Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17694 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17694 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12267/2023 R.G. proposto da : COGNOME domiciliato ex lege presso l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
INDIRIZZO DI SIENA RAGIONE_SOCIALE PER I
SERVIZI FINANZIARI ALLE RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 683/2023 depositata il 04/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
NOME COGNOME ha proposto ricorso notificato il 2/06/2023, illustrato da successiva memoria, dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione impugnando la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n.683/2023 depositata il 4/04/2023. MPS ha depositato controricorso illustrato da successiva memoria.
Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE, Banca Per I Servizi Finanziari Imprese S.P.A., di qui innanzi brevemente MPSRAGIONE_SOCIALE aveva agito (col rito sommario, trasformato in ordinario) sostenendo di avere comprato e dato in leasing (contratto di locazione finanziaria n. 709102/001 del 10.3.2009) alla società RAGIONE_SOCIALE (di cui legale rappresentante era NOME COGNOME e fidejussore il figlio NOME COGNOME originario convenuto e odierno ricorrente) l’immobile sito in Firenze, INDIRIZZO Amicis n. 25, e di avere comunicato il 7.5.2019 di avvalersi della clausola risolutiva espressa per il mancato pagamento di canoni per oltre cinquecentomila euro; di essersi quindi resa conto che l’immobile era detenuto senza titolo da NOME COGNOME (che usava l’immobile sia per viverci, sia per svolgerci l’attività di dentista). Aveva pertanto convenuto in giudizio NOME COGNOME sia in proprio, sia quale amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, sostenendo che l’amministratore precedente era deceduto e che il figlio di fatto la gestiva e di avere per tale motivo chiesto che, preso atto
della intervenuta risoluzione di diritto del contratto di leasing e comunque del difetto di qualsiasi titolo per l’occupazione dell’immobile, quest’ultimo le fosse riconsegnato. Mentre la società era restata contumace, NOME COGNOME si era costituito per resistere, negando di essere amministratore di fatto e opponendo un contratto di locazione commerciale stipulato nel 2012 da Parsifal a lui medesimo. Il Tribunale, sulla scorta della sola istruttoria documentale offerta dalle parti, non accoglieva la tesi che NOME COGNOME (che fra l’altro non ha mai accettato la eredità dei genitori, soci della Parsifal) fosse qualificabile come amministratore di fatto della Parsifal (inattiva da molti anni), ma lo reputava tenuto a riconsegnare l’immobile occupato senza titolo, perché il contratto di locazione del 2012 non era – ex artt. 1594 e 1595 c.c. -opponibile alla concedente in leasing/proprietaria MPS, posto che era stato stipulato in violazione dell’art. 9 del contratto di leasing , che vietava la locazione o sublocazione senza l’espressa autorizzazione di MPS.
NOME COGNOME proponeva gravame avverso la sentenza per i seguenti motivi: -vi sarebbe stata un’erronea applicazione degli artt. 1594 e 1595 c.c. poiché la comunicazione di risoluzione del contratto di leasing fu inviata alla società RAGIONE_SOCIALE ma consegnata a sue mani, e pertanto la comunicazione di MPS di avvalersi della clausola risolutiva espressa non sarebbe mai giunta alla società utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che neppure sarebbe caducata la locazione commerciale del 2012 da Parsifal a lui stesso; -la tesi della inopponibilità del contratto di sub -locazione sarebbe erronea, perché la disciplina legale racchiusa nella normativa in questione, non la prevedono, stabilendo solo che la sublocazione cade se prima cade la locazione -leasing, ancora in essere; -avendo il giudice accolto la domanda di rilascio prescindendo dalla sorte del contratto di leasing , la pronuncia sarebbe andata oltre la originaria richiesta.
La Corte di merito rigettava l’appello confermando la sentenza di prime cure.
Con decreto ex art. 380 bis comunicato il 2.9.2024 la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione proponeva la definizione del giudizio con pronuncia di inammissibilità avverso il quale il ricorrente ha confermato di avere interesse alla decisione con atto dell’8 ottobre 2024, depositato il 9 ottobre 2025.
Il ricorso è affidato a tre motivi.
Motivi della decisione 7. Primo motivo di impugnazione . Il motivo deduce ” violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 1594 e 1595 c.c. per erroneo inquadramento giuridico della fattispecie dedotta -error in iudicando’. Parte ricorrente afferma che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che l’utilizzatrice del contratto di leasing non potesse concedere in locazione (sublocazione rectius ) l’immobile in assenza di espressa autorizzazione da parte della concedente proprietaria, poiché detto ‘potere’ risulterebbe implicito nella detenzione dell’immobile sulla base degli artt. 1594 e 1595 c.c., nonostante l’espresso ‘patto contrario’ contenuto nel contratto principale. Deduce pertanto che la risoluzione non si sarebbe determinata nella specie poiché il contratto di leasing non si sarebbe mai validamente risolto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Secondo motivo di impugnazione. Il ricorrente denuncia ” violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 1334 e 1335 c.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1456 c.c.’. Deduce che la decisione del Tribunale di Firenze relativa alla riconosciuta carenza di legittimazione passiva del dott. COGNOME rispetto a RAGIONE_SOCIALE ( società utilizzatrice del contratto di leasing ), pone il dott. COGNOME come soggetto terzo rispetto alla Società. La Corte d’Appello di Firenze nella propria decisione sarebbe pertanto incorsa in errore ritenendo che la
comunicazione di risoluzione del contratto di leasing sia stata inviata alla società utilizzatrice e sia stata da quest’ultima regolarmente conosciuta attraverso persona dichiaratasi abilitata a riceverla (la segretaria dello studio dentistico del sublocatore), contando a tal fine esclusivamente che – a prescindere da chi fosse il legale rappresentante – la comunicazione sia arrivata all’indirizzo della società destinataria e sia stata ricevuta.
Terzo motivo di impugnazione . Il ricorrente deduce ‘violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 n.3 c.p.c. dell’art. 112 c.p.c., mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato’. Assumendo di essere conduttore in forza di regolare contratto di sublocazione, il ricorrente deduce che la decisione che ha ordinato la restituzione dell’immobile fosse ultra petita rispetto alle conclusioni rassegnate in atti nella domanda introduttiva.
I motivi vanno trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione.
La Corte d’appello ha ritenuto che la subconduzione comporti la nascita di un rapporto obbligatorio derivato, la cui sorte dipende da quella del rapporto principale di conduzione, ai sensi del comma 3 dell’art. 1595 c.c., onde, se viene meno il contratto di locazione, il conduttore non ha più un titolo giuridico per sublocare e così anche il subconduttore per conservare il godimento del bene, citando giurisprudenza sul punto (Cass. 8 novembre 2007, n. 23302; nello stesso senso, Cass. 17 luglio 2015, n. 15094; Cass. 16 giugno 2014, n. 13657; Cass. 10 novembre 1998, n. 11324).
Gli argomenti offerti a supporto dei motivi, invece, non fanno che reiterare la tesi che, in sostanza, muove dall’erroneo assunto che non sia stata validamente comunicata la risoluzione contrattuale alla parte legittimata a riceverla (la società utilizzatrice).
Circostanza, quest’ultima, considerata destituita di fondamento dalla Corte d’appello poiché la comunicazione, come tutti gli atti recettizi, è efficace al momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, posto che la comunicazione è stata recapitata proprio presso la sede legale della società (come risultante dal contratto di leasing) ed è ivi giunta, venendo consegnata il 29.9.2019 a soggetto evidentemente dichiaratosi abilitato (come da avviso di ricevimento della lettera raccomandata col n. 15154240783 -6), con valutazione in fatto insindacabile in tale sede processuale.
Nel caso di specie, pertanto, la parte ricorrente denuncia solo formalmente errores in iudicando , ma in realtà introduce in concreto vizi motivazionali non proponibili, vertendosi in una fattispecie decisa con decisione c.d. doppiamente conforme in merito alla intervenuta risoluzione di diritto del contratto di leasing , come tale opponibile al sublocatore.
In definitiva, i motivi sono inammissibili perché, assumendo pretesi errores in iudicando , ripropongono tesi difensive motivatamente disattese dai giudici di merito, senza considerare le ragioni da questi stessi offerte, in tal modo determinandosi una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella formulazione di un ‘non motivo’, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 4 c.p.c., (Cass. 24/09/2018, n. 22478; in precedenza, Cass. 21/03/2014, n. 6733; Cass. 15/03/2006, n. 5637).
All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
Il ricorrente va altresì condannato al pagamento di somme, liquidate come in dispositivo, ex art. 96, 3° e 4° co., c.p.c., ricorrendone i relativi presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di 10.000,00 ex art. 96, 3° co., c.p.c. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende ai sensi dell’art. 96, 4° co., c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 4/4/2025