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Risarcimento danno reputazione: no a prove in re ipsa

La Corte di Cassazione conferma la condanna per due condomini che avevano accusato l’amministratore di appropriazione indebita in un ricorso. Si stabilisce che il risarcimento danno reputazione non è automatico (non è ‘in re ipsa’), ma può essere provato tramite presunzioni basate sulla gravità dell’accusa, la sua diffusione e il ruolo professionale della vittima. L’accusa, sebbene basata su un’operazione contabile reale, è stata ritenuta diffamatoria perché presentata in modo strumentale e allusivo, eccedendo le necessità difensive.

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Risarcimento Danno Reputazione: La Cassazione sulla Prova Presuntiva

L’accusa di appropriazione indebita rivolta a un amministratore di condominio può costare cara se non supportata da prove solide e se formulata in modo strumentale. In una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, chiarendo i confini tra legittima critica e diffamazione, e ribadendo i principi sul risarcimento danno reputazione. La sentenza sottolinea come tale danno non sia automatico, ma debba essere provato, anche attraverso presunzioni.

I Fatti del Contenzioso Condominiale

La vicenda ha origine da un ricorso presentato da due condomini per la nomina giudiziale di un nuovo amministratore. All’interno di tale atto, essi accusavano il precedente amministratore di “indebita appropriazione di denaro dal conto condominiale”. L’accusa si basava su un’operazione bancaria: un prelievo di circa 2.600 euro dal conto del condominio, effettuato tramite un assegno a sé intestato dall’amministratore, somma che era stata poi riversata sul medesimo conto dopo circa due settimane.

L’amministratore, sentendosi leso nell’onore e nella reputazione professionale, citava in giudizio i due condomini per ottenere il risarcimento dei danni. Mentre il Tribunale di primo grado rigettava la sua domanda, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, condannando i condomini a un risarcimento di 5.000 euro.

La Decisione della Corte d’Appello

Secondo i giudici di secondo grado, l’espressione utilizzata dai condomini era oggettivamente diffamatoria. Sebbene l’operazione contabile fosse avvenuta, definirla “appropriazione indebita” costituiva un’allusione strumentale e non veritiera, poiché non vi era stato alcun danno per il condominio e l’intento appropriativo non era dimostrato. I condomini, che avevano accesso alla documentazione contabile, erano consapevoli della successiva restituzione della somma e avevano quindi agito con la consapevolezza di ledere la reputazione dell’amministratore.

Le Motivazioni della Cassazione sul Risarcimento Danno Reputazione

I condomini ricorrevano in Cassazione, lamentando principalmente che il danno non fosse stato adeguatamente provato e che la loro accusa fosse veritiera e pertinente al contesto giudiziario. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti.

Danno non “in re ipsa” ma provabile per presunzioni

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il danno non patrimoniale alla reputazione non è in re ipsa, cioè non si può considerare esistente per il solo fatto che sia avvenuta la diffamazione. Esso deve essere sempre allegato e provato dalla parte che ne chiede il risarcimento.

Tuttavia, la prova può essere fornita anche attraverso presunzioni. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha correttamente basato il suo ragionamento su elementi presuntivi “gravi, precisi e concordanti”, quali:
La diffusione dello scritto: L’accusa era contenuta in un atto giudiziario, destinato a circolare tra gli altri condomini e negli uffici giudiziari.
La rilevanza dell’offesa: L’accusa di appropriazione indebita è un’imputazione grave, che allude a un reato.
La posizione sociale della vittima: L’amministratore svolge un’attività professionale basata sulla fiducia, la cui reputazione è concretamente incisa da notizie negative sulla gestione dei fondi altrui.

L’Insussistenza della Verità del Fatto e dell’Esimente

La Cassazione ha confermato che l’accusa non poteva considerarsi né veritiera né scriminata dal contesto difensivo. Pur essendo vero il prelievo, era altrettanto vero il successivo e ravvicinato versamento. Presentare solo la prima parte dei fatti, omettendone il seguito e qualificandola come “appropriazione indebita”, equivale a comunicare una notizia falsa nella sua valenza diffamatoria.

Inoltre, l’accusa è stata ritenuta non pertinente e non necessaria rispetto allo scopo del ricorso (la nomina di un nuovo amministratore), apparendo come un’aggressione gratuita e sproporzionata.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre due lezioni cruciali. La prima è per chi si sente diffamato: per ottenere un risarcimento danno reputazione, non basta dimostrare l’offesa, ma è necessario fornire al giudice elementi, anche presuntivi, che dimostrino le conseguenze negative subite. La seconda è un monito per chi agisce in giudizio: il diritto di difesa non è illimitato. Le accuse, specialmente se gravi, devono essere pertinenti, necessarie e fondate su una rappresentazione completa e veritiera dei fatti. Formulare accuse strumentali o allusive può trasformare il diritto di critica in un illecito civile, con conseguente obbligo di risarcimento.

Il danno alla reputazione per diffamazione si presume automaticamente?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che il danno non patrimoniale alla reputazione non è ‘in re ipsa’. Deve essere allegato e provato da chi lo richiede, anche se la prova può essere fornita tramite presunzioni basate su elementi come la gravità dell’offesa, la sua diffusione e la posizione sociale della vittima.

Accusare un amministratore di ‘appropriazione indebita’ in un atto giudiziario è sempre legittimo?
No, non lo è se l’accusa non è strettamente pertinente allo scopo dell’atto e se si basa su una rappresentazione parziale e strumentale della verità. Nel caso esaminato, l’accusa è stata ritenuta diffamatoria perché, pur partendo da un’operazione contabile reale, alludeva a un reato in modo sproporzionato e non necessario ai fini della causa.

Come può essere provato il danno alla reputazione se non ci sono prove dirette?
Il danno può essere provato attraverso un ragionamento presuntivo. Il giudice può desumere l’esistenza del danno da una serie di fatti noti e provati (indizi), che devono essere gravi, precisi e concordanti. Nel caso specifico, la professionalità dell’amministratore, la gravità dell’accusa e la sua circolazione in ambito condominiale e giudiziario sono stati considerati indizi sufficienti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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