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Risarcimento frode sportiva: onere della prova

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di risarcimento frode sportiva derivante da un noto scandalo calcistico. La Corte ha rigettato le richieste di due società, una per un vizio procedurale di tardiva riassunzione del giudizio, l’altra per non aver provato il nesso di causalità tra la frode e la retrocessione subita. L’ordinanza chiarisce che spetta al danneggiato dimostrare che, senza l’illecito, l’esito del campionato sarebbe stato diverso, e ribadisce l’inammissibilità della richiesta di danni da parte del socio per un pregiudizio diretto alla società (danno riflesso).

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Risarcimento frode sportiva: l’onere della prova secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su una delle pagine più complesse del diritto sportivo e civile, definendo i contorni del risarcimento frode sportiva. La decisione offre chiarimenti fondamentali sull’onere della prova a carico di chi chiede i danni e sulla corretta procedura da seguire per la riassunzione del giudizio civile dopo un annullamento con rinvio da parte della Cassazione penale. Questo caso, nato da un vasto scandalo che ha alterato un campionato di calcio, stabilisce principi rigorosi per chi si ritiene danneggiato da illeciti sportivi.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un’indagine penale che ha svelato un sistema di gravi irregolarità volte a condizionare l’esito del campionato di calcio di massima serie nella stagione 2004-2005. A seguito del procedimento penale, conclusosi in parte con la prescrizione dei reati, alcune società calcistiche che avevano subito la retrocessione e la società holding controllante di una di esse, hanno avviato azioni civili per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non.

Una delle società ha riassunto la causa dinanzi a una Corte d’Appello territorialmente incompetente, per poi adire quella corretta solo dopo la scadenza del termine di legge. La società holding, invece, ha agito per il risarcimento del danno derivante dalla svalutazione della sua partecipazione sociale e dalla perdita della possibilità di venderla a un prezzo di mercato equo.

La Corte d’Appello di merito aveva dichiarato estinto il primo giudizio per tardiva riassunzione e rigettato nel merito la domanda della holding, non ritenendo provato il nesso causale tra le frodi e la retrocessione della squadra controllata.

La Decisione della Corte di Cassazione e il risarcimento frode sportiva

La Suprema Corte ha esaminato i ricorsi proposti, confermando in toto la decisione di secondo grado e fornendo importanti principi di diritto.

La Questione Procedurale: L’Estinzione del Giudizio per Tardiva Riassunzione

La Corte ha stabilito che, quando la Cassazione penale annulla una sentenza ai soli fini civili e rinvia al “giudice civile competente per valore in grado di appello”, individua una competenza funzionale e inderogabile. Tale giudice era chiaramente identificabile nella stessa Corte d’Appello che aveva pronunciato la sentenza penale cassata.

Di conseguenza, la parte non poteva beneficiare dell’istituto della translatio iudicii. La riassunzione tempestiva davanti a un giudice incompetente non è idonea a salvare il processo dalla decadenza. L’errore nella scelta del giudice ha quindi comportato, correttamente, la declaratoria di estinzione del giudizio per decorrenza dei termini.

La Questione di Merito: L’Onere della Prova nel risarcimento frode sportiva

Il punto cruciale della decisione riguarda la domanda di risarcimento avanzata dalla società holding. La Cassazione ha chiarito che, in un giudizio civile che segue un processo penale conclusosi con una prescrizione, il giudice civile ha piena autonomia nella valutazione dei fatti. La parte che chiede il risarcimento ha l’onere di provare, secondo il criterio del “più probabile che non”, l’esistenza di un nesso di causalità diretto tra l’illecito (la frode sportiva) e il danno lamentato (la retrocessione).

Non è sufficiente dimostrare l’esistenza di un sistema di frode. Il danneggiato deve fornire la prova concreta che, in assenza di tali condotte illecite, i risultati delle singole partite e, di conseguenza, la classifica finale, sarebbero stati diversi al punto da evitare la retrocessione. La Corte d’Appello ha compiuto un’analisi fattuale e ha concluso, con motivazione ritenuta congrua dalla Cassazione, che tale prova non era stata fornita, attribuendo la retrocessione anche a una “intrinseca debolezza” della squadra.

Il Danno Riflesso del Socio e la Perdita di Chance

Infine, la Corte ha ribadito un principio consolidato in materia di diritto societario. Il socio, anche se unico, non può agire direttamente per ottenere il risarcimento di un danno che ha colpito in via primaria il patrimonio della società (cosiddetto danno riflesso). La svalutazione della partecipazione sociale è una conseguenza indiretta del pregiudizio subito dalla società controllata.

Anche la richiesta formulata in termini di “perdita di chance” (la perdita dell’opportunità di vendere le azioni a un prezzo migliore) è stata rigettata. Tale danno, infatti, era comunque collegato alla retrocessione, evento di cui non era stato provato il nesso causale con la frode sportiva.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la propria decisione sulla base di una rigorosa applicazione dei principi processuali e sostanziali. In primo luogo, la designazione del giudice del rinvio da parte della Cassazione crea un vincolo di competenza funzionale che non ammette errori, pena l’estinzione del processo. In secondo luogo, nel contesto del risarcimento frode sportiva, l’autonomia del giudizio civile impone al danneggiato di assolvere pienamente all’onere probatorio sul nesso causale, senza poter fare automatico affidamento sugli accertamenti, peraltro non definitivi, del processo penale. Il giudice civile deve condurre un’indagine autonoma e controfattuale. Infine, è stato riaffermato il netto confine tra il danno diretto alla società e il danno riflesso subito dal socio, negando a quest’ultimo la legittimazione ad agire.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Per le società e gli investitori nel mondo dello sport, essa chiarisce che ottenere un risarcimento per illeciti sportivi è un percorso complesso che richiede prove rigorose e specifiche. Non basta allegare l’esistenza di una frode a livello di sistema; è necessario dimostrare come quella frode abbia concretamente e direttamente causato il danno specifico. Dal punto di vista processuale, la decisione sottolinea l’importanza di individuare con esattezza il giudice del rinvio indicato dalla Cassazione, poiché un errore può risultare fatale e precludere definitivamente la tutela del proprio diritto.

Chi ha l’onere della prova in una causa civile per risarcimento danni da frode sportiva, quando il processo penale si è concluso con una prescrizione?
L’onere della prova grava interamente sulla parte che chiede il risarcimento. Questa deve dimostrare, secondo il principio civilistico del ‘più probabile che non’, il nesso di causalità diretto tra la frode e il danno specifico subito (es. la retrocessione), poiché il giudice civile non è vincolato dagli accertamenti del processo penale conclusosi senza una condanna nel merito.

Se la Corte di Cassazione rinvia una causa a un giudice civile, un errore nell’individuare tale giudice può essere sanato?
No. Secondo la Corte, la designazione del giudice del rinvio da parte della Cassazione stabilisce una competenza funzionale inderogabile. La riassunzione della causa davanti a un giudice diverso da quello indicato, anche se fatta tempestivamente, non impedisce la decorrenza del termine perentorio. L’errore non è sanabile tramite il principio della translatio iudicii e comporta l’estinzione del giudizio se la riassunzione davanti al giudice corretto avviene tardivamente.

Il socio di una società di calcio può chiedere direttamente il risarcimento per i danni che hanno causato la retrocessione della squadra e la svalutazione delle sue quote?
No, non direttamente. La Corte ha ribadito che il pregiudizio subito dal socio a causa della svalutazione delle sue quote è un ‘danno riflesso’ del danno diretto subito dalla società. La legittimazione a chiedere il risarcimento per il danno al patrimonio sociale spetta unicamente alla società stessa, non ai singoli soci.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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