Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16370 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16370 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
Oggetto: Preliminare vendita – Qualificazione Vendita a terzi bene – Risarcimento.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 03734/2020 R.G. proposto da NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata telematicamente presso l’indirizzo PEC del difensore.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, NOMECOGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio legale RAGIONE_SOCIALE
-controricorrenti –
e contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME
-intimati – avverso la sentenza n. 1101/2018 della Corte d’Appello di Messina, del 17/12/2018 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/2/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. Con citazione del settembre 1987, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, premesso che, con contratto del 24/12/1985, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano promesso di vendere ad COGNOME NOME alcuni immobili di loro proprietà, dietro pagamento del prezzo complessivo di lire 350 milioni, di cui lire 100 milioni da versare al verificarsi della duplice condizione del rilascio della concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato di quattro piani fuori terra, oltre cantinato e attico, e del rilascio dell’immobile da parte degli inquilini, e la restante parte in due rate successive all’atto pubblico, che il promissario acquirente non aveva onorato gli impegni assunti, avendo omesso di versare la rata al verificarsi delle due condizioni, e si trovava in condizioni economiche precarie e che per la realizzazione del progetto avevano stipulato altro preliminare con altro imprenditore, convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Messina, il predetto COGNOME al fine di ottenere la risoluzione per inadempimento del citato contratto preliminare o, in subordine, il suo annullamento per errore essenziale sulla qualità del contraente.
Intervennero nel giudizio NOME e NOME aderendo alle domande attoree.
Costituendosi in giudizio, COGNOME NOME, evidenziando che i COGNOME avevano venduto a terzi gli immobili compromessi in vendita, chiese il risarcimento del danno per inadempimento dei venditori.
Con separata citazione notificata il 19/9/1987, COGNOME NOME convenne in giudizio COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, chiedendo l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto e il risarcimento dei danni.
Riuniti i giudici, il Tribunale di Barcellona P.G., davanti al quale il giudizio era stato riassunto, rigettò, con sentenza n. 181/2014, la domanda ex art. 2932 cod. civ. e quella di risoluzione per inadempimento e accolse, invece, quella subordinata di annullamento del contratto per errore sulla qualità del contraente.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, questi ultimi in qualità di eredi di COGNOME NOME, con la sentenza n. 1101/2018, pubblicata il 17/12/2018, con la quale la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigettò la domanda di annullamento del contratto avanzata da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e condannò i predetti, oltre a COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, e COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, erede a sua volta di COGNOME NOME, alla restituzione, pro quota , della somma di euro 4.805,05, oltre a interessi legali dal 1/10/1986, in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, confermando per il resto la sentenza e compensando le spese di lite.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME si sono difesi con controricorso, illustrato anche con memoria. Sono, invece, rimasti intimati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano omesso di pronunciarsi sulla richiesta declaratoria di inadempimento a carico dei COGNOME, ritenendo che la domanda ex art. 2932 cod. civ., pur in presenza dei presupposti per il suo accoglimento, siccome non necessitante dell’offerta di pagamento perché soddisfatta dalla proposizione della domanda di esecuzione in forma specifica, dovesse essere rigettata in quanto i promittenti venditori RAGIONE_SOCIALE avevano già venduto l’immobile ad un terzo, COGNOME Salvatore, con atto pubblico del 21/8/1987. Ad avviso della ricorrente, il comportamento dei promittenti venditori integrava gli estremi della sopravvenuta impossibilità della prestazione per cause imputabili al venditore, il quale avrebbe dovuto rispondere per dolo o colpa in caso di volontarietà dell’inadempimento, sicché i giudici di merito avrebbero dovuto prendere espressa posizione sul punto, mentre si erano pronunciati soltanto in termini impliciti e/o di presunzione di colpa ex lege , con conseguente omessa pronuncia sul punto.
1.2 Il primo motivo è infondato.
L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – allorché la domanda sia ovviamente ammissibile, non conseguendo in tal caso l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (Cass., Sez. 5, 16/7/2021, n. 20363) -, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo -ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n.4, cod. proc. civ. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e
al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello (Cass., Sez. L, 13/10/2022, n. 29952; Cass., Sez. 5, 31/7/2024, n. 21444).
Tale omissione non è però ravvisabile nella specie.
I giudici di merito, nell’enucleare i motivi d’appello, hanno, infatti, preso atto delle censure specificamente riguardanti l’accertamento dell’adempimento dell’appellante e, correlativamente, dell’inadempimento delle sue controparti, evidenziate nel secondo e quarto motivo (pag. 5 del ricorso), e hanno implicitamente risolto la questione in senso sostanzialmente favorevole alla ricorrente, avendo ritenuto che la proposizione della domanda costituisse in sé offerta di pagamento, stante la coincidenza temporale tra pagamento e atto pubblico pattuita nel preliminare, che sussistessero i presupposti per l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, che avrebbe condizionato il trasferimento della proprietà al pagamento del prezzo, ma che ciò non fosse possibile a causa dell’intervenuto trasferimento del bene a terzi, con conseguente giuridica impossibilità dell’accoglimento della domanda (non imputabile evidentemente al promissario acquirente), e che spettava ad esso il risarcimento del danno, non potendo adempiere alla sua obbligazione di pagamento se non dopo il rilascio della concessione edilizia del 17/11/1987.
È evidente che, pur senza un’espressa pronuncia sul punto, la Corte d’Appello, nell’affermare che il promissario acquirente aveva diritto al risarcimento del danno, non lo ha ritenuto inadempiente, con la conseguenza che non può ritenersi sussistente il lamentato vizio di omessa pronuncia, ben potendosi configurare una pronuncia implicita di una questione connessa ad una prospettata tesi difensiva (Cass., Sez. 3, 8/5/2023, n. 12131; Cass., Sez. 3, 8/5/2023, n. 12131).
Consegue da quanto detto l’infondatezza del motivo.
Col secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1321, 1325 nn. 3 e 4, 1362, 1218 e 1223 cod. civ., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte territoriale aveva escluso che potesse essere liquidato il danno chiesto nella misura di lire 950 milioni e dato dalla differenza tra i costi della costruzione e i ricavi che l’Andaloro avrebbe potuto conseguire dalla vendita delle realizzate unità immobiliari, come calcolato dal c.t.u., ritenendo che il danno da mancata stipulazione del contratto definitivo consistesse nella differenza tra il valore commerciale del bene al momento della definitività dell’inadempimento e il prezzo pattuito e che questo non fosse stato neppure allegato, senza però considerare che il contratto posto in essere non poteva considerarsi di sola compravendita, ma aveva di mira la realizzazione della palazzina di quattro piani, tale essendo il fatto costitutivo della fattispecie.
Pertanto, avendo i giudici omesso di considerare la causa effettiva del contratto intervenuto tra le parti e avendo omesso l’interpretazione dello stesso, avevano erroneamente valutato i danni derivanti dall’inadempimento.
Col terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 115 cod. proc. civ. e l’omesso fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 -5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano ignorato il fatto decisivo per l giudizio, dato dalla essenzialità della realizzazione del progetto edilizio come fatto costitutivo della fattispecie, tant’è che l’COGNOME aveva chiesto i danni con riferimento ad essi e i COGNOMECOGNOME avevano chiesto l’annullamento della scrittura proprio per paura di non realizzare l’edificazione. Detta questione era stata ignorata dai giudici e pure nel dispositivo.
4. Il secondo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti al medesimo thema decidendum del risarcimento del danno, sono inammissibili.
Occorre innanzitutto respingere il rilievo sollevato dai controricorrenti in ordine al difetto di autosufficienza dei motivi per avere la ricorrente omesso di riportare i termini della scrittura privata del 1985.
Se è vero che il n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ. impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), è anche vero che il ricorso riporta, nella parte afferente alla descrizione del fatto, le clausole contrattuali nella loro integralità, ciò che comporta l’infondatezza della questione.
Venendo al merito, si osserva come l’interpretazione di un atto negoziale sia tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione), sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali
considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12/7/2007, n. 15604; Cass. 22/2/2007, n. 4178), con la conseguenza che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati e che, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11823; Cass., Sez. 3, 20/11/2009, n. 24539; Cass., Sez. 3, 27/3/2007, n. 7500).
Nella specie, la ricorrente non specifica i termini della dedotta violazione delle norme interpretative richiamate nella censura, ma tende ad accreditare una lettura diversa degli accordi intercorsi tra le parti onde ottenere una diversa determinazione del quantum risarcitorio, il quale, peraltro, una volta che il contratto è stato qualificato in termini di compravendita e che l’inadempimento è stato imputato al promittente venditore, è stato correttamente individuato dai giudici di merito nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento in cui l’inadempimento è divenuto definitivo e il prezzo pattuito, come affermato in plurime occasioni da questa Corte (Cass., Sez. 2,
30/6/2021, n. 18496; Cass., Sez. 2, 28/11/2017, n. 28375; Cass., Sez. 3, 11/11/2015, n. 22979; Cass., Sez. 3, 10/10/2008, n. 25016), dovendo la prevedibilità del danno risarcibile essere valutata con riferimento al momento in cui il debitore, dovendo dare esecuzione alla prestazione e potendo scegliere fra adempimento e inadempimento, è in grado di apprezzare più compiutamente e, quindi, prevedere il pregiudizio che il creditore può subire per effetto del suo comportamento inadempiente (Cass., Sez. 2, 30/6/2021, n. 18496; Cass., Sez. 6-3, 17/11/2020, n. 26042).
Tali criteri, che attengono alla quantificazione del danno, postulano comunque che sia data la prova della loro esistenza.
Infatti, come affermato da questa Corte sia pure in materia di risoluzione del contratto preliminare di compravendita, mentre l’azione proposta dal promittente venditore per l’inadempimento del promissario acquirente implica che il danno, dovuto per la sostanziale incommerciabilità del bene nella vigenza del preliminare, sussista in re ipsa e non necessita, quindi, di prova (Cass. Sez. 2, 10/03/2016, n. 4713; Cass. Sez. 3, 03/12/2009, n. 25411), l’azione risarcitoria proposta dal promissario acquirente per l’inadempimento del promittente venditore, implica che i danni richiesti, quand’anche da liquidarsi in via equitativa, spettino soltanto se siano conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento e possono esser liquidati esclusivamente se il medesimo promissario acquirente, che si assume danneggiato, fornisca la prova della loro effettiva esistenza (Cass., Sez. 2, 31/5/2017, n. 13792; Cass. Sez. 3, 08/01/2016, n. 127; Cass., Sez. 2, 10/3/2016, n. 4713; Cass. Sez. 2, 19/05/2003, n. 7829; Cass. Sez. 2, 30/07/1999, n. 8278).
5.1 Col quarto motivo, si lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc.
civ., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte di merito escluso di poter pronunciare la condanna nei confronti di NOMECOGNOME evidenziando come il preliminare fosse stato stipulato in suo nome e conto dalla moglie, NOME ancorché priva di poteri rappresentativi, e come la ratifica esigesse la medesima forma anche in presenza di facta concludentia , come nel caso in esame, avendo il COGNOME ratificato l’atto attraverso la lettera, da lui sottoscritta, che il suo legale aveva inoltrato alle controparti chiedendo la consegna della bottega costituente corrispettivo della vendita. La ricorrente ha sul punto evidenziato come i giudici di merito avessero dichiarato assorbito il motivo, senza rendere intelleggibili le ragioni di questa decisione, che, peraltro, non aveva tenuto conto del fatto che la lettera del difensore, per i suoi contenuti, costituiva in sé ratifica.
5.2 Il quarto motivo è parimenti inammissibile.
Qualora, infatti, la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di esse determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (Cass., Sez. 1, 18 aprile 1998, n. 3951; Cass., Sez. 2, 30/3/2022, n. 10257).
Nella specie, la ricorrente ha censurato la sentenza sotto il profilo della equivocità della decisione in relazione alla configurabilità di una valida ratifica da parte del destinatario dell’attività negoziale posta in essere da soggetto privo dei necessari poteri, ma non ha attinto la parte della pronuncia nella quale i giudici di merito hanno affermato che la domanda restitutoria fosse stata proposta nei
confronti di NOME NOME NOME NOME, NOME, COGNOME NOME e NOME, mentre con riguardo a NOMECOGNOME si era solo riservato di estendere la domanda anche nei suoi confronti.
6.1 Col quinto motivo, si afferma testualmente ‘ la doglianza relativa alle spese è effetto della impugnazione, e comunque in relazione alla regola di cui all’art. 91 c.p.c. appare immotivata e illegittima ‘.
6.2 Il quinto motivo è inammissibile.
In proposito, giova ricordare come i motivi contenuti nel ricorso introduttivo del giudizio di cassazione, in quanto rimedio a critica vincolata, debbano avere, a pena di inammissibilità, i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. Sez. 6 – 1, 24/02/2020, n. 4905) e contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e a permettere, altresì, la valutazione della fondatezza di tali ragioni (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784).
In particolare, il n. 4 del primo comma dell’art. 366 cod. proc. civ. impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge (o eventualmente il principio di diritto) di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (in tal senso, Cass., Sez. U., 28/10/2020, n. 23745; Cass. Sez. 6 – 1, 24/02/2020, n. 4905), né
consentendosi altrimenti ad essa di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione in assenza di indicazioni su quali siano state le modalità e sotto quale profilo essa sia stata realizzata (Cass., Sez. 3, 28/10/2002, n. 15177; Cass., Sez. 2, 26/01/2004, n. 1317; Cass., Sez. 6 – 5, 15/01/2015, n. 635; Cass. Sez. 3, 11/7/2014, n. 15882, Cass. Sez. 3, 2/4/2014, n. 7692).
La censura non rispetta, però, nessuno dei principi sopra enunciati, in quanto, in disparte la non perspicua sua formulazione, non chiarisce affatto il senso della asserita illegittimità della pronuncia. Ne consegue la sua inammissibilità.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità del secondo, terzo, quarto e quinto, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte
della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda