Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33477 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33477 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 710/2022 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME domiciliazione telematica
-ricorrenti- contro
FINO 2 RAGIONE_SOCIALE e per essa RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME domiciliazione telematica
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 3123/2021 depositata il 28/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE e per essa il suo procuratore mandatario RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE in qualità di cessionaria di un credito vantato da Unicredit s.p.a. nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, chiedeva e otteneva l’emissione di un’ingiunzione nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’importo di 41.496,88 euro, allegando che:
-nel 2007 RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE e Unicredit avevano concluso un contratto in forza del quale la seconda aveva concesso alla prima un mutuo ipotecario per 60.000 euro, da restituire entro 15 anni;
-lo stesso giorno NOME COGNOME e COGNOME NOME si erano costituiti fideiussori per RAGIONE_SOCIALE in favore di Unicredit;
-nel 2010, inoltre, NOME COGNOME si era costituito anch’egli fideiussore per Marval in favore di Unicredit;
-il 26 maggio 2010 Unicredit aveva comunicato a Marval la risoluzione dal contratto di mutuo e aveva altresì comunicato ai tre fideiussori l’intervenuta risoluzione, intimando loro il pagamento di quanto ancora dovuto;
-il 23 settembre 2010 COGNOME era stata dichiarata fallita e Unicredit aveva domandato l’insinuazione nel passivo fallimentare, domanda accolta con parziale soddisfazione del credito poi ceduto da Unicredit a RAGIONE_SOCIALE;
all’esito dell’accoglimento del ricorso monitorio, l’ingiunzione veniva opposta e conseguentemente revocata dal Tribunale secondo cui,
per quanto ancora qui di utilità:
-la banca aveva la facoltà di risolvere il mutuo per il mancato pagamento di una sola rata ma solo dopo lo spirare del 180mo giorno, mentre nell’ipotesi il ritardo era di 26 giorni;
-la banca non poteva validamente avvalersi della clausola risolutiva espressa correlata all’intervenuto fallimento poiché diritto potestativo esercitabile dal contraente e non dal cessionario del credito;
la Corte di appello riformava la decisione osservando che:
-nel ricorso monitorio era stato chiesto il pagamento del residuo dovuto adducendo quale titolo giustificativo sia la comunicazione bancaria del 26 maggio 2010, sia il fallimento del 23 settembre 2017;
-a prescindere dall’interpretazione della suddetta comunicazione, il contratto di mutuo si era risolto in quanto «come esplicitamente allegato nel ricorso introduttivo del giudizio, il 27.9.2010 (quindi ben prima della cessione del credito da Unicredit a Fino 2 Securitisation), la debitrice principale era stata dichiarata fallita, e pertanto il contratto di mutuo si era risolto ai sensi dell’art. 72 L. Fall. Nella fattispecie in esame, infatti, il 11.3.2011 Unicredit s.p.a. ha chiesto l’ammissione al passivo del fallimento di RAGIONE_SOCIALE e il 4.7.2011 il Giudice Delegato ha ammesso il suddetto credito in via ipotecaria…; pertanto, vista l’intervenuta ammissione al passivo fallimentare del credito in questione come da domanda del creditore, deve ritenersi intervenuta, sia pure implicitamente, ai sensi dell’art. 72 L. Fall., ult. com., la rinuncia del curatore al subentro nel contratto di mutuo e quindi lo scioglimento di tale contratto»;
-da quanto sopra discendeva la legittima pretesa di recupero del credito successivamente ceduto;
per la cassazione di questa decisione ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di cinque motivi;
resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE che ha depositato, altresì, memoria;
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342, 345, 348-bis, 348-ter, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di pronunciarsi sull’eccezione di manifesta inammissibilità dell’appello per aspecificità, cui era stata correlata l’eccepita tardività dell’avvalimento, da parte della cessionaria del credito, solamente con la memoria di precisazione assertiva in prime cure, della clausola risolutiva espressa relativa all’intervenuto fallimento;
con il secondo motivo si prospetta la violazione degli artt. 360, n. 5, cod. proc. civ., 72, 96, legge fallimentare, poiché, con motivazione solo apparente, la Corte di appello avrebbe contraddittoriamente errato mancando di considerare che la banca, nella domanda d’insinuazione al passivo concorsuale, aveva posto a base della stessa la comunicazione del 26 maggio 2010, ancorata al mancato pagamento di una rata del mutuo, ritenuta dallo stesso Collegio di merito illegittima perché l’inadempienza era stata di soli 29 giorni a fronte dei 181 richiesti a tal fine dalle pattuizioni contrattuali, sicché non poteva essere posta a base dell’affermazione di risoluzione correlandola all’apertura della procedura concorsuale nella quale peraltro mai la vi era stata dichiarazione in tal senso;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato nell’affermare la risoluzione contrattuale ai sensi dell’art. 72, legge fallimentare, posto che non era mai stata chiesta, come desumibile dal fatto che nell’atto di appello era stato domandato tardivamente di affermare la risoluzione per l’intervenuto fallimento, ai sensi dell’art. 78 della legge fallimentare, fattispecie diversa avente ad oggetto tassativamente i contratti di conto corrente, commissione e mandato, ferma l’efficacia solo endoconcorsuale della relative pronunce giudiziali;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la cessionaria del credito aveva domandato in primo grado, alternativamente, affermarsi la risoluzione in ragione della clausola contrattuale inerente al mancato pagamento di una rata ovvero in esercizio del patto afferente alla decadenza dal beneficio del termine, mai menzionando il fallimento come ragione risolutoria, come accaduto, peraltro invocando l’art. 78 della legge fallimentare, solo nell’atto di appello e, quindi, tardivamente;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 360, n. 5, cod. proc. civ., 2697, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato travisando il contenuto del ricorso monitorio introduttivo in cui il fallimento era stata circostanza invocata solo ai fini della determinazione dell’ammontare ancora dovuto e residuato dalla parziale soddisfazione avvenuta in sede concorsuale;
Considerato che
il primo motivo è infondato;
innanzi tutto, il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito, sicché la sentenza che si assuma avere erroneamente rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello non è censurabile in sede di legittimità per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (v., ad esempio, Cass., 23/01/2009, n. 1701, Cass., 25/01/2018, n. 1876);
e ciò vale logicamente anche quanto all’eccezione di omessa pronuncia sull’eccezione d’inammissibilità ai sensi dell’art. 348 -bis, cod. proc. civ. (Cass., 15/04/2019, n. 10422);
in secondo luogo, la Corte territoriale (a pag. 10) ha riassunto, dedicandovi uno specifico paragrafo della motivazione (n. 5), il
tenore delle difese svolte in appello, palesandone la ricostruita decifrabilità e specificità;
in tal modo l’eccezione di genericità del gravame e parimenti, come evincibile dal prosieguo della stessa parte motiva, di quella di una mancanza di ragionevoli probabilità di accoglimento dell’impugnazione è stata implicitamente quanto univocamente disattesa;
né i ricorrenti hanno dimostrato che il Collegio di merito abbia interpolato il gravame di merito quando ne ha riassunto i motivi, fermo quanto si sta per dire in ordine alla pretesa erroneità della sentenza in questa sede impugnata nella misura in cui ha affermato l’intervenuta risoluzione contrattuale in ragione del sopravvenuto fallimento;
i restanti motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
la Corte territoriale ha rilevato che la risoluzione negoziale per l’intervento fallimento era stata richiesta sin dal ricorso monitorio (pagg. 11, ultimo rigo, e 12);
i ricorrenti, come anticipato, hanno diffusamente sostenuto che:
nel ricorso per decreto ingiuntivo il fallimento era stata una circostanza evocata solo al fine di quantificare l’ammontare della debenza residua (quinto motivo);
la comunicazione della banca datata 26 maggio 2010 non aveva fatto riferimento al fallimento bensì al mancato pagamento di una rata, giudicato contraddittoriamente insufficiente dal Collegio di appello (secondo motivo);
nella comparsa di costituzione dell’opposta creditrice e nella successiva memoria di precisazione assertiva era stato invocato a supporto il mancato pagamento di una rata e la decadenza dal beneficio del termine, ancorandoli alla richiamata comunicazione del 26 maggio 2010, mentre nell’atto di appello si era fatto richiamo, inoltre tardivamente, all’ipotesi di fallimento quale
diversamente disciplinata dall’art. 78, legge fallimentare (terzo e quarto motivo);
ora, come visto la Corte territoriale ha affermato che il fallimento quale fatto -e non pronuncia giudiziale con efficacia extraconcorsuale -giustificativo della risoluzione contrattuale era stato invocato sin dal ricorso monitorio, perfezionandosi, l’effetto risolutorio medesimo, implicitamente quanto univocamente, nel momento dell’ammissione al passivo con conseguente rinuncia al subentro;
ciò posto, per un verso l’interpretazione della domanda è riservata al giudice di merito che deve valutare il contenuto sostanziale e non meramente letterale delle espressioni usate (Cass., 21/05/2019, n.13602), per altro verso i ricorrenti non dimostrano affatto il travisamento ovvero disallineamento affermato tra pronuncia e domanda, ossia che l’intervenuta apertura della procedura concorsuale fosse stata menzionata solo al fine di quantificare la rimanenza dovuta, limitandosi a un’affermazione apodittica e a riportare una limitata parte del citato ricorso in cui neppure si discorre del fallimento bensì solo della comunicazione del 26 maggio 2010;
ne deriva che la ragione decisoria ultima espressa dalla sentenza qui gravata non è incisa;
spese secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4,800,00, oltre a 200,00 euro per esborsi e 15% di spese forfettarie e accessori legali, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti,
se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 03/10/2024