Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 494 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 494 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17675/2023 R.G. proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME in persona del titolare, elettivamente domiciliata presso lo studio l’avvocato NOME COGNOME (EMAIL che la rappresenta e difende giusta per procura speciale allegata al ricorso.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
–
intimato –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 108/2023 depositata il 02/02/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/10/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
Con sentenza n. 483/2020 del 7 luglio 2020, il Tribunale di Trapani rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo con cui la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME NOME contestava il diritto di RAGIONE_SOCIALE proprietaria dell’immobile concesso in locazione -ad uso non abitativoall’opponente in virtù di contratto scritto regolarmente registrato, al pagamento dell’importo di euro 9.000,00, a titolo di indennità di mancato preavviso per recesso anticipato dal contratto di locazione.
Avverso detta sentenza, la ditta RAGIONE_SOCIALE proponeva appello.
Si costituiva, resistendo al gravame, la RAGIONE_SOCIALE
2.1. Con sentenza n. 108 del 2 febbraio 2023 la Corte d’Appello di Palermo rigettava l’appello.
Avverso tale sentenza la COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
La RAGIONE_SOCIALE resta intimata.
In data 23 aprile 2024 il Consigliere delegato formulava, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., la seguente proposta di definizione accelerata: ‘Considerato che: i motivi, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono inammissibili; in disparte l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione, ex art. 366 n. 6 c.p.c., dei documenti richiamati, le censure tutte mirano, nella sostanza, ad un riesame delle risultanze probatorie, e comunque del merito della causa, precluso in questa sede di legittimità pur denunciando la violazione e la falsa applicazione di
legge; pertanto, propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. con pronuncia di inammissibilità’.
In data 29 maggio 2024 il difensore della società ricorrente, munito di procura speciale, depositava telematicamente istanza di decisione del ricorso, che veniva pertanto avviato all’adunanza camerale.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Va anzitutto premesso che il Collegio non condivide le argomentazioni contenute nella proposta di decisione accelerata quanto al rilievo di inammissibilità ex art. 366 n. 6 c.p.c., mentre le condivide quanto all’altro autonomo rilievo di inammissibilità .
Pertanto, nel procedere allo scrutinio dei motivi di ricorso, il Collegio espone considerazioni meramente esplicative di quanto già assunto nella suddetta proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. a proposito del secondo rilievo di inammssibilità.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e/o errata applicazione degli artt. 1372, 1326, 1362 e segg. c.c. 2697 c.c. e 115 c.p.c. art. 360 n. 3’.
Censura l’impugnata sentenza là dove non ha ritenuto che nel caso di specie non vi fosse stato recesso unilaterale del conduttore, bensì anticipata risoluzione del contratto di locazione per mutuo consenso, in forza, per un verso, della proposta in tal senso di esso conduttore, che aveva inviato una lettera con cui comunicava la sua volontà di non proseguire il rapporto locatizio, e, per altro verso, del comportamento concludente della società locatrice, che aveva accettato la riconsegna delle chiavi ed aveva comunicato all’Agenzia delle Entrate che il contratto si era ‘risolto in data 05.11.2015’.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Nel rilevare che ‘La dichiarazione della locatrice contiene
elementi di inequivocabile valore che il giudice a quo ha omesso di considerare in violazione delle regole interpretative fissate dagli artt. 1363 e 1364 c.c.’ (nel corpo del motivo vengono anche richiamate le regole di cui agli artt. 1362 e 1363, 1366 e 1370 cod. civ.), il ricorrente sollecita questa Suprema Corte a riesaminare ed a diversamente valutare i fatti e le risultanze probatorie acquisite al giudizio.
Tuttavia, secondo costante orientamento di legittimità: a) l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche; b) l’inadeguatezza della motivazione o la violazione delle regole ermeneutiche dedotte per censurare l’interpretazione del contratto data dal giudice di merito deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare -in relazione al contenuto del testo contrattuale- l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione; la deduzione deve essere, altresì, accompagnata dalla trascrizione integrale del testo contrattuale in modo da consentire alla Corte di Cassazione di verificare la sussistenza della denunciata violazione e la sua decisività; c) non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (v. tra le tante Cass., 09/04/2021, n. 9461; Cass., 15/11/2017, n. 27136; Cass., n. 14355 del 2016).
Per come dedotto, il motivo contrappone una diversa interpretazione del ricorrente a quella assunta e motivata dal
giudice di merito, sollecitando a questa Corte un riesame del merito, precluso in sede di legittimità.
2.2. Inconferente risulta anche il richiamo al principio secondo cui le denunzie formulate da una parte del contratto all’amministrazione pubblica costituiscono, in applicazione del principio della libertà delle forme negoziali, comportamento concludente per ritenere avvenuta l’adesione al contratto dedotto (così p. 11 del ricorso, ove viene richiamato l’arresto n. 25888 del 28 ottobre 2008).
Premesso che, ai sensi dell’art. 1372 cod. civ., il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge, giova ricordare che lo scioglimento del rapporto contrattuale per mutuo consenso rientra nella più vasta categoria degli eventi risolutivi del contratto; esso è, infatti, espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio e, quindi, di sciogliere il vincolo contrattuale, anche indipendentemente da eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditive o modificative dell’attuazione dell’originario regolamento di interessi.
Come affermato da questa Suprema Corte, con il “mutuo consenso” le parti volontariamente concludono un nuovo contratto di natura solutoria e liberatoria, con contenuto uguale e contrario a quello del contratto originario (cfr. Cass., 30/08/2005, n. 17503; Cass., 31/10/2019, n. 27999).
Si è inoltre consolidato l’orientamento secondo cui la risoluzione del contratto può anche avvenire per mutuo consenso tacito, cioè a mezzo di comportamenti concludenti, che denotino una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto negoziale (Cass., 26/10/2015, n. 21764; Cass., 02/03/2012, n. 3245) ed è inoltre stato precisato che : ‘La
risoluzione per mutuo consenso di un contratto, atteso il principio della libertà di forme, non deve necessariamente risultare da un accordo esplicito dei contraenti diretto a sciogliere il contratto, ma può risultare anche da un comportamento tacito concludente, a meno che per il contratto da risolvere non sia richiesta la forma scritta “ad substantiam”. L’apprezzamento del giudice di merito circa l’idoneità dei comportamenti delle parti ad integrare detta manifestazione tacita della volontà di sciogliere il contratto, subendo gli effetti relativi, è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.’ (Cass., 04/07/2006, n. 15264).
2.3. Orbene, nel caso di specie -ove il contratto di locazione è stato registrato- la corte di merito ha ritenuto che le parti non sono pervenute a concludere il contratto risolutorio per facta concludentia , in quanto i loro comportamenti non rivestono univoco significato in tal senso, ed in particolare ha rilevato che la dichiarazione resa della locatrice all’Agenzia delle Entrate assume rilievo unicamente sotto il profilo fiscale.
Così argomentando, la corte territoriale ha espresso una valutazione di fatto congruamente e correttamente motivata, rispetto alla quale inammissibilmente il ricorrente pretende di contrapporre un suo diverso apprezzamento, ed ha altresì pronunciato conformemente al principio di diritto secondo cui la dichiarazione al fisco è finalizzata a conseguire il venir meno dell’obbligo di pagare le imposte sui canoni di locazione percepiti, dato che -di per sé- lo scioglimento del vincolo contrattuale non opera con effetti retroattivi sotto tale profilo (v. Cass., 09/01/2019, n. 348: ‘In tema di imposte sui redditi, in caso di scioglimento o risoluzione del contratto di locazione per mutuo consenso, gli effetti retroattivi del patto risolutorio non sono opponibili all’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 1372, comma 2, c.c., non potendo essere pregiudicata la legittima
pretesa impositiva ‘medio tempore’ maturata’).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e/o errata applicazione degli artt. 2733 e 2735 c.c., anche in relazione al D.P.R. 131/1986 art. 360 n. 3’.
Censura l’impugnata sentenza là dove non ha considerato che la dichiarazione resa dalla locatrice all’Agenzia delle Entrate attestante che il contratto è ‘risolto in data 05.11.2015’ non avrebbe valenza meramente fiscale, come invece è stato espressamente rilevato nella sentenza, ma sarebbe invece una dichiarazione di scienza, tale da integrare confessione stragiudiziale ai sensi dell’art. 2733 cod. civ. ed idonea, dunque, a provare che il contratto tra le parti si fosse risolto anticipatamente per mutuo consenso.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente pretende di attribuire alla dichiarazione resa da parte locatrice al fisco quella che definisce ‘una dichiarazione di scienza’, alla quale attribuire una valenza confessoria, lamentando che la corte di merito avrebbe omesso di motivare in tal senso, ed aggiunge che ‘La denunzia resa e registrata all’Agenzia delle Entrate risponde sì ad un obbligo fiscale, ma tale obbligo è strettamente correlato al sottostante obbligo di rendere dichiarazioni veritiere in punto di fatti presupposti, giuridicamente rilevanti, nella specie cessazione degli effetti del contratto di locazione’ (v. p. 13 del ricorso).
In tal modo, tuttavia, il ricorrente perviene nuovamente a contrapporre una propria ricostruzione del fatto rispetto alle motivate valutazioni svolte nell’impugnata sentenza ed inoltre finisce per evocare non correttamente la violazione del disposto degli artt. 2733 e 2735 cod. civ., dato che il primo si riferisce alla confessione giudiziale, mentre il secondo, che si riferisce a quella stragiudiziale, espressamente afferma che essa, se resa ad un terzo, è liberamente valutabile dal giudice, come appunto ha
fatto, nell’impugnata sentenza, la corte territoriale.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e/o errata applicazione degli artt. 1372, 1590 c.c. e 115 c.p.c. – art. 360 n. 3’.
Censura l’impugnata sentenza là dove non ha considerato che la restituzione dell’immobile è avvenuta anticipatamente, circostanza questa da cui doveva essere desunta la prova della risoluzione del contratto per mutuo dissenso.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Pur formalmente invocando la violazione dell’art. 1590 cod. civ., relativo all’obbligo del conduttore di restituire il bene locato alla scadenza del contratto, il ricorrente successivamente afferma ‘Il giudice a quo ha ripetutamente segnalato che l’obbligazione matura al tempo della scadenza del contratto. Scaduto il contratto il conduttore deve restituire il bene. Nella fattispecie il giudice a quo ha riconosciuto che il conduttore ha consegnato al locatore le chiavi, e quindi restituito anticipatamente il bene immobile locato confidando nell’immediata efficacia dell’accordo di risoluzione anticipata del contratto’.
Al di là della formale censura dedotta, quindi, il ricorrente nuovamente contrappone a quanto ritenuto dalla corte di merito una propria diversa interpretazione dei fatti, là dove asserisce che esso conduttore avrebbe restituito l’immobile ‘confidando nell’immediata efficacia dell’accordo di risoluzione anticipata del contratto’.
Peraltro, la corte territoriale, con motivazione congrua e scevra da vizi logico-giuridici, conforme ai suindicati principi in tema di risoluzione per mutuo consenso tacito, ha considerato la riconsegna delle chiavi come ‘un dato neutro’, anche compatibile con il recesso anticipato del conduttore dal contratto di locazione.
Per le medesime ragioni, non è neppure correttamente dedotta la violazione del principio di non contestazione -nel senso
cioè che la società locatrice non avrebbe contestato l’avvenuta riconsegna delle chiavi dell’immobile da parte del conduttore -dato che la censura nuovamente si risolve nel sostanziale sollecito a questa Corte al riesame del fatto e della prova, invece precluso in sede di legittimità.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e/o errata applicazione dell’art.1372 c.c. art. 360 n. 3’.
Censura l’impugnata sentenza là dove non ha considerato che il complesso degli elementi acquisiti (consegna anticipata delle chiavi, mancata richiesta di ulteriori canoni nei sei mesi successivi, dichiarazione resa all’Agenzia delle Entrate) comproverebbe il mutuo consenso alla risoluzione anticipata del contratto.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Sotto la formale invocazione della violazione di legge, il ricorrente sollecita nuovamente a questa Suprema Corte ad un riesame di tutte le circostanze fattuali sopra indicate, e dunque un riesame del merito, invece precluso in sede di legittimità.
In proposito è bene rammentare che, in tema di ricorso per cassazione, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Il discrimine tra le distinte ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta -è infatti segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (v. Cass., 10/03/2020, n.
6752; Cass. 13/10/2017 n. 24155, Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 4/4/2013 n. 8315).
In conclusione, e conformemente alla proposta di decisione anticipata quanto al secondo rilievo di inammissibilità, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Non è luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
Considerato che il giudizio è stato definito con esito conforme alla proposta di decisione accelerata quanto all’autonomo rilievo di inammissibilità di cui si è detto , anche se il resistente è rimasto solo intimato, la Corte deve applicare il quarto comma dell’art. 96, come testualmente previsto dal citato art. 380bis cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 27/09/2023, n. 27433).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 500,00 alla Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza