Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10792 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10792 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
Oggetto
Locazione -Inadempimento del conduttore -Domanda di risoluzione anticipata del contratto Fattispecie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14379/2022 R.G. proposto da COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, n. 307/2022 depositata il 15 marzo 2022;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2025
dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
con sentenza n. 857 del 2021 il Tribunale di Lecce, in parziale accoglimento della domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE contro NOME COGNOME ha dichiarato la risoluzione del contratto di locazione commerciale intercorso con quest’ultimo in relazione ad un immobile sito in Gallipoli, ordinandone il rilascio, per inadempimento del conduttore consistito nella mancata esecuzione dei lavori di montaggio e completamento della recinzione cui era tenuto ai sensi dell’art. 4 del l’atto negoziale ;
con sentenza n. 307/2022, depositata il 15 marzo 2022, la Corte d’appello di Lecce ha confermato tale decisione, rigettando ─ per quanto ancora interessa in questa sede ─ il gravame interposto dal COGNOME;
in particolare, quanto al primo motivo ─ con il quale l’appellante si doleva dell’incompletezza delle valutazioni peritali, richiamate dal primo giudice a sostegno della decisione , per avere l’ausiliario omesso di verificare la presenza di vincoli tali da impedire ogni intervento di recinzione ─ ha rilevato che:
la sussistenza di vincoli urbanistici impeditivi dell’apposizione della recinzione del fondo locato era stata rappresentata dalla difesa del COGNOME solo nell’atto d’appello e comunque il COGNOME non ne aveva offerto prova;
l’assunto contrastava con le difese svolte in primo grado, con le quali il resistente aveva dedotto (e chiesto anche di poter provare) che l’area era stata regolarmente delimitata;
c ) era irrilevante che l’accesso del consulente fosse avvenuto nel mese di aprile, dal momento che l’obbligo in questione non era in contratto limitato a particolari periodi dell’anno, ma rappresentava anzi condizione per l’utilizzo del terreno e, in ragione di ciò, le parti avevano stabilito che il canone di locazione riferito al primo anno
dovesse essere inferiore di duemila euro rispetto a quello degli anni successivi;
la Corte territoriale ha poi giudicato « inconferente, prima ancora che infondato » il secondo motivo di gravame, con il quale l’appellante aveva dedotto che non era sufficiente che una determinata condotta integrasse materialmente il fatto contemplato nella clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto, essendo necessario valutare la condotta complessivamente tenuta dalle parti alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede;
al riguardo ha, infatti, osservato che:
il principio richiamato esulava dal tema devoluto, in quanto la RAGIONE_SOCIALE non si era avvalsa, ai sensi dell’articolo 1456 c.c., della clausola risolutiva espressa, bensì aveva chiesto di accertare il grave inadempimento del conduttore, quale presupposto per la declaratoria di risoluzione del contratto;
ad ogni buon conto, il fatto che le parti avevano voluto attribuire all’obbligazione di recinzione del fondo locato un particolare valore nell’economia del rapporto era pienamente giustificato alla luce del fatto che il lotto in questione costituiva una porzione di un fondo di maggior estensione, di proprietà della locatrice, con la conseguenza che la delimitazione del terreno, oggetto del contratto, appariva necessaria al fine di evitare arbitrari sconfinamenti da parte del conduttore;
per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso affidato a due motivi, cui resiste la RAGIONE_SOCIALE depositando controricorso;
in data 24 ottobre 2024 il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., comunicata in data 28 ottobre 2024 ai difensori delle parti, con pronuncia di inammissibilità, sulla base della seguente motivazione:
« il primo motivo è inammissibile, prospettandosi con esso vizio
non più compreso tra quelli tipizzati dall’art. 360 c.p.c.; va ricordato al riguardo che «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. Sez. U. Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);
il secondo motivo è parimenti inammissibile;
la censura omette di indicare le affermazioni contenute nella sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con la norma evocata in rubrica e con la loro interpretazione (Cass. 02/03/2018, n. 5001; Cass. 12/01/2016, n. 287; Cass. 20/08/2015, n. 17060); essa piuttosto si risolve nella riproposizione di argomenti, sostanzialmente impingenti nella ricognizione del fatto e nella valutazione del materiale istruttorio, già proposti in sede di appello e ivi ritenute inconferenti prima ancora che infondati »;
in data 5 dicembre 2024 il ricorrente ha depositato istanza per la decisione del ricorso;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;
entrambe le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
con il primo motivo il ricorrente denuncia « omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia » per non avere la Corte d’appello tenuto conto del fatto che la recinzione avrebbe potuto essere costituita solo da paletti in legno essendo la zona sottoposta a vincoli di assoluta inedificabilità e che, comunque, il consulente ne ha rilevato la mancanza in un periodo in cui il Manna non svolge l’attività di parcheggio;
lamenta inoltre la mancata considerazione del fatto che per la risoluzione del contratto non è sufficiente che la condotta del debitore integri materialmente il fatto contemplato dalla clausola risolutiva espressa, ma occorre valutare se la sua condotta sia conforme a buona fede;
con il secondo motivo egli denuncia « violazione ed errata applicazione delle norme di diritto, in particolare dell’art. 1456 c.c. »;
lamenta la mancata valutazione da parte dei giudici d’appello , alla luce del principio di buona fede, del contesto in cui si svolgeva il rapporto locatizio tra il Manna e la RAGIONE_SOCIALE, in relazione al quale sarebbe stato necessario che il c.t.u. rappresentasse lo stato dei luoghi anche in merito ai vincoli esistenti sul terreno e avrebbe dovuto altresì attribuirsi rilievo al fatto che l’ispezione venne eseguita in un periodo di inutilizzazione dell’area;
il primo motivo, ad avviso del Collegio, che condivide pienamente la proposta di definizione accelerata, è inammissibile;
come già rilevato in tale proposta si prospetta con esso un vizio (« omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ») non più compreso tra quelli tipizzati dall’art. 360 c.p.c.;
un sindacato della motivazione è, infatti, nel vigente sistema consentito, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma,
n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. o ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. (ove il vizio ridondi in motivazione mancante o apparente e dunque in error in procedendo per violazione dei doveri del giudice);
sotto il primo profilo (art. 360 n. 5 c.p.c.) dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia), conseguendone che, in tale prospettiva, non integrano di per sé un siffatto vizio né l’omesso esame di elementi istruttori se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Id. 22/09/2014, n. 19881);
tanto meno può rilevare l’omesso esame di meri argomenti difensivi, quali sono nella specie quelli che, nella illustrazione del motivo, sono posti ad oggetto della doglianza, dovendosi peraltro rilevare che si tratta degli stessi argomenti e delle stesse questioni espressamente considerate in sentenza, con la cui motivazione il ricorrente omette del tutto di confrontarsi;
senza dire che nel caso di specie una tale doglianza sarebbe comunque preclusa dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo il ricorrente assolto l’onere in tal caso su di esso gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 28/02/2023, n. 5947; 15/03/2022, n.
8320; 06/08/2019, n. 20994; n. 22/12/2016, n. 26774);
sotto il secondo profilo (art. 132 n. 4 c.p.c.) va parimenti ribadito che, secondo pacifico insegnamento, « la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass. Sez. U. Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);
un tale vizio non è nemmeno prospettato ed è certamente da escludere essendo la motivazione della sentenza impugnata perfettamente comprensibile;
il secondo motivo è inammissibile;
la censura non si confronta con la motivazione impugnata che ha espressamente evidenziato che nella specie la risoluzione è stata dichiarata non per effetto automatico di clausola risolutiva espressa, in applicazione dell’art. 1456 cod. civ. (evocato in rubricato), ma per grave inadempimento ex art. 1453 cod. civ. e, dunque, sulla base di una valutazione di gravità dell’ inadempimento che in sé implica necessariamente un bilanciamento degli obblighi derivanti dal sinallagma contrattuale, tra cui quello di esecuzione del contratto
secondo buona fede;
gli argomenti di censura peraltro non fanno altro che reiterare le medesime tesi difensive già svolte in appello ed espressamente confutate dai giudici di merito, con le cui motivazioni il ricorrente, anche sul punto, omette totalmente di confrontarsi;
rimane per l’effetto nemmeno individuata ─ anche sul punto dovendosi condividere l’avviso espresso dalla proposta di definizione ─ l’affermazione che, in sentenza, rivelerebbe un erroneo misconoscimento delle norme in tema di esecuzione di buona fede, la censura essendo veicolata in sostanza dalla prospettazione della opportunità di una consulenza meramente esplorativa, volta ad accertare l’esistenza di eventuali vincoli urbanistici, risolvendosi pertanto in una generica e inammissibile critica della ricognizione del fatto;
né tanto meno il ricorrente indica il comportamento della controparte che dovrebbe considerarsi violativo degli obblighi di buona fede: se dovesse tale comportamento intendersi identificato nel fatto stesso di avere la locatrice preteso la realizzazione della recinzione in adempimento dello specifico obbligo contrattuale, si sarebbe comunque al di fuori del campo di applicazione del principio di buona fede, trattandosi di pretesa basata su specifica clausola contrattuale (peraltro considerata giustificata in sentenza da oggettivo e apprezzabile interesse);
il contrasto con norma imperativa (vincoli urbanistici che in ipotesi vietano qualsiasi tipo di recinzione) potrebbe semmai rilevare quale motivo di nullità della clausola in questione ex art. 1419 cod. civ., come tale bensì rilevabile d’ufficio ma nella specie non supportata da alcuna emergenza istruttoria (la tesi dell’esistenza di tali vincoli è, come detto, meramente ipotetica ed è contraddittoriamente sostenuta insieme con quella che in realtà la recinzione era stata solo provvisoriamente tolta in periodo dell’anno in cui risultava inutile) ;
il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore della controricorrente, liquidate come da dispositivo;
essendo stato definito il giudizio in conformità della proposta, si applicano il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.100 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, nonché al pagamento della somma di Euro 2.000,00 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c..
Condanna il ricorrente al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 25 marzo 2025.
Il Presidente NOME COGNOME