Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18670 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18670 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3364/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente principale-
contro
COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e NOME (CODICE_FISCALE)
RISCATTO AGRARIO.
R.G. 3364/2020
COGNOME.
Rep.
C.C. 18/4/2024
C.C. 14/4/2022
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
-controricorrenti e ricorrenti incidentali condizionati-
nonché
COGNOME NOME, rappresentato e difeso come sopra -controricorrente al ricorso incidentale-
COGNOME NOME, COGNOME NOME e CASONATO SECOGNOME;
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di VENEZIA n. 4712/2019 depositata il 04/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione del 18 maggio 2002 i NOME COGNOME (NOME, NOME, NOME e NOME) convennero in giudizio NOME COGNOME, davanti al Tribunale di Venezia, Sezione distaccata di Portogruaro, chiedendo di vedersi riconoscere il proprio diritto di riscatto agrario in relazione a due atti di donazione (asseritamente simulanti due vendite) e ad un terzo atto di vendita con i quali il convenuto aveva acquistato terreni, in violazione del loro diritto di prelazione, da NOME COGNOME, NOME NOME, NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME.
Con un successivo atto di citazione del 7 maggio 2005 i medesimi attori convennero in giudizio NOME COGNOME, davanti allo stesso Tribunale, affinché fosse accolta un’analoga domanda riguardante un terreno che il convenuto aveva acquistato da NOME COGNOME.
Il COGNOME si costituì in entrambi i giudizi, chiedendo il rigetto delle domande.
Riunite le due cause, acquisiti documenti ed espletata prova per interrogatorio e per testi, il Tribunale accolse parzialmente le domande e dispose il trasferimento in favore degli attori,
subordinatamente al pagamento del prezzo, della proprietà dei fondi di cui al primo atto di citazione, condannando il convenuto al pagamento delle spese di lite; rigettò invece la domanda relativamente ai beni oggetto del secondo giudizio, compensando le relative spese.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME e la Corte d’appello di Venezia, dopo aver disposto una c.t.u., con sentenza del 4 novembre 2019 ha rigettato l’appello e ha condannato l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che la c.t.u. espletata nel giudizio di secondo grado aveva ulteriormente corroborato l’esito decisorio del giudizio di primo grado, che la Corte d’appello ha dichiarato di condividere in quanto basato su di una «dettagliata, coerente analisi delle risultanze istruttorie e dei documenti acquisiti in giudizio». Al c.t.u., in particolare, era stato chiesto di verificare la sussistenza, in capo agli appellati, dei requisiti di legge per l’esercizio della prelazione e del riscatto; e dalla relazione era emerso, specificamente sul punto del requisito della capacità lavorativa, che la famiglia COGNOME disponeva di una capacità «pari ad almeno un terzo della complessiva somma di giornate calcolabili per la coltivazione del fondo». L’azienda COGNOME, infatti, era dotata di un’ottima qualificazione imprenditoriale, possedeva un parco macchine ed attrezzature «di sufficiente consistenza e di buona efficienza tecnica ed economica», ulteriormente rafforzata dalla presenza anche di figli in età giovanile e nel pieno della capacità lavorativa.
Così richiamate le conclusioni della c.t.u., la Corte d’appello ha dichiarato di condividerle, in quanto logiche e immuni da vizi. Quanto, invece, alle considerazioni critiche rese dai consulenti tecnici della parte appellante, la Corte veneziana ha affermato che il c.t.u. le aveva tutte tenute in considerazione e analiticamente confutate nel proprio elaborato.
Era risultata infondata, infine, siccome non provata, la tesi del COGNOME, sostenuta nel terzo motivo di appello, secondo cui egli si sarebbe insediato nei fondi oggetto di causa in qualità di usufruttuario.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Venezia propone ricorso principale NOME COGNOME con atto affidato a tre motivi.
Resistono i NOME COGNOME con un unico controricorso contenente ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso al ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 184 e 194 cod. proc. civ. in relazione all’art. 345 cod. proc. civ., con conseguente nullità della c.t.u.
Il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato le norme suindicate, per aver considerato la c.t.u. come mezzo di prova e per non aver precluso al consulente di acquisire documenti rilevanti prodotti tardivamente dalla parte. La Corte veneziana, infatti, aveva disposto l’espletamento della c.t.u. per chiarire la sussistenza della qualifica di coltivatori diretti in capo ai NOME COGNOME, perché solo in caso di positivo riscontro la domanda di riscatto avrebbe potuto essere accolta. Il c.t.u., per rispondere al quesito, aveva acquisito documenti, provenienti dall’RAGIONE_SOCIALE, depositati in appello senza considerare il divieto di cui all’art. 345 cit., nonostante tale vizio fosse stato contestato dall’odierno ricorrente sia durante le operazioni peritali che nella seconda comparsa conclusionale. Nella stesura finale della relazione, poi, il c.t.u. avrebbe fondato le proprie considerazioni esclusivamente sui documenti di provenienza dell’RAGIONE_SOCIALE, dai quali risultava l’iscrizione di otto persone tutte appartenenti alla famiglia COGNOME. La Corte d’appello, anziché dichiarare l’irritualità della produzione
documentale rivelatasi decisiva, l’aveva ammessa; mentre avrebbe dovuto rigettare la domanda di riscatto, perché l’onere della prova di godere di tutti i requisiti di legge per l’esercizio del riscatto grava sulla parte che agisce, e tale onere avrebbe dovuto essere considerato non assolto.
Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 8 e 31 della legge 26 maggio 1965, n. 590, dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817, e degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in materia di prova presuntiva nel riscatto agrario.
Il ricorrente premette che le norme suindicate impongono, quale condizione, che l’avente diritto provi che il fondo per il quale intende esercitare la prelazione o il riscatto non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia. Occorre, quindi, che l’aspirante si dedichi professionalmente all’attività di coltivazione del fondo e che la forza lavoro della sua famiglia non sia inferiore ad un terzo di quella necessaria. La decisione impugnata avrebbe violato tale previsione, perché il requisito della sussistenza della forza lavoro non può essere dimostrato tramite certificazioni o iscrizioni in registri previdenziali; e dall’istruttoria svolta sarebbe emerso soltanto che l’area in questione è destinata alla coltivazione, ma senza individuare da parte di chi. La censura prosegue poi con considerazioni ripetitive di quelle del primo motivo.
Con il terzo motivo di ricorso del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 8 e 31 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, oltre a error in procedendo .
Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe valutato in modo adeguato le risultanze istruttorie, dalle quali emergeva che la famiglia COGNOME, in realtà, aveva svolto anche altre
attività professionali estranee a quella della coltivazione dei fondi, per cui la motivazione sarebbe solo apparente, con conseguente violazione delle norme suindicate.
La Corte osserva che il primo motivo di ricorso, inammissibile sotto certi aspetti, è comunque privo di fondamento.
Si deve rilevare, in punto di ammissibilità della censura, che il ricorrente non chiarisce se la contestazione relativa all’operato del c.t.u. sia stata o meno da lui proposta nel corso del giudizio di appello e, specificamente, ribadita in sede di precisazione delle conclusioni. Dall’intestazione della sentenza impugnata, la quale contiene le conclusioni delle parti, dette censure non paiono essere state formulate; l’odierno ricorrente, anzi, in via istruttoria risulta aver chiesto alla Corte d’appello di rinnovare ulteriormente la c.t.u. allo scopo di accertare in capo ai NOME COGNOME l’esistenza dei requisiti di legge per l’esercizio della prelazione agraria. Il che è in palese contraddizione con la censura di cui si discute.
Tanto premesso, il motivo è comunque privo di fondamento.
È pacifico, per costante insegnamento di questa Corte, che il soggetto che agisce per il riscatto agrario è tenuto a fornire la prova dell’esistenza, a suo favore, di tutte le condizioni previste dalla legge, ivi comprese quelle negative (sentenza 27 marzo 2015, n. 6247, e ordinanza 11 ottobre 2023, n. 28415); ed è altrettanto pacifico che in relazione alla sussistenza di tali requisiti vale il principio di non contestazione (sentenze 9 marzo 2012, n. 3727, e 17 giugno 2016, n. 12517). Non a caso, infatti, gli odierni controricorrenti hanno eccepito, in relazione alla contestazione del requisito della sussistenza della capacità lavorativa familiare, che su di esso non vi era stata una vera contestazione in primo grado, sicché la questione dovrebbe ritenersi ormai non più discutibile.
Sono comunque decisive, per il rigetto del motivo in esame, due considerazioni.
La prima è che, per insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, in materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio (sentenza 1° febbraio 2022, n. 3086). Ciò comporta che, nel caso in esame, il c.t.u. nominato in appello poteva certamente acquisire la documentazione proveniente dall’RAGIONE_SOCIALE relativa alla struttura e alla composizione della famiglia COGNOME, non essendo tale elemento un fatto principale nei sensi di cui alla citata sentenza.
La seconda considerazione -che sarebbe di per sé sola sufficiente al rigetto del motivo qui in esame -è che la Corte veneziana, con un accertamento di fatto congruamente motivato e privo di vizi logici, non rivisitabile in sede di legittimità, ha compiuto una ricostruzione globale del materiale probatorio a disposizione, considerando le potenzialità lavorative della famiglia COGNOME in relazione alla forza-lavoro e alle attrezzature disponibili; valutazione rispetto alla quale la documentazione acquisita dall’RAGIONE_SOCIALE -tardivamente prodotta secondo il ricorrente -costituisce solo una parte della motivazione.
Il che conduce all’infondatezza del primo motivo del ricorso principale.
Il secondo motivo, che è in ampia misura ripetitivo del primo, si rivela inammissibile, perché chiaramente teso ad ottenere in questa sede una diversa e non consentita valutazione del merito;
senza contare che è fuor di luogo il richiamo alla violazione delle norme sulle presunzioni (v., sul punto, Sezioni Unite, sentenza 24 gennaio 2018, n. 1785, in motivazione).
Quanto al terzo motivo -pure chiaramente teso ad un nuovo esame del merito -la Corte osserva che esso si rivela inconferente, perché l’assunto del ricorrente secondo cui la famiglia COGNOME avrebbe svolto anche altre attività professionali diverse da quelle della coltivazione del fondo non esclude, di per sé, che gli odierni controricorrenti siano comunque nel pieno possesso delle condizioni di legge per l’esercizio del riscatto agrario.
Il ricorso principale, pertanto, è rigettato.
Il ricorso incidentale condizionato rimane assorbito.
A tale esito segue la condanna del ricorrente principale alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, sopravvenuto a regolare i compensi professionali.
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 5.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza