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Risarcimento in forma specifica: limiti e obblighi

Un lavoratore, licenziato da un’azienda subentrante, ha citato in giudizio l’impresa originaria chiedendo la reintegrazione sulla base di un vecchio accordo di garanzia occupazionale. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, chiarendo che quando un’azienda si impegna a garantire che un terzo mantenga l’occupazione, la violazione di tale patto non consente un risarcimento in forma specifica (come la reintegrazione), ma solo un risarcimento monetario. La sentenza distingue nettamente tra l’obbligo di garantire l’azione di un terzo e l’obbligo di agire direttamente.

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Risarcimento in forma specifica: la Cassazione chiarisce i limiti

Quando un’azienda garantisce il mantenimento del posto di lavoro in caso di cessione di servizi a un’altra società, cosa succede se il nuovo datore di lavoro licenzia il dipendente? È possibile chiedere di essere riassunti dall’azienda originaria? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato questo complesso tema, delineando i confini del risarcimento in forma specifica e chiarendo la natura degli obblighi che nascono da tali accordi.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un lavoratore, in passato dipendente di una società di gestione aeroportuale, il cui rapporto di lavoro era stato trasferito prima a una società di ristorazione e poi a un’altra grande azienda dello stesso settore, che alla fine lo aveva licenziato. Il lavoratore ha quindi citato in giudizio la società di gestione originaria, sostenendo che, in base a vecchi accordi sindacali, questa si era impegnata a garantire il mantenimento dell’occupazione dei dipendenti trasferiti. La sua richiesta era chiara: essere reintegrato, ovvero riassunto, dalla prima azienda.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto la sua domanda. Secondo i giudici di merito, l’accordo in questione era un “contratto a favore di terzo”, in cui l’azienda originaria si impegnava a far sì che la società subentrante mantenesse i livelli occupazionali. La conseguenza di un eventuale inadempimento, però, non poteva essere la reintegrazione, ma solo un risarcimento monetario.

La Decisione della Corte: i Limiti del Risarcimento in Forma Specifica

Il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, insistendo sul fatto che la sua richiesta di reintegrazione costituisse una legittima domanda di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 del Codice Civile. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito e fornendo importanti chiarimenti.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che il risarcimento in forma specifica mira a ripristinare la situazione esatta che si sarebbe avuta se l’inadempimento non si fosse verificato. Nel caso in esame, però, l’obbligo assunto dalla società originaria non era quello di riassumere i lavoratori in caso di licenziamento da parte del terzo, ma di “garantire che il terzo provvedesse al mantenimento occupazionale”.

Si tratta di due obbligazioni profondamente diverse:

1. Obbligo di fare proprio: assumere direttamente una persona.
2. Obbligo di garantire il fatto di un terzo: assicurarsi che un’altra entità compia una determinata azione.

Poiché l’obbligazione violata era la seconda, la reintegrazione presso la società originaria non era una forma di risarcimento esperibile. Non si può, infatti, ripristinare in forma specifica una prestazione che, per sua natura, doveva essere eseguita da un soggetto diverso (la società subentrante). L’unica conseguenza possibile per la violazione di una promessa del fatto del terzo, hanno concluso i giudici, resta quella risarcitoria, ovvero il pagamento di una somma di denaro a compensazione del danno subito.

La Corte ha anche dichiarato “assorbito” il ricorso incidentale presentato dall’azienda. Questo tipo di ricorso, proposto dalla parte che ha già vinto, viene esaminato solo se l’appello principale della controparte viene accolto. Poiché il ricorso del lavoratore è stato respinto, quello dell’azienda ha perso di rilevanza.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione sulla redazione e l’interpretazione degli accordi di garanzia occupazionale nelle operazioni di cessione di servizi o di ramo d’azienda. Stabilisce un principio chiaro: un accordo che impegna un’azienda a “garantire” l’occupazione presso un terzo non si traduce automaticamente in un obbligo di riassunzione diretta in caso di inadempimento. Le parti che intendono prevedere un simile obbligo di reintegrazione devono formularlo in modo esplicito e inequivocabile nel testo dell’accordo. In assenza di una clausola così specifica, l’unica via percorribile per il lavoratore licenziato rimane quella della richiesta di risarcimento monetario.

È possibile chiedere la reintegrazione al cedente (vecchio datore di lavoro) se l’azienda cessionaria (nuovo datore di lavoro) licenzia il lavoratore, in base a un accordo di garanzia occupazionale?
No, la Corte ha stabilito che se l’obbligo del cedente era solo quello di “garantire” che il nuovo datore di lavoro mantenesse l’occupazione, la violazione di tale obbligo non consente di chiedere la reintegrazione (risarcimento in forma specifica) presso il cedente, poiché la prestazione era dovuta da un soggetto diverso.

Qual è l’unica conseguenza per la violazione di un accordo che garantisce il mantenimento del posto di lavoro da parte di un terzo?
Secondo la sentenza, l’unica conseguenza in caso di inadempimento di un tale accordo è di natura risarcitoria, ovvero il pagamento di una somma di denaro per compensare il danno, e non il ripristino del rapporto di lavoro.

Quando viene esaminato un ricorso incidentale condizionato?
Un ricorso incidentale condizionato, proposto dalla parte già vittoriosa nei gradi precedenti, viene esaminato dal giudice di legittimità solo se il ricorso principale (proposto dalla parte soccombente) risulta fondato e viene accolto. Se il ricorso principale è respinto, quello incidentale viene dichiarato “assorbito” per mancanza di interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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