Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18946 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18946 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 22493/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso di lui nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME e dall’AVV_NOTAIO COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma presso gli AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO COGNOME, nel loro studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 564/2020 della Corte d’appello di Brescia depositata il 4-6-2020,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26-62024 dal consigliere NOME COGNOME
OGGETTO: agenzia
R.G. 22493/2020
C.C. 26-6-2024
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 2398/2017 pubblicata il 3-8-2017 il Tribunale di Brescia ha accolto l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE al decreto ingiuntivo emesso a favore dell’agente RAGIONE_SOCIALE per l’importo di Euro 51.809,97 di cui alla fattura n. 11/2014 emessa da RAGIONE_SOCIALE sulla base della documentazione esibita dalla proponente in esecuzione di precedente decreto ingiuntivo, a titolo di provvigioni maturate negli anni 2012-2014 per affari conclusi direttamente dalla preponente in Francia, zona dell’agent e.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, che la Corte d’appello di Brescia ha rigettato con sentenza n. 564/2020 pubblicata il 4-6-2020.
La sentenza ha dichiarato che correttamente il Tribunale aveva valorizzato il dato temporale del recesso di RAGIONE_SOCIALE dal rapporto di agenzia in essere con RAGIONE_SOCIALE comunicato nel marzo 2012 e la partecipazione nella compagine sociale di RAGIONE_SOCIALE, non per estendere gli effetti della comunicazione di recesso, ma per valorizzare come tale recesso, effettuato da una società che partecipava in quel momento la RAGIONE_SOCIALE al 50% e aveva con essa in comune uno degli amministratori e la sede, aveva di fatto condizionato le sorti anche del contratto di agenzia tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Ha dichiarato che dal marzo 2012, e perciò proprio dalla comunicazione del recesso di COGNOME RAGIONE_SOCIALE dal rapporto di agenzia con RAGIONE_SOCIALE, vi era stata la totale inoperatività del rapporto di agenzia tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, secondo la statuizione del Tribunale non oggetto di censura; ciò trovava conferma nella consulenza tecnica d’ufficio, dalla quale era emerso che proprio a partire da marzo 2012 nessuna proposta e nessun ordine indirizzato o proveniente dalla clientela francese era avvenuto per il tramite dell’agente. Ha dato atto che il contratto, con previsione analoga all’art. 1748 co.2 cod. civ., prevedeva il diritto dell’agente alle provvigioni per
gli affari conclusi direttamente dalla preponente nel territorio dell’agente, ma ha rilevato che nella fattispecie vi era stata assoluta mancanza di attività promozionale da parte dell’agente, protratta per oltre un biennio; quindi, in assenza di prova ma anche di allegazione che la preponente avesse invaso l’ambito operativo dell’agente in esclusiva, o vi era stata la risoluzione consensuale del contratto o vi era stata la scelta dell’agente di dismettere di fatto l’attività, connotata da scorrettezza e perciò tale da escludere il diritto alle provvigioni. Ha dichiarato che i comportamenti delle parti erano stati univoci e congruenti, perché l’agente di fatto aveva cessato di svolgere attività nei confronti dell’intera clientela in esclusiva e la preponente aveva contestualmente iniziato a operare direttamente e con continuità, per cui i comportamenti avevano significato univoco, esprimendo la tacita volontà delle parti di non dare ulteriore corso al rapporto, ritenendolo risolto consensualmente.
2.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 26-6-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1750 cod. civ. nonché dell’art. 11 dell’Accordo Economico Collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale del settore del commercio del 16 febbraio 2009 e dell’art. 1748, 2° comma cod. civ. e dell’art. 5 dell’Accordo Economico Collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia e
rappresentanza commerciale del settore del commercio del 16 febbraio 2009, i primi tre in relazione all’art. 360, 1° comma nn. 3 e 5 cod. proc. civ. e gli ulteriori due in relazione all’art. 360, 1° comma n. 3 cod. proc. civ.’. La ricorrente evidenzia che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che il contratto di agenzia si era risolto per fatti concludenti, in quanto l’art. 1750 cod. civ. e l’art.11 AEC 2009 prevedono che il recesso sia comunicato, per cui anche la risoluzione deve avvenire per iscritto; aggiunge che la sentenza non ha considerato che solo il 1011-2014 RAGIONE_SOCIALE aveva inviato missiva a mezzo pec, con la quale aveva comunicato di ritenere risolto il contratto a decorrere dal marzo 2012, così dimostrando che non vi era stato alcun recesso in precedenza; rileva che aveva dedotto la circostanza, sulla quale la motivazione della sentenza è mancante. Quindi sostiene che avrebbero dovuto essere riconosciute le provvigioni indirette in suo favore, in quanto il contratto di agenzia prevedeva la clausola di esclusiva a favore dell’agente ; aggiunge che sono inconferenti i rilievi della sentenza in ordine all’inattività dell’agente, perché tale inattività è il presupposto logico, prima ancora che giuridico, per l’applicazione dell’art. 1748 co.2 cod. civ. e aggiunge che l’affermata risoluzione consensuale non avrebbe mai potuto condurre al totale mancato riconoscimento delle provvigioni.
1.1.Il motivo è infondato.
C ome osservato da questa Corte anche nell’ordinanza emessa a definizione della causa n. 25941/2020 R.G. tra le stesse parti decisa alla medesima udienza, in linea generale, atteso il principio della libertà della forma, il contratto risolutorio non deve necessariamente risultare da accordo esplicito dei contraenti, ma può risultare anche dalla volontà delle parti di non dare ulteriore corso al rapporto, liberandosi dalle relative obbligazioni, emergente da fatti univoci posti in essere successivamente alla stipula e contrastanti con la volontà di
mantenerlo in vita (Cass. Sez. 3 2-3-2012 n. 3245 Rv. 621455-01). Anche nel caso in cui la forma scritta sia richiesta ad probationem la risoluzione per mutuo consenso può risultare per comportamenti concludenti (Cass. Sez. L 24-3-2001 n. 4307 Rv. 545154-01, Cass. Sez. 3 11-4-2006 n. 8422 Rv. 589331-01) e, invece, è richiesta la forma scritta ad substantiam ove essa sia richiesta per il contratto da risolvere (Cass. Sez. 3 4-7-2006 n. 15264 Rv. 591445-01). La forma scritta può essere anche convenzionalmente stabilita dalle parti e in tal caso è indispensabile che il patto si riferisca in modo specifico allo scioglimento del rapporto; quindi non è sufficiente che l’accordo preveda che ogni modifica debba avvenire per iscritto, essendo necessario che il patto riguardi espressamente il mutuo dissenso, disponendone la validità solo se risultante da atto scritto (Cass. Sez. 3 24-6-1997 n. 5639 Rv. 505427-01, Cass. Sez. 3 7-8-2013 n. 18757 Rv. 627433-01).
Specificamente in materia di agenzia, l ‘indirizzo di questa Corte è nel senso che è valida la risoluzione del rapporto di agenzia per mutuo consenso, ancorché desumibile da comportamenti concludenti delle parti, a nulla rilevando che la legge o il contratto collettivo prescrivano la forma scritta per il recesso; infatti, la sostanziale diversità, per natura e per effetti, tra il recesso -che è dichiarazione unilaterale ricettizia volta a fare cessare il rapporto, non richiede l’accettazione della contropart e e produce effetto solo che quest’ultima ne abbia avuto conoscenza , salvo l’obbligo di dare il prescritto preavviso – e la risoluzione consensuale -che è negozio bilaterale volto a porre fine al vincolo contrattualecomporta che la prescrizione dell’uso della forma scritta prevista per l’esercizio del recesso non sia estensibile all’ipotesi di risoluzione per mutuo consenso. Ne consegue che la manifestazione di volontà per lo scioglimento del rapporto per mutuo consenso non solo non è soggetta ad alcuna prescrizione di forma che non risulti
pattuita con specifico riferimento al negozio in questione, ma può anche implicitamente desumersi dal comportamento delle parti, che cessino concordemente di dare ulteriore corso alle prestazioni reciproche (Cass. Sez. L 9-1-1991 n. 100 Rv. 470405-01, Cass. Sez. L 17-5-1993 n. 5583 Rv. 482395-01, Cass. Sez. L 16-8-2004 n. 15959 Rv. 575753-01).
Nella fattispecie la sentenza impugnata ha accertato che il rapporto di agenzia si era risolto consensualmente in base al comportamento concludente posto in essere dalle parti, sulla base di accertamento in fatto che nella fattispecie rimane esterno al sindacato di legittimità; infatti, in linea generale, l’apprezzamento del giudice di merito circa l’idoneità dei comportamenti delle parti a integrare detta manifestazione tacita della volontà è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’ar t. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 3 7-8-2013 n. 18757, Cass. 15264/2006 già citata). Non è configurabile la nullità della motivazione sostenuta dalla ricorrente per il fatto che la sentenza non abbia considerato la missiva del 10-112014 con la quale COGNOME aveva comunicato ‘di ritenere risolto il contratto di agenzia per cui è causa a decorrere dal marzo 2012’ ; in primo luogo perché l’attuale formulazione dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. comporta la riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione, per cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; l’anomalia s i esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, esclusa qualsiasi rilevanza del
semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01); al di fuori di tali casi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa conclusione della controversia (Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01). Quindi, la mancata considerazione della lettera di cui si duole la ricorrente non comporta mancanza della motivazione, in quanto il vizio non emerge dal contenuto della sentenza, che non fa mai riferimento a quella missiva. Non ricorrono neppure le condizioni per riqualificare il motivo come proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.5 cod. proc. civ. al fine di fare valere l’omesso esame della missiva , in primo luogo per la preclusione derivante dall’art. 348 -ter ult. co. cod. proc. civ. inserito dal d.l. 83/2012 conv. in legge 134/2012, da applicare ratione temporis in quanto il giudice di appello è stato introdotto dopo l’11 -9-2012 , avendo la sentenza di appello integralmente confermato la sentenza di primo grado ; inoltre, perché l’omesso esame di quella missiva non avrebbe potuto integrare omesso esame di fatto decisivo, in quanto dalle allegazioni della ricorrente non risulta che l’invio della missiva fosse in sé incompatibile con il già avvenuto scioglimento del contratto per comportamento concludente.
2.Con il secondo motivo la ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1750 cod. civ. e degli artt. 11, 12 e 13 dell’Accordo Economico Collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale del settore del commercio del 16 febbraio 2009, tutti in relazione all’art. 360, 1° comma n. 3 cod. proc. civ’. Evidenzia che, nel caso di scioglimento del contratto a seguito di risoluzione consensuale, non vi è motivo per non applicare l’art. 1750 cod. civ., il quale prevede, in caso di scioglimento del contratto, il d iritto dell’agente al preavviso; aggiunge che anche l’art. 14 del contratto prevedeva il preavviso nei termini e con le modalità di
cui all’AEC. Q uindi sostiene la violazione dell’art. 1750 cod. civ. e degli artt.11, 12 e 13 AEC in ordine al preavviso e al l’indennità di fine rapporto.
2.1.Il motivo è inammissibile.
Non si pone alcuna questione in ordine al preavviso, in quanto la sentenza impugnata ha accertato la risoluzione consensuale del rapporto e, diversamente , l’obbligo di dare il preavviso è a carico della parte recedente, nel caso in cui la cessazione del rapporto sia determinato dal recesso di una parte.
In ordine all’indennità di fine rapporto, n on risulta dalla sentenza impugnata, né la ricorrente deduce, che la società agente avesse formulato domanda per ottenere il riconoscimento dell’indennità di fine rapporto e quindi nessuna questione relativa alla spettanza di tale indennità è oggetto del giudizio.
3.Con il terzo motivo la ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1748, 3° comma cod. civ. e dell’art. 5 dell’Accordo Economico Collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale del settore del commercio del 16 febbraio 2009, entrambi in relazion e all’art. 360, 1° comma n. 3 cod. proc. civ.’ Evidenzia che, anche nel caso in cui si ritenesse la risoluzione consensuale del contratto, la sentenza impugnata ha violato le disposizioni richiamate, laddove prev edono il diritto dell’agente alle provvigioni sugli affari conclusi “entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto’, in quanto di quegli affari l’opera dell’agente costituiva il necessario presupposto e quindi quantomeno per quegli affari avrebbero dovuto essere riconosciute le provvigioni a RAGIONE_SOCIALE
3.1.Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha dichiarato che dalla consulenza tecnica d’ufficio era emerso che nessuno degli affari conclusi successivamente
al marzo 2012 era da ricondurre all’attività prevalente dell’agente, in quanto era risultato che anche gli ordini di marzo 2012 erano indirizzati direttamente a RAGIONE_SOCIALE e non contenevano alcun riferimento a RAGIONE_SOCIALE. La ricorrente critica la pronuncia limitandosi a sostenere, come sopra esposto, che, essendo stati gli affari conclusi nella zona riservata in esclusiva alla società agente, l’opera della stessa agente non poteva che essere stata il necessario presupposto per la conclusione di quegli affari. La tesi si fonda su un’erronea lettura dell’art. 1748 co.3 cod. civ. perché, come è già stato statuito da questa Corte (cfr. Cass. Sez. L 205-2020 n. 9291 Rv. 657673-01), con la cessazione del rapporto di agenzia s i estingue qualunque diritto dell’agente, compreso quello d’esclusiva; quindi, dopo la cessazione del rapporto l’agente non ha diritto né alle provvigioni dirette né alle provvisioni indirette e il diritto dell’agente all e provvigioni deriva esclusivamente dalla previsione dell’art. 1748 co.3 co d. civ., nei limiti di tale previsione -secondo la quale l’agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del rapporto se la proposta è pervenuta in data antecedente o gli affari sono stati conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre pre valentemente all’attività da lui svolta . Ne consegue che esattamente il giudice ha verificato se gli affari fossero stati conclusi per l’attività prevalente dell’agente cessato, in ossequio al dato letterale della disposizione, e ha escluso la circostanza secondo accertamento in fatto che non può essere oggetto di riesame in sede di legittimità.
4.In conclusione il ricorso è interamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, a i sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente,
di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.400,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione