Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 29421 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 29421 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , quali ex soci dell’estinta RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-controricorrente –
e
COGNOME NOME;
R.G.N. 14459/24
C.C. 22/10/2025
Vendita
-intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento n. 6/2024, pubblicata il 24 gennaio 2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1. -Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. vigente ratione temporis , COGNOME NOME adiva il Tribunale di Trento, chiedendo che la RAGIONE_SOCIALE fosse condannata al pagamento, in suo favore, della somma di euro 220.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria versata quale promissaria acquirente dell’appartamento in corso di costruzione sito in Mezzolombardo per il prezzo di euro 140.000,00, in ragione dell’inadempimento della promittente alienante, che aveva presentato un piano di risanamento ex art. 67 legge fall., in esito al quale in data 23 febbraio 2018 l’immobile era stato trasferito a terzi, cui era seguita la formale dichiarazione di recesso della promissaria acquirente. In via subordinata, chiedeva la condanna della società convenuta alla restituzione dell’importo versato pari ad euro 110.000,00, oltre interessi.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale resisteva alle pretese di controparte, esponendo che, con scrittura privata del 3 dicembre 2011 intercorsa con COGNOME NOME -coniuge della COGNOME -, sottoscritta in calce ‘per acquiescenza e accettazione’ dalla stessa ricorrente, le parti avevano inteso regolare i loro rapporti nel senso che, a scelta della società resistente, si sarebbe proceduto alla vendita definitiva
dell’appartamento finito 1.6 della Residenza Altea in favore di COGNOME NOME o di altra persona da quest’ultima nominata, previo saldo della parte di prezzo eccedente euro 110.000,00, ovvero si sarebbe proceduto alla rivendita, in corso di costruzione e prima del rogito, dell’appartamento 1.6 ad altro promissario acquirente, anche attraverso la cessione del preliminare, previo incasso, da parte della COGNOME, della somma minima di euro 110.000,00, e che, nell’ipotesi in cui per qualunque ragione NOME non fosse stata in grado di dare corso ad alcuna delle due modalità indicate, si obbligava alla restituzione di una somma minima non inferiore ad euro 55.000,00.
Per effetto del disconoscimento di tale scrittura, si dava corso al subprocedimento di verificazione sull’originale mediante espletamento di consulenza tecnica d’ufficio in materia grafologica.
All’esito era disposta la chiamata in causa iussu iudicis di COGNOME NOME, il quale disconosceva la sottoscrizione apposta sulla scrittura privata prodotta da controparte ed eccepiva l’inopponibilità nei suoi confronti degli esiti della disposta indagine peritale, non avendo potuto partecipare alle relative operazioni.
Era, in conseguenza, espletata una nuova consulenza tecnica d’ufficio, che accertava l’autenticità delle sottoscrizioni apposte sulla predetta scrittura.
Quindi, il Tribunale adito, con ordinanza depositata il 21 settembre 2022, condannava la RAGIONE_SOCIALE a corrispondere, in favore di COGNOME NOME, la somma di euro 110.000,00, oltre interessi legali dal 23 febbraio 2018 al soddisfo, in ragione della vendita dell’appartamento ad un terzo.
2. -La RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure.
Si costituivano nel giudizio d’impugnazione COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali instavano per il rigetto dell’appello e spiegavano appello incidentale.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Trento, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE mentre accoglieva l’appello incidentale spiegato da COGNOME NOME e COGNOME NOME, disponendosi, per l’effetto, la condanna della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione, in favore della COGNOME, della somma di euro 110.000,00, oltre interessi legali, in ragione dell’adesione, nell’anno 2017, della promissaria acquirente al piano di risanamento e della sua accettazione della risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare del 3 dicembre 2011, alla condizione della vendita poi avvenuta dell’intero complesso immobiliare, con la previsione che le fosse riconosciuta, a titolo restitutorio, la somma complessiva di euro 110.000,00 (già versata a titolo di caparra confirmatoria), come da comunicazione dell’8 febbraio 2017, poi modificata il 29 settembre 2017, con la conseguente dichiarazione dell’inefficacia del recesso ex art. 1385 c.c. esercitato dalla promissaria acquirente il 27 marzo 2018.
3. -Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, NOME e la RAGIONE_SOCIALE, quali ex soci della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Ha resistito, con controricorso, COGNOME NOME.
È rimasto intimato COGNOME NOME.
4. -Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio depositata il 29 gennaio 2025, comunicata il 30 gennaio 2025, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., alla stregua della ritenuta manifesta infondatezza del ricorso.
Con atto depositato il 21 febbraio 2025, NOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno chiesto la decisione del ricorso e successivamente sono pervenute memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Si premette che il consigliere delegato autore della proposta di definizione può far parte del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c. ed essere nominato relatore, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, primo comma, n. 4, e 52 c.p.c. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024).
2. -Tanto premesso, con i primi tre motivi articolati i ricorrenti denunciano: A) ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183, sesto comma, n. 2 (vigente ratione temporis ), e 115 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto l’inammissibilità dell’originale dell’accordo -quadro del 3 dicembre 2011 (accordo riservato per l’erogazione e la restituzione di finanziamento) sull’erroneo presupposto che il documento prodotto in copia, in uno con la costituzione nel giudizio di prime cure, fosse difforme dall’originale prodotto all’esito dell’ordine del giudice ai fini dell’esperimento del sub -procedimento di verificazione (attraverso due consulenze tecniche d’ufficio calligrafiche che avevano accertato l’autenticità delle sottoscrizioni ivi apposte
dalla COGNOME e dal COGNOME), mentre ne sarebbe mutata la sola veste grafica; B) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c., quanto al principio di non contestazione e di preclusione documentale, con la conseguente nullità della sentenza impugnata, per avere la Corte d’appello mancato di utilizzare un documento riconosciuto come vincolante da due consulenze tecniche d’ufficio; C) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in tema di specificità dei motivi d’appello, e dell’art. 162 c.p.c., per avere la Corte del gravame ritenuto privo di specificità il motivo d’appello con cui si affermava l’utilizzabilità di un documento riconosciuto da due consulenze tecniche d’ufficio.
2.1. -Le tre doglianze che precedono sono inammissibili per difetto di interesse.
Infatti, quand’anche il documento (accordo -quadro riservato per l’erogazione e la restituzione di finanziamento) fosse stato ritenuto utilizzabile, la sua valenza non avrebbe avuto comunque rilevanza decisiva, in ragione della dirimente portata assunta nell’ iter decisionale dall’adesione, nell’anno 2017, della promissaria acquirente al piano di risanamento e dalla sua accettazione della risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare del 3 dicembre 2011, alla condizione della vendita poi avvenuta dell’intero complesso immobiliare, con la previsione che le fosse riconosciuta, a titolo restitutorio, la somma complessiva di euro 110.000,00 (già versata a titolo di caparra confirmatoria), come da comunicazione dell’8 febbraio 2017, poi modificata il 29 settembre 2017.
3. -Con il quarto motivo svolto i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1363 c.c., in tema di interpretazione dei contratti, e dell’art. 1385 c.c., per avere la Corte territoriale escluso la risoluzione unilaterale del preliminare di vendita per causa addebitabile alla promissaria acquirente, con il conseguente diritto della promittente alienante all’incameramento definitivo della caparra confirmatoria ricevuta.
3.1. -Il motivo è inammissibile.
La censura, infatti, non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia impugnata (o comunque non ne costituisce puntuale confutazione), secondo cui, in ragione di un accordo successivo collegato al piano di risanamento proposto, ove l’intero complesso immobiliare fosse stato alienato a terzi (condizione poi verificatasi in data 23 febbraio 2018), il preliminare di vendita si sarebbe risolto consensualmente e la promissaria acquirente avrebbe avuto diritto alla restituzione della somma versata a titolo di caparra e acconto di euro 110.000,00 (quanto al diritto alla risoluzione del preliminare qualora il promittente venditore, nelle more della stipulazione del definitivo, alieni il cespite promesso al promissario acquirente in favore di terzi: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7066 del 14/04/2004; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8047 del 21/03/2023; Sez. 2, Sentenza n. 4142 del 10/02/2023).
4. -Con il quinto motivo proposto i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., in quanto l’omessa dolosa
produzione dell’accordo -quadro del 3 dicembre 2011 giustificherebbe la condanna per lite temeraria.
4.1. -La censura è inammissibile.
Si tratta, in realtà, di un ‘non motivo’, in quanto non specificamente diretto avverso alcuna pronuncia contenuta nella sentenza impugnata.
-Con il sesto motivo dedotto i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte distrettuale adottato una motivazione inesistente o contraddittoria, in merito alla ritenuta non validità e cogenza dell’accordo -quadro del 3 dicembre 2011, benché introdotto in giudizio su ordine del giudice ed oggetto di verifica a cura di ben due consulenze tecniche d’ufficio in materia grafologica.
5.1. -Il motivo è infondato.
Ed invero la censura non assume una portata decisiva, alla luce delle ragioni innanzi esposte con riferimento ai primi tre motivi scrutinati (ossia alla stregua della rilevanza dirimente non già dell’accordo -quadro del 3 dicembre 2011, bensì de ll’adesione, nell’anno 2017, al piano di risanamento e dell’ accettazione della risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare del 3 dicembre 2011, alla condizione della vendita poi avvenuta dell’intero complesso immobiliare, con la previsione che fosse riconosciuta alla promissaria acquirente, a titolo restitutorio, la somma complessiva di euro 110.000,00).
6. -In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il giudizio è stato definito in conformità alla proposta, deve essere applicato l’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c., con la conseguente condanna ulteriore dei ricorrenti soccombenti al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge; condanna altresì i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, della somma equitativamente determinata in euro 5.000,00 e al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 2.000,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 22 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME