Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21545 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21545 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27048/2019 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 294/2018 della Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, depositata il 4.7.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME subì, nel 1984, l’occupazione d ‘urgenza, da parte dell’Amministrazione provinciale di Sassari, di una porzione di terreno di sua proprietà sita in Comune di Sennori e destinata alla costruzione di una nuova strada provinciale. All ‘occupazione d’urgenza non fece mai seguito il decreto di espropriazione, sicché , realizzata l’opera pubblica, l’attuale ricorrente convenne in giudizio l’ente locale per chiederne la condanna al risarcimento dei danni provocati per la perdita della proprietà del l’area e per il deprezzamento della proprietà residua, nonché al pagamento dell’indennità dovuta per la legittima occupazione durante il quinquennio di efficacia del provvedimento provvisorio.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Sassari -per quanto qui interessa -condannò l’amministrazione provinciale al risarcimento del danno quantificato in € 114.975, in linea capitale, senza liquidare alcuna indennità per l’occupazione legittima.
La decisione del Tribunale venne impugnata da entrambe le parti e la Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, riuniti i giudizi, in parziale riforma della sentenza di primo grado rideterminò in € 87.628 (valore alla data della domanda giudiziale) il danno da perdita della proprietà del terreno irreversibilmente trasformato e in € 8.100 il danno corrispondente al costo per il ripristino dei muretti a secco preesistenti sulla proprietà residua, escluso un ulteriore danno da deprezzamento di tale proprietà.
Contro la sentenza della Corte territoriale, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in nove motivi.
L’Amministrazione provinciale di Sassari si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia un vizio « ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( error in iudicando ) con riferimento agli artt. 40 legge n. 2359/1865 (oggi art. 33 d.P.R. n. 327/2001), 2043, 2056 e 1223 c.c.».
Il motivo riguarda il mancato riconoscimento, da parte della Corte territoriale, di un danno da deprezzamento delle due porzioni di terreno rimaste in proprietà della ricorrente. Si mette in evidenza che le disposizioni di legge che si assumono violate prevedono che sia indennizzabile in caso di espropriazione -e quindi risarcibile in caso di illegittima ablazione della proprietà -anche il pregiudizio consistente nella diminuzione di valore subita dal l’area residua , non espropriata, a causa della sua separazione dalla parte definitivamente acquisita alla proprietà demaniale e all ‘uso di pubblica utilità.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’Appello non ha affatto messo in discussione le norme e il principio di diritto invocati dalla ricorrente. Ha invece accertato, in fatto (e sulla scorta delle c.t.u. esperite sia in primo che in secondo grado), che nel caso di specie la separazione della porzione di terreno di cui la ricorrente ha perso la proprietà non ha determinato alcun danno -in termini di diminuzione di valore -alle porzioni di terreno rimaste in sua proprietà.
L’accertamento del fatto è di per sé insindacabile in sede di legittimità e, in ogni caso, le critiche alla decisione di merito sotto questo profilo non possono dare consistenza a una pretesa violazione di norme di diritto e veicolare una denuncia del vizio contemplato nell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .
In definitiva, la ricorrente sostiene che le aree rimaste in sua proprietà hanno subito una diminuzione di valore a causa della loro separazione dall ‘area occupata dall’opera pubblica. La Corte d’Appello, in esito all’istruttoria, ha accertato il contrario. Tale accertamento in fatto non contraddice la regola di diritto secondo cui una simile riduzione di valore, ove sussistente, deve essere indennizzata o risarcita al privato dalla pubblica amministrazione.
Il secondo motivo di ricorso muove una censura ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. «per nullità della sentenza -error in procedendo -in relazione alla violazione degli artt. 115, 132 e 118 disp. att. c.p.c. -Motivazione apparente».
Anche questo motivo si sofferma sul mancato riconoscimento di un danno da deprezzamento dei fondi residui, questa volta sotto il diverso profilo della ritenuta assenza di una motivazione sul punto da parte del giudice del merito.
2.1. Il motivo è infondato.
La critica si sofferma, in particolare, sul tema del carattere intercluso o meno delle due porzioni di fondo rimaste in proprietà della ricorrente, contestandosi l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui ci sarebbe stato accordo tra le parti sulla constatazione, in sede di c.t.u., che entrambi i fondi erano in realtà accessibili e non interclusi.
Occorre ricordare il costante orientamento di questa Corte -a partire dalla sentenza delle Sezioni unite n. 8053/2014 -secondo cui il vizio di omessa motivazione sussiste, in termini che ne consentono la sindacabilità in Cassazione, soltanto nel caso di riduzione al di sotto del «minimo costituzionale», ravvisabile se vi è «mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico», ovvero «motivazione apparente» o «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» o, infine, «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.
Ebbene, nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato in modo comprensibile il suo giudizio sul fatto della inesistenza di un deprezzamento dei terreni residui, sia con riferimento alla non interclusione dei fondi, sia con riguardo, più in generale, alla esclusione di «qualsiasi mutamento della situazione di fatto» tra prima e dopo la vicenda ablativa. La motivazione non si esaurisce nel mero rilievo della mancanza di contestazioni sulle risultanze della c.t.u., fermo restando che tale rilievo -in quanto riferito all’assenza di «alcuna specifica contestazione» -contiene un insindacabile apprezzamento sul contenuto delle difese della ricorrente.
In ogni caso, non è qui -e non può essere -in discussione la qualità della motivazione della sentenza impugnata, ma soltanto la presenza di una motivazione sull’assenza di un danno da deprezzamento della proprietà residua della ricorrente. Ed è semplice constatare che la sentenza, anche su questo specifico aspetto, è motivata.
Il terzo motivo ravvisa un vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( error in iudicando ) con riferimento agli artt. 2043, 2056 e 1223 c.c.».
Oggetto di attenzione è, in questo caso, la liquidazione della voce di danno consistente nel costo per la ricostruzione dei muretti a secco sulla proprietà residua della ricorrente.
3.1. Il motivo presenta lo stesso profilo di inammissibilità già affrontato con riferimento al primo motivo.
La Corte d’Appello, all’esito dell’istruttoria, ha accertato in € 8.100 il costo del ripristino dei muretti a secco. Secondo la ricorrente (e il suo consulente tecnico) il costo sarebbe molto più alto (€ 52.000 per la sola manodopera ed € 10.000 per il materiale).
Non si vede davvero come da questo contrasto sul fatto e sull’esito dell’istruttoria possa scaturire, nella sentenza impugnata, un vizio di violazione delle norme di diritto che impongono al responsabile di risarcire il danno e di risarcirlo in misura pari al l’effettivo e integrale pregiudizio patrimoniale subito dal danneggiato. La Corte territoriale ha accertato, in fatto, un certo pregiudizio patrimoniale e ha conseguentemente statuito, in diritto, che quel pregiudizio dovesse essere risarcito, condannando l’Amministrazione provinciale di Sassari al relativo pagamento.
Anche il quarto motivo prospetta un vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( error in iudicando ) con riferimento agli artt. 2043, 2056 e 1223 c.c.».
Al quarto motivo è abbinato, con un’unica illustrazione, il quinto, che è rubricato come vizio ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., «per nullità della sentenza -error in procedendo -in relazione alla violazione degli artt. 115, 132 e 118 disp. att. c.p.c. -Motivazione apparente».
6. I due motivi ricalcano -questa volta con riferimento al valore della porzione di terreno di cui la ricorrente ha perso la proprietà -le medesime censure mosse nel primo e nel secondo motivo con riguardo al valore attribuito ai terreni residui.
In sostanza, con il quarto motivo si pretende di qualificare come vizio di violazione di norme di diritto quella che in effetti è, nella sua parte principale , una critica all’accertamento del fatto sub specie di accertamento di valore dell’immobile . Il motivo è pertanto inammissibile in parte qua , salvo quanto si vedrà in seguito con riguardo a uno specifico aspetto che tra poco sarà affrontato.
Il quinto motivo è infondato, perché prospetta un vizio di «motivazione apparente» (ovverosia di assenza di una effettiva motivazione) in una sentenza che, invece, anche in parte qua , è evidentemente motivata, al di là di qualsiasi apprezzamento sulla qualità e sulla sufficienza della motivazione. In particolare, il giudice d’appello ha avallato l’esito della c.t.u. da lui disposta e basata sull’adozione del criterio comparativo con il valore di mercato di fondi con caratteristiche analoghe a quelle del terreno ablato. La ricorrente contesta -non il metodo comparativo, bensì -la scelta degli immobili comparabili. Ma ancora una volta si deve rilevare che l’asserita manca nza di analitica risposta alle contestazioni del c.t.p. in merito alla scelta dei comparabili nulla toglie al fatto che nella sentenza
impugnata è presente una motivazione anche su questo aspetto.
Né può concretare un vizio di nullità della sentenza il mancato accoglimento di un’istanza di un ordine di esibizione che la Corte d’Appello ha ritenuto irrilevante e comunque inammissibile perché formulata con riferimento a una indistinta categoria di documenti, ovverosia tutte le «concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Sennori in zone artigianali analoghe a quelle dell’area per cui è causa» (sulla discrezionalità del giudice del merito nell’emanazione dell’ordine di esibizi one, di regola non sindacabile in sede di legittimità, v. Cass. nn. 27412/2021; 22196/2010; 2262/2006).
6.1. Il quarto motivo, accanto alla inammissibile critica all’accertamento del fatto, contiene, tuttavia, anche una censura in diritto, che risulta fondata.
La ricorrente si duole che il giudice del merito, abbia accertato un determinato valore del bene alla data della relazione del c.t.u., per poi ricondurlo all ‘epoca della domanda giudiziale «con il solo utilizzo degli indici ISTAT» (pag. 27 del ricorso per cassazione). In effetti, l’adozione di tale metodo è confermata dalla lettura della sentenza impugnata, ove si legge che è stato accertato «un valore venale di mercato alla data del 3.2.2014 di € 136 .875, da devalutare alla data della domanda (aprile 1994) secondo gli indici ISTAT per un valore di € 87.628» (pag. 12).
Ebbene, questa Corte ha già avuto più volte occasione di affermare che « Il mercato immobiliare risente … di variabili macroeconomiche diverse dalla fluttuazione della moneta nel tempo, anche se a questa parzialmente legate, e di condizioni
microeconomiche dettate dallo sviluppo edilizio di una determinata zona, che sono avulse dal valore della moneta »; con la conseguenza che « è inammissibile l’accertamento del valore del fondo attraverso la comparazione con il prezzo di immobili omogenei in un periodo diverso dalla data dell ‘esproprio (o dell’occupazione illegittima), riportando poi il dato monetario a ritroso mediante uso delle tabelle Istat, le quali riflettono le variazioni dei prezzi al consumo, ma non tengono conto delle quotazioni di mercato degli immobili » (Cass. n. 15412/2019, che cita a sua volta Cass. nn. 18556/2015, 12213/2012, 17462/2011, 14031/2000).
Alla luce del principio affermato da Cass. S.u. n. 735/2015 (al quale giustamente si è attenuta la Corte territoriale nel caso di specie), il riferimento alla data dell’esproprio o dell a occupazione illegittima va sostituito con quello alla data della domanda di risarcimento implicante rinuncia abdicativa alla proprietà; ma, a parte questo, il principio della inapplicabilità degli indici ISTAT per ricostruire il valore del bene alla data rilevante rimane perfettamente valido ed è stato violato nella sentenza impugnata.
Il sesto motivo censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( error in iudicando ) con riferimento all’ art. 20 legge n. 865/1971 e agli artt. 1173, 2946 e 2948 c.c.».
La ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia dichiarato prescritto il diritto al pagamento dell’indennizzo per il periodo di occupazione legittima (perché legittimata dall’iniziale provvedimento d’urgenza) , applicando al diritto in questione il
termine di prescrizione breve quinquennale e non il termine ordinario decennale.
7.1. Il motivo è fondato.
La Corte d’Appello ha dato per scontato che la prescrizione fosse quella breve quinquennale, senza indicare la norma di deroga al termine ordinario decennale che ha inteso applicare.
In realtà, non trattandosi di obbligazione da fatto illecito (art. 2947, comma 1, c.c.), né di un’unica obbligazione da «pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi» (art. 2948, n. 4, c.c.), deve essere qui ribadito il costante orientamento secondo cui il proprietario ha diritto di pretendere il pagamento dell’indennità « al termine di ciascuna annualità di occupazione: dal quale inizia pertanto a decorrere il termine decennale di prescrizione ad essa relativo » (Cass. n. 22913/2010).
Il settimo motivo denuncia, quale « error in procedendo », ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la pretesa «nullità della sentenza … in relazione alla violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. -Omessa pronuncia».
La ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia escluso «che sia stata formulata la domanda di risarcimento del danno per indebita occupazione per il periodo dal 1989 al 1994 neppure con particolare riguardo al terreno oggetto di irreversibile trasformazione del fondo, rispetto al quale è stato chiesto esclusivamente il valore venale del bene occupato dalla strada».
La ricorrente conferma di non avere proposto un’esplicita domanda di risarcimento del danno per il periodo di occupazione
illegittima, ma sostiene che la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare implicita tale domanda in quella di risarcimento del danno da perdita della proprietà dell’immobile , in quanto questa era stata formulata -sulla scorta della giurisprudenza dominante prima di Cass. S.u. n. 735/2015 -sul presupposto che la perdita della proprietà fosse intervenuta, per effetto della irreversibile trasformazione del suolo, durante la occupazione legittima; una volta intervenuto il nuovo orientamento giurisprudenziale per cui la perdita della proprietà risultava spostata in avanti dal momento della cessazione della occupazione legittima a quello della domanda giudiziale per la condanna al risarcimento del danno (ovverosia, nel caso di specie, dal 1989 al 1994), la Corte avrebbe dovuto considerare oggetto di domanda anche il danno da perdita di godimento nel periodo intermedio.
8.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente pone, qualificandola impropriamente come denuncia del vizio di omessa pronuncia, una questione di interpretazione della domanda da parte del giudice dell ‘appello ; interpretazione che essa non condivide, proponendone una alternativa, ma senza indicare un vizio logico nella motivazione della sentenza sul punto.
Occorre allora ribadire che « l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito che non incorre in un vizio procedurale quando ‘ha svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere’. In tal caso, ‘il dedotto errore del giudice non si configura come ‘error in procedendo’, ma attiene al momento logico relativo
all’accertamento in concreto della volontà della parte’ » (Cass. n. 27181/2023, che cita, a sua volta, Cass. nn. 26454/2021; 1545/2016; 8953/2006; 3702/2006).
L’ottavo e il nono motivo censurano la decisione sulle spese di lite: il primo sotto il profilo di una prospettata violazione di legge; il secondo in termini di nullità della sentenza per mancanza di motivazione sul punto.
9.1. Tali due ultimi motivi sono assorbiti dal parziale accoglimento dei precedenti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, che travolge anche la decisione sulle spese.
In definitiva, l’ accoglimento del ricorso per quanto di ragione comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e il rinvio alla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, per decidere, in diversa composizione, anche sulle spese legali del presente giudizio di legittimità, attenendosi ai seguenti, già consolidati, principi di diritto:
« ai fini delle liquid azione dell’indennità di esproprio per pubblica utilità o del risarcimento del danno da perdita della proprietà di un fondo nell’ambito di una procedura di esproprio non culminata nel provvedimento finale, il criterio del valore venale del bene è rispettato avendo riguardo al momento della perdita della proprietà, mentre non è consentito determinare quel valore in un momento diverso (quale quello dell’esperimento peritale), riportando poi il dato monetario a ritroso mediante uso delle tabelle ISTAT, le quali riflettono le variazioni dei prezzi al consumo, ma non tengono conto delle quotazioni di mercato degli immobili »;
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il quarto motivo di ricorso, per quanto di ragione, nonché il sesto motivo; rigetta il secondo e il quinto motivo; dichiara inammissibili il primo, il terzo e il settimo motivo, assorbiti l’ottavo e il nono; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, anche per decidere sulle spese legali del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima