Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22319 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22319 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
Comodato
ad. 11.6.2025
COGNOME NOME COGNOME
-intimato – per la cassazione della sentenza n. 331/2020 della CORTE d’APPELLO di Lecce -sezione distaccata di Taranto pubblicata il 28.10.2020;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’11.6.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME premesso che gestiva un impianto di distribuzione di carburanti di proprietà di RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti indicata come RAGIONE_SOCIALE, sito in Taranto, con ricorso ex art. 447bis cod. proc. civ. la
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12408/2022 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-ricorrente –
contro
evocava dinanzi al Tribunale di Taranto e chiedeva, previo accertamento che il contratto di comodato modale del 3.12.2008 era un contratto di locazione, la dichiarazione di inefficacia della disdetta del 23.7.2014 per inosservanza dei termini fissati dalla legge 1978 n. l. 392/1978. In via subordinata, il ricorrente chiedeva che fosse dichiarata l’illegittimità/nullità e/o inefficacia della indicata disdetta, perché inviata da persona priva del potere di rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE
In via di ulteriore subordine, il ricorrente chiedeva la dichiarazione di illegittimità/nullità e/o inefficacia della indicata disdetta, perché resa in violazione dell’art. 2 del verbale di accordo interprofessionale del 29.7.1997, nonché l’accertamento dell’intervenuta rinnovazione automatica del contratto misto di comodato e fornitura in esclusiva per fatti concludenti data la prosecuzione della gestione dell’impianto.
Il ricorrente chiedeva, inoltre, la condanna della resistente al pagamento di euro 21.827,07 quale maggiore addebito non dovuto, al rimborso di tutte le fatture emesse con codice prodotto 2001693, l’accertamento della non debenza di euro 16.115,82 pretes i nella missiva di rilascio, poi esposti in e uro 21.174,87 con l’estratto conto, nonché, previo accertamento del grave inadempimento di Tamoil, la condanna all’esatto adempimento degli obblighi contrattuali in merito alla fornitura e determinazione del prezzo dei prodotti in conformità alla clausola 1.B1, ovvero in conformità ai prezzi di listino abitualmente praticati nel mercato all’ingrosso. In caso di rigetto delle domande di cui ai punti 1, 2, 3 e 4 delle conclusioni, la condanna della resistente al pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento.
RAGIONE_SOCIALE si costituiva e contestava tutte le domande svolte. In via riconvenzionale, la resistente chiedeva, accertata la validità della disdetta del contratto di comodato e fornitura e, in subordine, la perdita di efficacia del contratto di comodato a seguito della risoluzione del contratto di locazione del terreno, e in ogni caso che il COGNOME occupava senza valido titolo l’impianto di distribuzione, la condanna al rilascio immediato e alla
corresponsione della penale di euro 250,00 per ogni giorno di ritardo alla riconsegna a decorrere dal 18.11.2015, nonché al risarcimento di tutti i danni comunque derivati o che dovessero derivare in prosieguo da quantificarsi e liquidare in successivo separato giudizio.
Il Tribunale di Taranto, disattese le istanze di prova orale ribadite dalla resistente e, previo espletamento di una C.T.U., con sentenza parziale n. 3029/2019, pubblicata il 3.12.2019, rigettava le domande svolte dal COGNOME sub nn. 1, 2 e 10 delle conclusioni, dichiarava inefficace la disdetta intimata e accertava il rinnovo del contratto di comodato per altri sei anni, rigettava la domanda riconvenzionale svolta da RAGIONE_SOCIALE, disponendo per la prosecuzione del giudizio.
La sentenza n. 3029/2019 del Tribunale di Taranto era impugnata da RAGIONE_SOCIALE e la Corte d’Appello di Lecce -sezione distaccata di Taranto con sentenza pubblicata il 28.10.2020, notificata il 30.10.2020, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.
Osservava la Corte d’appello che la riduzione degli ordinativi di carburanti dal 2008 al 2016, come rilevato dal primo giudice, non era imputabile al COGNOME il quale non si occupava della qualità del prodotto, della pubblicità dell’impianto e del marchio e non era neppure libero di determinare il prezzo di vendita. Dalle c.d. «lettere sconto», dove erano fissati i prezzi consigliati (o raccomandati) ed i massimi di rivendita, per l’intera durata del contratto, emergeva che di fatto le parti avevano concordato di far coincidere i prezzi massimi di rivendita con quelli raccomandati, vanificando il potere del gestore di incidere sul prezzo di rivendita aumentandolo oltre il prezzo raccomandato, sì che il guadagno del gestore era ridotto al solo sconto applicato dal fornitore sul prezzo raccomandato.
Sempre sulla base delle stesse «lettere di sconto», affermava ancora la corte, si traeva che nei primi anni di durata del contratto lo sconto, e quindi il guadagno del gestore, era molto più elevato che negli ultimi anni: nel periodo 1.1.2009-31.3.2010 lo sconto concordato era di euro 0,55 euro
al litro, mentre dall’ 1.1.2014 al 12.3.2016 era solo di euro 0,10 euro per litro accresciuto di euro 0,08 praticato dal gestore. A fronte della drastica riduzione del margine di guadagno, il gestore non avrebbe potuto aumentare il prezzo di vendita consigliato, perché coincidente con quello massimo immodificabile, né ridurre ulteriormente il prezzo se non a costo di una gestione in perdita o di una ulteriore compressione del già ridotto margine di guadagno. Aggiungeva la Corte d’appello che dalla svolta C.T.U. era emerso che RAGIONE_SOCIALE aveva praticato al Barbi prezzi più alti rispetto a distributori extra rete, che erano i suoi competitori, mentre era irrilevante che i prezzi praticati all’appellato fossero più bassi di quelli operati verso altri gestori della rete, in quanto operanti in zone diverse e, quindi, non in rapporto di concorrenza.
La riduzione degli ordinativi, pertanto, non era imputabile al gestore e l’affermazione del mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita era stata allegata genericamente in assenza di una predeterminazione contrattuale.
La Corte d’appello, inoltre, disattendeva la doglianza in ordine alla pretesa incapacità finanziaria, aspramente contestata dal resistente, che aveva affermato di aver sempre saldato le forniture e contestata la veridicità del prospetto relativo agli insoluti esposto dalla fornitrice a sostegno della richiesta di pagamento di euro 16.115,82 avanzata in data 8.4.2016, tenuto anche conto che la valutazione di insolvenza, o comunque di inaffidabilità finanziaria, la si sarebbe dovuta riferire alla data della disdetta effettuata nel luglio 2014, né emergeva in modo chiaro dalla documentazione versata in atti, tanto che il giudice di primo grado aveva disposto una C.T.U. al riguardo.
Avverso tale sentenza Tamoil in data 21.12.2020 formulava riserva di ricorso in cassazione ex art. 361 cod. proc. civ.
Il Tribunale di Taranto, previo espletamento di una seconda C.T.U., con sentenza n. 2962/2021, pubblicata il 17.12.2021, pronunciando in via definitiva rigettava le ulteriori domande proposte e compensava per la metà
le spese di lite, comprese quelle per C.T.U., ponendo il residuo a carico del COGNOME.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre Tamoil, sulla base di tre motivi. NOME COGNOME è rimasto intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
La ricorrente non ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Risulta preliminare e assorbente la verifica dell’ammissibilità del ricorso, che sortisce esito negativo.
Deve essere rilevato che la ricorrente in data 21.12.2020 ha formulato riserva di ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata il 28.10.2020 dalla Corte d’appello, notificata il 30.10.2020 .
Assume la ricorrente che detta riserva è stata formulata, poiché la pronuncia della Corte d’appello n. 331/2020 (oggi in esame) ha deciso l’impugnazione avverso la sentenza parziale del Tribunale di Taranto n. 3029/2019, pubblicata il 3.12.2019 , sì che solo successivamente all’esito della sentenza definitiva n. 2962/2021 resa dal Tribunale di Taranto, pubblicata il 17.12.2021, sarebbe stato possibile adire la Corte di Cassazione.
L’art. 361, comma primo, cod. proc. civ. prevede che ‘Contro le sentenze previste dall’articolo 278 e contro quelle che decidono una o alcune delle domande senza definire l’intero giudizio, il ricorso per cassazione può essere differito, qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa ‘ . Già da tale norma deriva una chiara delimitazione in ordine a quali sentenze rese in sede di appello sia possibile formulare riserva
di ricorso per cassazione , fermo restando quanto previsto dall’art. 340 cod. proc. civ. in tema di riserva di appello.
Deve essere qui richiamato il principio di diritto enunciato da Cass., Sez. Un., 10 febbraio 2017, n. 3556, in base al quale: «L’art. 360, comma 3, c.p.c., nel precludere la proponibilità del ricorso per cassazione avverso le “sentenze che decidono questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio”, fa riferimento alla nozione di “giudizio” quale procedimento devoluto al giudice di appello e non come processo nella sua complessiva pendenza, sicché, mentre soggiace al suddetto limite la sentenza non definitiva, resa dal giudice di appello ex art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c., cui seguano i provvedimenti per l’ulteriore corso del giudizio medesimo, è, al contrario, immediatamente ricorribile per cassazione la sentenza con cui, per effetto di gravame immediato, ex art. 340 c.p.c., avverso la sentenza non definitiva resa dal giudice di primo grado ai sensi del richiamato art. 279 c.p.c., il giudice di appello rigetti, nel merito o in rito, l’impugnazione, confermando la decisione di prime cure».
Leggendo a contrario il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, perché reso nella prospettiva della possibilità, o no, del ricorso immediato per cassazione, si deve ritenere che la sentenza di appello, ancorché resa sull’impugnazione di una sentenza parziale di primo grado, ma che definisca il giudizio di impugnazione, non soggiace al limite di cui all’art. 360, comma terzo , cod. proc. civ. il quale, come già detto, nell’ escludere la proponibilità del ricorso per cassazione avverso ‘ le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio”, fa riferimento alla nozione di “giudizio” quale procedimento devoluto al giudice di appello e non come processo nella sua complessiva pendenza.
Come rilevato dalle Sezioni Unite (paragrafo 3.11), « L’articolo 360 c.p.c., comma 3, quando allude alle “sentenze che decidono questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio”, intende riferirsi con il termine “giudizio” al giudizio devoluto al giudice d’appello e non al
giudizio nella sua complessiva situazione di pendenza. Ne consegue: a) che la norma si applica esclusivamente all’ipotesi in cui il giudice d’appello, ai sensi dell’articolo 279 c.p.c., comma 2, n. 4, applicabile al giudizio di appello ai sensi dell’articolo 359 c.p.c., pronunci una sentenza parziale su una delle questioni di cui allo stesso articolo 279, nn. 1, 2 e 3 senza definire il giudizio d’appello ed impartisca provvedimenti per l’ulteriore prosecuzione del giudizio stesso; b) che la norma non intende riferirsi, invece, all’ipotesi in cui, a seguito di appello immediato ai sensi dell’articolo 340 c.p.c. contro una sentenza resa dal giudice di primo grado ai sensi dell’articolo 279 c.p.c., n. 4 il giudice di appello rigetti nel merito o in rito l’appello, così confermando la statuizione del primo giudice, con la conseguenza che in questo caso la sentenza è immediatamente ricorribile per cassazione».
Come osservato in dottrina, il principio espresso dalle Sezioni Unite, non contraddice il disposto del l’art. 360, comma terzo, cod. proc. civ., ed ha l’ulteriore pregio, pratico, di superare l’orientamento giurisprudenziale, che ammetteva l’impugnazione immediata in appello di tali sentenze e poi , invece, imponeva al soccombente di attendere l’esito del giudizio di primo grado per impugnare la sentenza di appello in Cassazione.
Dev’essere, altresì, rilevato che la giustificazione della riserva di impugnazione che COGNOME ritenne di fare, cioè che la corte nella sentenza impugnata si sarebbe pronunciata su questioni ancora sottoposte al giudice di primo grado, al di là della genericità dell’assunto, è illogica e non può valere in alcun modo a giustificare l’assunto oggi esposto che la sentenza sarebbe stata parziale e, in quanto tale, suscettibile di riserva. Anzi è il contrario: la pretesa esorbitanza dai limiti della devoluzione le assegna carattere a maggior ragione di sentenza definitiva e, dunque, impugnabile immediatamente per cassazione.
4.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese atteso che il resistente è rimasto intimato.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-
quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della