Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29023 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29023 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
Oggetto:
intermediazione finanziaria
AC -22/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 09591/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
Contro
COGNOME NOME NOME COGNOME NOME , rappresentati e dife si dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 934/2020, pubblicata in data 8 ottobre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE (in prosieguo, breviter : ‘la banca’) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza in epigrafe con cui la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del locale Tribunale c he l’aveva c ondannata a pagare, in favore di NOME COGNOME NOME COGNOME, la somma di euro 25.624,08, oltre accessori, a seguito della risoluzione del contratto di acquisto di obbligazioni RAGIONE_SOCIALE, stipulato in data 26 marzo 2001.
NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che l’eccezione di prescrizione dell’azione sollevata dalla banca andava respinta, atteso che le lettere 7 luglio 2004, 29 giugno 2009 e 19 maggio 2014, inviate dai clienti alla banca, dovevano ritenersi atti interruttivi, in quanto esprimevano chiaramente la volontà del creditore di chiedere la restituzione del dovuto, avendo il termine prescrizionale iniziato a decorrere dal 2002, epoca di dichiarazione del default da parte del t rustee lussemburghese che curava gli interessi dell’emittente , e non era quindi decorso, avendo durata decennale, in quanto la domanda ineriva a una responsabilità contrattuale dell’ intermediario; b) che la responsabilità della banca nella specie derivava dal ‘ non avere provato di aver informato gli investitori del fatto che i bond per cui è causa fossero stati negoziati prima che fossero immessi sul mercato,
nel periodo del c.d. grey market, come dalla stessa ammesso dichiarando di non essere stata a conoscenza c.d. offering circular, con la conseguenza che la stessa banca (e, a maggior ragione, i clienti retail) non disponeva di informazioni adeguate sulle caratteristiche di quei titoli, privi, tra l’altro, in quel momento, di rating ufficiale. Ciò avrebbe dovuto indurre la Banca ad agire con la massima prudenza, segnalando che si trattava di titoli particolarmente rischiosi o comunque non sicuri, tanto più che, in prima battuta, erano destinati ai soli investitori istituzionali. È documentalmente provato che la banca non avvisò dell’inadeguatezza dell’operazione gli investitori, atteso che nel modulo del fissato bollato non è stata siglata la finca relativa a tale avviso. Peraltro, tale informazione poteva essere fornita anche oralmente. Tale onere non è stato assolto in primo grado ed è ora inammissibile l’esame del teste di riferimento (indicato dal funzionario sentito come teste in primo grado) in quanto nelle conclusioni dell’atto di appello non sono state formulate istanze istruttorie. In ogni caso l’intermediario non è esonerato dall’obbligo di valutare, nella fase esecutiva del rapporto, l’adeguatezza dell’operazione anche nel caso in cui l’investitore, nel contratto-quadro, si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio, perché quella valutazione va condotta, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui l’intermediario sia in possesso come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato, ecc. (in tale senso si è espressa la Consob con Comunicazione n. DI/ 30396 del 21 aprile 2000) ‘ ; c) che il nesso causale tra condotta omissiva e danno doveva ritenersi provato, applicando il principio presuntivo del ‘più
probabile che non’, secondo cui è verosimile ritenere che se la banca avesse fornito ai clienti le informazioni dovute inerenti alla rischiosità dell’ investimento e li avesse, comunque, aggiornati sul peggioramento delle condizioni economiche dell’emittente, l’acquisto non sarebbe stato effettuato o sarebbe stato dismesso per tempo, prima del default ; d) che era ben possibile risolvere il singolo ordine di acquisto autonomamente rispetto al contratto di negoziazione; e) che sussisteva il diritto dei clienti a trattenere le cedole medio tempore incassate, in quanto frutti civili percepiti in buona fede.
4. La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
Primo motivo: «1 – Impugnazione ex art. 360 n.ro 3 per erronea applicazione degli artt. 2935, 2941 e 2943 c.c. con riferimento all’eccezione di prescrizione », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha fatto decorrere il dies a quo della prescrizione dalla data in cui sarebbe stato dichiarato il default dell’ente emittente e non dalla data della sottoscrizione dell’ordine, e laddove ha attribuito efficacia interruttiva della prescrizione alle missive inviate alla banca dai signori COGNOME e COGNOME, non avvedendosi che le stesse erano prive dei caratteri di tassatività e tipicità necessari affinché l’atto interruttivo della prescrizione soddisfi le caratteristiche previste dall’art. 2943 c od. civ.
Il motivo non può trovare accoglimento. La ratio decidendi della sentenza impugnata, sul punto della reiezione dell’eccezione di prescrizione della domanda, è individuabile nell’accertata idoneità delle tre missive inviate dai clienti a interrompere il relativo decorso del termine. La questione dell’ individuazione del
termine iniziale di decorrenza (dalla data dell’acquisto, 26 marzo 2001, come argomenta la banca, ovvero dal 2002, epoca della dichiarazione di default e quindi di manifestazione percepibile del danno, come argomenta la sentenza impugnata) è del tutto irrilevante ai fini del decidere, posto che, in entrambi i casi, il termine prescrizionale non era decorso allorquando è stata inviata la prima lettera interruttiva del 2004, né lo era allorquando il successivo decorso è stato accertato essere stato interrotto per effetto delle successive lettere del 2009 e del 2014, nella pacifica qualificazione della responsabilità dedotta in lite come di natura contrattuale, con conseguente applicazione del relativo termine generale di prescrizione decennale. In ogni caso, l’ individuazione della decorrenza del termine dalla data della manifestazione del pregiudizio patrimoniale e non da quella dell’ acquisto corrisponde all’ insegnamento di questa Corte (Sez. 1, Ordinanza n. 2066 del 24/01/2023). La censura è, poi, inammissibile, nella parte in cui genericamente asserisce, senza allegare né dimostrare alcuna violazione dei criteri ermeneutici, l’ inidoneità del contenuto delle missive a determinare l’interruzione del termine, giacché finisce in tale modo per pretendere da questa Corte una non consentita riedizione del giudizio valutativo delle prove, in tali termini di esclusiva pertinenza della fase di merito.
Secondo motivo: «2 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1703 c.c. in tema di operazioni bancarie e mandato, dell’art. 1418 c.c. con riguardo alla nullità e dell’art. 2697 c.c. con riferimento agli obblighi informativi e all’adeguatezza delle operazioni eseguite all’onere della prova, dell’art. 23 TUF in materia di investimenti 21 del reg. 11522/1998 finanziari ai sensi
e per gli effetti dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e per omesso esame di un fatto decisivo della controversia, motivazione apparente ex art. 360 n.ro 5 c.p.c. », deducendo l’ erroneità della sentenza impugnata: b1) in tema di obblighi informativi, avendo male applicato i principi desumibili dalla vendita dei titoli nella fase del grey market , atteso che erronea è l’ affermazione della sentenza secondo cui le obbligazioni in esame non potessero essere vendute a investitori non professionali; b2) per aver onerato la banca della conoscenza dell’ offering circular , che è propria dei soli collocatori e non degli intermediari successivi al lancio del collocamento, quale era la banca, la quale aveva segnalato l’inadeguatezza dell’operazione , in un contesto in cui il cliente aveva, comunque, voluto assumersi il rischio, in assenza peraltro all’epoca dell’ acquisto di qualsivoglia segnale di crisi del gruppo RAGIONE_SOCIALE; b3) che erronea era la valutazione nella specie della sussistenza del nesso causale, il cui onere spetta all’investitore; b4) che erronea era la motivazione resa in tema di legittimità della domanda di risoluzione del singolo ordine di acquisto.
Il motivo non può trovare accoglimento.
In relazione a quanto lamentato sub b1) e b2), che per omogeneità può essere unitariamente trattato, va rilevato che il fondamento della responsabilità da inadempimento della banca è stato individuato dalla sentenza impugnata nel non avere essa fornito ai clienti le informazioni rilevanti sulle caratteristiche e sul l’ andamento del titolo acquistato. Rispetto a tale accertamento, che è quello centrale su cui si fonda la relativa declaratoria di risoluzione dell’ ordine, le questioni in tema di qualificazione degli obblighi in tema di acquisto in grey market e di dovere di conoscenza dell’ offering circular non assumono
carattere decisivo, posto che è, comunque, corretta l’ affermazione della Corte territoriale secondo cui la banca intermediaria ha, in ogni caso, un obbligo informativo nei confronti del cliente , al momento dell’ acquisto e nell’orizzonte temporale dello stesso, che certamente non equivale a quello scaturente da un patto di gestione del portafoglio, ma che ha, comunque, per oggetto notizie rilevanti anche nel corso della durata dell’ investimento, non viene meno anche in presenza di una dichiarata natura ‘estera’ dell’ investitore (Sez. 1, Ordinanza n. 35789 del 06/12/2022) e rispetto al quale non costituisce esonero da tale obbligo nemmeno la circostanza che l’ordine provenga dal cliente che abbia individuato e prospettato l’ acquisto, ben altri essendo i presupposti di esonero connessi al c.d. execution only (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 31712 del 14/11/2023).
Infondato è quanto lamentato sub b3), alla luce dell’insegnamento di questa Corte secondo cui il riscontrato inadempimento della banca agli obblighi di adeguata informazione ingenera una presunzione legale di sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento e il danno patito dall’investitore, suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; prova contraria, tuttavia, che non può risolversi nella dimostrazione della generica propensione al rischio del cliente, desunta da scelte pregresse intrinsecamente rischiose, dovendo avere ad oggetto la sopravvenienza di fatti idonei a deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa esistente fra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19322 del 07/07/2023).
Quanto lamentato sub b4) è infondato, essendo ben possibile, come questa Corte ha, ormai da tempo, affermato procedere in presenza dei requisiti previsti dalla legge alla risoluzione del singolo ordine di acquisto (Cfr. Cass. 20 aprile 2023, n. 10646; Cass. 31 marzo 2021, n. 8997; id., 16 agosto 2023, n. 24648; id., 9 febbraio 2018, n. 3261; id., 31 agosto 2017, n. 20617; id. 7 luglio 2017, n. 16861; id., 23 maggio 2017, n. 12937; id., 9 agosto 2016, n. 16820).
Terzo motivo: «3 – Impugnazione ex art. 360 n.ro 3 per erronea applicazione degli artt. 1148, 1224, 1227, 1243 c.c. e dell’art. 2033 c.c. con riferimento alla restituzione delle cedole percepite e quindi alla quantificazione del danno asserito», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha confermato il diritto degli investitori a trattenere le cedole percepite, stante l’ipotizzata buona fede .
Il motivo è fondato e va accolto.
La risoluzione del singolo contratto di acquisto di valori mobiliari che, come sopra detto, è legittimamente pronunciabile dal giudice che ne sia richiesto, alla luce dell’orientamento ormai consolidato di questa Corte regolatrice, determina l’applicazione, anche alla materia dell’intermediazione finanziaria, del disposto dell’art. 1458 cod. civ.
La retroattività degli effetti della risoluzione comporta, pertanto, che l’ intermediario finanziario è tenuto a restituire all’ investitore le somme da questi ricevute per l ‘ operazione finanziaria oggetto del contratto risolto, maggiorate degli eventuali danni subiti e che, corrispettivamente , l’ investitore è tenuto a restituire all’intermediario le somme eventualmente incassate nel corso del rapporto per mezzo, comunemente , dell’incasso di cedole
periodiche portanti la maturazione dei guadagni dell’ investimento medesimo rispetto al capitale originariamente investito.
È bene chiarire, giacché compare sul punto qualche incertezza interpretativa nella prassi applicativa, che quanto appena affermato discende espressamente dal disposto dell’art. 1458 cod. civ., poiché è indubbio che la risoluzione del singolo ordine di acquisto postuli l’ accertata esistenza di un valido contratto stipulato tra le parti.
L’effetto restitutorio delle cedole percepite dall’ investitore nel corso del contratto poi risolto nasce, quindi, direttamente dall’art. 1458 cod. civ.
La disciplina dell’ indebito , di cui all’art. 2033 cod. civ., trova ingresso nella materia in esame non a proposito dell’insorgenza degli obblighi restitutori poiché, come detto, questi sono collegati alla retroattività degli effetti della risoluzione del contratto esistito tra le parti, mentre l’indebito oggettivo presuppone , all’esatto opposto , l’accertamento dell’inesistenza di alcuna valida obbligazione esistita tra le parti del rapporto.
Ciononostante, l’art. 2033 cod. civ. trova applicazione nella specie allorché si passa a considerare la diversa questione del calcolo dei frutti e degli interessi sulle somme che, per effetto della retroattività della risoluzione, le parti debbono rispettivamente riconoscersi.
Come questa Corte ha ben chiarito nella recente sentenza n. 423 dell’8 gennaio 2025, non vi alcuna ragione logico -sistematica per negare l’applicabilità a nche a tale ipotesi della disciplina dei frutti e degli interessi, espressamente prevista dall’art. 2033 cod. civ., sebbene l’art. 1458 cod. civ. nulla preveda al riguardo, dovendosi considerare che anche la risoluzione del contratto, al
pari della altre pronunce caducatorie per effetto di accertate invalidità (nullità, annullabilità) comporta il venir meno della causa adquirendi , come le Sezioni Unite di questa Corte hanno del resto espressamente da tempo affermato (Cass. Sez. U. 9 marzo 2009, n. 5624).
Sennonché, è proprio in tema di modalità di calcolo e di applicazione degli interessi reciprocamente dovuti sulle somme oggetto di restituzione per effetto della risoluzione dell’ ordine di acquisto che potrebbe delinearsi un disallineamento sulla decorrenza degli interessi tra intermediario e cliente, su cui la citata sentenza di questa Corte n. 423 del 2025, cui per brevità si fa rinvio, ha inteso porre rimedio delineando le regole di ‘ riallineamento ‘ e di corretta modalità di incidenza dello stato soggettivo dell’ accipiens , nella dinamica delineata dal disposto dell’art 2033 cod. civ.
Ma va ben chiarito che la questione della valutazione dello stato soggettivo del percettore delle cedole rileva solo al fine di determinare le condizioni di applicazione della disciplina dei frutti e degli interessi delineata dall’art. 2033 cod. civ. anche agli obblighi restitutori derivanti dalla risoluzione degli ordini di negoziazione in titoli mobiliari, ma nulla ha a che vedere con l ‘ autonoma e direttamente applicabile disciplina dell’ obbligo restitutorio delle somme portate dalle cedole medio tempore incassate dall’investitore , che grava su quest’ultimo come diretta applicazione dell’art. 1458 cod. civ.
Con tali premesse, appare di tutta evidenza l’ errore commesso dalla Corte territoriale che, a pag. 10, dopo aver correttamente mostrato di avvedersi che l’obbligo restitutorio dell’importo delle cedole discende direttamente dagli effetti retroattivi della
risoluzione contrattuale, con un evidente salto logico ha inteso affermare la legittimità del trattenimento da parte dell’investitore dei relativi importi sulla base dell’ applicazione del principio di buona fede nella percezione dei frutti desumibile dall’art. 1148 cod. civ., non essendovi prova di alcuna mala fede.
Un’affermazione che è erronea sia se riferita alla ‘sorte’ portat a dall’ ammontare delle cedole percepite nel corso della vigenza del contratto poi risolto, per quanto sopra argomentato, giacché in tale ipotesi l’ obbligo restitutorio consegue alla risoluzione come suo effetto legale ex art. 1458 cod. civ., sia anche se riferito agli interessi dovuti dal cliente alla banca su tali somme, giacché la più volte citata sentenza n. 423/25 di questa Corte ha affermato che la buona fede che può ostare alla restituzione degli interessi sul debito costituito dall’importo delle cedole , va intesa in senso ‘ soggettivo ‘, come ignoranza del cliente della sussistenza dell’obbligo restitutorio , e non già in senso ‘oggettivo’, come mero accertamento dell’avvenuta percezione in costanza di rapporto, come invece ha finito per fare la Corte di appello nel caso in esame.
Va, quindi affermato, il seguente principio di diritto: ‘In tema di intermediazione finanziaria, gli effetti retroattivi derivanti dalla risoluzione dell’ ordine di acquisto sono quelli ordinariamente previsti dall’art. 1458 cod. civ., laddove la dis ciplina dettata dall’art. 2033 cod. civ. trova applicazione solo ai fini della regolazione dei frutti e degli interessi che maturano per legge in relazione alle somme oggetto di ripetizione. ‘.
La sentenza va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto e le parti rinviate innanzi alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà a rinnovare il giudizio
secondo i principi sopra affermati e a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso; accoglie il terzo motivo del ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia le parti innanzi alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME