Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11239 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11239 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
sul ricorso 24428/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE SIENA RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocato NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 742/2020 depositata il 19/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/3/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Banca Monte dei Paschi di Siena ricorre a questa Corte al fine di sentir cassare l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Bologna, definendo il giudizio tra essa ricorrente e NOME COGNOME in merito alla risoluzione chiesta da costei dell’acquisto di bonds argentini, la cui successiva vendita a causa del default dell’emittente si era conclusa con una perdita per la venditrice, ne ha respinto il gravame ed ha pertanto confermato la già dichiarata risoluzione del contratto per inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, nonché per inadeguatezza dell’operazione conclusa e la condanna della banca al rimborso della differenza tra il prezzo di acquisto dei titoli e quello di rivendita, respingendo inoltre la riconvenzionale di quest’ultima in ordine alla ripetizione delle cedole incassate dall’investitrice.
In particolare il giudice del gravame, pronunciando sui singoli motivi di appello, ha rigettato il primo di essi -volto a sostenere che la domanda di risoluzione non poteva essere accolta con riferimento agli ordine di investimento non avendo questi natura contrattuale -facendo appello alla più recente giurisprudenza di legittimità, che «ha pacificamente ammesso la domanda di risoluzione dei soli ordini di acquisto», avendo questi natura negoziale e costituendo perciò negozi autonomi rispetto al contratto quadro; il secondo di essi -volto a sostenere che la COGNOME, avendo nelle more del giudizio venduto i titoli, non aveva perciò più di interesse ad agire -osservando, al contrario, che, poiché la vendita era avvenuta in perdita, permaneva in capo all’investitrice l’interesse «ad agire contro la banca anche dopo la vendita», onde conseguire la differenza tra il prezzo di acquisto e quello della vendita; il terzo di essi -volto a sostenere che gli inadempimenti lamentati potevano essere fatti valere nella fase precontrattuale e rilevare
eventualmente come causa di annullabilità, sì da escludere che potesse farsene ragioni di risoluzione dell’ordine di acquisto -richiamando gli argomenti già svolti a confutazione del primo motivo e nuovamente ribadendo «la natura negoziale dei singoli ordini di investimento che si collocano nella fase attuativa del rapporto regolato dal contratto quadro»; il quarto di essi -volto a sostenere che, benché informata dell’inadeguatezza dell’operazione, la COGNOME aveva ugualmente chiesto di dar corso all’acquisto, sì che del pregiudizio successivamente insorto non si poteva fra debito all’intermediario -facendo di nuovo riferimento alla consolidata giurisprudenza di questa Corte e richiamando l’attenzione sul fatto che la presunzione discendente dalla sottoscrizione della relativa avvertenza viene meno di fronte alla deduzione della parte di non essere stata informata con specifico riferimento ai parametri di legge, in ragione del che «costituiva onere probatorio dell’intermediario provare di aver fornito le informazioni dovute, prova che nel caso di specie la banca non si è nemmeno offerta di fornire oralmente»; il quinto di essi -volto a sostenere che era stata omessa ogni verifica in ordine alla gravità dell’inadempimento -rinnovando la propria adesione alle considerazioni del primo giudice che «ha chiaramente dato conto in sentenza, con motivazione condivisa da questa Corte, come la violazione del divieto di dar corso ad operazioni finanziarie non adeguate al profilo del cliente, senza avvertirlo delle ragioni specifiche dell’inadeguatezza costituisca “una importante violazione delle obbligazioni contrattuali”»; il sesto di essi -volto a sostenere l’erroneità dell’impugnata decisione laddove questa aveva ricusato di disporre la restituzione delle cedole medio tempore riscosse dall’investitrice -opponendo che «è pacifica la natura dei frutti civili di dette cedole con conseguente applicazione della disciplina di cui all’art. 2033 c.c.», sì che l’obbligo di
restituzione, essendo esse state riscosse in buona fede, decorre solo dalla domanda.
Il mezzo ora proposto dalla banca ricorrente si vale di sei motivi seguiti da memoria e resistiti avversariamente da controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso -mercé il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 cod. civ. in quanto il giudice di appello sarebbe incorso in un macroscopico errore di diritto ritenendo di poter pronunciare la risoluzione dei singoli ordini di investimento, quantunque essi non abbiano natura contrattuale e costituiscano mere istruzioni fornite dal mandante al mandatario -; ed il terzo motivo di ricorso -mercé il quale si lamenta ancora la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 cod. civ. in quanto il giudice di appello sarebbe incorso in un macroscopico errore di diritto non avvedendosi che la violazione degli obblighi informativi, considerando la natura contrattuale del singolo ordine di investimento, si colloca in una fase precontrattuale, motivando al più un’azione di annullamento, ma non di risoluzione -esaminabili congiuntamente in quanto aventi la medesima radice concettuale si prestano ad un comune preliminare rilievo di inammissibilità ex art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ.
E’ convinzione da tempo stabilmente invalsa nella giurisprudenza di questa Corte che «se, per un verso, la natura negoziale del contratto quadro (accostabile ad un contratto di mandato) non è dubitabile, non è discutibile che il singolo ordine di acquisto, pur rappresentando un elemento di attuazione delle obbligazioni contratte del contratto di investimento, partecipi della natura negoziale di quest’ultimo, come negozio esecutivo, concretandosi attraverso esso il negozio di acquisizione -per il tramite
dell’intermediario -dei titoli da destinare ad essere custoditi, secondo le clausole contenute nel contratto quadro» ( ex plurimis , così in motivazione Cass., Sez. I, 31/08/2020, n. 18122).
3. Di ciò si sono colti gli effetti, con particolare riferimento al tema sollevato con il terzo motivo di ricorso, osservandosi, da ultimo, che «non è il contratto quadro a determinare il singolo investimento o disinvestimento: è con il singolo “ordine” che l’investitore decide quale atto porre concretamente in essere avvalendosi dell’operato dell’intermediario . Pertanto le operazioni di investimento sono atti di natura negoziale autonomi rispetto al contratto quadro. Nelle operazioni di investimento vengono in discussione, per l’intermediario, obblighi particolari, che vanno tenuti distinti da quello consistente nel mero porre in essere l’atto dispositivo indicato dall’interessato. Come è noto, l’art. 21 T.U.F. (D.Lgs. n. 58 del 1998) e la normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522/1998 come quella precedente – pongono obblighi di comportamento che risultano finalizzati al rispetto della clausola generale che attribuisce all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nella cura dell’interesse del cliente. Taluni di questi obblighi si collocano nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro di intermediazione finanziaria; altri, invece, hanno ragione di configurarsi dopo la conclusione del contratto quadro. Dalla disciplina, legislativa e regolamentare si ricava che l’intermediario non può limitarsi a rendere possibile il trasferimento del titolo (cedendolo in contropartita diretta, o acquistandolo sul mercato e rivendendolo poi all’investitore in attuazione di un mandato per conto altrui, o infine trasmettendo l’ordine di acquisto a chi lo offra sul mercato), ma che lo stesso è tenuto ad una precisa attività, funzionale al corretto apprezzamento, da parte dell’investitore, della natura, delle implicazioni e dei rischi delle
singole operazioni; ciò che fa dell’intermediario un vero e proprio ausiliario del proprio cliente nella scelta delle medesime. In tale prospettiva, segnata dall’esistenza, in capo all’intermediario, dell’obbligo di dare, non già esecuzione agli “ordini” di investimento ricevuti, quanto, piuttosto, di dare esecuzione ad “ordini” di investimento sui quali il proprio cliente sia stato convenientemente edotto e che riguardino operazioni pienamente conformi all’esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, alla situazione finanziaria, agli obiettivi di investimento e alla propensione al rischio del cliente, trova, peraltro, giustificazione il rimedio risolutorio: in assenza di un consenso informato dell’interessato, il sinallagma del singolo negozio non trova difatti piena attuazione, con conseguente risoluzione per inadempimento del medesimo. È escluso, perciò, che – guardando al singolo “ordine” di investimento – la responsabilità dell’intermediario possa essere relegata nell’area della responsabilità precontrattuale: una tale conclusione potrebbe sostenersi ove si reputasse che gli obblighi di informazione attiva (che attengono al singolo strumento finanziario) si delineino solo nella fase che precede la conclusione del contratto diretto alla negoziazione del titolo (l'”ordine” di investimento). Invece – come detto – la disciplina legislativa e regolamentare dà ragione di come l’obbligo, da parte dell’intermediario, di rappresentare all’investitore le connotazioni specifiche dell’operazione finanziaria si collochi anche nello stadio successivo, allorquando, cioè, l'”ordine” è stato impartito e si tratti di darvi esecuzione, tanto è vero che il Reg. Consob n. 11522/1998 all’art. 28, comma 2, stabilisce che gli intermediari autorizzati non possono “effettuare” operazioni “se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o
disinvestimento”, chiarendo, dunque, che, ricevuto l’ordine, l’intermediario non possa limitarsi ad eseguirlo ove il cliente non sia stato in precedenza puntualmente istruito sui termini dell’operazione da compiersi, per modo che, una volta edotto, lo stesso possa, se del caso, manifestare all’intermediario le ulteriori sue determinazioni, prima che l’operazione abbia corso» (così in motivazione Cass., Sez. I, 14/02/2025, n. 3760).
A questi precetti -che le difese ricorrenti non scalfiscono -si è uniformato il giudicante di merito, sì che la pronuncia da esso adottata si sottrae per principio al vaglio qui richiesto.
4. Il secondo motivo di ricorso -mercé il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. in quanto il giudice di appello, pronunciando sull’eccepito difetto di agire della COGNOME, avrebbe sostanzialmente errato nel non aver colto che l’interesse in questione non è riconoscibile in capo a chi domanda la risoluzione di un contratto cessato e comunque non più in essere, mentre il giudice di primo grado sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. avendo lasciato impregiudicata la questione -è, prim’ancora che infondato, atteso il pregiudizio sofferto dalla parte per aver dovuto vendere in perdita i titoli acquistati, inammissibile in quanto esso non si confronta con le ragioni della decisione, onde risulta violato il precetto della specificità del motivo.
Premesso, per vero, che, al fine di soddisfare il parametro richiamato, è necessario che «nell’esposizione del motivo trovino espressione le ragioni del dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle
ragioni che ne hanno indotto l’adozione» (così in motivazione ex plurimis , Cass., Sez. I, 24/04/2024, n. 11164), ne discende per naturale effetto che, siccome il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione é erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non si può, a tal fine, «prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c.» ( ex plurimis , Cass., Sez. III, 31/08/2015, 17330).
Ora, nel nostro caso, la sentenza impugnata ha, da un lato, emendando la prima pronuncia -i cui vizi peraltro, è appena il caso di ricordarlo, non possono essere fatti valere in questa sede ( ex plurimis , Cass., Sez . IV, 21/03/2014, n. 6733) -, chiarito che il giudice di primo grado, accogliendo la domanda, aveva anche implicitamente rigettato l’eccepito difetto di interesse ad agire dell’attrice e, dall’altro, ha fatto rilevare, richiamando appunto le ragioni che avevano determinato il primo giudice ad accogliere la domanda, che l’interesse ad agire di costei non poteva essere disconosciuto a fronte della vendita in perdita dei titoli, profili dell’impugnata decisione che la doglianza in disamina manifestamente neglige incorrendo perciò nella preclusione qui dichiarata.
Il quarto motivo di ricorso -mercé il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 cod. civ. in quanto il giudice di appello, nel confermare la dichiarata risoluzione del contratto operata dal primo giudice, avrebbe applicato erroneamente il precetto risultante dalla norma rubricata, limitando la propria valutazione ai soli elementi oggettivi della fattispecie e trascurando
quelli soggettivi -è inammissibile, vuoi perché occorre più generalmente considerare che l’allegazione attinge alla valutazione di aspetti fattuali della vicenda, vuoi ancora perché essa introduce in causa un nuovo inedito tema di discussione.
E’ vero, infatti, sotto una prima angolazione, secondo quel che si insegna abitualmente, che in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce una questione di puro fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in questa sede se congruamente motivato ( ex plurimis , Cass., Sez. III, 30/03/2015, n. 6041). Ma è anche vero, sotto una seconda angolazione, che dell’aspetto qui evidenziato, in disparte dalla pertinenza dell’allegazione -che, per come è formulata (cfr pag. 27 del ricorso), ed anche concettualmente, sembra più riconducibile all’ipotesi della reciprocità dell’inadempimento, non ricorrente nel nostro caso -non consta che si sia fatta trattazione nelle pregresse fasi di merito e che, in particolare, esso abbia formato oggetto di censura in sede di appello, con l’ovvia conseguenza di rendere applicabile il noto insegnamento secondo cui il giudizio di cassazione può avere ad oggetto solo questioni che abbiano costituito oggetto di confronto processuale in sede di merito ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 26/03/2012, n. 4787).
6. Il quinto motivo di ricorso -mercè il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 reg. intermediari in quanto il giudice di appello, nel confermarne, come il primo giudice, l’inosservanza, sarebbe incorso in una evidente contraddizione che ne vizia il ragionamento, posto che, da un lato, si era indotto ad affermare che la sottoscrizione della segnalazione di inadeguatezza, con cui la parte aveva manifestato la propria volontà che l’operazione avesse
comunque seguito, era fonte di una presunzione dell’avvenuto assolvimento da parte dell’intermediario del relativo obbligo informativo, mentre dall’altro aveva inspiegabilmente chiamato la banca a dare prova di ciò, riconoscendone e dichiarandone in difetto l’inadempimento -è inammissibile perché, come il secondo motivo, non si confronta con le ragioni della decisione e difetta di conseguenza della richiesta specificità.
Invero, una volta opportunamente chiarito, per come più volte ribadito da questa Corte, che il gioco probatorio riprende il suo naturale corso quando la parte, che sottoscrive il modulo contenente la segnalazione di inadeguatezza, così autorizzando l’esecuzione dell’operazione, alleghi quali specifiche informazioni in rapporto ai parametri indicati dall’art. 29 citato, non le siano state fornite, giacché in tal caso la richiamata presunzione cessa di operare e l’intermediario si trova ad essere onerato della prova ulteriore, va detto, a conforto del vizio che infirma la prospettazione ricorrente, che la sentenza, lungi dal cadere nella contraddizione pretesa, ma anzi esattamente attenendosi a questo orientamento, ha esplicitamente dato atto che «a fronte della deduzione da parte della COGNOME di non essere stata informata dell’inadeguatezza dell’investimento per tipologia, oggetto, dimensione e frequenza, costituiva onere probatorio dell’intermediario provare di aver fornito le informazioni dovute, prova che nel caso di specie la banca non si è nemmeno offerta di fornire oralmente», affermazione questa che, come si vede, non è affatto priva coerenza rispetto al percorso decisionale seguito e da cui il motivo prescinde invece totalmente.
7. Il sesto motivo di ricorso -mercé il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. in quanto il giudice di appello, nel rigettare il motivo afferente alla ripetizione delle cedole dalla loro percezione, accordata viceversa dalla domanda, avrebbe di
fatto dato luogo all’ingiustificato arricchimento della COGNOME, posto che costei, in accoglimento della domanda di risoluzione, si era vista accordare la ripetizione della somma pagata maggiorata degli interessi, ma, negandosi l’effetto restitutorio reclamato dalla banca con riferimento alle cedole, aveva potuto trattenere anche le cedole riscosse -è fondato e va conseguentemente accolto.
Pur potendosi qui richiamare le ragioni da ultimo indagate da Cass. 523/2025 circa il fatto che l’interazione tra retroattività della pronuncia di risoluzione e ripetizione dell’indebito non può intendersi nel senso di determinare in ossequio alla relativa disciplina uno squilibrio nella regolazione degli interessi di ciascuna parte («la disciplina della ripetizione dell’indebito » si è affermato nell’occasione, «non può implicare ingiustificati arricchimenti di una parte ai danni dell’altra, onde è escluso che, a fronte dello scambio di un bene fruttifero con una somma di denaro, frutti e interessi possano avere diversa decorrenza: in particolare, risolto il contratto per inadempimento, nel caso in cui l’ accipiens della somma di denaro sia in buona fede e gli interessi sulla stessa decorrano dalla domanda, latamente intesa come costituzione in mora, vanno restituiti da quello stesso momento i frutti maturati in forza della previsione contrattuale»), il diritto alla restituzione delle cedole medio tempore incassate dalla COGNOME cui si richiama la banca ricorrente non è in effetti discutibile, costituendo esso, infatti, un diretto riflesso dell’effetto caducatorio che si ricollega alla pronunciata risoluzione del contratto. E d’altro canto indubitabile, come la Corte ha più volte avuto modo di affermare, che quando sia dichiarata la risoluzione del contratto d’investimento in valori mobiliari, si ingenerano tra le parti reciproci obblighi restitutori, dovendo l’intermediario restituire l’intero capitale investito, mentre l’investitore è obbligato alla restituzione del valore delle cedole corrisposte e dei titoli acquistati
( ex plurimis , Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2661): il diverso principio a cui si è invece richiamato il decidente opera un’incauta sovrapposizione tra disciplina restitutoria sottesa alla risoluzione del contratto e disciplina restitutoria sottesa all’azione di indebito, con l’effetto di dar vita a quello squilibrio tra partite corrispondenti che finisce per premiare, come è appunto accaduto qui, una parte a scapito dell’altra
8. In conclusione va accolto il sesto motivo di ricorso, inammissibili dovendo giudicarsi i restanti; la causa, cassata la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, va rinviata al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo di ricorso e dichiara inammissibile i restanti motivi di ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Bologna che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 13 marzo 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME