Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21317 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21317 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25909/2019 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI LECCE – SEZ.DIST. DI TARANTO n. 47/2019, depositata il 21/01/2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
Il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, dichiarava risolto per inadempimento il contratto preliminare di compravendita di immobile stipulato in data 20.07.2008 tra NOME, promissaria acquirente, e NOME COGNOME, promittente venditore.
Avverso detta pronuncia interponeva appello NOME innanzi alla Corte d’Appello di Lecce -Sez Dist. di Taranto che, con sentenza qui impugnata, rigettava integralmente il gravame, osservando quanto segue:
il giudice di prime cure ha effettuato un’accurata ricognizione del rapporto contrattuale e del comportamento delle parti giungendo ad affermare che la condotta della debitrice, odierna appellante, giustificava la risoluzione del contratto ex art. 1455 cod. civ.;
ha valenza di diffida ad adempiere con effetto risolutorio la missiva del 14.04.2010 intimata da un procuratore del promittente venditore all’odierna appellante per il pagamento del suo debito, quale residua sorte capitale del contratto preliminare di vendita dell’immobile nei confronti del COGNOME. La necessità che la relativa procura abbia forma scritta agli effetti risolutivi di cui all’art. 1454 cod. civ. non implica, infatti, la sua allegazione alla diffida medesima, essendo sufficiente che tale procura – della quale era il procuratore munito in sede giudiziale – sia portata a conoscenza del debitore con mezzi idonei, salvo il diritto dell’intimato a farsene rilasciare copia ai sensi dell’art. 1393 cod. civ. (Cass n. 10860/2018);
ferma restando la legittimità dell’esercizio dei poteri officiosi di interpretazione e qualificazione in iure della domanda da parte del giudice, correttamente il primo giudice ha ritenuto che la domanda dell’attore dovesse essere qualificata come risoluzione legale, anziché come recesso, posto che il diritto di recesso è un’evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto che presuppone pur sempre l’inadempimento gravemente colpevole, quindi imputabile e di non scarsa importanza della controparte (Cass. Sez. U., n. 553 del 2009);
parimenti infondata è la censura relativa all’interpretazione data dal primo giudice al contratto preliminare del 20.07.2008, il cui art. 10 prevedeva chiaramente una clausola penale, e non una caparra confirmatoria, in quanto prevedeva la quantificazione pattizia del risarcimento dovuto in caso di inadempimento. Inoltre, come espressamente previsto dall’art. 1384 cod. civ., detta penale è stata correttamente ridotta nell’esercizio del potere equitativo da parte del primo giudice, avendo l’odierna appellante corrisposto al promittente venditore una parte del prezzo pattuito per l’acquisto, così determinando il corretto ammontare della penale condivisibilmente ancorato al valore locativo annuo di immobili da villeggiatura, qual era quello oggetto del preliminare detenuto dalla promissaria acquirente dalla data di stipulazione del contratto preliminare.
La suddetta pronuncia veniva impugnata da NOME COGNOME NOME COGNOME innanzi alla a questa Corte, e il ricorso affidato a tre motivi.
Resisteva NOME depositando controricorso.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memorie.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 113 cod. proc. civ.; violazione dell’art. 1385 cod. civ.; violazione dell’art. 1382 cod. civ. La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, laddove è pervenuta ad una decisione su un’azione diversa nei suoi elementi oggettivi ( petitum o causa petendi ) rispetto a quella effettivamente proposta in giudizio. Nel caso di specie, l’attore promittente venditore aveva chiesto il riconoscimento della legittimità del suo recesso ex art. 1385, comma 2, cod. civ., con il contestuale incameramento della cifra già versata dalla promissaria acquirente a titolo di caparra confirmatoria; la Corte distrettuale, facendo proprie le argomentazioni del giudice di prime cure, ha invece trasformato la domanda attorea in risoluzione, con contestuale riconoscimento di una penale, in luogo della caparra confirmatoria, seppure ridotta equitativamente. A tale ultimo proposito la ricorrente precisa che la clausola n. 10 del contratto preliminare stipulato inter partes il 20.07.2008 non poteva essere qualificata come penale, atteso che quest’ultima ha come effetto tipico quello di porre a carico di uno dei contraenti l’obbligo di eseguire una determinata prestazione, eventualmente determinabile ex art. 1346 cod. civ., in caso di inadempimento o ritardo nell’adempimento di un’obbligazione, mentre la clausola n. 10 menzionata non offre alcun requisito conforme al dettato di cui all’art. 1346 cod. civ. Pertanto, conclude la ricorrente, esclusa l’operatività di qualsiasi clausola penale, le somme versate a NOME COGNOME della signora COGNOME sono dal primo detenute senza titolo.
Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 113 cod. proc. civ.; violazione degli artt. 1453 e 1458
cod. civ.; violazione o falsa applicazione dell’art. 1454 cod. civ.; violazione degli artt. 1324 e 1392 cod. civ. A giudizio della ricorrente, la missiva del 14.04.2010 – dalla quale deriva la risoluzione dichiarativa del contratto preliminare – non può essere qualificata come diffida ad adempiere, atteso che essa non promana da NOME COGNOME bensì dal suo difensore privo di procura scritta, onde è lecito negarle quel valore risolutorio attribuitole, invece, dal Tribunale prima e dalla Corte d’Appello poi. Inconferente è, dunque, il riferimento ad una pronuncia della Corte di legittimità (Cass n. 10860/2018) riferita ad una fattispecie attinente alla portata dei poteri del procuratore ad negotium , mentre l’avvocato COGNOME aveva agito nella sua qualità di difensore e non con una prerogativa di procuratore speciale. Del resto, l’assenza della procura scritta ad hoc per la diffida ad adempiere era stata ammessa e riconosciuta expressis verbis in ogni fase e grado del giudizio dal medesimo difensore del COGNOME. E’ incorsa, pertanto, in errore la Corte territoriale laddove ha ritenuto che l’avvocato del COGNOME fosse munito di procura in sede giudiziale spettando all’odierna ricorrente semmai avanzare una richiesta ex art. 1393 cod. civ. nei confronti del difensore.
3. Il secondo motivo sarà esaminato preliminarmente poiché precede logicamente il primo, ed è infondato: questa Corte ha avuto occasione di stabilire che quando la procura alle liti è redatta in calce o a margine di un atto processuale, le dichiarazioni di portata negoziale che siano incluse in tale atto vanno attribuite alla parte, dal momento che con la sottoscrizione della procura essa le fa proprie, sicché esso può fungere anche da ratifica dell’operato del falsus procurator (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21229 del 14/10/2010, Rv. 614618 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16221 del 18/11/2002, Rv. 558567 – 01), purché la procura alle liti a questo conferita includa
il potere di disporre del diritto in contesa (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12843 del 10/05/2024 (Rv. 671505 -01).
La ratifica, da parte del rappresentato, di un atto di diffida ad adempiere ex art 1454 cod. civ. posto in essere dal rappresentante privo di potere (falsus procurator), integrando il verificarsi di una condizione sospensiva con efficacia retroattiva, comporta che il contratto è risolto di diritto se la parte, alla quale la diffida è diretta, non abbia effettuato la prestazione entro il termine assegnatole per l’adempimento prima di quella ratifica, che può essere validamente effettuata anche con l’atto introduttivo del giudizio diretto alla declaratoria dell’avvenuta risoluzione del contratto, a norma del citato art 1454.
Nel caso di specie, la procura conferita da NOME COGNOME e risultante dall’atto di citazione innanzi al Tribunale fa espresso riferimento al «presente giudizio», ossia al successivo contenzioso in cui si è chiesto l’accertamento della intervenuta risoluzione per inutile decorso del termine per l’adempimento.
3.1. Stabilita l’ammissibilità della diffida, in quanto promanante da soggetto (avvocato NOME COGNOME) munito di procura negoziale in sede di ratifica, si può esaminare l’ipotesi interpretativa e di riqualificazione della domanda e del contratto preliminare operata dai giudici del merito, censurata con il primo motivo di gravame, alla luce dei principi di diritto espressi da Cass. Sez. U., n. 553/2009.
3.1.1. In quell’occasione, sul presupposto fondamentale che l ‘antinomia non sia rinvenibile nel rapporto tra la domanda di risoluzione giudiziale abbinata al risarcimento, da un lato, e l’esercizio del recesso abbinato alla ritenzione della caparra, dall’altro, atteso che una vera e propria incompatibilità si debba rivenire piuttosto, sul piano morfologico, tra le due sole azioni
recuperatorie (quella, cioè, strettamente risarcitoria: la domanda di risarcimento dei danni, e quella più latamente satisfattiva: ritenzione della caparra, di carattere para indennitario), è stata stabilita dalle Sezioni Unite -per quel che qui rileva -l’infungibilità tra le due connesse azioni lato sensu risarcitorie. Ciò in quanto la finalità di liquidazione immediata, forfettaria, stragiudiziale, posta nell’interesse di entrambe le parti dalla caparra, viene esclusa dalla pretesa giudiziale di un maggior danno da risarcire (e provare), poiché la semplificazione stragiudiziale del procedimento di ristoro conseguente alla sola ritenzione della caparra tramonta, inevitabilmente e definitivamente, al cospetto delle barriere processuali sorte per effetto di una diversa domanda di natura risarcitoria (Cass. Sez. U., n. 553 del 2009, cit., punti 4.3., 4.4.; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21971 del 12/10/2020, Rv. 659397 -01). Sì che si sarebbe in presenza di domanda nuova, frustrando il principio costituzionale del giusto processo che vieta di modificare la strategia difensiva, nell’ipotesi in cui il contraente non inadempiente che abbia originariamente agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, chieda di ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio).
3.1.2. Nel caso di specie, l’attore promittente venditore -avendo manife stato l’intenzione di risolvere il contratto per esclusivo inadempimento della promissaria acquirente con lettera del 14.04.2010 – aveva chiesto, nel proprio atto introduttivo del giudizio, il riconoscimento della legittimità del suo recesso ex art. 1385, comma 2, cod. civ., con il contestuale incameramento della cifra già versata dalla promissaria acquirente a titolo di caparra confirmatoria.
Orbene: questa corte ha già avuto modo di precisare che «conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione di un contratto cui è acceduta la prestazione di una caparra confirmatoria, l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso e la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra (o alla corresponsione del doppio di quest’ultima), in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio» (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18392 del 08/06/2022 (Rv. 664989 -01). Pertanto, la rinuncia della parte adempiente al rimedio risarcitorio in favore della ritenzione delle somme già versate dalla COGNOME, abbinata al rimedio risolutorio anziché al recesso, non determina quel mutamento di strategia processuale alla base dell’incompatib ilità tra azione risolutoria abbinata alla richiesta risarcitoria ed esercizio del recesso abbinato alla semplificazione stragiudiziale del procedimento di ristoro conseguente alla sola ritenzione delle somme già ricevute.
Il promittente venditore, in altri termini, ha chiesto di essere liberato da un vincolo negoziale che lo legava ad una controparte inadempiente limitando la pretesa di ristoro alle somme già ricevute: caso che, nell ‘argomentazione resa delle Sezioni Unite n. 553 del 2007, esprime con chiarezza la coincidenza tra azione di risoluzione e azione di recesso: quest’ultima altro non sarebbe, infatti, che un’azione di risoluzione ex lege .
In questo senso , dunque, deve escludersi la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. da parte della Corte salentina nel momento in cui, confermando la motivazione del primo giudice, ha riqualificato l’azione proposta dal COGNOME come di risoluzione legale, non di recesso ex art. 1385, comma 2, cod. civ.
3.1.3. Né la conclusione cui si perviene muta se, alla richiesta di ritenzione delle somme ricevute qualificate dall’originario attore come caparra confirmatoria, si sostituisca -come hanno fatto i giudici del merito -la qualificazione delle somme ricevute dal promittente venditore come penale, piuttosto che caparra confirmatoria, prendendo le mosse dalla qualificazione -rimessa al giudice del merito alla luce dell ‘interpretazione del titolo negoziale (v. clausola n. 10 del contratto preliminare) -della natura e funzioni delle somme già versate al NOME dalla COGNOME.
Co m’è noto, infatti, alla caparra confirmatoria è riconosciuta poliedricità funzionale: per un verso, di anticipazione della prestazione dovuta; per altro verso, di rafforzamento del vincolo obbligatorio, poiché consente l’anticipato risarcimento del danno in caso di mancato adempimento, abbinato al recesso della parte adempiente (art. 1385, comma 2, cod. civ.).
Sotto tale ultimo aspetto essa si accosta alla clausola penale, stipulata per il caso d’inadempimento, per il fine che essa rivela di indurre l’obbligato ad eseguire la prestazione , ovvero limitare preventivamente il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto, domandarne ( l’esecuzione o ) la risoluzione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 35068 del 29/11/2022, Rv. 666325 -03; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10953 del 28/06/2012; Sez. 1, Sentenza n. 925 del 09/05/1962; Sez. 2, Sentenza n. 4274 del 20/11/1954).
Il giudice di seconde cure ha, dunque, condiviso la valorizzazione già voluta dal giudice precedente della funzione di anticipazione della liquidazione convenzionale del danno attribuita alla complessiva somma di €. 44 .580,00 versata dalla COGNOME su un prezzo totale di € . 75.060,00 contrattualmente convenuto, senza che tale
affermazione sia attaccabile sotto il profilo logico-giuridico in questa sede.
Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 190 cod. proc. civ. Omesso esame di un fatto decisivo. La ricorrente lamenta l’irritualità e la tardività dell’allegazione probatoria effettuata dal COGNOME per la pr ima ed unica volta nella comparsa conclusionale, ai sensi dell’art. 190 cod. proc. civ., laddove ha introdotto una voce risarcitoria di € . 49.000,00, che rappresenta la quantificazione dei frutti ritraibili dell’immobile detenuto dalla promissaria acquirente. Su questa censura, precisa la ricorrente, la Corte d’Appello non si è mai pronunciata, se non osservando che l’importo della clausola penale è stato condivisibilmente ancorato al valore locativo annuo di immobili da villeggiatura (€ . 7.000,00), moltiplicato per i 7 anni di detenzione dell’immobile.
4.1. Il motivo non coglie la ratio decidendi.
Nella specie, il danno è stato liquidato pattiziamente e preventivamente dalle parti. I giudici di merito hanno proceduto ad una riduzione quantitativa di quanto risultante dalla penale in relazione alle deduzioni della stessa parte adempiente.
Non si è di fronte alla lamentata irritualità di un’allegazione probatoria; piuttosto, si è al cospetto della valorizzazione di elementi, sulla vocazione di godimento dell’immobile a fini turistici data la collocazione balneare, in funzione della determinazione del corretto ammontare della penale.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Non sussistono i presupposti per riconoscere un danno da responsabilità aggravata.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 4.0 00,00 per compensi, oltre ad € . 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda