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Risarcimento del danno e prelazione: la prova decisiva

Una società affittuaria di un’azienda di distribuzione carburanti ha citato in giudizio la società concedente per la violazione del diritto di prelazione. La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno per mancato guadagno, sottolineando che l’attore non aveva fornito prove concrete del pregiudizio subito. La sentenza chiarisce che, per ottenere il risarcimento del danno, non basta dimostrare l’inadempimento, ma è necessario provare l’esistenza effettiva del danno (‘an’), non potendo il giudice ricorrere a una valutazione equitativa in assenza di tale prova fondamentale.

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Risarcimento del Danno e Prelazione: La Prova è Regina

Quando un diritto di prelazione viene violato, si può ottenere un risarcimento del danno? La risposta è sì, ma a una condizione fondamentale: bisogna provare concretamente il danno subito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’analisi chiara sull’onere della prova nel caso di mancato guadagno, o lucro cessante. Vediamo insieme i dettagli di questa importante decisione e le sue implicazioni pratiche per le imprese.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un contratto di affitto d’azienda relativo a un impianto di distribuzione di carburanti. Nel contratto era inclusa una clausola che garantiva alla società affittuaria un diritto di prelazione sull’azienda in caso di un nuovo contratto di affitto.

Alla scadenza del contratto, la società concedente, dopo aver inviato la disdetta, ha affittato l’azienda a una terza società, ignorando il diritto di prelazione della precedente affittuaria. Quest’ultima ha quindi agito in giudizio, chiedendo un cospicuo risarcimento del danno per il mancato guadagno che avrebbe realizzato nei sei anni successivi se avesse potuto continuare l’attività.

Il Percorso Giudiziario

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda, interpretando la clausola in modo restrittivo. La Corte d’Appello, invece, ha riformato parzialmente la sentenza, riconoscendo la violazione del diritto di prelazione. Tuttavia, ha respinto la richiesta di risarcimento, ritenendo che la società affittuaria non avesse fornito prove sufficienti del danno effettivamente subito.

Insoddisfatta, la società ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel richiedere una prova così rigorosa, specialmente in un contesto di danno da lucro cessante.

Il risarcimento del danno e la decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale della motivazione risiede nella distinzione tra la prova dell’esistenza del danno (an) e la prova del suo ammontare (quantum).

I giudici hanno chiarito che il risarcimento del danno da lucro cessante non può basarsi su una mera “astratta possibilità” di guadagno. Al contrario, deve fondarsi su una situazione concreta che renda la perdita economica attendibile e probabile. La valutazione equitativa del danno da parte del giudice, prevista dall’articolo 1226 del Codice Civile, può intervenire solo dopo che il danneggiato ha provato, anche in modo presuntivo, che un danno si è effettivamente verificato. In altre parole, se manca la prova dell’esistenza del danno, non c’è nulla da quantificare, neanche in via equitativa.

Le motivazioni

La Corte ha evidenziato diverse carenze probatorie da parte della società ricorrente:

1. Mancata manifestazione di interesse: Non era stato dimostrato un reale interesse a rinnovare il contratto di affitto.
2. Assenza di prove documentali: La società non aveva prodotto i bilanci relativi agli anni successivi alla cessazione del contratto, che avrebbero potuto dimostrare una diminuzione degli utili o dei ricavi. I bilanci degli anni precedenti non sono stati ritenuti sufficienti per proiettare un mancato guadagno futuro.
3. Nessuna prova di alternative svantaggiose: Non è stato provato che la società non avesse trovato un’altra sede per la sua attività o che avesse dovuto accettare condizioni più onerose, subendo una perdita di avviamento commerciale.

In sostanza, la ricorrente si è limitata a presentare conteggi unilaterali e proiezioni di guadagno “virtuali”, senza ancorarli a dati di fatto concreti. La Cassazione ha concluso che la lamentela si traduceva in una richiesta di rivalutazione delle prove, attività preclusa in sede di legittimità.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di responsabilità contrattuale: chi chiede il risarcimento del danno ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa. La violazione di un diritto, come quello di prelazione, è solo il primo passo. Per ottenere una compensazione economica, è indispensabile fornire al giudice elementi concreti e attendibili che dimostrino l’effettiva perdita subita. Le semplici ipotesi o le proiezioni astratte non sono sufficienti a fondare una condanna al risarcimento. Le imprese devono quindi essere diligenti nel documentare non solo l’inadempimento della controparte, ma anche le conseguenze economiche negative che ne derivano direttamente.

Quando si ha diritto al risarcimento del danno per la violazione di un patto di prelazione su un’azienda?
Si ha diritto quando si dimostra non solo la violazione del patto da parte del concedente, ma anche l’esistenza di un danno concreto e attuale. È necessario provare che, a causa della violazione, si è subito un pregiudizio economico effettivo, come un mancato guadagno.

È sufficiente dimostrare la violazione del diritto di prelazione per ottenere un risarcimento liquidato in via equitativa dal giudice?
No, non è sufficiente. La valutazione equitativa del danno da parte del giudice è possibile solo se il danneggiato ha prima provato che un danno esiste (l'”an” della pretesa). In assenza di questa prova fondamentale, il giudice non può procedere a nessuna liquidazione, neanche equitativa.

Quali prove concrete deve fornire chi chiede il risarcimento per mancato guadagno (lucro cessante)?
La parte deve fornire prove che dimostrino una situazione concreta e attendibile di perdita economica. Secondo la sentenza, sarebbero state utili prove come la produzione di bilanci attestanti la riduzione di utili o ricavi dopo la cessazione del rapporto, la dimostrazione di aver cercato senza successo altre sedi o di averle trovate a condizioni peggiori, o la prova di una perdita dell’avviamento commerciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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