Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 366 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 366 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5953/2020 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1635/2019 depositata il 04/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME con atto notificato il 29 settembre 1988, conveniva NOME COGNOME davanti al Tribunale di Siracusa per la risoluzione del preliminare di vendita di un appartamento ed un box, facenti parte di un edificio da costruire in Palazzolo Acreide, al prezzo di L. 55.000.000, con la condanna della convenuta al rilascio degli immobili, al pagamento di lavori e materiali extra-capitolato ed al risarcimento dei danni.
In via riconvenzionale NOME COGNOME domandava l’esecuzione in forma specifica del preliminare e la condanna dell’attore alla consegna del certificato di abitabilità, al frazionamento del mutuo ed alla riduzione dell’ipoteca, ovvero, in subordine, la riduzione del prezzo di vendita, nonché la condanna del COGNOME al risarcimento del danno.
Il Tribunale, con sentenza del 25 ottobre 1995, rigettava le domande del COGNOME e, in accoglimento della domanda riconvenzionale della convenuta, le trasferiva la proprietà delle unità immobiliari oggetto del preliminare.
La decisione, gravata dal COGNOME e, in via incidentale, dalla Borgia, veniva parzialmente riformata dalla Corte di appello di Catania, che: (a) confermava il rigetto delle domande dell’attore di risoluzione del preliminare e di rilascio degli immobili e successivamente riduceva a L. 38.500.000, pari ad Euro 19.883,59, il prezzo di vendita dell’appartamento e del box in
ragione della mancanza del certificato di abitabilità; (b) condannava la COGNOME al pagamento in favore del COGNOME della somma di Euro 2.095,99, oltre interessi dalla domanda, per i lavori eseguiti extracapitolato ed altre causali; (c) condannava il COGNOME alla rifusione in favore della COGNOME della somma complessiva di Euro 33,346,02, oltre rivalutazione ed interessi legali, per risarcimento del danno.
La Corte di cassazione, con sentenza in data 22 maggio 2008, n. 13225, accoglieva il secondo motivo di ricorso del COGNOME avente ad oggetto l’avvenuta esecuzione specifica del preliminare in relazione a immobile parzialmente costruito in difformità dalla concessione edilizia.
COGNOME riassumeva il giudizio di appello.
La Corte di appello di Catania con sentenza n. 613 del 2 maggio 2011: a) rigettava la domanda proposta da COGNOME ex ad 2932 c.c. b) rigettava la domanda proposta da COGNOME di riduzione del prezzo di vendita e di risarcimento danni che era stato quantificato in 13.483,58 euro per rate di mutuo al credito fondiario in eccedenza rispetto al prezzo quantificato dalla Corte per il diminuito valore dell’immobile. Condannava la COGNOME al pagamento di 2.095 euro per opere eseguite sull’immobile. d) condannava il Bonfiglio al pagamento alla acquirente di circa 20.000 euro oltre rivalutazione dalla data dei singoli pagamenti ed oltre interessi legali, somma costituita dai pagamenti delle rate di mutuo effettuati da Borgia, con interessi moratori e spese legali del 1997
COGNOME proponeva ricorso per cassazione lamentando che la Corte di appello non si fosse pronunciata sulla domanda di ripetizione di indebito relativa alla restituzione del prezzo versato e
degli accessori, giustificato dal mancata perfezionamento del contratto per inadempimento, ormai accertato definitivamente, addebitabile al prominente venditore e che senza adeguata motivazione la Corte di appello aveva escluso la restituzione di 13.483,58 euro, cioè di parte della somma che era stata accordata dal precedente giudizio di appello.
Questa Corte con sentenza n.19571 del 2016 riteneva le censure fondate.
Le conclusioni subordinate assunte dalla COGNOME riportate nel corpo della sentenza impugnata (cfr pag. 17 e 18), erano infatti inequivocabili nel richiedere la restituzione di quanto già versato per l’acquisto.
La Corte avrebbe dovuto provvedere in proposito e invece aveva omesso la pronuncia.
Incomprensibile era anche la ratio in forza della quale la Corte di appello aveva negato la voce di credito Borgia, di natura risarcitoria, relativa a “somma pagata con rate di mutuo al Credito Fondiario in eccedenza rispetto al prezzo quantificato dalla Corte con sentenza del 2003 per il diminuito valore dell’immobile”. Secondo la Corte di appello tali somme non erano dovute perché legate all’azione estimatoria spiegata dalla ricorrente, che in sede di rinvio era stata rigettata. La Corte di appello non aveva però considerato che il rigetto dell’azione estimatoria (minor valore dell’immobile) era dipeso (cfr pag. 26 sentenza) non da infondatezza della domanda per insussistenza del vizio che avrebbe comportato una riduzione del prezzo, ma dal mancato trasferimento coattivo, addebitabile al promittente venditore. Pertanto, la Corte avrebbe dovuto indagare sul nesso di causalità
tra condotta inadempiente del COGNOME e la spesa sostenuta da COGNOME per ricorso al credito per anticipare tutta la somma (anziché quella minore che sarebbe stata necessaria se si fosse tenuto conto dei minor valore). Tale indagine comportava una verifica, sia pur virtuale, della fondatezza dell’ actio estimatoria ai fini dell’eventuale rimborso di quanto speso e del nesso di causalità tra tale maggior costo e le vicende contrattuali, soprattutto quelle relative ai vizi che legittimavano la riduzione. Il rigetto dell’ actio estimatoria per sopravvenuta impossibilità del trasferimento coattivo cui era originariamente mirata non implicava necessariamente che la voce di rimborso richiesto fosse priva di titolo. Imponeva di verificare se tra i costi indebitamente sofferti a causa del mancato acquisto promesso vi fosse anche questa voce di maggior impegno debitorio rispetto a quanto il venditore aveva promesso e sarebbe stato in grado di trasferire. La sentenza andava quindi cassata con riferimento al motivo accolto, dovendo il giudice di rinvio nuovamente decidere alla luce di quanto già deciso in precedenza con effetto di giudicato interno e di quanto dalle parti dedotto in sede di riassunzione, nonché di quanto statuito in accoglimento del secondo motivo, effettuare il conteggio dei relativi eventuali crediti.
NOME COGNOME riassumeva il giudizio dinanzi la Corte d ‘ Appello di Catania.
NOME COGNOME si costituiva nel nuovo giudizio di rinvio.
La C orte d’ Appello di Catania condannava NOME COGNOME a restituire a NOME COGNOME la complessiva somma di euro 63.600,57 oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat ed interessi legali sulle stesse somme annualmente rivalutate dalla data dei singoli versamenti sino al soddisfo e a rifondere in favore di NOME
Ric. 2020 n. 5953 sez. S2 – ud. 08/11/2024
COGNOME le spese tutte le fasi e gradi del giudizio. In particolare, la C orte d’ Appello, richiamata integralmente la motivazione della sentenza n.19.571 del 2016 di questa Corte riteneva fondata la domanda restitutoria proposta da NOME COGNOME
Infatti, una volta definitivamente dichiarata la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore erano rimasti privi di titolo gli esborsi effettuati dalla COGNOME in adempimento del contratto medesimo e, dunque, ella aveva diritto alla ripetizione delle spese sostenute in dipendenza del vincolo contrattuale venuto meno per fatto e colpa del COGNOME ed al ripristino della situazione patrimoniale precedente la sentenza che nel caducare il titolo del pagamento, rendendolo indebito sin dall’origine , aveva determinato il sorgere dell’obbligazione della pretesa restitutoria . Il danno risarcibile copriva l’intero pregiudizio sofferto e, dunque, la COGNOME aveva innanzitutto diritto alla restituzione dell’acconto versato pari a lire 30.000.000 equivalenti ad euro 15.493,70. Inoltre, le spettava la restituzione delle somme versate al credito fondiario a seguito dell’accollo della quota di mutuo gravante sull’immobile pari a complessive lire 81 .378.300 equivalenti ad euro 42.028,38. Sul tale ultima somma era palese la fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata dalla COGNOME atteso che il pregiudizio economico subito era eziologicamente collegato alla condotta inadempiente sicché andava risarcito il danno in questione ivi compresa la somma di euro 13.483,58 pari alla maggior somma versata al credito fondiario rispetto al prezzo quantificato dalla C orte d’ Appello con la sentenza n. 610 del 2003 per il diminuito valore dell’immobile posto che come rilevat o nella sentenza di rinvio l’azione estimatori a esperita dalla COGNOME era
stata rigettata non già per infondatezza della domanda ma per impossibilità del trasferimento coattivo addebitabile al COGNOME che indebitamente aveva beneficiato del pagamento.
La C orte d’ A ppello riconosceva l’ulteriore posta risarcitoria costituita dall’importo di lire 1.160.000 pari ad euro 599 versato all’avvocato NOME COGNOME per compensi professionali relativ i all’attività svolta per la cancellazione dell’ipoteca gravante sugli immobili promessi in vendita. Infine, andava accolta la domanda di condanna del COGNOME alla restituzione delle somme pagate dalla COGNOME per imposte di registrazione delle sentenze pregresse pari a complessivi euro 5479 in quanto, pur essendoci solidarietà rispetto al fisco, restava salvo il diritto della parte vittoriosa anticipataria di ottenere il rimborso nei confronti della parte soccombente. Trattandosi di debito di valore sulle somme suddette pari a complessivi euro 63.600,57 erano dovute rivalutazione monetaria ed interessi legali.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 1223 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c. nonché vizio logico giuridico della motivazione della sentenza impugnata.
La censura attiene al riconoscimento degli interessi moratori sulla somma che la COGNOME aveva pagato al credito fondiario in
Ric. 2020 n. 5953 sez. S2 – ud. 08/11/2024
quanto non sarebbero conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento del ricorrente. La somma di euro 19.526 pagata il 10 maggio 1996 dalla COGNOME all’istituto di credito a titolo di interessi moratori non era diretta e immediata conseguenza dell’inadempimento del COGNOME per impossibilità del trasferimento coattivo ma discendeva esclusivamente dall’inadempimento della COGNOME riguardo il contratto di mutuo a prescindere dalla stipula dell’atto pubblico.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione degli articoli 1223, 1243 e 2033 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c. vizio logico giuridico della motivazione della sentenza impugnata omessa considerazione di un fatto decisivo.
La somma di euro 14.269 ( pari alla differenza tra l’importo di euro 52.265 della COGNOME avrebbe dovuto versare a titolo di montante e l’importo di euro 37.995 effettivamente versato) è stata pagata dal COGNOME, pertanto spetterebbe al COGNOME la restituzione di tale somma o la minore somma di euro 3599 relative agli interessi moratori. Dunque, la C orte d’ Appello di Catania avrebbe errato nel condannare il COGNOME alla restituzione dell’integra le somma di euro 15.493 avrebbe omesso un fatto decisivo e cioè il versamento della somma di euro 14.269 alla banca degli interessi compensativi del mutuo della Borgia e i relativi interessi moratori maturati.
2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili, in parte infondati.
La sentenza ha dato attuazione a quanto stabilito da questa Corte nel secondo giudizio di cassazione con rinvio. Si legge nella
sentenza n. 19571 del 2016 che una volta definitivamente dichiarata la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore erano rimasti privi di titolo gli esborsi effettuati dalla COGNOME in adempimento del contratto medesimo e, dunque, ella aveva diritto alla ripetizione delle spese sostenute in dipendenza del vincolo contrattuale venuto meno per fatto e colpa del COGNOME ed al ripristino della situazione patrimoniale precedente la sentenza che nel caducare il titolo del pagamento, rendendolo indebito sin dall’origine, aveva determinato il sorgere dell’obbligazione della pretesa restitutoria.
Peraltro, deve osservarsi che il giudizio è cominciato con la domanda di risoluzione del contratto da parte del COGNOME nel 1988, domanda rigettata essendosi accertato il suo grave inadempimento che ha determinato anche il rigetto della richiesta di esecuzione in forma specifica formulata dalla COGNOME unitamente alla richiesta di riduzione del prezzo. Risulta corretta pertanto la decisione della Corte d’Appello che ha ritenuto dovute a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inadempimento del COGNOME iglio tutte le somme pagate dalla Borgia.
L ‘immobile per il cui acquisto la Borgia ha contratto il mutuo, infatti, si è successivamente rivelato non solo di minor valore rispetto al prezzo pattuito (in base al quale era stato richiesto il mutuo) ma addirittura non commerciabile.
Sempre nella sentenza che ha cassato con rinvio si legge che Il giudice di secondo grado nel 1998 osservò che legittimamente la Borgia aveva sospeso il pagamento del residuo prezzo e si era rifiutata di stipulare il contratto definitivo a causa della mancanza del certificato di abitabilità .
Tale statuizione non è stata oggetto di censure sicché risultano infondate le doglianze del ricorrente avendo legittimamente la COGNOME sospeso il pagamento del prezzo. In altri termini, quanto al nesso di causalità in relazione al pagamento degli interessi, risulta comunque che il ritardo nel pagamento delle rate è pur sempre imputabile alla condotta inadempiente del COGNOME anche perché la controparte con la domanda ex art. 2932 aveva anche chiesto la riduzione del prezzo.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. vizio logico e giuridico della motivazione della sentenza impugnata omessa considerazione di un fatto decisivo.
La censura è duplice: una prima relativa alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione che si era concluso con l’accoglimento del secondo motivo di impugnazione proposto dal COGNOME e, dunque, in relazione a tale giudizio non poteva essere condannata neppur parzialmente al pagamento delle spese. Una seconda riguarda la complessiva liquidazione delle spese di tutti gli altri giudizi. S econdo il ricorrente in applicazione dell’articolo 92 c.p.c. le spese legali dell’intero giudizio avrebbero dovuto essere compensate stante la reciproca soccombenza delle parti in ordine alle domande principali e tenuto conto del loro comportamento
3.1 Il terzo motivo è infondato.
Non può che ribadirsi che le spese, anche del giudizio di cassazione con rinvio, vanno liquidate in base all’esito complessivo della lite. Sul punto è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità: In tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa
Ric. 2020 n. 5953 sez. S2 – ud. 08/11/2024
anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte (Sez. U, Ordinanza n. 32906 del 08/11/2022, Rv. 666076 – 01).
Il giudizio si è risolto nel senso dell’accertamento del grave inadempimento del COGNOME che è stato integralmente soccombente in quanto l’accoglimento del suo ricorso per cassazione ha determinato la declaratoria di nullità del contratto per causa a lui imputabile.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte
contro
ricorrente che liquida in euro 6000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione