Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6116 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6116 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
R.G. 21534/2019
COGNOME
Rep.
C.C. 13/1/2025
C.C. 14/4/2022
ORDINANZA
FRODE SPORTIVA. RISARCIMENTO DANNI. GIUDIZIO DI RINVIO.
sul ricorso iscritto al n. 21534/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
e
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-ricorrente-
e
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME
(MSTPTR65M14A944W)
e
NOME
(PTRMHL69L31B519H)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-controricorrente e ricorrente incidentalenonché
COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME E RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (SBSGPP38L26F205E), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-controricorrenti-
e
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-controricorrente-
e
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-controricorrente-
e
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di NAPOLI n. 326/2019 depositata il 24/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il presente giudizio rappresenta il prosieguo, in sede civile, della vicenda, nota alle cronache sportive e giudiziarie con il nome di calciopoli , avente ad oggetto una serie di gravi irregolarità relative al campionato di calcio di serie A nell’anno 2004 -2005. Tale vicenda vide come imputati, in sede penale, alcuni noti personaggi del mondo del calcio, dirigenti di squadre di rilievo nazionale e arbitri delle partite e delle leghe professioniste di appartenenza.
L’indagine, intrapresa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, si concluse con una sentenza di condanna inflitta dal Tribunale di Napoli a carico, tra gli altri, di NOME e NOME COGNOME (Presidente del consiglio di amministrazione e Presidente onorario della Fiorentina), NOME COGNOME (Consigliere delegato della Fiorentina), NOME COGNOME (direttore generale della Juventus), NOME COGNOMEdesignatore arbitrale), NOME COGNOME (arbitro di serie A), NOME COGNOME (Vicepresidente della
Federazione italiana giuoco calcio) e NOME COGNOME (Presidente della Lazio) per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie indeterminata di delitti di frode sportiva e frode in competizioni sportive, conseguente all’alterazione di una pluralità di partite del campionato italiano di calcio di serie A. Unitamente alla condanna penale, il Tribunale condannò gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, ossia la RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE
Impugnata la sentenza di primo grado, la Corte d’appello penale di Napoli riformò in parte la decisione del Tribunale, dichiarando estinti per intervenuta prescrizione una serie di reati (ma non l’associazione a delinquere) e revocando le statuizioni di condanna in favore delle parti civili.
Proposto ricorso per cassazione dagli imputati COGNOME, NOME e NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME -nonché, per i soli effetti civili, dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e Curatela del RAGIONE_SOCIALE -questa Corte, con sentenza 9 settembre 2015, n. 36350, per quanto di interesse in questa sede, annullò senza rinvio la sentenza d’appello dichiarando l’intervenuta prescrizione anche dei reati associativi, annullò la sentenza nei confronti delle parti civili costituite e rinviò al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., anche in ordine alla liquidazione delle spese.
Così conclusa la vicenda penale, il giudizio fu proseguito in sede civile.
In particolare, la RAGIONE_SOCIALE riassunse la causa davanti alla Corte d’appello di Napoli chiedendo il risarcimento dei danni nei confronti degli imputati, sostenendo, tra l’altro, che la rete di irregolarità messa in luce dalle sentenze penali avesse determinato la retrocessione del Bologna in serie B (società della quale la
Victoria 2000 era l’unico azionista). La società chiese il risarcimento alla società della Juventus, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., quale responsabile civile in relazione all’operato del suo direttore generale NOME COGNOME.
Il RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti Brescia) riassunse la causa davanti alla Corte d’appello di Brescia e il RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti Bologna) la riassunse, invece, davanti alla Corte d’appello di Bologna.
Tanto la Corte bresciana quanto quella bolognese si dichiararono incompetenti e, a seguito di tali declinatorie, anche il Brescia e il Bologna riassunsero il giudizio davanti alla Corte napoletana.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 24 gennaio 2019, ha dichiarato estinti i giudizi riassunti dalle società di calcio del Brescia e del Bologna, mentre ha rigettato integralmente le domande risarcitorie avanzate dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti di COGNOME, NOME e NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e le squadre di calcio della Fiorentina s.p.aRAGIONE_SOCIALE e della Juventus Football RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, compensando le spese relative sia al giudizio civile di rinvio sia a quello di annullamento pronunciato da questa Corte in sede penale.
2.1. La sentenza ha esordito affrontando il problema della riassunzione conseguente alle declaratorie di incompetenza pronunciate dalle Corti d’appello di Brescia e Bologna.
A questo proposito, la Corte territoriale ha premesso che il giudizio di rinvio conseguente all’annullamento di una sentenza penale ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. è da ritenere un giudizio riconducibile alla disciplina dell’art. 392 cod. proc. civ., per cui il termine di riassunzione (all’epoca di un anno, secondo il regime ratione temporis applicabile) decorreva dal deposito in cancelleria della sentenza penale (9 settembre 2015) e non dal giorno della lettura del dispositivo in udienza. Pertanto, poiché il
Brescia e il Bologna avevano riassunto davanti alla Corte napoletana soltanto nel maggio e nel novembre 2017, era ampiamente decorso il termine annuale, con conseguente estinzione del giudizio.
La sentenza ha dichiarato esplicitamente di non condividere il principio enunciato dalla Sezione Lavoro di questa Corte nella sentenza 4 giugno 2004, n. 10662, e di condividere, invece, quello enunciato dalla medesima Sezione Lavoro, in consapevole dissenso, nella sentenza 3 aprile 2006, n. 7759. A sostegno di tale tesi, la Corte napoletana ha affermato che il meccanismo sanante della translatio iudicii non può operare «quando a monte della riassunzione ci sia già una sentenza della Suprema Corte che abbia individuato il giudice funzionalmente competente a conoscere la causa». Se la Corte di cassazione indica il giudice competente, trova applicazione l’art. 50 cod. proc. civ., con la conseguenza per cui, se la parte erroneamente riassume davanti ad un giudice diverso, non può operare il meccanismo della translatio iudicii , che ricollega l’efficacia sanante della riassunzione alla circostanza che questa sia fatta davanti al giudice dichiarato competente. In tale ipotesi, quindi, il giudice incompetente adito in riassunzione a seguito della sentenza della Corte di cassazione dovrà dichiararsi tale, ma non potrà fissare un nuovo termine per la riassunzione davanti al giudice competente, rimanendo detto termine quello di cui all’art. 50 del codice di rito.
Sulla base di questa premessa generale, la Corte d’appello ha ritenuto di dover applicare i medesimi principi al caso in cui la Corte di cassazione rinvia la causa, ai sensi dell’art. 383 cod. proc. civ., ad un giudice di pari grado a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, perché in tale ipotesi la parte dovrà riassumere davanti al giudice indicato come competente nella decisione della Corte Suprema. Tra l’altro, ha rilevato la Corte, la differenza dei termini tra l’art. 50 e l’art. 392 cod. proc. civ. è stata eliminata
dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, essendo in entrambi i casi il termine di tre mesi. In definitiva, quindi, poiché la sentenza di cassazione con rinvio ai sensi dell’art. 383 cod. proc. civ. contiene «una statuizione di competenza funzionale e inderogabile», individuando il giudice davanti al quale il giudizio dovrà proseguire, la parte sarà tenuta a riassumere davanti al giudice indicato come competente nella decisione della Corte Suprema; e, in caso di errore, la seconda pronuncia non è idonea a far decorrere un nuovo termine per la riassunzione.
Nel caso specifico, ha concluso la Corte napoletana, era irrilevante il fatto che la sentenza di rinvio emessa dalla Cassazione penale ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. non avesse espressamente indicato come giudice di rinvio la Corte d’appello di Napoli, perché la locuzione di «giudice civile competente per valore in grado di appello» era idonea ad individuare senza incertezze proprio in quella Corte il giudice competente per il giudizio di rinvio a fini civili. In assenza, dunque, di una diversa indicazione da parte della Corte regolatrice, il giudice di rinvio non poteva che essere «quello che ha emesso la sentenza cassata», perché la fase di rinvio in sede civile non si presenta come autonoma rispetto a quella penale, ma ne rappresenta la prosecuzione successiva alla pronuncia di annullamento. In ogni caso, «stante il carattere decadenziale del termine di cui all’art. 393 cod. proc. civ.», l’errore nell’individuazione del giudice competente, ove esistente, avrebbe dovuto sollecitare le parti a chiedere una rimessione in termini, allegando e provando che la decadenza era conseguente ad una causa ad essa non imputabile.
Per il complesso di tali argomenti la Corte d’appello ha dichiarato l’estinzione dei giudizi riassunti dalle squadre del Brescia e del Bologna.
2.2. Risolta la questione procedurale suddetta, la Corte territoriale è passata ad esaminare il merito dell’appello proposto
dalla società RAGIONE_SOCIALE, premettendo che la vicenda oggetto del giudizio penale riguardava il campionato di calcio di serie A nell’anno 2004 -2005, all’esito del quale il Bologna del quale era socio unico la società RAGIONE_SOCIALE -era stato retrocesso in serie B. La tesi sostenuta dalla società appellante era che i fatti di frode sportiva che avevano alterato gli esiti del campionato di calcio, determinando la retrocessione del Bologna, ne avessero completamente svalutato la partecipazione sociale, causando un pregiudizio economico che aveva condotto la società RAGIONE_SOCIALE al fallimento. La pretesa risarcitoria, quindi, si fondava, nell’assunto dell’appellante, in termini di danno da diminuzione di valore del patrimonio sociale, danno da perdita di chance conseguente all’impossibilità di vendere il proprio pacchetto azionario ad un prezzo effettivo di mercato, danno derivante dalla necessità di cedere a costo zero i diritti di utilizzazione dei marchi d’impresa e danno non patrimoniale conseguente alla dichiarazione di fallimento.
2.3. Così inquadrati i termini della domanda risarcitoria, la Corte napoletana ha ricordato che la sentenza di annullamento con rinvio emessa dalla Cassazione penale prendeva le mosse non da una decisione assolutoria, bensì da una declaratoria di intervenuta prescrizione. In simile ipotesi, «il conseguente giudizio civile non patisce alcun tipo di condizionamento e deve, pertanto, estendersi all’intera pretesa risarcitoria», per cui l’onere della prova del fondamento di tale pretesa era interamente a carico della società appellante, la quale era tenuta a dimostrare l’esistenza del nesso di causalità 1) tra gli illeciti sportivi accertati e la retrocessione del Bologna in serie B e 2) tra la retrocessione e i danni patrimoniali e non patrimoniali asseritamente subiti.
Nel caso di specie, la sentenza di rinvio penale aveva enunciato in modo chiaro il principio per cui il reato di frode in competizioni sportive di cui all’art. 1, comma 1, della legge 13
dicembre 1989, n. 401, è un reato di pericolo e non di danno, ossia un reato a consumazione anticipata. La principale condotta fraudolenta contestata agli imputati era stata quella di aver compiuto atti diretti a condizionare la designazione e il sorteggio per l’individuazione di arbitri e assistenti deputati al controllo della regolarità delle competizioni sportive; ragione per cui il meccanismo di alterazione delle regole procedurali della designazione è stato considerato di per sé integrante la fattispecie delittuosa di cui all’art. 1, comma 2, l. cit., «anche in presenza dell’assoluzione degli arbitri che diressero le gare interessate dall’alterazione».
Questi essendo i termini della vicenda, l’annullamento disposto dalla Cassazione penale non poteva essere ritenuto vincolante dal giudice civile, perché la sentenza penale passata in giudicato costituiva un vincolo solo «per quanto concerne l’accertamento dei fatti, ma non con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia». D’altra parte, la stessa sentenza penale di rinvio aveva chiarito che la pronuncia di condanna generica risarcitoria emessa in sede penale «non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, richiedendosi soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso». In sede civile, pertanto, rimaneva ben possibile l’esclusione dell’esistenza stessa di un danno collegato eziologicamente all’evento illecito, dovendo sempre il presunto danneggiato dimostrarne l’esistenza in sede civile.
2.4. Tutto ciò premesso, la Corte napoletana ha osservato che la società RAGIONE_SOCIALE sembrava far derivare «direttamente dal giudicato penale» la prova del nesso di causalità tra i fatti accertati nel processo penale e la retrocessione del Bologna. In altre parole, l’appello non conteneva argomentazioni e circostanze dalle quali dedurre la prova che il meccanismo di alterazione delle regole
procedurali per la designazione degli arbitri avesse «causato una reale alterazione del risultato delle partite e, dunque, della classifica finale del campionato di serie A per l’anno 2004 -2005». Doveva invece ritenersi doveroso dimostrare gli specifici fatti dai quali dedurre che, in assenza della frode sportiva, il risultato finale delle partite e la classifica finale per la squadra del Bologna sarebbero stati diversi, cosa che invece mancava nell’atto di appello.
La linea difensiva tenuta dalla società RAGIONE_SOCIALE, invece, era incentrata principalmente sulla tesi del presunto carattere vincolante del giudicato penale, dimostrando quindi di non tenere nella dovuta considerazione la natura di reato di pericolo della frode sportiva e le specifiche considerazioni contenute nella suindicata sentenza n. 36350 del 2015 della Cassazione penale. Ed infatti in quella decisione la Corte Suprema, pur avendo messo in luce il fenomeno di illiceità generale e diffusa che aveva determinato gravissimi danni alle società costrette alla retrocessione, aveva tuttavia chiarito che la condanna generica emessa in quella sede non era sufficiente a garantire il diritto al risarcimento in favore delle parti civili, potendosi in sede civile pervenire anche ad escludere l’esistenza stessa del danno. In altri termini, la Corte di cassazione aveva annullato la statuizione di rigetto delle istanze risarcitorie delle parti civili «non perché vi fosse la prova del danno e, segnatamente, del nesso di causalità, ma perché per la condanna al risarcimento del danno in sede penale è sufficiente la potenzialità dannosa della condotta illecita accertata».
Dopo aver chiarito nei termini suindicati il rapporto esistente tra la pronuncia di annullamento in sede penale e il giudizio risarcitorio civile, la Corte territoriale ha preso in esame le singole partite i cui risultati sarebbero stati alterati dalle nomine di arbitri di favore e dalle condotte scorrette di questi ultimi, ricordando che
nell’atto di riassunzione la società RAGIONE_SOCIALE aveva richiamato solo tre partite: Fiorentina-Bologna, Bologna-Juventus e LecceParma. Esaminando queste (ed altre) partite, con i relativi arbitri designati, richiamati gli esiti dei giudizi sportivi e del giudizio penale, la Corte napoletana è pervenuta alla conclusione secondo cui mancava la prova «che, in assenza delle frodi sportive, i risultati delle singole partite sarebbero stati diversi certamente, ovvero secondo il criterio del più probabile che non»; e da tale conclusione ha dedotto che mancava comunque la prova del fatto che la classifica finale sarebbe stata diversa e che il Bologna avrebbe evitato realmente la retrocessione in serie B.
A tale riguardo, inoltre, la sentenza ha aggiunto che il Bologna era da anni in crisi economico-finanziaria e che, allo scopo di perseguire una politica di riequilibrio, aveva inevitabilmente diminuito lo spessore tecnico dei suoi giocatori, il che contribuiva alla convinzione secondo cui «il Bologna non retrocesse a causa delle frodi sportive, bensì per una propria intrinseca debolezza». Di conseguenza, mancando la prova del nesso di causalità tra le frodi sportive consumate e il risultato negativo per detta società, la Corte d’appello ha ritenuto di dover rigettare la domanda risarcitoria della società RAGIONE_SOCIALE
2.5. Nel prosieguo della motivazione, poi, la sentenza d’appello ha anche precisato che la società RAGIONE_SOCIALE non era comunque legittimata a chiedere il risarcimento dei danni patiti dalla società del Bologna, della quale era unico azionista.
Facendo applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 24 dicembre 2009, n. 27346, la Corte napoletana ha ricordato che, se una società di capitali viene a subire un danno per effetto dell’illecito di un terzo, pur potendo quest’ultimo incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, il diritto al risarcimento del danno spetta soltanto alla società, e non anche ai singoli soci. Quel
danno potrebbe ripercuotersi sui soci soltanto in termini di danno riflesso, senza contare che ammettere i soci di una società di capitali all’azione per il risarcimento dei danni procurati da terzi alla società medesima potrebbe equivalere anche ad una duplicazione del danno risarcibile. Principi, questi, che, secondo la Corte d’appello, dovevano valere anche quando l’azione risarcitoria venga esperita dal socio che, avendo dismesso tale qualità a seguito della vendita delle proprie azioni, non sarebbe comunque in condizioni di giovarsi del risarcimento eventualmente accordato alla società.
In definitiva, dunque, il danno rivendicato dalla società RAGIONE_SOCIALE siccome derivante dalla partecipazione sociale, non sarebbe comunque risarcibile quale danno indiretto.
2.6. In ultimo, la sentenza ha esaminato la domanda risarcitoria avanzata dalla società RAGIONE_SOCIALE sotto il profilo del danno da perdita di chance .
Ha osservato, in proposito, che tale domanda era stata proposta sia in relazione alla perdita della possibilità di vendere l’intero pacchetto azionario del Bologna ad un prezzo corrispondente al valore dell’ingente investimento profuso sia in relazione alla possibilità di continuare nello sviluppo dei progetti immobiliari collegati all’acquisizione dei marchi della società del Bologna.
La domanda è stata rigettata sotto entrambi i profili suindicati, osservando che anche nel danno da perdita di chance l’onere della prova spetta al danneggiato. Nella specie, i danni prospettati si collegavano sempre alla retrocessione del Bologna in serie B, e poiché quest’ultima non era ricollegabile alle frodi sportive, neppure le prospettate perdite di chances potevano ricondursi al medesimo evento.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli propone ricorso principale il RAGIONE_SOCIALE con atto affidato ad un motivo, nonché ricorsi incidentali il Brescia Calcio
RAGIONE_SOCIALE con atto affidato ad un motivo e la società RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a sei motivi.
La RAGIONE_SOCIALE resiste al ricorso della RAGIONE_SOCIALE con controricorso contenente un motivo di ricorso incidentale e un motivo di ricorso incidentale condizionato.
Al ricorso della RAGIONE_SOCIALE resistono anche, con distinti controricorsi, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME con NOME COGNOME.
Al ricorso del RAGIONE_SOCIALE resistono, con distinti controricorsi, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME con NOME COGNOME.
Al ricorso del RAGIONE_SOCIALE resistono, con distinti controricorsi, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME con NOME COGNOME.
Con atto del 9 maggio 2024 il RAGIONE_SOCIALE ha dichiarato di rinunciare al ricorso.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni per iscritto, chiedendo che venga dichiarato estinto il giudizio di cassazione, per rinuncia, quanto al ricorso principale del Bologna Football club 1909 s.p.a.; che vengano rigettati i ricorsi incidentali del Brescia Calcio s.p.a. e della Victoria 2000 s.r.l.; che venga dichiarato inammissibile il ricorso incidentale della Juventus Football club s.p.a., con assorbimento del ricorso incidentale condizionato di quest’ultima.
Hanno depositato memorie la RAGIONE_SOCIALE, NOME e NOME COGNOME con NOME COGNOME, il RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso del RAGIONE_SOCIALE
1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 50, 382, 383 e 392 cod. proc. civ., per aver ritenuto
inapplicabile l’istituto della translatio iudicii e, di conseguenza, irrilevante la tempestiva riassunzione compiuta davanti alla Corte d’appello di Brescia, dichiaratasi incompetente, ed aver pertanto dichiarato estinto il giudizio di rinvio per tardività della riassunzione.
La censura prende le mosse dal principio di diritto enunciato dalla sentenza n. 10662 del 2004 di questa Corte, non condiviso dalla Corte d’appello di Napoli, secondo il quale la tempestiva riassunzione della causa davanti ad un giudice di rinvio incompetente assicura la valida prosecuzione del processo, anche se la successiva translatio iudicii davanti al giudice competente avvenga oltre il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza rescindente. Quel principio è stato emesso in un giudizio nel quale la Corte Suprema aveva cassato la sentenza d’appello e indicato anche il giudice di rinvio; la sua applicabilità nel caso in esame, del resto, deriverebbe dal fatto che la norma dell’art. 50 cod. proc. civ. è di valenza generale, applicabile a tutte le forme di competenza. Tale connotato comporta, nell’assunto della società ricorrente, che l’istituto della translatio iudicii debba trovare applicazione anche in caso di errore della parte che, chiamata a riassumere il processo davanti al giudice di rinvio in base all’art. 383 cod. proc. civ., l’abbia riassunto davanti ad un giudice incompetente.
La sentenza impugnata sarebbe errata anche nella parte in cui ha ritenuto di poter individuare con certezza il giudice di rinvio laddove, invece, la pronuncia della Cassazione penale non l’aveva indicato. Nella sentenza penale, infatti, non vi è alcuna indicazione al riguardo, essendosi la medesima limitata a rinviare al giudice civile competente per valore in grado di appello. Nel silenzio della Corte di cassazione, quindi, alla luce dell’art. 622 cod. proc. pen., la parte chiamata alla riassunzione avrebbe il compito di individuare quale sia il giudice competente secondo le normali
regole processuali; pertanto, essendo la parte esposta al rischio dell’errore, dovrà trovare applicazione l’art. 50 cod. proc. civ., che è appunto norma di portata generale. Sarebbe parimenti errata l’affermazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha fatto riferimento all’istituto della rimessione in termini, il quale presuppone una decadenza per causa non imputabile alla parte ed è inapplicabile rispetto alle questioni di interpretazione delle norme sulla competenza.
In conclusione, la parte ricorrente ricorda che, per affermazione tanto della giurisprudenza costituzionale che di quella di legittimità, l’istituto della translatio iudicii risponde ad una finalità di effettività della tutela giurisdizionale, per cui l’art. 50 cit. sarebbe norma funzionale al principio del giusto processo e dovrebbe trovare applicazione anche nel caso di riassunzione davanti a giudice incompetente.
Ricorso della RAGIONE_SOCIALE
2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 622 e 627 cod. proc. pen. e degli artt. 392 e ss. cod. proc. civ., in relazione a quella parte della sentenza impugnata nella quale la Corte d’appello non si è conformata alla valenza di decisum da attribuire alla sentenza penale, violando in tal modo le regole in tema di rapporto tra il giudizio penale di annullamento e quello civile di riassunzione.
La società ricorrente censura in questo motivo la parte della sentenza impugnata nella quale la Corte d’appello ha esaminato il problema dell’onere della prova gravante sulla danneggiata e del nesso eziologico tra frode sportiva e retrocessione della squadra del Bologna. Secondo la ricorrente, la sentenza avrebbe violato il decisum costituito dalla pronuncia di annullamento emessa dalla Cassazione penale, non considerando che in caso di annullamento (in sede penale) o cassazione (in sede civile) con rinvio, il giudice
del rinvio non può decidere «su ambiti sui quali la Suprema Corte ha preso posizione vincolante». La Corte d’appello, infatti, benché libera di vagliare l’integrità della domanda risarcitoria proposta, avrebbe dovuto tenere presente, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., che il giudizio di rinvio «non dà vita a un nuovo e ulteriore procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario, da ritenersi unico e unitario». Il carattere chiuso del giudizio di rinvio deve tenere in considerazione l’efficacia preclusiva del giudizio di cassazione, cosa che la Corte d’appello non avrebbe fatto. Pur essendo condivisibile l’affermazione per cui una sentenza di condanna penale può non essere sufficiente ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, specialmente quando si è in presenza di un reato di pericolo, il giudice di rinvio deve «comunque confrontarsi col contenuto specifico della sentenza di annullamento».
Il motivo trascrive alcuni passaggi della sentenza n. 36350 del 2015 di questa Corte, sostenendo che dall’annullamento, disposto in quell’occasione, della sentenza d’appello penale che aveva revocato le statuizioni di condanna in favore delle parti civili deriverebbe un vincolo in proprio favore nel giudizio di rinvio. La citata sentenza n 36350, infatti, contiene in alcuni punti un chiaro riferimento all’accertamento dell’esistenza di un gravissimo sistema di alterazione dei risultati delle partite nell’anno 2004 -2005, sfociato in una condanna in sede di giustizia sportiva che aveva comportato, tra l’altro, la revoca dello scudetto vinto dalla Juventus e il riconoscimento di gravi penalizzazioni a carico di numerose squadre (tra cui la Juventus stessa, retrocessa a titolo sanzionatorio in serie B). La sentenza in esame non avrebbe tenuto presente tutto ciò, limitandosi ad affermare il carattere non vincolante del giudicato penale; elemento ritenuto dalla ricorrente trascurabile, perché la sentenza penale d’annullamento aveva
accertato l’esistenza dell’alterazione del campionato, che si era conclusa con la retrocessione del Bologna.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., dell’art. 2697 cod. civ. e delle regole in tema di onere della prova del nesso di causalità, in relazione alla parte della motivazione della sentenza nella quale la Corte d’appello ha ritenuto che fosse onere della prova della RAGIONE_SOCIALE provare che, in assenza della frode sportiva, il risultato finale delle partite e la classifica finale del campionato sarebbero stati diversi, tali cioè da evitare la retrocessione del Bologna.
Il motivo censura l’impianto della motivazione della sentenza nella parte in cui ha rigettato la domanda risarcitoria della ricorrente per mancanza di prova dell’esito diverso delle partite a causa delle scorrettezze perpetrate e per non avere la ricorrente provato che, senza tali scorrettezze, la squadra del Bologna non sarebbe retrocessa. La RAGIONE_SOCIALE sostiene, al contrario, che il dannoevento conseguente all’agire delle parti convenute si era già concretizzato con l’alterazione del risultato del campionato di calcio in questione, che aveva visto il Bologna finire al terzultimo posto, con conseguente sua retrocessione. La ricorrente osserva che, pacifica essendo tale alterazione, nessun ulteriore obbligo sussisteva a suo carico, perché ragionare come se la retrocessione del Bologna non fosse collegata all’alterazione dei risultati del campionato sarebbe «semplicemente errato». La natura stessa del gioco del calcio, infatti, rende impossibile accertare ex post il risultato di una partita e l’eventuale sua diversità qualora la partita fosse stata giocata in condizioni diverse.
Il motivo contesta poi le modalità di svolgimento del c.d. giudizio controfattuale compiuto dalla Corte d’appello. In presenza di un illecito commissivo -qual è quello di cui si discute -che aveva determinato l’alterazione della classifica finale del
campionato, con conseguente retrocessione del Bologna, la ricorrente sostiene che nessun’altra prova dovesse essere fornita per ammettere la domanda risarcitoria. Oltre tutto, la decisione impugnata si porrebbe in urto frontale anche con la sentenza della giustizia sportiva, la quale aveva comminato alla Juventus la sanzione della retrocessione in serie B e alla Fiorentina una penalizzazione di trenta punti nel campionato di calcio successivo (2005-2006). Ciò significa che, se la giustizia sportiva fosse stata tempestiva, sia la Juventus che la Fiorentina avrebbero dovuto essere retrocesse in serie B, con l’ovvia conseguenza che il Bologna sarebbe rimasto in serie A; già solo tale elemento, del tutto pacifico, dimostrerebbe la sussistenza del danno e l’errore commesso dalla sentenza impugnata.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e degli artt. 1223 e 2056 cod. civ., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Il motivo censura il passaggio della motivazione della sentenza nel quale la Corte d’appello ha affermato che la società ricorrente non era legittimata a chiedere il risarcimento del danno patito dalla società del Bologna, essendo la RAGIONE_SOCIALE socio di quest’ultima. Sostiene la ricorrente che, contrariamente a quanto detto in sentenza, la domanda risarcitoria si fondava non tanto sulla «lesione diretta del valore della partecipazione in sé, quanto piuttosto quale compromissione della libertà contrattuale della Victoria 2000 all’alienazione di tale proprio asset ai valori che sarebbero stati congrui (e diversi) sia in assenza di retrocessione in serie B sia se Victoria 2000 al momento della cessione, avvenuta sostanzialmente nummo uno , avesse avuto conoscenza delle frodi sportive» compiute dalle parti convenute.
La ricorrente premette, richiamando il contenuto dell’atto di appello, che, a seguito dei fatti di cui si discute, essa fu sostanzialmente costretta a vendere a prezzo vile tutto il proprio pacchetto azionario della società del Bologna, essendo nell’impossibilità di versare subito l’ingente somma necessaria per ripianare le perdite e ricostituire il capitale sociale. La cordata di società che riuscì nell’impresa versò, tuttavia, come corrispettivo dell’acquisto, la modesta somma di euro 924.000, a fronte di un valore molto più alto. Di talché l’odierna ricorrente si trovò svuotata di tutte le proprie risorse, tanto che ne fu dichiarato poco dopo il fallimento. E la cessione ebbe luogo prima che emergesse il complesso sistema di illiceità che aveva determinato l’alterazione dei risultati del campionato.
La sentenza impugnata, invece, non avrebbe colto che la domanda risarcitoria aveva ad oggetto non il danno subito dalla società del Bologna, quanto il danno patito dalla Victoria 2000 per aver dovuto vendere precipitosamente tutte le proprie azioni, senza poter scegliere liberamente il momento in cui farlo. Viene richiamata, a sostegno della censura, la sentenza 17 settembre 2013, n. 21255, relativa al noto caso Cir-Fininvest, nel quale la conseguenza dannosa risarcibile fu individuata, rispetto alla corruzione giudiziaria, nella transazione che la Cir dovette stipulare con la Finivest a diverse condizioni pregiudizievoli. L’errore compiuto dalla sentenza impugnata, in altri termini, starebbe nel non aver tenuto presente l’esistenza della lesione di un diritto soggettivo della società Victoria 2000 distinto e diverso da quello della società calcistica del Bologna. Nella scrittura privata del 6 ottobre 2005, infatti, gli acquirenti del pacchetto azionario versarono la somma di 10 milioni di euro per ricapitalizzare il Bologna, e solo la somma di euro 924.000 alla società Victoria 2000; e non aver tenuto in considerazione tale circostanza
determinerebbe anche un vizio di omesso esame di un fatto decisivo.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e motivazione apparente, sempre con riguardo al bene della partecipazione totalitaria della società RAGIONE_SOCIALE nel patrimonio della società del Bologna, sotto il diverso profilo del danno da perdita di chance .
Si contesta in esso la motivazione con cui la Corte d’appello ha escluso, nella specie, l’esistenza di un danno da perdita di chance . Si tratta del profilo, già esaminato nel motivo precedente, relativo alla lesione del diritto della società ricorrente di vendere il proprio pacchetto azionario di partecipazione totalitaria nella società del Bologna in una situazione diversa e più favorevole. Vi sarebbe, secondo la ricorrente, un’anomalia della motivazione, perché il rigetto della domanda sarebbe avvenuto «in forza di argomenti del tutto astratti dalla fattispecie concreta sulla quale invece la Corte avrebbe dovuto decidere», con conseguente omesso esame e omessa decisione sul punto.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e motivazione apparente, in relazione alla voce di danno avente ad oggetto il bene dei marchi e la relativa perdita di chance , con conseguente motivazione apparente.
Il motivo contesta il rigetto della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance in relazione alla necessità di cedere a costo zero i diritti di utilizzazione dei marchi d’impresa acquistati in precedenza dalla società ricorrente. Si sostiene di aver indicato nell’atto di appello che, in occasione della vendita dell’intero pacchetto di azioni della società del Bologna per le ragioni in precedenza indicate, la società RAGIONE_SOCIALE fu costretta a cedere a costo zero, in favore del gruppo di società cessionarie delle azioni,
anche quei diritti di utilizzazione del marchio che erano stati acquistati circa due anni prima al prezzo di 14 milioni di euro. Tale cessione gratuita era stata posta come condizione dal gruppo di società subentranti per accettare di dare corso all’acquisizione delle azioni della società del Bologna.
Rispetto a tale ulteriore voce di danno -che attiene, secondo la ricorrente, alla lesione di un diritto di sfruttamento del marchio che era un bene di diretta proprietà della società RAGIONE_SOCIALE -la sentenza non avrebbe motivato in modo corretto, limitandosi a richiamare le stesse ragioni con le quali era stata rigettata la diversa domanda di danno da perdita di chance in relazione alla migliore vendita della partecipazione societaria.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., error in procedendo in relazione alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.
La ricorrente contesta che la sentenza impugnata, dopo aver indicato (alle pp. 24-25) tutte le voci di danno richieste dalla società RAGIONE_SOCIALE, tra le quali il danno non patrimoniale, non abbia poi più trattato in seguito tale argomento. Si osserva che, qualora il silenzio della Corte d’appello fosse da interpretare come rigetto, si tratterebbe di una motivazione del tutto assente, anche perché quel danno era stato richiesto sulla base della previsione dell’art. 2059 cod. civ., cioè come danno derivante da reato.
Ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sull’eccezione di giudicato.
La società premette, in punto di fatto, di essere stata convenuta in giudizio in sede penale, quale responsabile civile, dal Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva chiesto il
risarcimento dei danni nei confronti di tutti gli imputati, fra i quali NOME COGNOME all’epoca dei fatti direttore generale della Juventus. La posizione di quest’ultima, quindi, era quella del responsabile civile, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., in forza del rapporto di dipendenza esistente fra la stessa e il COGNOME. Tanto il Tribunale penale di Napoli quanto la Corte d’appello di Napoli, pur avendo emesso pronunce di condanna nei confronti degli imputati, tra cui NOME COGNOME, avevano tuttavia respinto la domanda avanzata dalla danneggiata nei confronti della società di calcio della Juventus, rilevando che l’imputato COGNOME aveva agito con un tale grado di autonomia e con una tale ampiezza di finalità criminose da doversi considerare interrotto il rapporto organico di dipendenza tra lui e la squadra sua datrice di lavoro. La sentenza della Cassazione penale n. 36350 del 2015, pur avendo annullato la sentenza penale d’appello con rinvio al giudice civile ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., aveva però confermato il rigetto della domanda avanzata dalla società RAGIONE_SOCIALE contro la società della Juventus; sicché sul punto sarebbe ormai intervenuto il giudicato.
L’esistenza di tale giudicato era stata dalla ricorrente eccepita davanti alla Corte d’appello civile in sede di giudizio di rinvio, ma la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sul punto. Vi sarebbe, dunque, un’omessa pronuncia tradottasi nella violazione del giudicato interno; e poiché l’eccezione di giudicato è un’eccezione di merito, l’omesso rilievo della stessa da parte della sentenza impugnata si tradurrebbe nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che la ricorrente pone come questione preliminare in grado di precludere la possibilità stessa di esaminare, in sede civile, la domanda risarcitoria sostanzialmente già rigettata dal giudice penale.
Ricorso incidentale condizionato della RAGIONE_SOCIALE
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 394 e 325 cod. proc. civ., nonché dell’art. 622 cod. proc. pen., in relazione all’eventuale accoglimento del quinto motivo di ricorso della società RAGIONE_SOCIALE
La società ricorrente rileva che la società RAGIONE_SOCIALE, costituendosi parte civile nel processo penale, aveva chiesto il risarcimento dei danni (quantificati in 32 milioni di euro) indicando come fondamento della domanda la perdita di valore della partecipazione azionaria da essa detenuta nella società del Bologna e l’ammontare del passivo accertato in sede fallimentare. Nessuna pretesa era stata avanzata dalla società RAGIONE_SOCIALE, in sede penale, in relazione alla perdita di valore dei marchi di impresa; domanda che era stata, invece, introdotta per la prima volta nel giudizio civile di rinvio. Dato il carattere chiuso di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 394 cod. proc. civ. e dell’art. 622 cod. proc. pen., in quella sede non si sarebbero potute introdurre domande nuove o diverse. La Juventus pertanto osserva che, qualora dovesse essere accolto il quinto motivo di ricorso della società RAGIONE_SOCIALE -relativo, appunto, al risarcimento del danno da perdita di valore dei marchi d’impresa essa intende proporre ricorso incidentale condizionato per contestare il fatto che la sentenza impugnata abbia rigettato nel merito tale domanda, anziché dichiararla inammissibile, come avrebbe dovuto fare trattandosi di domanda nuova.
La decisione della Corte.
Occorre innanzitutto dare atto che la società del Bologna ha dichiarato di rinunziare al ricorso con atto sottoscritto dal legale rappresentante e amministratore delegato, dott. NOME COGNOME e accettato da alcune delle controparti, il che determina l’estinzione del giudizio di cassazione relativamente a tale parte ricorrente, senza necessità di provvedere sulle spese.
11. Dopo di che, in ordine logico, si deve esaminare l’unico motivo di ricorso della società Brescia Calcio, nel quale si contesta la declaratoria di estinzione del giudizio comminata dalla Corte napoletana. A tale conclusione, come si è detto, la Corte territoriale è giunta sul rilievo per cui la riassunzione conseguente alla decisione della Cassazione penale di annullamento con rinvio al giudice civile in grado di appello, non dando adito a dubbi su quale fosse il giudice competente, non poteva essere regolata dall’art. 50 cod. proc. civ.; il termine per valutarne la tempestività, quindi, doveva essere calcolato assumendo come atto idoneo la sola riassunzione davanti alla Corte napoletana e non quella, antecedente, davanti alla Corte d’appello di Brescia, poi dichiaratasi incompetente.
A sostegno del proprio ricorso la parte adduce una serie di suggestive argomentazioni, alcune delle quali fondate su precedenti di questa Corte in dissenso fra loro.
11.1. Ritiene il Collegio che, senza necessità di ripercorrere tutte le precedenti pronunce richiamate dalle parti a sostegno delle reciproche tesi -con argomenti pregevoli e degni della più attenta considerazione -vada innanzitutto messo in luce come le due risalenti decisioni di questa Corte alle quali si è riportata la Corte territoriale avessero ad oggetto casi piuttosto diversi da quello odierno.
Ed infatti la sentenza n. 10662 del 2004 -secondo cui la tempestiva riassunzione della causa dinanzi a giudice di rinvio incompetente assicura la valida prosecuzione del processo, anche se la successiva translatio iudicii dinanzi al giudice competente a norma dell’art 50 cod. proc. civ. avvenga oltre il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza rescindente -fu assunta in riferimento ad una vicenda molto particolare, nella quale la confusione circa il giudice di rinvio si collegava ad un mutamento
normativo (d.lgs. n. 51 del 1998 sul giudice d’appello nelle cause di lavoro), per cui non giova alla soluzione del caso odierno.
Allo stesso modo, la sentenza n. 7759 del 2006, pronunciata in consapevole dissenso rispetto alla precedente, enunciò sì il principio al quale si è rifatta la Corte d’appello, ma in una fattispecie simile a quella oggetto della sentenza n. 10662 (mutamento del giudice del lavoro in grado di appello a seguito della modifica di cui al d.lgs. n. 51 del 1998), avendo soprattutto di mira l’obiettivo di affermare che l’errore scusabile nell’inosservanza del termine di decadenza non rileva quale istituto generale nella disciplina del processo civile.
La nota sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 14 settembre 2016, n. 18121, alla quale si è richiamata la società del Brescia con una serie di considerazioni, ha enunciato il principio secondo cui l’appello proposto davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall’art. 341 cod. proc. civ. non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della translatio iudicii .
Anche questa pronuncia, tuttavia, non si adatta al caso di specie, perché aveva ad oggetto una vicenda molto particolare, nella quale il dubbio sull’individuazione del giudice competente in grado di appello era insorto a causa della presenza, come attore sostanziale nel giudizio di primo grado, di un magistrato del Tribunale di Milano; situazione, questa, che aveva fatto insorgere nell’appellante il dubbio che il giudice d’appello dovesse essere individuato nella Corte d’appello di Brescia, ai sensi dell’art. 30 -bis cod. proc. civ., trattandosi di causa avente come parte un magistrato.
Vanno piuttosto richiamate, ad avviso del Collegio, le considerazioni contenute nella sentenza 23 gennaio 2012, n. 888,
nella quale questa Corte ha messo in luce la diversità esistente tra la riassunzione della causa innanzi al giudice dichiarato competente dalla Corte di cassazione, a seguito di ricorso ordinario ed in base a decisione sulla sola questione di competenza, e la riassunzione davanti al giudice di rinvio ai sensi dell’art. 392 del codice di rito. Diversità che, è bene ricordarlo, aveva notevole importanza, almeno fino alla modifica dell’art. 392 cit. ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69, attesa la diversità dei termini fissati da tale norma e dall’art. 50 dello stesso codice. In quella sentenza è stata opportunamente rilevata la diversità tra la pronuncia di cassazione che si limiti ad individuare il giudice competente (nel qual caso si applica l’art. 50 cit.) e quella che cassa con rinvio (nel qual caso s’applica l’art. 392 cit., perché il giudizio prosegue dopo la cassazione e non riparte da dov’era prima).
11.2. Tutto ciò premesso, il corretto inquadramento del problema deve muovere dalla fondamentale considerazione per cui il giudizio civile odierno è un giudizio di rinvio, anche se atipico, posto che è stato disposto dalla pronuncia della Cassazione penale ai sensi dell’art. 622 del codice di rito penale.
È opportuno ricordare, al riguardo, che la giurisprudenza di questa Corte è da tempo consolidata nel senso che la sentenza che dispone il rinvio a norma dell’art. 383, primo comma, cod. proc. civ. (cosiddetto rinvio proprio o prosecutorio), contiene una statuizione di competenza funzionale nella parte in cui individua l’ufficio giudiziario davanti al quale dovrà svolgersi il giudizio rescissorio (che potrà essere lo stesso che ha emesso la pronuncia cassata o un ufficio territorialmente diverso, ma sempre di pari grado). Tale principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’ormai non più recente sentenza 27 febbraio 2008, n. 5087, è stato più volte confermato (v., tra le altre, la sentenza 13 gennaio 2016, n. 340, l’ordinanza 5 maggio 2017, n. 11120, e la sentenza
29 gennaio 2021, n. 2114) e deve essere ribadito ulteriormente nella sede odierna.
Più di recente, poi, l’ordinanza 20 gennaio 2022, n. 1841 sebbene pronunciata nella materia, completamente diversa, dell’immigrazione e non massimata dal competente Ufficio di questa Corte -oltre a confermare il carattere di competenza funzionale, ratione materiae , del giudice di rinvio, ha chiarito che «in caso di riassunzione dinanzi ad un giudice diverso da quello designato con la pronuncia di cassazione, non può trovare applicazione il meccanismo previsto dall’art. 50 cod. proc. civ., che consente la prosecuzione del giudizio dinanzi al giudice competente, facendo salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda». Sulla base di tale premessa, l’ordinanza n. 1841 cit. ha rigettato il ricorso contro la sentenza che aveva escluso la scusabilità dell’errore commesso dal ricorrente attraverso la riassunzione del giudizio dinanzi ad un giudice diverso da quello designato ai sensi dell’art. 383 del codice di rito.
Questa giurisprudenza deve trovare applicazione anche in relazione al giudizio di rinvio di cui all’art. 622 cod. proc. pen., a norma del quale la Corte di cassazione, se annulla soltanto le disposizioni o i capi della sentenza penale «che riguardano l’azione civile», «rinvia quando occorre al giudice civile competente in grado di appello, anche se l’annullamento ha ad oggetto una sentenza inappellabile».
11.3. Si possono, a questo punto, tirare le fila del discorso svolto fin qui.
La sentenza della Cassazione penale che ha disposto, nel caso odierno, il rinvio al giudice civile competente in grado di appello è una sentenza che ha aperto la strada ad un giudizio di rinvio; nessun dubbio poteva dunque sussistere in ordine a quale fosse il giudice competente, posto che l’art. 622 cit. fa riferimento al solo criterio del valore e non anche a quello del territorio; e infatti la
sentenza n. 36350 del 2015 della Terza Sezione Penale di questa Corte ha ripetuto esattamente la formula prevista dalla legge.
Appaiono corrette, dunque, le considerazioni contenute nel controricorso COGNOME dove si rileva, tra l’altro, che il principio della translatio iudicii opera solo quando a monte della scelta di radicare la causa davanti ad un giudice incompetente non vi è una specifica indicazione del giudice davanti al quale la causa deve proseguire in riassunzione. È evidente, invece, che nel nostro caso l’intervenuta decisione della Cassazione penale ed il rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello aveva individuato con esattezza quale fosse il giudice di rinvio, e non poteva in alcun modo dubitarsi che la sentenza avesse indicato un giudice diverso da quello che aveva emesso la sentenza annullata.
Dalla giurisprudenza penale, d’altronde, non emergono indicazioni in senso diverso; e poiché la sentenza penale di secondo grado proveniva dalla Corte d’appello di Napoli, il rinvio civile non poteva che svolgersi davanti alla medesima Corte d’appello; correttamente, pertanto, la sentenza qui impugnata ha ritenuto che ai fini della valutazione della tempestività della riassunzione dovesse assumere rilievo non quella davanti alla Corte d’appello di Brescia, certamente tempestiva, ma soltanto quella davanti alla Corte napoletana, altrettanto certamente tardiva.
11.4. Dal complesso di tutte queste considerazioni deriva che il ricorso della società Brescia Calcio deve essere rigettato.
Si deve passare, questo punto, ad esaminare il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, cominciando dai motivi primo e secondo che, nonostante le diversità tra loro esistenti, possono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’evidente connessione che li unisce.
12.1. È opportuno innanzitutto tener presente che la pronuncia della Cassazione penale che ha disposto il giudizio civile di rinvio davanti alla Corte d’appello di Napoli è una sentenza che ha
dichiarato la prescrizione dei reati con applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen., nello stesso tempo annullando le statuizioni della sentenza d’appello che aveva revocato le condanne in favore delle parti civili costituite disposte dal giudice di primo grado.
Trova pertanto applicazione al caso in esame il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui in tema di giudicato, la disposizione di cui all’art. 652 cod. proc. pen., così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 dello stesso codice, costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima), pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente; ne consegue, altresì, che, nel caso da ultimo indicato il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione (sentenza 26 gennaio 2011, n. 1768, ribadita, tra le altre, dalla sentenza 9 ottobre 2014, n. 21299, e dall’ordinanza 12 giugno 2024, n. 16422).
È parimenti principio ormai acquisito, nella più recente giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui il giudizio civile che si svolge in sede di rinvio ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. gode di piena autonomia rispetto a quello penale, dovendosi
svolgere con le regole del giudizio civile. È stato infatti già affermato che nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 cit. si determina una piena translatio del giudizio sulla domanda civile, sicché il giudice civile competente per valore, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, applica le regole processuali e probatorie proprie del processo civile e, conseguentemente, adotta, in tema di nesso eziologico tra condotta ed evento di danno, il criterio causale del più probabile che non e non quello penalistico dell’ alto grado di probabilità logica , anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio (così la sentenza 12 giugno 2019, n. 15859, confermata, tra le altre, dalle sentenze 25 giugno 2019, n. 16916, 15 ottobre 2019, n. 25917, nonché dalle ordinanze 20 gennaio 2022, n. 1754, 21 agosto 2023, n. 24954).
Tale giurisprudenza, che ha rappresentato una svolta innovativa rispetto all’orientamento precedente, risulta essere stata recepita anche dalla giurisprudenza penale di questa Corte (si veda, per tutte, Sezioni Unite, sentenza 28 gennaio 2021, n. 22065, dep. 4 giugno 2021, COGNOME, Corte costituzionale, sentenza n. 182 del 2021).
12.2. Alla luce di questi orientamenti devono essere vagliati il primo e il secondo motivo di ricorso della società RAGIONE_SOCIALE
Essi muovono dalle seguenti premesse: 1) il giudizio penale, pur essendosi concluso con una declaratoria di prescrizione, ha comunque dato atto dell’esistenza del reato di frode sportiva; 2) da quel giudizio è risultato accertato, anche se non in modo vincolante, che nello svolgimento del campionato di calcio di serie A nell’anno 2004 -2005 si erano verificate numerose e gravi irregolarità, tali da determinare una decisiva alterazione della classifica finale; 3) nel giudizio civile di rinvio, quindi, l’odierna ricorrente non era tenuta dimostrare, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’appello, che dalla complessiva rete di
illiceità emersa fosse derivata l’alterazione dei risultati di alcune partite, perché il fatto delle condanne intervenute in sede sportiva avrebbe dovuto essere considerato elemento sufficiente a ritenere esistente un danno risarcibile; 4) il giudizio controfattuale compiuto dalla Corte d’appello sarebbe, pertanto, viziato da un’erronea valutazione della portata del giudicato penale e da una serie di premesse giuridicamente non corrette.
12.3. Queste considerazioni, come facilmente si comprende, non trovano conforto nella giurisprudenza civile poc’anzi richiamata.
Ed in verità, proprio il fatto che il giudizio penale si fosse concluso con una declaratoria di prescrizione faceva sì che il successivo giudizio civile di rinvio fosse sostanzialmente libero da vincoli. La sentenza di questa Corte n. 36350 del 2015 cit. ha chiaramente spiegato che la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza, desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità, di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando perciò impregiudicato l’accertamento riservato al giudice civile sulla liquidazione e l’entità del danno, ivi compresa la possibilità di escludere l’esistenza stessa di un danno eziologicamente collegato all’evento illecito. D’altra parte, discende dalla circostanza che il reato di frode sportiva è un reato di pericolo e dall’espressa previsione dell’art. 539 cod. proc. pen. che il giudice penale, «se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile»; e la condanna generica non preclude al giudice di rinvio di escludere del tutto l’esistenza di un
danno risarcibile (v. punto 74.8 della motivazione della sentenza n. 36350 del 2015).
Tale premessa ha condotto la sentenza n. 36350 del 2015 più volte citata a concludere nel senso che (punto 104.4) «la sussistenza del reato produce, quale conseguenza inevitabile, l’insorgenza di un danno anche di tipo potenziale che, in quanto conseguenza dell’accertamento dell’illecito penale, non può non essere -quantomeno -una forma di danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), salvo il potere del giudice civile di accertare con compiutezza di elementi la sussistenza del danno, di valutarne la tipologia e determinarne l’ammontare, seguendo, ovviamente, le regole probatorie civilistiche per la sua quantificazione».
La Corte d’appello di Napoli, in sede di rinvio, ha preso le mosse, del tutto correttamente, dalle suindicate affermazioni della pronuncia penale ed ha di conseguenza stabilito che nessun vincolo poteva derivare da quella, per cui nella sede di rinvio si doveva accertare proprio se e in quali limiti la società oggi ricorrente avesse provato l’esistenza del danno. Appare quindi del tutto condivisibile, oltre che ineccepibile in punto di diritto, la premessa logica dalla quale ha preso avvio il ragionamento svolto dalla Corte napoletana là dove ha affermato che la società RAGIONE_SOCIALE doveva provare «l’esistenza del nesso di causalità tra gli illeciti sportivi accertati e la retrocessione del Bologna in serie B e tra la retrocessione del Bologna e i danni patrimoniali e non patrimoniali asseritamente subiti» (p. 27). Va da sé che la complessa vicenda delineata dal processo penale ben consentiva al giudice civile di accedere alle conclusioni raggiunte in quella fase attraverso un riesame del materiale ivi raccolto; ma questo non significa che vi fosse una qualche forma di vincolo.
La necessità di verificare, in concreto, l’assolvimento dell’onere della prova secondo le regole del processo civile ha condotto la sentenza impugnata ad esaminare le singole partite e le singole
nomine arbitrali, una per una, per valutare se la sussistenza del reato di frode sportiva avesse condotto all’alterazione del risultato finale. Ed è bene mettere in luce che la società RAGIONE_SOCIALE non si è neppure in minima parte preoccupata di confutare la ricostruzione compiuta dalla sentenza impugnata là dove la Corte d’appello ha esaminato minuziosamente una serie di partite ed è pervenuta, con motivate argomentazioni, alla conclusione per la quale gli eventi di frode sportiva accertati non avevano determinato, in pratica, alcun significativo mutamento della classifica finale.
La sostanziale indifferenza dei primi due motivi qui in esame rispetto alla concretezza del fatto generatore del danno finisce per esporre il ricorso al rilievo -fondato -per cui in sostanza la parte ricorrente tenta di far derivare la prova del danno in via automatica e vincolante dalla sentenza penale; che è quanto, tra l’altro, la sentenza impugnata aveva criticamente già messo in evidenza in riferimento alla domanda avanzata nel giudizio di rinvio (v. pp. 3435 della motivazione).
Risponde alla logica della responsabilità civile, del resto, senza che sia il caso di soffermarsi a ripetere concetti del tutto pacifici, che essa abbia carattere ripristinatorio e non punitivo, per cui il danneggiato è tenuto a provare, con onere integralmente a suo carico, che tale danno esista e che sia causalmente collegabile all’inadempimento o al ritardo (per usare la formula dell’art. 1223 cod. civ., unica disposizione sul nesso di causalità esistente in quel codice). Ed è di solare evidenza che l’esclusione di un vincolo derivante dal giudicato penale rende non prospettabile anche solo l’idea di un vincolo derivante dalle decisioni della giustizia sportiva.
Dal complesso di queste argomentazioni risulta l’infondatezza del primo motivo di ricorso, perché non c’è alcuna violazione dei vincoli derivanti al giudice di rinvio dalla sentenza della Cassazione penale, nonché anche del secondo, perché non c’è violazione delle
regole sulla causalità, che il giudice civile di rinvio ha applicato, come da pacifica giurisprudenza suindicata, secondo le regole civilistiche.
Il primo ed il secondo motivo del ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, pertanto, devono essere rigettati.
13. Si deve passare, a questo punto, ad esaminare il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, i quali possono essere trattati congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione che li unisce.
Ritiene il Collegio, innanzitutto, che vada richiamato il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, qualora una società di capitali subisca, per effetto dell’illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l’incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell’illecito (sentenza 24 dicembre 2009, n. 27346).
A questo principio, ribadito anche in seguito (v., tra le altre, la sentenza 14 febbraio 2012, n. 2087), va data ulteriore continuità nel giudizio odierno; il che viene a significare che correttamente la sentenza impugnata ha definito irrisarcibile il danno subito dalla società RAGIONE_SOCIALE benché socio unico, in quanto danno indiretto derivante dalla partecipazione al capitale sociale della società del Bologna.
Non a caso, infatti, l’odierna ricorrente ha spostato, per così dire, il fuoco dell’indagine, sostenendo nell’odierno ricorso che la sentenza impugnata non avrebbe colto la vera natura della
domanda, la quale aveva ad oggetto non tanto il danno derivante dalla perdita di valore del capitale sociale del Bologna, quanto piuttosto quello derivante dalla lesione della propria libertà contrattuale, intesa come libertà di vendere la partecipazione azionaria in un momento migliore (terzo e quarto motivo).
Analogamente, nel quinto motivo si contesta la decisione in relazione al diverso, ma tuttavia assimilabile profilo, del danno derivante dalla perdita dei diritti di utilizzazione dei marchi d’impresa, acquistati in precedenza e successivamente venduti ad un prezzo vile al gruppo subentrante nella proprietà del Bologna, sempre in conseguenza degli episodi di frode sportiva qui in discussione.
Nei controricorsi si è contestata l’ammissibilità di questa domanda, sostenendone la tardività soprattutto in relazione al quarto motivo; ma è opportuno rilevare che la Corte d’appello, senza attardarsi ad esaminare il profilo dell’eventuale novità, ha comunque scrutinato la domanda nel merito, dichiarandola infondata sul rilievo per cui, poiché il danno da perdita di chances dipendeva, nella specie, «dalla retrocessione del Bologna in serie B», esclusa l’esistenza del nesso di causalità tra le frodi sportive e tale retrocessione, anche quell’ulteriore voce di danno era da escludere.
Ritiene la Corte che -lasciando da parte ogni verifica sulla possibile novità della domanda conseguente al dubbio se essa sia stata davvero proposta fin dal primo grado -la motivazione della Corte napoletana sia totalmente da confermare.
Si deve osservare, infatti, che la sentenza ha correttamente esaminato la domanda in relazione a quello che è il vero fondamento della stessa, e cioè la prospettazione del danno come perdita di chance . La lesione della libertà contrattuale, infatti, è descritta dalla società ricorrente in termini di perdita della possibilità di vendere il pacchetto azionario senza l’urgenza
determinata dalla retrocessione in serie B. Altrettanto è da dire in relazione alla censura del quinto motivo, relativo alla vendita dei marchi.
La sentenza impugnata non si è limitata ad osservare, come si è detto, che la mancanza del nesso di causalità tra le frodi sportive e la retrocessione del Bologna escludeva certamente il danno da perdita di chance . Nella precedente motivazione, infatti, era stato già messo in evidenza (p. 49) che la società del Bologna era da anni in crisi economico-finanziaria, tanto che aveva perseguito una politica «di riequilibrio» del bilancio che aveva determinato «una diminuzione dello spessore tecnico della squadra». La Corte d’appello ha tratto tale argomento dall’esame della relazione resa dallo stesso consiglio di amministrazione della società del Bologna a conclusione dell’anno 2004 -2005, dalla quale non traspariva «alcuna sorpresa per l’avvenuta retrocessione, ma piuttosto la consapevolezza che quello poteva essere un epilogo possibile per una squadra che già nel precedente campionato era scivolata nelle zone medio-basse della classifica», proprio in virtù della scelta compiuta verso il risanamento dei conti societari.
Il complesso di questi argomenti, che i motivi di ricorso qui in esame sostanzialmente non smentiscono, dimostra in modo abbastanza evidente l’infondatezza dell’assunto di fondo della società ricorrente, cioè quello secondo cui la vendita del pacchetto azionario e dei diritti di marchio sarebbe stata compiuta precipitosamente e in un momento quanto mai sfavorevole, proprio a causa dell’avvenuta retrocessione.
La Corte napoletana, inoltre, ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte in materia di danno da perdita di chance (v. per tutte le sentenze 9 marzo 2018, n. 5641, e 19 settembre 2023, n. 26851, peraltro dettate entrambe in materia di responsabilità sanitaria), che nella specie sarebbe una chance di carattere patrimoniale.
La suindicata giurisprudenza ha affermato, tra l’altro, che nella materia qui in esame l’attività del giudice deve tenere distinta la dimensione della causalità da quella dell’evento di danno e deve altresì adeguatamente valutare il grado di incertezza dell’una e dell’altra, muovendo dalla previa e necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta e l’evento, secondo il criterio civilistico del più probabile che non , e procedendo, poi, all’identificazione dell’evento di danno, la cui riconducibilità al concetto di chance postula una incertezza del risultato sperato, e non già il mancato risultato stesso, in presenza del quale non è lecito discorrere di una chance perduta, ma di un altro e diverso danno. È evidente, proprio alla luce di questo principio, come l’esclusione dell’evento di danno a monte (nei termini di cui si è detto a proposito dei motivi di ricorso primo e secondo) rende corretta la decisione impugnata là dove ha escluso anche la prova del possibile risultato sperato.
Da tanto consegue che i motivi terzo, quarto e quinto del ricorso della società RAGIONE_SOCIALE sono privi di fondamento.
Rimane da esaminare, infine, il sesto motivo di ricorso della società RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto il mancato risarcimento del danno non patrimoniale.
Tale motivo, quando non inammissibile, è comunque privo di fondamento.
Si osserva, al riguardo, che la censura è formulata in modo dubitativo, poiché la stessa parte ricorrente dichiara di non sapere se la sentenza abbia o meno risposto sul punto e prospetta la questione per l’ipotesi in cui dovesse ritenersi che la sentenza impugnata abbia deciso nel merito anche tale questione, sulla quale nulla si dice nella motivazione.
Tuttavia, anche volendo tralasciare la possibile ragione di inammissibilità derivante dalle modalità di prospettazione della censura -eccepita nel controricorso COGNOME -la Corte ritiene che il motivo sia infondato, in base alla semplice osservazione per
cui dall’insieme delle ragioni addotte dalla sentenza impugnata per il rigetto della domanda di danno patrimoniale emerge con indubbia chiarezza che anche la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale è stata implicitamente esaminata e rigettata.
15. Ci si deve soffermare, giunti a questo punto, sui due ricorsi incidentali proposti dalla società della Juventus.
La Corte osserva, al riguardo, che il totale rigetto del ricorso della società RAGIONE_SOCIALE determina l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato, che non va esaminato.
Quanto all’unico motivo del ricorso incidentale vero e proprio, la questione esige qualche chiarimento. La società della Juventus ha insistito, anche in memoria, rilevando che il passaggio in giudicato del rigetto della domanda avanzata contro di essa ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., quale responsabile civile dell’operato di NOME COGNOME, precluderebbe in assoluto la possibilità di avanzare una domanda risarcitoria nei suoi confronti. Su tale questione, posta in via preliminare davanti al giudice di rinvio, la Corte napoletana non si è pronunciata, mentre avrebbe dovuto farlo con priorità alla luce dell’insegnamento inaugurato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 6 marzo 2009, n. 5456, più volte ribadita in seguito.
Il Collegio rileva, tuttavia, che, pur trattandosi di una censura processualmente corretta, può trovare applicazione nel caso odierno quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte in altra decisione, secondo cui, in applicazione del principio processuale della ragione più liquida, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale (sentenza 8 maggio 2014, n. 9936, più volte confermata). E poiché l’integrale rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata dalla società RAGIONE_SOCIALE, ormai irrevocabile, esclude comunque ogni possibilità di
accoglimento della stessa nei confronti della società della Juventus, anche il ricorso incidentale da quest’ultima proposto può non essere esaminato.
16. In conclusione, va dichiarata l’estinzione del giudizio di cassazione, per rinuncia, quanto alla s.p.a. Bologna Football club 1909; vanno rigettati i ricorsi del Brescia Calcio s.p.a. e della Victoria 2000 s.r.l., in tal modo rimanendo assorbiti il ricorso incidentale e il ricorso incidentale condizionato proposti dalla s.p.a. Juventus Football club.
Ritiene la Corte, tuttavia, che in considerazione della lunghezza e complessità dell’intera vicenda processuale, della gravità del quadro complessivo emerso dalla sentenza penale n. 36350 del 2015 di questa Corte -che ha evidenziato una serie di episodi di frode sportiva -sussistano ragioni di giustizia tali da compensare integralmente le spese del presente giudizio di cassazione tra tutte le parti.
Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti Brescia Calcio s.p.a. e Victoria 2000 s.r.l., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto, mentre analogo versamento va escluso per la s.p.RAGIONE_SOCIALE Bologna Football club 1909, stante la sua rinuncia al ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’estinzione del giudizio di cassazione, per rinuncia, in relazione alla s.p.a. Bologna Football club 1909; rigetta i ricorsi del Brescia Calcio s.p.a. e della Victoria 2000 s.r.l., dichiara assorbiti il ricorso incidentale e il ricorso incidentale condizionato proposti dalla Juventus Football club s.p.a., e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte dei ricorrenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza