Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34215 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34215 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19013/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA LARGO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 697/2023 depositata il 17/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.la s.a.s. RAGIONE_SOCIALE conveniva davanti al Tribunale di Torre Annunziata il Comune di Meta di Sorrento e la s.p.a. RAGIONE_SOCIALE, a cui il Comune aveva affidato la gestione del sistema idrico integrato comunale e, lamentando che, nel 2004, le pareti di un proprio immobile destinato a struttura recettiva (‘feste e ospitalità’) avevano subito infiltrazioni provenienti dal sistema fognario con la conseguenza che essa attrice aveva dovuto affrontare spese di ripristino per oltre 159.000 euro e sospendere l’attività ricettiva dal 2004 al 2010 con una perdita di esercizio di oltre 1 milione di euro, chiedeva che le convenute fossero condannate al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante.
Il Tribunale, sulla scorta di ctu, riconosciuta la responsabilità esclusiva della società RAGIONE_SOCIALE rigettata l’eccezione di prescrizione sollevata da quest’ultima, in parziale accoglimento della domanda, condannava la convenuta al pagamento di € 28.540,26 per danno emergente e di € 58.100,00 per lucro cessante.
La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello principale della Immobiliare RAGIONE_SOCIALE e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale della GORI, riformava la
sentenza di primo grado negando alla appellante principale il risarcimento del danno da lucro cessante. Confermava la sentenza impugnata sia quanto alla infondatezza della eccezione di prescrizione sollevata dalla GORI rispetto al credito risarcitorio della RAGIONE_SOCIALE sia quanto all’ammontare del risarcimento per danno emergente.
A tali conclusioni la Corte di Appello perveniva osservando che:
non era stata data prova, da parte della RAGIONE_SOCIALE, di interventi di ripristino ulteriori rispetto a quelli ‘relativi al primo intervento del periodo 23 giugno 20056 luglio 2005’, per i quali era stato liquidato il risarcimento di € 28.540,26. In particolare il ctu aveva attestato che ‘al momento dei sopralluoghi, l’immobile era stato trovato in stato d’uso buono sotto il profilo manutentivo per cui non era più possibile ispezionare le pareti direttamente interessate dal lamentato fenomeno infiltrativo, le procedure, i tempi e particolarmente il tipo e la natura degli interventi di risanamento operati e ciò anche per la mancanza di foto riprendenti i predetti lavori’;
non poteva essere riconosciuto il risarcimento per danno da lucro cessante perché la RAGIONE_SOCIALE non aveva dimostrato ‘che una qualunque attività ricettiva fosse mai stata svolta e che l’immobile avesse le caratteristiche strutturali necessarie per conseguire le dovute autorizzazioni’. In particolare, secondo la Corte di Appello ‘i rilievi fotografici non consentono di apprezzare segni di destinazione in fatto dell’immobile ad uso alberghiero o turistico’; mancava ‘qualunque documento’ attestante ‘redditi prodotti negli anni precedenti mediante locazione di camere o dell’intero immobile oppure l’impiego di lavoratori subordinati o collaboratori occasionali dovendo in ipotesi dare in affitto anche temporaneo ben 11 stanze’. Inoltre ‘l’effettivo esercizio di una qualunque attività recettiva con connessa ospitalità alberghiera o
turistica non è stato oggetto nemmeno di articolazione di prova testimoniale in primo grado’;
non poteva dirsi prescritto il credito risarcitorio della RAGIONE_SOCIALE posto che, come accertato in causa, e come ‘espressamente afferma il ct di parte della stessa RAGIONE_SOCIALE‘, ‘l’ultimo intervento di sistemazione’ era stato compiuto da quest’ultima nel 2009 con la conseguenza che al momento del primo atto interruttivo della prescrizione -che la RAGIONE_SOCIALE stessa faceva risalire al mese di agosto del 2011, ‘la prescrizione quinquennale non era maturata’.
La Corte di Appello dichiarava infine, ‘in adesione alle difese del Comune di Meta’, che ‘non essendo stata oggetto di impugnativa la parte della sentenza che afferma la responsabilità esclusiva della RAGIONE_SOCIALE deve darsi atto che sul punto si è formato il giudicato’;
contro
la sentenza in epigrafe ricorrono, in via principale e con due motivi, la RAGIONE_SOCIALE e, in via incidentale e con due motivi, la RAGIONE_SOCIALE;
il Comune ha depositato controricorso con cui chiede che sia confermato, ‘alla stregua di quanto statuito dalla Corte di Appello, la formazione del giudicato sulla parte della sentenza che afferma la responsabilità esclusiva della RAGIONE_SOCIALE;
4.il Comune ha depositato memoria;
la spa RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria;
la spa RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria; considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso principale vengono lamentate ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 1223 nonché all’art. 2697 c.c. nonché all’art. 2051 c.c. nonché all’art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., per essere stato disconosciuto il lucro cessante nonostante la prova del danno emergente essendo provata la responsabilità della GORI per le infiltrazioni di liquami fognari’.
Viene dedotto che la Corte di Appello, ‘una volta riconosciuto il danno emergente, non poteva non riconoscere il conseguente lucro cessante anche tenendo conto della qualità imprenditoriale della Scam’. Viene dedotto che il danno avrebbe dovuto essere ‘quantizzato nel valore locativo dell’immobile in parola’.
2. Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio della decisione (cfr. in proposito Cass. n. 19989/2017).
La Corte di Appello ha affermato che non vi era prova del fatto che l’immobile danneggiato fosse mai stato destinato ad attività recettiva. A questa assenza di prova la Corte di Appello ha fatto seguire che alla odierna ricorrente non era attribuibile alcun risarcimento per il preteso danno da impossibilità, a causa delle infiltrazioni, di svolgimento di tale attività.
Non vi è alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. Tale violazione è solo evocata nella rubrica del motivo. La Corte di Appello non ha omesso di pronunciare sulla domanda di risarcimento danni da lucro cessante. Ha disatteso la domanda sul rilievo che i relativi presupposti non erano stati dimostrati.
Non vi è alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., tale violazione configurandosi soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (vd. Cass. 26769 del 2018), mentre, nel caso di specie, la sentenza impugnata, senza alcuna inversione dell’onere della prova, ha affermato che la sedicente danneggiata non aveva provato di aver subito il danno allegato.
Né vi è violazione dell’art. 2729 c.c. Va ribadito che, ‘con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con
apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità’ (Cass. n. 22366 del 05/08/2021). La Corte di Appello non ha fatto ricorso a presunzioni ma ha accertato che la ricorrente non aveva fornito alcun elemento a sostegno della tesi di aver subito un danno da lucro cessante.
Non vi è violazione dell’art. 115 c.p.c. Come è noto ‘in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U. n.20867 del 30/09/2020)
Nel caso di specie, la ricorrente correla la doglianza di violazione dell’art. 115 c.p.c. non alla deduzione per cui la Corte di Appello avrebbe posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), ma esclusivamente alla deduzione per cui la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che, ‘fino dalla citazione, la Scam indicava in euro 6000 il lucro cessante’.
Non vi è violazione dell’art. 116 c.p.c. Tale violazione ricorre ove ‘il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria
(come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento’ (Sez. U – , sentenza n.20687/2020, cit.). Nel caso di specie niente di questo è anche solo allegato ed in ogni caso la Corte di Appello non ha valutato prove ma si è limitata a constatare che non vi era alcuna prova del preteso danno da lucro cessante; 3.con il secondo motivo di ricorso principale vengono lamentate ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 1223 nonché all’art. 2697 c.c. nonché all’art. 2051 c.c. nonché all’art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c., per violazione degli artt. 24 e 111 Costituzione, per omessa pronuncia in relazione ai danni emergenti nonché al lucro cessante documentato da Scam essendo provata la responsabilità della GORI per le infiltrazioni di liquami fognari. In subordine, violazione e falsa applicazione dell’art.115 in relazione all’art. 1223 nonché all’art. 2697 c.c. nonché all’art. 2051 c.c. nonché all’art. 2729 c.c. nonché dell’art.2907 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., per errata sussunzione delle norme sopra citate in relazione agli elementi probatori sussistenti in prime cure a titolo di danni emergenti e lucro cessante’;
4. Il motivo è inammissibile.
Riguardo alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. va innanzi tutto ribadito il principio secondo cui nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una
o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi’. Nel caso di specie, con il motivo di ricorso ora in esame, il vizio di omessa pronuncia viene evocato in relazione ‘ai danni emergenti nonché al lucro cessante documentato da Scam essendo provata la responsabilità della GORI per le infiltrazioni di liquami fognari’.
In relazione al lucro cessante, il motivo ora in esame è ripetitivo del primo motivo. Valgono le osservazioni fatte sopra riguardo a questo.
In relazione al danno emergente, il motivo è inammissibile perché, dietro l’evocato vizio di omessa pronuncia – vizio che non sussiste posto che la Corte di Appello si è espressamente pronunciata sul danno emergente subito dal ricorrente tant’è che gli ha riconosciuto, a tale titolo, il risarcimento di € 28.540,26 -, si tende, attraverso una elencazione di voci di spesa di ripristino con relativa quantificazione come individuate dal consulente della ricorrente in primo grado, attraverso richiami alle critiche mosse dal medesimo consulente a quello di ufficio e attraverso critiche dirette alla consulenza d’ufficio, a prospettare, in questa sede di legittimità, questioni valutative di merito contrapponendo all’accertamento della Corte di Appello per cui ‘non era stata data prova, da parte della Scam RAGIONE_SOCIALE, di interventi di ripristino ulteriori rispetto a quelli relativi al primo intervento del periodo 23 giugno 2005 – 6 luglio 2005′ e alla stima del danno emergente effettuata dalla
Corte di Appello sulla scorta di CTU, una stima diversa e maggiore di questo danno. La proposizione di tali questioni in questa sede dimostra che il ruolo della Corte di Cassazione viene scambiato per quello di una terza istanza di merito. Non si tiene conto dal fatto che ‘la parte che si duole di carenze o lacune nella decisione del giudice di merito che abbia basato il proprio convincimento disattendendo le risultanze degli accertamenti tecnici eseguiti, non può limitarsi a censure apodittiche di erroneità o di inadeguatezza della motivazione od anche di omesso approfondimento di determinati temi di indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il giudice “a quo”, ma, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, è per contro tenuta ad indicare, riportandole per esteso, le pertinenti parti della consulenza ritenute erroneamente disattese, ed a svolgere concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione, condizione di ammissibilità del motivo essendo che il medesimo consenta al giudice di legittimità (cui non è dato l’esame diretto degli atti se non in presenza di “errores in procedendo”) di effettuare, preliminarmente, al fine di pervenire ad una soluzione della controversia differente da quella adottata dal giudice di merito, il controllo della decisività della risultanza non valutata, delle risultanze dedotte come erroneamente od insufficientemente valutate, e un’adeguata disamina del dedotto vizio della sentenza impugnata; dovendosi escludere che la precisazione possa viceversa consistere in generici riferimenti ad alcuni elementi di giudizio, meri commenti, deduzioni o interpretazioni, traducentisi in una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n.27702 del 03/12/2020).
Quanto alla violazione dell’art. 116 c.p.c. la stessa è solo menzionata nella rubrica del motivo ma non vi sono argomenti a sostegno della menzione.
Quanto alla violazione dell’art. 2729 c.c., anch’essa è solo menzionata nella rubrica del motivo. Peraltro, la Corte di Appello non ha fatto ricorso a presunzioni avendo dato conto del fatto che la ricorrente non aveva fornito alcun elemento a sostegno della tesi di aver subito un danno da lucro cessante ed avendo accertato, sulla scorta delle prove documentali in atti e di CTU, l’entità del danno emergente.
Parimenti solo evocata in rubrica è la violazione dell’art. 2697 c.c. La violazione, in ogni caso, non sussiste atteso che la Corte di Appello, senza alcuna inversione dell’onere della prova, ha affermato che la sedicente danneggiata non aveva provato di aver subito il danno da lucro cessante allegato ed ha accertato l’esistenza di un danno emergente nella misura liquidata.
Nel corpo del motivo viene altresì dedotto il vizio di travisamento della prova in relazione all’art. 115 c.p.c.
Riguardo a tale deduzione, premesso che ‘il vizio di travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale’ (Cass. S SUU n. 5792/2024), si osserva che, nel caso di specie, il travisamento della prova è dedotto senza che sia fatto alcun riferimento ad un vizio processuale né sostanziale ma, ancora
una volta, solo contrapponendo alla quantificazione del danno emergente effettuata dal Corte di Appello sulla scorta di CTU una quantificazione maggiore, attraverso la riproposizione di una elencazione di voci di spesa di ripristino con relativa quantificazione come individuate dal consulente della ricorrente in primo grado, richiami alle critiche mosse dal medesimo consulente a quello di ufficio e critiche dirette alla consulenza d’ufficio;
5. con il primo motivo di ricorso incidentale vengono lamentate ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2934, 2935 e 2947 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 2967, 2043 e 2051 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., in punto di rigetto della eccezione di prescrizione’.
Viene dedotto che, al contrario di quanto affermato dalla Corte di Appello, il termine quinquennale di prescrizione di cui all’art.2947 c.c. doveva essere fatto decorrere non dal 2009 ma dal 14 marzo 2005 data in cui la Immobiliare RAGIONE_SOCIALE aveva inviato la prima denuncia di presenza di infiltrazioni o al più dal 6 luglio 2005 data in cui la GORI aveva terminato gli interventi di riparazione della condotta fognaria non essendovi prova del fatto che le manifestazioni di ulteriori fenomeni di infiltrazione nel 2009 ‘possano imputarsi ad una condotta della GORI ancorabile ai primi danni del 2005’.
6. Il motivo è infondato.
Va precisato che si discute della prescrizione del diritto della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno emergente pari alle spese dalla stessa sostenute per risanare l’immobile eliminando gli effetti delle infiltrazioni. Non si discute della prescrizione del diritto della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del lucro cessante pari alla perdita di guadagno per impossibilità di sfruttare l’immobile per l’attività recettiva, data la decisione -che si sottrae ad ogni censura- dei giudici di appello sulla mancanza di prova del fatto che l’immobile in questione sia mai stato destinato a tale attività.
La Corte di Appello ha ricordato che il giudice di primo grado aveva respinto l’eccezione di prescrizione ritenendo che la prescrizione aveva preso a decorrere ‘dal momento dell’ultimo intervento risolutivo della GORI, nel 2009’ ed ha poi ribadito che ‘come acclarato in corso di causa’ e come ‘espressamente afferma il CT di parte GORI nelle note critiche alla perizia espletata in primo grado’, a marzo del 2009 la GORI aveva ‘effettuato un ultimo intervento di sistemazione’.
In sostanza secondo l’accertamento dei giudici di merito -insindacabile in questa sede di legittimitàla causa delle infiltrazioni non era stata eliminata fino al marzo del 2009.
I lavori di rispristino svolti dalla RAGIONE_SOCIALE successivamente alla eliminazione della causa delle infiltrazioni hanno dato luogo alle spese per le quali la Immobiliare vanta un credito risarcitorio. La GORI eccepisce la prescrizione di questo credito a decorrere dal marzo 2005 (momento del primo manifestarsi delle infiltrazioni), riconducendo la fattispecie ad una ipotesi di illecito istantaneo con effetti permanenti o di illecito permanente. Come è noto, ‘in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo con effetti permanenti, caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando sussistere i suoi effetti, la prescrizione inizia a decorrere con la prima manifestazione del danno mentre, in ipotesi di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell’evento per la durata del danno e della condotta che lo produce, essa ricomincia ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa’ (così, tra molte, Cass. Sez. 3 , Sentenza n.3314 del 11/02/2020).
La fattispecie non può ricondursi alla prima ipotesi essendo stato accertato dai giudici di merito che la condotta omissiva illecita consistente nell’omessa riparazione delle fognature da cui
provenivano le acque infiltratesi nell’immobile in questione si è protratta dal 2004 fino al 2009. La fattispecie è invece inquadrabile nella seconda ipotesi (illecito permanente). Tuttavia, rispetto allo specifico credito risarcitorio di cui si tratta, non può dirsi che la prescrizione ‘ricomincia ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa’ ossia che la prescrizione decorre “de die in diem”, trattandosi non di credito risarcitorio per danni che maturano a mano a mano e quindi di credito azionabile giorno dopo giorno ma di credito insorto nel momento -pacificamente successivo al 2009 (aprile 2009 secondo il CT di parte RAGIONE_SOCIALE richiamato sia in ricorso che in controricorso, punto 4.1)- in cui la società danneggiata, venuta meno la causa del danno, ha potuto utilmente effettuare i lavori di ripristino del proprio immobile ed ha quindi sostenuto le spese il cui rimborso è l’oggetto del credito in questione.
7. con il secondo motivo di ricorso incidentale vengono lamentate ‘nullità della sentenza per omessa pronuncia su un capo della domanda ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c., o, in subordine, per omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., in violazione degli artt. 112, 115,116 e 132, comma 2, c.p.c.’
Viene dedotto che nel punto B) delle conclusioni rassegnate dalla GORI in appello era stato chiesto che, una volta accertata la insussistenza del diritto della RAGIONE_SOCIALE a qualsiasi risarcimento, la Corte di Appello condannasse la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione degli importi dalla stessa ricevuti in esecuzione della sentenza di primo grado, pari a euro 78.446,02 per lucro cessante e a euro 40.828,45 per danno emergente, ‘oltre interessi legali con decorrenza dalla data del pagamento all’effettiva ripetizione’, che la Corte di Appello, pur avendo dichiarato che niente spettava alla RAGIONE_SOCIALE per danno da lucro
cessante, aveva omesso di pronunciare la condanna alla restituzione delle somme versate a tale titolo.
8. il motivo è fondato.
Merita ricordare, in premessa che, ‘L’art. 336 cod. proc. civ. (nel testo novellato dell’art. 48 della legge 26 novembre 1990, n. 353), disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, con la pubblicazione della sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione della somma pagata e di ripristino della situazione precedente. Ne consegue che la richiesta di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello; la stessa deve, peraltro, essere formulata, a pena di decadenza, con l’atto di appello, se proposto successivamente all’esecuzione della sentenza, essendo invece ammissibile la proposizione nel corso del giudizio soltanto qualora l’esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell’impugnazione’ (Cass.n.10124 del 30/04/2009).
Deve ancora osservarsi che ‘L’azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione della sentenza d’appello successivamente cassata ovvero di sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva successivamente riformata in appello, non si inquadra nell’istituto della “condictio indebiti” (art. 2033 cod. civ.), sia perché si ricollega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza, sia perché il comportamento dell’accipiens non si presta a valutazione di buona o mala fede ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà
dei suoi effetti. Pertanto, ove si tratti di restituzione di somme, gli interessi legali, in applicazione delle regole generali sui crediti pecuniari, devono essere riconosciuti dal giorno del pagamento e non da quello della domanda’ (Cass. n.3291del 06/04/1999; n.6942 del 23/03/2010).
La Corte di Appello ha omesso di pronunciarsi sulla domanda della GORI di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado. Sussiste la violazione dell’art. 112 c.p.c. e il motivo deve essere accolto;
in conclusione va accolto il secondo motivo di ricorso incidentale, va rigettato il ricorso principale e il primo motivo di ricorso incidentale. In relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata. La sentenza impugnata resta invece ferma nel resto. Non essendovi ulteriori accertamenti in fatto da svolgere la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 comma 2 cpc, e quindi va pronunciata condanna della Immobiliare RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle somme corrispostele dalla GORI in esecuzione della sentenza provvisoriamente esecutiva di primo grado, a titolo di risarcimento per il danno da lucro cessante, oltre interessi dalla corresponsione alla restituzione;
10. le spese sono compensate in ragione della sostanziale reciproca soccombenza (art. 92 c.p.c.) tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Deve ricordarsi che ‘In tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell’una o dell’altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l’oggetto della lite nel suo complesso’ (Cass. Sez. 1, sentenza n.1703 del 24/01/2013). Nel caso di specie la lite, per quanto attiene ai temi introdotti con i due motivi di ricorso incidentale, aveva come oggetto assolutamente principale la questione della prescrizione sollevata con il primo dei due motivi e
sulla quale la ricorrente incidentale è rimasta soccombente. Le spese sono compensate altresì tra RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Meta considerato che la prima non ha avanzato alcun motivo di cassazione della sentenza per la parte confermativa della assenza di responsabilità del Comune già dichiarata dal giudice del primo grado e considerato che la ricorrente si è limitata ad una notifica del ricorso finalizzata a mera denuntiatio litis e che non vi è luogo a provvedere sulla richiesta del Comune di conferma della sentenza di appello per la parte di interesse del Comune stesso;
PQM
la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale e il primo motivo di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la RAGIONE_SOCIALE a restituire le somme corrispostele dalla RAGIONE_SOCIALE a titolo di lucro cessante in esecuzione della sentenza provvisoriamente esecutiva di primo grado, oltre interessi dalla corresponsione alla restituzione;
compensa le spese del giudizio tra tutte le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, 28 novembre 2024