Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6125 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6125 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11511/2023 R.G. proposto da :
COGNOME e COGNOME, rappresentati e difesi da sé medesimi;
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2459/2022, depositata il 18/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con ricorso affidato a quattro motivi, gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno impugnato la sentenza della Corte di appello di Venezia, resa pubblica in data 18 novembre 2022, che, in accoglimento del gravame interposto da NOME COGNOME e in totale riforma della decisione del Tribunale di Vicenza del luglio 2020 -che aveva rigettato la domanda avanzata dal COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della lesione dell ‘ onore e della reputazione per le espressioni offensive contenute nel ricorso ex art. 1129 c.c. presentato dai predetti avvocati quali condomini del Condominio Villa Madonna -, condannava i medesimi COGNOME e COGNOME, in solido tra loro, al pagamento, in favore del COGNOME, della somma risarcitoria di euro 5.000,00, oltre agli interessi legali e alle spese del doppio grado.
2. -La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava che: a ) il COGNOME era stato amministratore del Condominio Villa Madonna sino al 12 luglio 2026, pur essendosi dimesso nel corso dell ‘ assemblea del 10 marzo 2016 dopo che i condomini RAGIONE_SOCIALE ne ‘avevano impugnato sistematicamente tutte le delibere condominiali’; b ) in data 6 giugno 2016 i predetti condomini presentavano, dinanzi al Tribunale di Vicenza, un ricorso per la nomina di nuovo amministratore, che conteneva la seguente frase: ‘ l ‘ amministrazione condominiale del Condominio Villa Madonna è da anni caratterizzata da irregolarità contabili e gravi carenze di gestione, tra cui la indebita appropriazione di denaro dal conto condominiale e la non tracciabilità di tutte le somme in entrata e in uscita nel corso degli ultimi esercizi, avvallate dagli altri condomini, che hanno indotto i ricorrenti a impugnare più volte i consuntivi e i bilanci di previsione ‘; c ) il ‘riferimento … all’ indebita appropriazione di denaro da parte dell ‘appellante’ era ‘suscettibile di determinare
la civile responsabilità degli appellati’; d ) dalla sentenza della Corte di appello di Venezia n. 1168/2022 risultava, infatti, che l ‘ assegno di euro 2.655,98 (‘somma che l’ appellante sostiene avere versato di tasca propria all ‘ avv. Pesavento in pagamento di quanto dovuto in ragione di ingiunzione per la consegna di una scheda di telecomando, e che gli appellanti allegano invece essere stato indebitamente attinto dai fondi condominiali’) era stato ‘prima addebitato al Condominio e poi saldato dall ‘ amministratore di tasca propria all ‘ avv. COGNOME, creditore istante in via monitoria, di talché la Corte d ‘ appello ha considerato inesistente un danno al condominio, così come le dedotte irregolarità gestorie imputabili all ‘amministratore’; e ) COGNOME–COGNOME avevano ricollegato le affermazioni contenute nel ricorso ex art. 1129 c.c. ‘all’ episodio dell ‘assegno’ e così ‘consapevolmente alluso, senza mezzi termini, al comportamento intenzionale del COGNOME di appropriarsi indebitamente e in quel modo di denaro di proprietà dei condomini’, ciò che, però, dalla predetta sentenza n. 1168/2022 ‘non è obiettivamente riscontrabile né allo stesso ascrivibile’; f ) le ‘circostanze di fatto, ostative a tale strumentale allusione, non potevano non essere state colte dagli odierni appellati, né da questi fraintese come conseguenza di errore scusabile’, avendo gli stessi, peraltro, confermato ‘di avere espletato controlli sulla contabilità condominiale relative ai precedenti anni di gestione nell ‘ ambito dei giudizi di impugnativa del bilancio che avevano proposto, e in particolare quando si erano fatti consegnare dal Cazzola la documentazione relativa a tutti gli assegni bancari tratti sul conto condominiale, ivi incluso quello relativo al rimborso disposto nei confronti dell ‘appellato avv. COGNOME; g ) l ‘ istituto della nomina giudiziale dell ‘amministratore di condominio ‘è da ritenersi funzionale alla ricostituzione dell ‘ organo amministrativo quando lo stesso risulta vacante’, per cui il riferimento, presente nel ricorso ex art. 1129 c.c. proposto dagli appellati, ‘alle varie criticità della
gestione condominiale pregressa all ‘istanza stessa’ era da considerarsi ‘un elemento …, quantomeno, di secondaria importanza’, così da escludersi che l’ anzidetta espressione offensiva fosse ‘continente il mero scopo difensivo (da cui l ‘ inoperatività dell ‘ esimente dell ‘art. 598 c.p.)’ e ‘obiettivamente pertinente le circostanze da allegare in un ricorso ex art. 1129 c.c.’, né risultando ‘nemmeno veritiera come accertato nella citata sede di giudizio di appello’, sussistendo quindi la fattispecie il reato di diffamazione, con le conseguenze risarcitorie sul piano civile’; h ) ‘il danno alla reputazione, per quanto contenuto alla platea dei condomini e agli uffici giudiziari’, si era effettivamente verificato e risultava apprezzabile, ‘posto che il COGNOME ha provato di svolgere l ‘ attività di amministratore di condominio, sulla cui reputazione professionale incide concretamente la circolazione di notizie negative sul presunto maneggio dei fondi condominiali a fini personali’; i ) il risarcimento del danno era, quindi, da liquidarsi in via equitativa nella misura di euro 5.000,00 all ‘ attualità, con condanna degli appellati anche al pagamento delle spese processuali del doppio grado, ‘in base ai parametri istituiti dal DM 55/2014 in relazione al valore del riconosciuto’.
-Ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
-Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. (i ricorrenti con duplice atto di identico contenuto).
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, 2697 e 2729 c.c., per aver la Corte territoriale, nel riconoscere sussistente il danno non patrimoniale all ‘ onore e alla reputazione, quale danno da intendersi non in re ipsa , fatto erronea applicazione della prova ex art. 2729 c.c., non fondandola su presunzioni gravi, precise e concordanti in riferimento ai criteri
di valutazione in concreto del danno in questione, ossia ‘rilevanza dell ‘offesa, diffusione dello scritto, posizione sociale della vittima’.
1.1. -Quanto alla ‘rilevanza dell’offesa’, i ricorrenti sostengono che il giudice di appello abbia male interpretato la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 1168/2022, così da reputare erroneamente che da tale pronuncia non risulti ‘che l ‘ amministratore COGNOME NOME NOME abbia prelevato denaro mediante l ‘ emissione a favore di sé stesso di un assegno di euro 2.655,98 tratto sul conto condominiale, e pertanto tale circostanza dedotta dagli appellati non è veritiera’.
Dalla predetta sentenza n. 1168/2022 (pp. 16 e 17, § 3, trascritto in ricorso alle pp. 12/13) emerge, invece, la conferma ‘del prelievo della somma da parte del COGNOME e della sua omessa indicazione nel rendiconto’, avendo la Corte d’ appello escluso soltanto la sussistenza di un danno per il condominio, in quanto il COGNOME aveva prelevato dal conto condominiale, con assegno a sé intestato, la somma di euro 2.655,98 in data 6 maggio 2015 e poi versato in contanti la stessa somma ‘nel medesimo conto’ in data 19 maggio 2015.
Né – deducono ancora i ricorrenti – risulta dalla sentenza n. 1168/2022 che ‘l’ assegno era stato prima addebitato al Condominio e poi saldato dall ‘ amministratore di tasca propria all ‘avv. COGNOME creditore’, giacché l’ assegno era stato emesso a favore dello stesso COGNOME.
Sicché, il riferimento ‘all’ indebita appropriazione di denaro dal conto condominiale da parte dell ‘ amministratore, mediante l ‘ assegno de quo girato a sé stesso, corrisponde alla verità dei fatti e di conseguenza non può essere qualificato come offesa rilevante’ ai fini del risarcimento del danno da lesione dell ‘ onore e della reputazione.
1.2. -Quanto alla ‘diffusione dello scritto’, ristretta ‘alla platea dei condomini e agli uffici giudiziari’, la Corte territoriale
avrebbe errato a ritenere sussistente la lesione dell ‘ onore e della reputazione poiché i ‘condomini erano a conoscenza delle contestazioni all ‘ operato dell ‘ amministratore da parte dei ricorrenti, anche rispetto all ‘ illegittimità emissione dell ‘ assegno dal conto condominiale effettuata dal COGNOME a favore di se stesso, essendo stati impugnati dai condomini COGNOME e Pesavento i consuntivi di due esercizi, entrambi annullati dalla Corte veneziana, tra cui quello in cui non era stato inserito il prelievo fatto dal COGNOME a suo favore’.
Né, peraltro, potrebbe reputarsi ‘rilevante ai figli della lesività dell ‘ onore e della reputazione del Cazzola il fatto che i giudici è designato sul predetto ricorso sia venuto a conoscenza i fatti veri documentati, tra cui il prelievo di denaro a favore di sé stesso da parte dell ‘amministratore’.
1.3. -Quanto, infine, ‘alla posizione sociale della vittima’, la Corte territoriale aveva errato a riferirsi ad un generico addebito di ‘maneggio dei fondi condominiale a fini personali’ e non già allo ‘specifico comportamenti illegittimo realmente tenuto dall ‘amministratore dimissionario’, il quale, peraltro, «ha riferito, nella comparsa conclusionale nel giudizio di secondo grado, di godere ‘di ottima reputazione sia in ambiente lavorativo che nella società civile’».
1.4. -Il motivo, in tutta la sua articolazione, non può trovare accoglimento.
1.4.1. -Giova rammentare, anzitutto, che, in tema di responsabilità civile per diffamazione, il pregiudizio all ‘ onore ed alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa , poiché il danno risarcibile – nella sua attuale ontologia giuridica, segnata dalla norma vivente dell ‘ art. 2043 c.c., cui è da ricondurre la struttura stessa dell ‘ illecito aquiliano (Cass. n. 16133/2014) – non si identifica con la lesione dell ‘ interesse tutelato dall ‘ ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di
siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, sebbene anche attraverso presunzioni che assumano quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell ‘ offesa e la posizione sociale della vittima (tra le molte: Cass. n. 24474/2014; Cass. n. 25420/2017; Cass. n. 4005/2020, richiamata in ricorso; Cass. n. 8861/2021; Cass. n. 20269/2024; Cass. 29220/2024).
Varrà ulteriormente considerare -alla luce della giurisprudenza di questa Corte (tra le altre: Cass. S.U. n. 1785/2018; Cass. n. 3541/2020; Cass. n. n. 18611/2021; Cass. n. 9054/2022; Cass. n. 15699/2023; Cass. n. 17545/2024) -che, in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell ‘ art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, non raggiungibile, invece, attraverso un ‘ analisi atomistica degli stessi.
Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., ai sensi dell ‘ art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell ‘ inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione
di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito.
1.4.2. -Il profilo di censura sulla ‘rilevanza dell’offesa’ è in parte infondato e in parte inammissibile.
I ricorrenti sostengono che corrisponderebbe a verità il fatto della ‘indebita appropriazione di denaro dal conto condominiale da parte dell ‘ amministratore, mediante l ‘ assegno de quo girato a sé stesso’, in quanto ciò darebbero evidente conferma non solo la prova documentale relativa all ‘ emissione dell ‘ assegno di euro 2.655,98 in favore dello stesso COGNOME, ma, in particolar modo, quanto deciso dalla sentenza n. 1168/2022 della Corte di appello di Venezia – su cui è incentrata la ratio decidendi della sentenza impugnata in questa sede -, che il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente interpretato, poiché quella pronuncia dava atto della circostanza che l ‘ amministratore aveva effettivamente prelevato dal conto condominiale la somma di euro 2.655,98, di cui non vi era traccia nel rendiconto.
La doglianza, tuttavia, non coglie appieno la ratio decidendi della sentenza a fondamento della statuizione qui impugnata, giacché la Corte territoriale (cfr. sintesi al § 2 dei ‘Fatti di causa’ e pp. 4/6 della sentenza di appello), richiamando a sostegno la pronuncia n. 1168/2022, ha evidenziato che da essa emergeva che, essendo stato l ‘assegno ‘prima addebitato al Condominio e poi saldato dall ‘ amministratore di tasca propria all ‘avv. COGNOME, non era stato cagionato alcun danno al condominio, da ciò traendo il convincimento che tali circostanze di fatto erano ‘ostative’ alla ‘strumentale allusione’, fatta ‘senza mezzi termini’ dai condomini ricorrenti ex art. 1129 c.c., ad un ‘comportamento intenzionale del Cazzola di appropriarsi indebitamente e in quel modo di denaro di proprietà dei condomini’.
In altri termini, quanto il giudice di appello ha tratto dalla sentenza n. 1168/2002 è che il fatto contestato al COGNOME non
poteva essere di ‘appropriazione indebita’, quale evidente ‘allusione’ alla corrispondente fattispecie incriminatrice (art. 646 c.p.), tale da ingenerare, per l ‘ appunto, la lesione dell ‘ onore e della reputazione del medesimo amministratore di condominio.
Del resto, ciò trova conferma in quanto argomentato dalla stessa sentenza n. 1168/2022 (depositata in questa sede nel fascicolo di parte ricorrente come doc. n. 2), di cui si dà conto in ricorso (pp. 12 e 13), venendo in risalto che l ‘ importo di euro 2.655,98 era stato prelevato dal Cazzola dal conto condominiale il 6 maggio 2015 e versato nuovamente nello stesso conto dal medesimo amministratore il 19 maggio 2015, con ‘due operazioni, dunque, … poste in essere in un arco di tempo molto ristretto’ (p. 17 sentenza n. 1168/2022).
E di questo la Corte territoriale ha tenuto conto là dove ha posto in rilievo che i condomini Pesavento-Pegoraro, con ricorso ex art. 1129 c.c. presentato il 6 giugno 2016, non potevano non essere a conoscenza delle ‘circostanze di fatto, ostative a tale strumentale allusione’, avendo ‘espletato controlli sulla contabilità condominiale relativa agli anni precedenti’, essendosi fatti ‘consegnare dal Cazzola la documentazione relativa a tutti gli assegni bancari tratti sul conto condominiale’, compreso quello per euro 2.655,98 del maggio 2015.
Il ragionamento del giudice di appello in ordine alla rilevanza dell ‘ offesa all ‘ onore e alla reputazione del Cazzola, per essere esclusa la verità del fatto (‘appropriazione indebita’ del denaro di proprietà dei condomini) oggetto di ‘strumentale allusione’ da parte dei ricorrenti ex art. 1129 c.c., si sottrae, dunque, alle censure in esame e si palesa anche rispondente a diritto, essendo principio affermato in più di un ‘ occasione da questa Corte (Cass. pen. n. 40870/2017; Cass. pen. n. 19519/2020; Cass. pen. n. 11323/2021), quello per cui, nel caso di appropriazione indebita di somme di denaro relative ad un condominio da parte di colui che
ne sia stato amministratore, il reato si consuma all ‘ atto della cessazione della carica, in quanto è in tale momento che, in mancanza di restituzione degli importi ricevuti nel corso della gestione, si verifica con certezza l ‘ interversione del possesso.
Nella specie, il COGNOME ha rassegnato le dimissioni da amministratore nel marzo 2016, dopo aver provveduto in data 19 maggio 2015 al versamento dell ‘ importo di euro 2.655,98 prelevato con assegno dal conto condominiale il precedente 6 maggio.
1.5. -Sono in parte infondati e in parte inammissibili gli ulteriori profili di censura che attengono alla ‘diffusione dello scritto’ e alla ‘posizione sociale della vittima’, giacché la combinata valutazione delle circostanze di fatto (diffusione dello scritto ‘alla platea dei condomini e agli uffici giudiziari’, ‘attività di amministratore di condominio’, addebito, nello scritto, di ‘maneggio di fondi condominiali a fini personali’, con riferimento alla vicenda dell ‘ assegno di euro 2.655,98) indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito, ai sensi dell ‘ art. 2729 c.c., non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi , di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l ‘ apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza.
Sicché, le doglianze sono oggettivamente inidonee a fondare una violazione dell ‘ art. 2729 c.c., risolvendosi, là dove prospettanti una diversa inferenza probatoria, in una inammissibile ingerenza nella valutazione della quaestio facti rimessa la giudice del merito.
Con il secondo mezzo è, ‘in via subordinata rispetto al primo’, dedotta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, primo comma, e 116, primo comma, c.p.c., per non aver la Corte territoriale ‘posto a fondamento della decisione le prove documentali acquisite al processo da cui risulta il prelievo di denaro condominiale da parte
dell ‘amministratore a favore di sé stesso’, ossia ‘la copia fotostatica dell ‘assegno di euro 2.655,98 a favore di NOME COGNOME e la ‘sentenza della Corte d’appello n. 1168/2022’, erroneamente percependone ‘i contenuti informativi’ non equivocabili.
2.1. -Il motivo è infondato, giacché -alla luce delle considerazioni già svolte in sede di scrutinio del primo motivo al § 1.4.2. -non è apprezzabile alcun errore percettivo del giudice di appello in ordine alle circostanze di fatto a sostegno della statuizione sulla rilevanza dell ‘ offesa in danno del Cazzola.
– Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 598 c.p. e 2043 c.c., per aver la Corte territoriale escluso che la frase ritenuta offensiva non risultasse ‘continente il mero scopo difensivo’ e non fosse ‘obiettivamente pertinenti le circostanze allegate in un ricorso ex art. 1129 c.c.’.
Il giudice di appello avrebbe mancato di considerare che l ‘espressione era stata inserita nelle ‘premesse’ del ricorso del 6 giugno 2016 per evidenziare l ‘urgenza di ‘ripristinare immediatamente una corretta gestione del condominio, con la nomina giudiziale di un nuovo amministratore super partes che gestisce il condominio in modo conforme alla legge’, non avendo il COGNOME, pur a distanza di mesi dalle dimissioni, convocata l ‘ assemblea per la nomina del nuovo amministratore, per cui anche in riferimento ‘allora la circostanza della sua appropriazione di denaro dal conto condominiale’ era finalizzata a far presente ‘che la direzione dei tempi di nomina del nuovo amministratore esponeva i Ricorrenti al pericolo di pregiudizio per la possibilità che il COGNOME ponesse in essere altri atti illegittimi’.
I ricorrenti sostengono, altresì, che ‘le espressioni utilizzate costituivano il mezzo per descrivere la situazione che si era creata nel condominio’ e che, comunque, l’ esimente sussiste allorché
‘ricorre il presupposto della propalazione di fatti pertinenti al giudizio e veri’ (Cass. 25423/2014).
3.1. -Il motivo è inammissibile.
Varrà al riguardo rammentare che, in tema di risarcimento del danno per lesione dell ‘ onere e della reputazione, a causa di diffamazione, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l ‘ apprezzamento, in concreto, delle espressioni usate come lesive dell ‘ altrui reputazione, la sussistenza di un esimente costituiscono accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità (tra le tante -seppure specificamente attinenti a fattispecie di diffamazione a mezzo stampa – Cass. n. 6133/2018, Cass. n. 4543/2019, Cass. n. 18631/2022), se non, attualmente (ossia secondo la norma processuale nella specie applicabile ratione temporis ), negli stretti limiti dell ‘ omesso esame di fatto storico decisivo e discusso tra le parti, di cui all ‘ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. ovvero di una motivazione al di sotto del c.d. ‘minimo costituzionale’, restando escluso un sindacato sulla sufficienza, logicità e contraddittorietà della motivazione stessa, alla stregua della previgente formulazione del citato n. 5 dell ‘ art. 360 c.p.c. (Cass., S.U., n. 8053/2014).
La Corte territoriale (cfr. sintesi al § 2 dei ‘Fatti di causa’, cui si rinvia; pp. 5/6 sentenza di appello) ha motivato in modo affatto intelligibile, nel rispetto del c.d. ‘minimo costituzionale’, in ordine alla sussistenza degli elementi integranti la diffamazione in danno del COGNOME e sul fatto che l ‘ addebito di appropriazione indebita del denaro condominiale (e non di altra condotta posta in essere dal medesimo amministratore) non fosse né continente rispetto allo scopo difensivo, né pertinente rispetto all ‘ azione giudiziaria intrapresa (nomina di nuovo amministratore ex art. 1129 c.c.), sicché le doglianze di parte ricorrente -non deducenti un vizio di omesso esame ai sensi del n. 5 dell ‘ art. 360 c.p.c. e, peraltro, insistenti nel sostenere, contrariamente a quanto ritenuto dalla
Corte territoriale, la verità dell ‘ addebito -si risolvono in una inammissibile critica della valutazione in fatto riservata al giudice del merito.
E ciò anche a prescindere dal rilievo che l ‘ invocata esimente di cui all ‘ art. 598 c.p. non trova applicazione nel processo civile, sia perché la norma di cui all ‘ art. 89 c.p.c. è posteriore a quella del codice penale, sia soprattutto perché essa riguarda specificamente il giudizio civile, con la conseguenza che l ‘ ambito di applicazione del citato art. 598 c.p. resta limitato al processo penale e a quello davanti all ‘ autorità amministrativa (Cass. n. 1955/1969; Cass. n. 5991/1979; Cass. n. 1998/1979; Cass. n. 10916/2001; Cass. n. 29193/20249).
Tuttavia, la motivazione resa dalla Corte territoriale in punto di insussistenza dell ‘ esimente ex art. 598 c.p., pur essendo erroneo un tale riferimento, risponde, comunque, nella sostanza a quanto richiesto per l ‘ applicazione dell ‘ art. 89 c.p.c., ossia che le espressioni offensive, perché possano dar luogo al risarcimento del danno, non devono essere inerenti all ‘ oggetto della lite e, dunque, palesarsi eccedenti rispetto alle esigenze della difesa (tra le altre: Cass., S.U., n. 2579/1988; Cass. n. 10916/2001; 14552/2009), ferma restando la riserva allo stesso giudice circa l ‘ apprezzamento sulle relative circostanze di fatto, come detto, insindacabile in questa sede se non negli stretti limiti dianzi ricordati.
4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell ‘ art. 4, comma 1, del d.m. n. 55/2014, per aver la Corte territoriale liquidato, in relazione al valore della causa di euro 5.000,00, un importo di euro 4.500,00 per il primo grado e un importo di euro 3.966,00 per il giudizio di appello, discostandosi ampiamente, senza ‘apposita motivazione’ al riguardo, dai valori medi per il primo grado (ossia, euro 2.430,00 per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria/trattazione e decisionale) e dai valori massimi per
l ‘ appello (ossia, euro 3.294,00 per le fasi di studio, introduttiva e decisionale) di cui alle tabelle allegate al predetto decreto ministeriale.
4.1. -Il motivo è infondato.
E ‘ principio consolidato che, in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014 e successive modificazioni, l ‘ esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. n. 2386/2017; Cass. n. 89/2021; Cass. n. 14198/2022; Cass. n. 15506/2024).
Nella specie, la Corte territoriale, tenuto conto del decisum (risarcimento del danno per l ‘ importo di euro 5.000,00), si è mantenuta entro i limiti massimi dei compensi relativi allo scaglione da euro 1.101,00 ad euro 5.200,00, di cui al d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018 (applicabile ratione temporis ), avendo liquidato per il primo grado la somma di euro 4.500,00 – essendo il limite massimo euro 4.536,00 e avendo gli stessi ricorrenti dedotto che la liquidazione è, comunque, ‘corrispondente ai parametri massimi e superiore dell’85%’ rispetto all ‘ applicazione dei parametri medi – e per il secondo grado la somma di euro 3.966,00, essendo il limite massimo di euro 5.184,00, da cui i ricorrenti hanno sottratto euro 1.458,00 per la fase istruttoria, rispetto alla quale il compenso è, invece, dovuto, giacché in corso di causa è stata trattata l ‘ istanza di inibitoria ex art. 283 c.p.c. (decisa con ordinanza del 16.12.2020, dopo la costituzione in giudizio degli appellati in data 14.12.2020: p. 3 della sentenza impugnata), da annoverarsi tra i ‘procedimenti
comunque incidentali’ ai sensi e per gli effetti di cui all’ art. 4, comma 5, lett. c), del citato d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018.
-Il ricorso va, dunque, rigettato e i ricorrenti, in solido tra loro, condannati al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza