Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7443 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7443 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
Oggetto: Vendita – Azione di risoluzione del contratto per inadempimento.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32268/2018 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa con giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dagli avvocati NOME COGNOME del foro di RAGIONE_SOCIALE (c.f. CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME del foro di Roma (c.f. CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio di quest’ultima;
-ricorrente –
contro
NOME (c.f. CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa con procura speciale in calce al controricorso dagli avvocati NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE) del foro di RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE) del foro di Roma ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio di quest’ultimo;
-controricorrente –
nonché contro
NOME, rappresentato e difeso nel giudizio di secondo grado dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE) del foro di RAGIONE_SOCIALE;
-intimato-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa nel giudizio di secondo grado dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO;
-intimata- avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE n. 1037/2018, pubblicata il 30 maggio 2018 e notificata il 3 agosto 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che:
– con atto di citazione del 12 febbraio 2013 NOME e NOME COGNOME evocavano, dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto del 17 ottobre 2008 stipulato fra le parti per inadempimento della società convenuta, accordo avente ad oggetto la ‘cessione di area verso costruzione in appalto di fabbricati in Comune di Castiglione Torinese’ che prevedeva la cessione alla Im.E.T. delle particelle 894, 896 e 798 di proprietà dei COGNOME e quale corrispettivo per il trasferimento dei terreni la convenuta si obbligava a realizzare due fabbricati per civile abitazione sulle particelle 895 e 897, sempre di proprietà dei COGNOME, nel termine pattuito del 16.10.2011, che unitamente ad una serie di altri inadempimenti non era stato rispettato per mancata esecuzione e consegna dei due fabbricati, chiedendo, altresì, il risarcimento dei danni;
instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, che spiegava anche domanda riconvenzionale al fine di sentire dichiarare l’inadempimento degli originali attori alle obbligazioni contrattuali assunte, con conseguente rigetto della domanda di parte attrice, oltre a chiedere ed ottenere di chiamare in giudizio NOMERAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME quale subappaltatrice, di cui al contratto del 03.04.2009, nei cui confronti svolgeva in via subordinata domanda in manleva e comunque domanda di garanzia per tutte le somme dovute agli attori;
costituita la terza chiamata che insisteva per il rigetto di tutte le domande ed espletata CTU, il giudice adito, con sentenza n. 7 del 2016, dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE., condannandola al pagamento della somma di 890.435, 34 euro, oltre accessori; rigettava la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della terza chiamata RAGIONE_SOCIALE, ponendo a carico della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. le spese di lite;
sul gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, nella resistenza degli appellati, in parziale riforma della sentenza del giudice di prime cure, condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di 762.690,65 euro, oltre interessi in favore degli appellati NOME e NOME COGNOME, compensava nella misura di 1/5 le spese tra la società appellante e gli appellati; condannava inoltre l’appellante a rifondere in favore degli appellati i restanti 4/5 delle spese legali e compensava le spese del grado tra la RAGIONE_SOCIALE, confermata nel resto l’impugnata sentenza.
A sostegno della decisione il giudice di secondo grado rilevava che doveva ritenersi pacifico l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE.E.T. che a novembre 2014 non aveva completato la realizzazione dei due edifici, costruiti solo per il 40%, né risultava corroborata da prova l’eccezione sollevata dell’appellante già in primo grado ai sensi dell’art. 1460 c.c.; inoltre riteneva che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, non risultava provata la esistenza della contestata servitù di passaggio sui fondi oggetto di cessione, emergendo dal ricorso
ex art. 696 c.p.c. depositato dalla RAGIONE_SOCIALE che la pretesa aveva ad oggetto le diverse particelle 828, 827, 786, 788, 975 e 915. Tantomeno era provata l’asserita impossibilità di ottenere il permesso di costruire l’edificio ‘E’, non avendo la costruttrice fornito la prova dell’eventuale nesso causale tra la condotta dei NOME e il rifiuto opposto dai competenti organi amministrativi. Né era stato prodotto l’asserito provvedimento limitativo o modificativo della relativa capacità edificatoria, non sussistendo alcuna evidenza del presunto collegamento contrattuale tra la promessa di permuta del 05.03.2003, subordinata all’approvazione del PEC (intervenuto successivamente in data 22.05.2007) e il diverso assetto contrattuale voluto e concluso dalle parti con il rogito del 17.10.2008, dopo la sottoscrizione della convenzione edilizia per l’attuazione del Piano Esecutivo Convenzionato intervenuta con atto notarile del 09.10.2007 fra il Comune di Castiglione Torinese e i proponenti NOME, la RAGIONE_SOCIALE e la stessa RAGIONE_SOCIALE In altri termini, non risultava dimostrata l’asserita obbligazione dei cedenti di “garantire a RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.T. la possibilità di edificare complessivamente mc 15.000,00 sull’intero compendio immobiliare”. Il parere espresso dal Comune di Castiglione in data 9.3.2015 evidenziava che l’area sottoposta al PEC del 2007 era stata sottoposta a indagine idrogeologica per adeguare gli strumenti urbanistici al Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) e che detto studio solo nel 2012 era stato oggetto di condivisione nella procedura di variante strutturale al PRGC, ancora in itinere alla data del marzo 2015.
La procedura di adozione della variante al PRGC era quindi successiva di oltre cinque anni alla stipula del rogito COGNOME e non risultava essere prevedibile dalle parti. In ogni caso il c.t.u. aveva accertato che il Comune non aveva emesso alcun provvedimento restrittivo della edificabilità Pec. La documentazione acquisita agli atti di causa era inidonea a costituire la prova di alcun asserito inadempimento dei NOME, responsabili solo dell’esatta esecuzione degli obblighi contrattualmente assunti con il rogito dell’ottobre 2007. Tali considerazioni giustificavano il rigetto dell’istanza istruttoria di integrazione di c.t.u. formulata dalla RAGIONE_SOCIALETRAGIONE_SOCIALE, già rigettata dal Giudice di primo grado, non potendo l’esame peritale supplire all’onere probatorio incombente sulle parti.
Quanto alla asserita mancanza di trasferimento del possesso dei terreni oggetto di causa, la questione era stata sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE per la prima volta nella comparsa conclusionale in primo grado, per cui andata ritenuta tardiva e come tale inammissibile.
Secondo la Corte territoriale, dunque, andava pienamente condivisa l’affermazione del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE secondo cui la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. non aveva dato prova di alcun inadempimento ascrivibile agli odierni appellati con conseguente conferma della declaratoria di risoluzione del contratto a rogito COGNOME del 17 ottobre 2008 per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE liquidazione. Inammissibile e infondata era anche la domanda di manleva spiegata, in via di subordine, da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOMECOGNOME, considerata l’assoluta mancanza di titolo,
contrattuale o legale, peraltro nemmeno specificato da ll’appellante , a giustificazione dell’esperita azione di garanzia, per essere inesistente la fonte della pretesa obbligazione. Il contratto di vendita e di subappalto del 3 aprile 2009 non contemplava alcun obbligo, a carico della RAGIONE_SOCIALE, di garantire la Im.E.T. da eventuali pretese dei NOME nascenti dal contratto a rogito COGNOME del 17.10.2008. Restava pure assente qualsiasi collegamento, sia pure indiretto, tra le autonome obbligazioni assunte rispettivamente dall’appaltatore nei confronti dei NOME e dalla subappaltatrice nei confronti di Im.E.T. Neanche era configurabile una responsabilità solidale dei soggetti per le menzionate obbligazioni, postulando questa, ai sensi dell’art. 1294 c.c., l’unicità del vincolo. A nessun titolo, pertanto, la NOME.NOME poteva essere ritenuta responsabile degli svariati inadempimenti della Im.E.T. nascenti dal contratto del 17.10.2008 cui la terza chiamata era totalmente estranea; – avverso la citata sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione la medesima RAGIONE_SOCIALE, sulla base di cinque motivi (sebbene per mero errore materiale indicati in numero di sei per essere la numerazione iniziata con il numero 2), cui ha resistito NOME COGNOME con e controricorso’ le eredi di NOME COGNOME, NOME,
contro
ricorso e con separato atto di ‘intervento NOME e NOME;
RAGIONE_SOCIALE è rimasto intimato;
-in prossimità dell’adunanza camerale NOME COGNOME, unitamente alle eredi di NOME COGNOME, ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis.1 c.p.c.
Considerato che:
-le controricorrenti preliminarmente deducono l’inammissibilità del ricorso sotto plurimi profili: per mancata indicazione specifica dei motivi di impugnazione, di divieto di ‘mescolanza e sovrapposizione’ dei mezzi e motivi di impugnazione, di omessa autosufficienza del ricorso quanto alla denuncia di omessa motivazione, di assenza di autosufficienza del ricorso quanto alla indicazione ‘toponomastica’ di atti e documenti, oltre ad omessa indicazione di eventuali collegamenti con la c.t.u.;
-onde potere adeguatamente esaminare le predette deduzioni appare necessario di seguito illustrare i primi quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3 per omesso esame di un punto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c. con riferimento all’art. 132 c.p.c. all’art. 1453 c.c.
Ad avviso della RAGIONE_SOCIALE, in violazione del meccanismo contrattuale, come evidenziato alla Corte di appello, sin dall’atto di citazione i NOME avevano appaltato autonomamente l’esecuzione dei lavori di costruzione degli
immobili sui terreni di loro proprietà, a una società di loro fiducia e hanno comunicato al Comune di Castiglione Torinese, sottoscrivendo l’atto ufficiale di inizio attività, che gli edifici oggetto del permesso di costruire sui lotti “A” e “C” sarebbero stati realizzati dalla impresa RAGIONE_SOCIALE, totalmente difforme da quella di RAGIONE_SOCIALE a dimostrazione dell’assoluta diversità delle due società.
Con il secondo motivo viene evidenziata la violazione e la falsa applicazione norma di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. sotto il profilo dell’apparente e contraddittoria motivazione, con riferimento all’art. 1489 c.c. Nell’atto di appello (pag. 12) la Im.E.T. ha puntualmente evidenziato alla Corte come, del tutto inaspettatamente, la società acquirente ha dovuto constatare l’esistenza di una servitù di passaggio espressamente riconosciuta dai venditori NOME (doc. 34,35,36) a favore della proprietà SIM di Peretti, gravante anche sui fondi di proprietà Im.E.T. e oggetto della vendita. La Corte, nella sua superficiale lettura degli atti di causa, ha omesso di valutare quindi il ricorso per l’accertamento della servitù prodotto in causa, con la perizia ad esso allegato e in esso, in parte riprodotta.
Il terzo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione di norme di legge, ex art. 360 n. 3 c.p.c., sotto il profilo dell’apparente e contraddittoria motivazione in relazione all’inadempimento dei NOME, con violazione degli articoli 132 c.p.c. e 1460 c.c. Nel corso dell’intero procedimento giudiziario la RAGIONE_SOCIALETRAGIONE_SOCIALE ha costantemente eccepito
l’inadempimento contrattuale dei NOME (ulteriore a quelli precedentemente indicati relativi al conferimento dei lavori e alla servitù di passaggio a favore della proprietà RAGIONE_SOCIALE) relativo alla minor edificabilità dei terreni. La Corte anche sotto questo profilo è incorsa in gravi errori, omissioni, lacune, contraddizioni della motivazione, che ne inficiano il giudizio. In primis occorre precisare che la Corte non ha adeguatamente motivato in ordine al presunto mancato collegamento tra la scrittura privata di permuta 05.03.2003 (doc. 31) e il successivo atto di vendita e connesso contratto di appalto (doc. 39). La scrittura privata prevede il trasferimento degli stessi terreni poi oggetto del contratto di vendita rogito AVV_NOTAIO. La Corte, poi, non avrebbe considerato, nella sua “apparente” motivazione, l’ ulteriore elemento di collegamento della scrittura di permuta con l’atto di trasferimento.
Il quarto motivo lamenta la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni di legge, ex art. 360 n. 3 c.p.c., per l’ omessa decisione su un punto essenziale della controversia ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., con riferimento agli artt. 132 c.p.c., 1453 e 1489 c.c. I motivi che precedono escludono il fondamento della tesi relativa alla risoluzione del contratto per inadempimento, come accolta dalla Corte di merito. Il giudice distrettuale sarebbe pervenuto ad un’opposta conclusione se avesse motivato la sua pronuncia valutando correttamente, secondo i principi ermeneutici di legge, tutti gli elementi della fattispecie prodotti da RAGIONE_SOCIALE Infatti, i NOME, in violazione di tali pattuizioni avevano incaricato dell’esecuzione
delle opere la RAGIONE_SOCIALE TROVATO. Non vi è dubbio che tale condotta abbia configurato un inadempimento contrattuale imputabile esclusivamente ai convenuti. La Corte di RAGIONE_SOCIALE ha totalmente omesso di pronunciare e di motivare in ordine a tale decisiva circostanza.
I primi quattro mezzi sono inammissibili. L’inammissibilità discende innanzitutto dal loro confezionamento come motivi compositi, in particolare il primo ed il quarto, come dedotto dalle controricorrenti, simultaneamente volti a denunciare violazione di legge e vizio di motivazioni, avuto riguardo al principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. 23 giugno 2017 n. 15651; Cass. 28 settembre 2016 n. 19133; Cass. 23 settembre 2011 n. 19443).
In ogni caso:
-) la denuncia di violazione di legge è inammissibile giacché non verte sul significato e sulla portata applicativa degli artt. 1453 e 1460, 1489 c.c., bensì sulla valutazione del rilievo
probatorio d ei documenti acquisiti al fondo dell’eccezione di inadempimento circa la esistenza di una servitù di passaggio gravante sui fondi dati in permuta dai NOME alla Im.E.T., di cui al ricorso ex art. 696 c.p.c. depositato dalla RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto particelle diverse da quelle oggetto della permuta, posta a sostegno della eccezione formulata ai sensi dell’art. 1460 c.c. , e dunque sulla ricognizione della fattispecie concreta ovvero alla asserita parziale inedificabilità dei suoli ceduti in assenza di un provvedimento limitativo o modificativo della relativa capacità edificatoria e di una previsione contrattuale di garanzia della possibilità di edificare complessivamente mc 15.000,00 ‘sull’intero compendio immobiliare’ (Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015 n. 26110; Cass. 4 aprile 2013 n. 8315; Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006 n. 10313);
-) la denuncia di vizio motivazionale è inammissibile giacché non individua un preciso fatto storico, decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053), che la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare, ma, nuovamente, pone in discussione la valutazione del rilievo probatorio della già menzionata documentazione, anche quanto alla sottoposta indagine idrogeologica per adeguare gli strumenti urbanistici al Piano di Assetto Idrogeologico effettuato solo nel 2012, con avvio di procedura di variante strutturale al PRGC ancora in itinere alla data del marzo 2015, procedura successiva di oltre cinque anni
al rogito COGNOME e non prevedibile dalle parti a fronte della convenzione edilizia del Pec del 22.05.2007.
E comunque, pure a voler forzare i limiti di ammissibilità delle censure in iudicando in iure, esse sarebbe palesemente inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.
Ed infatti il Tribunale ha rigettato la domanda della Im.E.T. proprio fondandosi sulle medesime circostanze e documenti invocati dall’originaria convenuta a sostegno della propria domanda riconvenzionale.
I motivi, inoltre, non rispettano la regola di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., la quale avrebbe imposto alla ricorrente di riprodurre quantomeno i passaggi essenziali dell’atto di appello, onde consentire a questa Corte di operare un’effettiva verifica dell’entità degli errori contenuti nell’atto e della loro idoneità ad impedire una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata.
Ciò a maggior ragione ove si consideri che nel ricorso viene fatto riferimento alla RAGIONE_SOCIALE, ma nulla di concreto allega sul punto , solo l’assunto secondo cui detta società sarebbe stata incaricata della realizzazione degli edifici A e C (deve presumersi da parte dei NOME), in violazione delle pattuizioni intercorse e concluse con il contratto notarile stipulato in data 17.10.2008; né che i medesimi errori denunciati avevano precluso il corretto inquadramento della vicenda da parte della Corte territoriale.
Tali lacune valgono a precludere l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del
giudizio di merito, atteso che tale potere presuppone pur sempre l’ammissibilità dei motivi di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. n. 3612 del 2022; Cass. n. 24048 del 2021). È necessariamente dall’ammissibilità de i motivi di ricorso che discende l’esercizio del potere -dovere del giudice di legittimità di accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass., Sez. Un., n. 8077 del 2012; Cass. n. 15071 del 2012; Cass. n. 27368 del 2020);
-con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione di norme di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. e l’ omissione di un fatto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c. con riferimento agli artt. 1453 e 1460 e 1458 c.c. La sentenza impugnata ha omesso di considerare l’effetto
restitutorio della risoluzione del contratto e l’incremento patrimoniale ad esso connesso. Sostanzialmente, in modo del tutto apodittico, la sentenza ha pronunciato la risoluzione del contratto, restituendo ai COGNOME la proprietà di tutti i terreni oggetto della vendita con le opere già realizzate e in più ha condannato ImRAGIONE_SOCIALET. al pagamento delle opere necessarie al completamento dei lavori. E’ del tutto evidente come la Corte abbia errato nella sua motivazione e nella sua pronuncia duplicando le conseguenze pregiudizievoli a carico di NOME, incrementando illegittimamente la consistenza patrimoniali dei NOME.
La censura è fondata.
Il thema decidendum delineato fin dal primo grado era duplice: definizione della sorte del rapporto tra le parti e, in caso di scioglimento del rapporto stesso, definizione degli obblighi restitutori, in quanto le prestazioni anche parzialmente eseguite, in caso di scioglimento del rapporto contrattuale (qualsiasi ne fosse la causa e a prescindere dalla individuazione del soggetto responsabile), sarebbero rimasti privi di causa.
Il Tribunale ha dato atto dell’intervenuto scioglimento del rapporto contrattuale in accoglimento della linea difensiva degli attori, e quindi per inadempimento della Im.E.T., ed ha di conseguenza disposto nel senso del pagamento della somma di euro 890.435,34, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno, nonché al rilascio di tutti gli immobili oggetto del contratto a rogito del AVV_NOTAIO del 17.10.2008.
In appello a seguito del rilievo della Im.E.T., l’importo a titolo di risarcimento -confermata per il resto la decisione di prime cure -veniva determinato nella minor somma di euro 762.690,65 pari ai costi necessari per il completamento dei lavori, , esclusa la pretesa del danno da perdita di chance, non provata, oltre a non essere certi ed attuali gli eventuali ulteriori danni correlati ad una solo ipotetica revisione del Piano Esecutivo Convenzionato.
Per questi motivi, correttamente la Corte d’appello ha confermato la disposta restituzione dei terreni dati in permuta, osservando che, a fronte dello scioglimento del contratto, la dazione rimaneva priva di causa giustificatrice, tuttavia non ha tenuto conto che a seguito della risoluzione del contratto, con effetti restitutori ex tunc, esplicando un’efficacia di caducazione della permuta fin dall’origine, facendola venire meno con effetti retroattivi e definitivi, il risarcimento del danno anche in favore della parte non inadempiente è dovuto solo per la perdita delle utilità che sarebbero potute derivare dal contratto sciolto.
Dalla costante giurisprudenza di legittimità emerge il principio generale secondo cui il contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un’area edificabile in cambio di un fabbricato o di alcune sue parti da costruire sulla stessa superficie a cura e con i mezzi del cessionario può integrare sia un contratto di permuta di un bene esistente con un bene futuro, sia un contratto misto costituito con gli elementi della vendita e dell’appalto, configurandosi il primo se il sinallagma
negoziale consiste nel trasferimento reciproco della proprietà attuale e della cosa futura e l’obbligo di erigere l’edificio sia restato su un piano accessorio e strumentale, e ravvisandosi invece il secondo quando la costruzione del fabbricato abbia assunto rilievo teleologicamente essenziale nella volontà delle parti e l’alienazione dell’area abbia costituito solo il mezzo per conseguire l’obbiettivo primario. In applicazione di tale criterio, è stato affermato che si ha permuta di cosa presente con cosa futura quando il proprietario di suolo edificatorio lo cede a un imprenditore in cambio di appartamenti del fabbricato che su di esso sarà edificato (realizzandosi l’effetto del trasferimento immediato della proprietà dell’area e restando differito l’acquisto della proprietà degli appartamenti al momento del venire in essere dell’edificio, senza bisogno di alcuna altra manifestazione di volontà) (così, Cass. n. 11234 del 2016).
Tanto chiarito, vertendosi in ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento, secondo l’orientamento di questa Corte, in ipotesi di inadempimento contrattuale, la parte non inadempiente ha diritto al ristoro di tutti i pregiudizi subiti a causa della condotta della controparte inadempiente, compreso il rimborso delle spese affrontate in vista del proprio adempimento (Cass. n. 17562 del 2005), con la precisazione che la parte che allega il danno, oltre alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, sempre se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli
artt.1453 e ss. c.c. (Cass. n. 11356 del 2006; Cass. n. 8571 del 2019).
In altri termini, la risoluzione del contratto comporta, a norma dell’art. 1453, comma 1°, c.c., l’obbligo della parte inadempiente (di restituire le somme ricevute a titolo di prezzo e) di risarcire il danno sofferto, secondo un criterio di regolarità causale (e tale, cioè, da comprendere non solo quel danno che consegue direttamente ed immediatamente dall’inadempimento, ma anche quello che in via mediata ed indiretta si presenti come conseguenza normale dell’inadempimento stesso: Cass. n. 4202 del 1987) dall’altra parte, costituito dalla lesione dell’interesse (positivo) che quest’ultima aveva all’esecuzione del contratto e comprensivo innanzitutto, del lucro cessante, costituito dall’incremento patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se il contratto fosse stato regolarmente eseguito, pari alla differenza di valore tra la prestazione rimasta inadempiuta e il valore della prestazione dovuto dalla parte non inadempiente al netto delle spese.
La Corte d’appello, pertanto, lì dove ha ritenuto che il danno patrimoniale (emergente) lamentato dai COGNOME dovesse essere determinato nella somma necessaria al completamento delle opere non si è, evidentemente, attenuta a tali principi, giacchè oltre a non avere riconosciuto alcunchè per il valore delle opere già effettuate dalla Im.E.T., e delle quali comunque i NOME stessi si sono giovati con la restituzione dei terreni, la domanda di risoluzione formulata ha comportato la rinuncia
definitiva alla prestazione della Im.E.T. (art. 1453 comma terzo cod. civ.), per cui è preclusa ai controricorrenti di lucrare i benefici ulteriori che dal contratto avrebbero tratto dopo la rinuncia (conf. Cass. n. 894 del 1981; Cass. n. 11012 del 2018).
In definitiva, deve essere accolto il quinto motivo del ricorso, mentre devono essere rigettati gli altri quattro. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata ad altro giudice – che viene individuato nella Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, cui è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminerà la questione del risarcimento del danno lamentato dalla ricorrente alla stregua dei principi di diritto sopra enunciati.
P . Q . M .
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati i restanti quattro;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in data 6 ottobre 2023.
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME