpretazione. In secondo luogo, il Collegio ha affermato che il fallimento, inteso come ‘fatto’ e non come ‘pronuncia giudiziale’, è stato correttamente posto a fondamento della risoluzione contrattuale sin dal ricorso monitorio. L’effetto risolutorio si è perfezionato implicitamente ma inequivocabilmente nel momento in cui il creditore è stato ammesso al passivo, con conseguente rinuncia del curatore al subentro nel rapporto contrattuale pendente. Questo meccanismo, previsto dall’art. 72 della Legge Fallimentare, ha consolidato la posizione del creditore, permettendogli di agire contro i garanti per l’intero debito residuo.

Conclusioni

L’ordinanza offre un’importante lezione pratica: il fallimento del debitore principale non è un evento neutro per i garanti. Esso può attivare la risoluzione contratto mutuo e rendere immediatamente esigibile il debito. Per i creditori, è fondamentale invocare correttamente tale circostanza fin dalle prime fasi del recupero del credito, mentre per i fideiussori diventa essenziale monitorare attentamente la procedura fallimentare e le scelte del curatore, poiché da esse possono dipendere le sorti della loro obbligazione di garanzia.

Il fallimento del debitore principale causa automaticamente la risoluzione del contratto di mutuo?
Sì, secondo la sentenza, il contratto di mutuo si risolve se, a seguito della dichiarazione di fallimento, il curatore non manifesta la volontà di subentrare nel rapporto e il creditore chiede l’ammissione al passivo per il suo credito. Questa sequenza di eventi comporta lo scioglimento del contratto ai sensi dell’art. 72 della Legge Fallimentare.

È necessario che il curatore fallimentare dichiari esplicitamente di non voler subentrare in un contratto di mutuo?
No, non è necessaria una dichiarazione esplicita. La Corte ha ritenuto che la rinuncia del curatore al subentro nel contratto possa essere anche implicita, come nel caso in cui il creditore venga ammesso al passivo fallimentare senza che il curatore si attivi per proseguire il rapporto contrattuale.

Quando può il creditore far valere il fallimento come causa di risoluzione del contratto nei confronti dei garanti?
Il creditore può far valere il fallimento come causa di risoluzione fin dall’atto introduttivo del giudizio (nel caso di specie, il ricorso per decreto ingiuntivo), purché tale circostanza sia invocata a fondamento della pretesa creditoria e non solo per la quantificazione del debito. La successiva ammissione al passivo perfeziona l’effetto risolutorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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