Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8758 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 8758  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6489/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE,  domiciliato  digitalmente  ex  lege,  rappresentato  e difeso  dall’avvocato  NOME  COGNOME  (CODICE_FISCALE)
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente  domiciliato  in  INDIRIZZO,
presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente  incidentale- avverso  SENTENZA  di  CORTE  D’APPELLO  MILANO  n.  65/2023 depositata il 17/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 15 maggio 2020, RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE davanti al Tribunale di Busto Arsizio, esponendo che in data 29 gennaio 2004 le due società avevano sottoscritto un contratto di affitto di azienda avente ad oggetto un impianto di distribuzione carburanti, nel quale era stato costituito, in favore dell’attrice un diritto di prelazione sull’azienda. Tale patto sarebbe stato disatteso da RAGIONE_SOCIALE che, dopo avere inviato disdetta, aveva affittato l’azienda a una terza società, RAGIONE_SOCIALE. Sulla base di tali elementi chiedeva accertarsi la violazione del diritto di prelazione, la condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 668.222 a titolo di risarcimento del danno per mancato guadagno per i sei anni decorrenti dal 2020 al 2026.
Si costituiva in giudizio la società convenuta chiedendo il rigetto della azione e spiegando domanda riconvenzionale per il pagamento della somma di euro 34.730 relativa al mancato versamento dei canoni di affitto per il trimestre, da ottobre a dicembre 2019.
Disposto  il  mutamento  del  rito,  il  Tribunale  di  Busto  Arsizio,  con sentenza  del  27  aprile  2022,  rigettava  la  domanda  principale, accoglieva  quella  riconvenzionale  e,  accertato  l’inadempimento  di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE condannava la
prima al pagamento della somma di euro 34.730 oltre interessi e spese di lite.
Secondo il Tribunale la questione centrale riguardava l’interpretazione della clausola numero 15 del contratto del 29 gennaio 2004, modificato in data 1° gennaio 2010. Sulla base del tenore letterale le parti avrebbero costituito un patto di prelazione nel senso che la concedente RAGIONE_SOCIALE, nel caso di conclusione di un nuovo contratto di affitto tra le medesime parti, avrebbe attribuito a COGNOME il diritto di prelazione per l’acquisto dell’azienda, ma solo nel caso di cessione a terzi. Si sareb be trattato, pertanto, di una prelazione rispetto alla cessione del contratto.
Avverso  tale  decisione  proponeva  appello  RAGIONE_SOCIALE  con  atto depositato il 24 maggio 2022 deducendo la violazione dei criteri di interpretazione  negoziale  e  lamentando  la  condanna  alle  spese processuali.  Si  costituiva  RAGIONE_SOCIALE  chiedendo  rigetto dell’appello.
La Corte d’appello di Milano con sentenza del 17 gennaio 2023 in parziale riforma della decisione del Tribunale, accertava la violazione da  parte  di  RAGIONE_SOCIALE  del  diritto  di  prelazione  di  cui all’articolo 15, ma rigettava la domanda di risarcim ento, provvedendo sulle spese.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandosi  a  cinque  motivi,  illustrati  da  memoria.  Resiste  con controricorso  RAGIONE_SOCIALE,  spiegando  ricorso  incidentale condizionato  sulla  base  di  due  motivi.  Entrambe  le  parti  hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 380 -bis .1 c.p.c.
Motivi della decisione
Con  il  primo  motivo  del  ricorso  principale  si  deduce,  ai  sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. la violazione degli articoli 1223 e 2056 c.c.,  con  riferimento  al  diritto  di  prelazione  convenzionale  nella fattispecie prevista all’articolo 2562 c.c. La Corte t erritoriale avrebbe erroneamente ritenuto che, in  caso  di  violazione  della  clausola  di
prelazione  di  affitto  d’azienda,  l’affittuario  pretermesso  dovesse provare il danno subito sulla base di criteri incompatibili con la natura del lucro cessante nei contratti di durata, con ciò discostandosi dagli insegnamenti della corte di legittimità.
Al contrario la violazione del patto di prelazione sarebbe equivalente all’inadempimento contrattuale per cui il danno risarcibile è pari al vantaggio patrimoniale che il beneficiario avrebbe tratto dal fatto di essere preferito al terzo.
Il motivo è infondato.
La  corte  territoriale  ha  fatto  corretta  applicazione  del  principio secondo cui il risarcimento del danno da lucro cessante richiede la prova del nesso causale e del pregiudizio effettivo e non può fondarsi sul  piano  ipotetico  dell’astratta  possibilità  di  l ucro  bensì  deve muovere da una situazione concreta e consenta di ritenere fondata e attendibile questa possibilità.
Rileva la Corte territoriale, che COGNOME non ha documentato di avere manifestato il proprio interesse al rinnovo contrattuale per cui la Corte territoriale ha rilevato che in assenza della produzione dei bilanci attestanti l’ammontare degli utili o soltant o dei ricavi dedotti dall’esercizio dell’attività di distribuzione del carburante e in assenza di atti di interesse al rinnovo contrattuale ha desunto che la società ‘verosimilmente ha reperito altra sede per l’esercizio della propria attività condizioni ritenute convenienti oppure ha ritenuto di dismettere l’attività. Sicché il lamentato danno appare ancora più carente del dato della effettività’.
Difetterebbe,  in  concreto,  la  prova  della  capacità  di  stipulare  il contratto alle stesse condizioni economiche di Karepetrol. La Corte territoriale  ha  aggiunto  che  la  parte  non  ha  documentato  di  ‘non aver potuto svolgere altrove la medesima attività, né di averla svolta condizioni più gravose o a fronte di una sensibilità perdita dell’avviamento commerciale. COGNOME non ha prodotto in giudizio i propri bilanci eventualmente accompagnati da una relazione di parte
dimostrativa -a livello di principio di prova- della riduzione dei ricavi correlati  alla  dismissione  dell’attività  per  cui  è  causa’.  Sotto  tale profilo non assume rilievo la previsione del termine di 12 mesi per esercitare il diritto di prelazione perché in corso di causa la parte avrebbe potuto depositare i bilanci più recenti per confrontarli con quelli precedenti e verificare una eventuale riduzione degli utili.
La censura si traduce in una richiesta di valutazione delle prove e di selezione delle risultanze istruttorie al fine di sorreggere la motivazione della decisione. Si tratta di apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati alle parti, poiché il controllo del giudice della legittimità è limitato alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cass, 12 agosto 2022, n. 24800).
L’illustrazione prospetta la violazione delle norme indicate nell’intestazione solo conseguenza della sollecitazione a questa Corte a rivalutare la quaestio facti e, dunque, si pone al di fuori della logica del vizio ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.
Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, numero tre c.p.c., la violazione l’articolo 1226 c.c. La Corte d’appello avrebbe erroneamente sostenuto che nel caso di violazione della clausola di prelazione  di  affitto  d’azienda,  l’affittuari o  pretermesso  non  sia ammesso  alla  prova  del  danno  in  via  equitativa,  dovendo  egli dimostrare l’esistenza certa o altamente verosimile di un pregiudizio concreto.
Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata.
La decisione impugnata ha escluso la valutazione equitativa ritenendo che COGNOME non avesse dimostrato l’ an della pretesa che costituisce il presupposto per la applicabilità dell’articolo 1226 c.c.
La Corte territoriale ha evidenziato che ‘la parte appellante si è limitata a proporre in comunicazione alla Corte propri conteggi-di formazione unilaterale-attinenti alla quantità di carburante venduta (ricavi) e alle potenziali proiezioni di guadagno. Dati virtuali che non possono venire in considerazione neppure per la valutazione in via equitativa del danno, in assenza della dimostrazione dell’an della pretesa’, ciò in applicazione dei principi consolidati di questa corte (Cass. 18 marzo 2022, n. 8941).
Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, c.p.c.), per aver erroneamente ritenuto la  Corte  d’Appello  che  i  bilanci  della  ricorrente  non  erano  stati prodotti  in  giudizio,  avendo,  pertanto,  omesso  di  valutare  detta prova agli atti di causa che -ove esaminata -avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda, vale a dire sulla prova del danno.
Il  motivo  è  inammissibile  perché  con  la  sua  prospettazione  parte ricorrente deduce un ipotetico errore revocatorio ex art. 395 n. 4 c.p.c.  sostenendo  che  il  giudice  avrebbe  errato  nel  ritenere  non prodotta in giudizio documentazione decisiva (Cass. Sez. 2, 11/06/2018, n. 15043, Rv. 649170 – 01).
A prescindere da ciò, la censura sarebbe comunque infondata.
La Corte territoriale ha preso in esame i bilanci prodotti, ma quelli relativi al periodo precedente (anni 2014-2019), evidentemente ritenendo insufficiente tale produzione poiché il pregiudizio avrebbe dovuto riferirsi agli anni successivi in termini di mancato guadagno. Ciò si desume dal contenuto della decisione impugnata che a pag. 4, nel riportare le conclusioni di COGNOME, precisa che, dopo il rilascio dell’immobile ‘COGNOME chiedeva, accertata la violazione del diritto di prelazione nella stipula del nuovo contratto di affitto di azienda, la condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 668.222,46 a titolo di risarcimento del danno per mancato guadagno per i sei anni decorrenti dal 2020 al 2026′.
Sotto tale profilo il richiamo della Corte territoriale va riferito alla mancata produzione dei bilanci relativi agli anni successivi.
Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n.4 c.p.c., la violazione l’articolo 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza per vizio di motivazione, apparente o contraddittoria. La Corte territoriale dopo avere enunciato i principi ai quali avrebbe dovuto attenersi, avrebbe omesso di fornire una spiegazione sulla ragione per la quale tali principi sarebbero stati disattesi, motivando invece su questioni estranee e non pertinenti.
Il motivo è infondato.
L’argomentazione centrale della Corte territoriale si fonda sul difetto di elementi probatori. COGNOME non avrebbe in alcun modo manifestato il proprio interesse al rinnovo contrattuale. Sulla base delle risultanze processuali la Corte ha desunto che ‘a fro nte della disdetta impartita, nel termine di sei mesi dalla data di scadenza del termine, COGNOME avrebbe similmente reperito altra sede per l’esercizio la propria attività condizioni ritenute convenienti oppure ha ritenuto di dismettere l’attività’.
Le  argomentazioni  della  Corte,  pertanto,  non  violano  il  minimo costituzionale e non possono considerarsi contraddittorie o mancanti, avendo il giudice di appello precisato che le allegazioni di COGNOME  erano  idonee  anche  ai  fini  di  una  liquidazione  equitativa. Deve  escludersi  pertanto  che  ricorra  la  mancanza  assoluta  di argomentazioni o l’ipotesi di contrasto tra affermazioni inconciliabili o incomprensibili.
Tanto non esime dal rilievo che per una certa parte il motivo si basa su elementi aliunde rispetto alla motivazione, il che non è consentito: si vedano i dicta delle Sezioni Unite nelle note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.
Con l’ultimo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c., la violazione di articoli 91 e 92 del codice di rito. La Corte avrebbe
emesso condanna nei confronti di COGNOME con riferimento alle spese di entrambi gradi di giudizio nonostante la riforma della sentenza del tribunale, censurando proprio le ragioni che avevano condotto alla condanna di COGNOME in primo grado.
In sostanza, mentre il Tribunale ha rigettato la domanda di COGNOME sulla base dell’interpretazione della clausola contrattuale relativa alla prelazione, ritenendo insussistente un diritto di prelazione, la Corte d’appello  ha  ritenuto  sussistente  tale  dirit to,  ma  ha  escluso  la risarcibilità del danno. Pertanto, la totale censura della decisione di primo grado avrebbe dovuto condurre ad una diversa regolamentazione delle spese di lite.
Il  motivo  è  infondato.  La  Corte  ha  deciso  sulla  base  del  principio giurisprudenziale secondo cui la statuizione sulle spese deve tenere conto dell’esito complessivo del giudizio ed in questo caso COGNOME è soccombente  in  entrambi  i  gradi  del  giudizio  (Cass.  8.8.2019  n. 21172).
Il ricorso principale deve essere, conclusivamente, rigettato.
Il  ricorso  incidentale  è  subordinato  all’accoglimento  del  ricorso principale e pertanto è assorbito dalla sua sorte.
Tanto rende inutile riferire i motivi che lo sorreggevano.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va  dato  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 201 2, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per  il  ricorso,  a  norma  del  comma  1-bis  dello  stesso  art.  13,  se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M .
La  Corte  rigetta  il  ricorso  principale  e  dichiara  assorbito  quello incidentale condizionato.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore della controricorrente in € 8.000 voci per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte