Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 83 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 83 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 36747-2018 proposto da:
COGNOME entrambi rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1721/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 09/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con sentenza n. 1267 del 2013 il Tribunale di Bari si pronunciava sulla domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di NOME e NOME COGNOME: dichiarava il Tribunale i convenuti tenuti a costruire
i fabbricati di cui al preliminare di vendita stipulato tra le parti in causa il 29 gennaio 2002, condannandoli al risarcimento del danno in favore dell’attore, da liquidare in separato giudizio. Più precisamente: i convenuti erano proprietari di suoli edificatori in Carbonara di Bari sui quali erano in corso di costruzione due palazzine; con il suddetto contratto preliminare essi si erano obbligati a vendere all’attore alcuni appartamenti con sottostanti box auto, che avrebbero dovuto ultimare e consegnare al promissario acquirente entro il 30 aprile 2003. Il Tribunale adíto qualificava il contratto come promessa di vendita di cosa futura; riteneva dimostrato il pagamento del prezzo da parte del promissario acquirente in virtù della quietanza rilasciata dai promittenti venditori per l’importo di € 500.000,00, qualificandola atto unilaterale di riconoscimento del pagamento, integrante fra le parti confessione stragiudiziale facente piena prova. La pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni passava in giudicato, come risulta da attestazione rilasciata dalla cancelleria del Tribunale di Bari il 5 giugno 2013.
1.2. NOME COGNOME adiva il Tribunale di Bari per la liquidazione dei danni subíti a causa della mancata percezione dei frutti civili per oltre un decennio, per il mancato guadagno nell’ipotesi di vendita in favore di terzi degli immobili mai trasferiti all’istante , e per l’immobilizzazione della somma di € 500.000,00 versata a titolo di prezzo ai promittenti venditori convenuti e rimasti contumaci, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
1.3. Il Tribunale di Bari , con sentenza n. 5510/14 dell’11 dicembre 2014, rigettava l’istanza attorea, premessa la giurisprudenza secondo la quale la pronuncia di condanna generica al risarcimento presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo del danno, rimanendo l’accertamento della concreta esistenza dello stesso
riservato alla successiva fase; con la conseguenza che il giudice della liquidazione può negare la sussistenza del danno senza che ciò comporti alcuna violazione del giudicato formatosi sull’ an .
1.4. Avverso detta sentenza NOME COGNOME interponeva appello innanzi alla Corte d’Appello di Bari, che accoglieva in parte il gravame, sostenendo, per quel che qui ancora rileva:
il giudice di legittimità ha statuito come il mancato godimento di immobili per il ritardo nella consegna di essi rispetto al termine pattuito nell’atto di trasferimento costituisce di per sé un danno, indipendentemente dall’uso al quale si intendeva destinare gli immobili stessi; pertanto, è consentito al giudice di merito procedere alla sua liquidazione sulla base del valore locativo degli immobili;
il potere riconosciuto al giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa non esonera, tuttavia, la parte istante dall’onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto in suo possesso ai fini della precisa determinazione del danno; a tale onere di allegazione non si è attenuto l’attore, il che rende non ammissibile la consulenza tecnica che avrebbe avuto proprio lo scopo di individuare quei dati che bene avrebbero potuto essere allegati dal richiedente;
la sentenza impugnata non è condivisibile nella parte in cui ha ritenuto che la mancata proposizione della domanda di risoluzione contrattuale non giustificava il riconoscimento del danno subíto dal promissario acquirente per l’immobilizzazione della somma pagata quale corrispettivo della vendita di cosa futura, posto che la legge (artt. 1218, 1453 e 1223 cod. civ.) prevede anche nel caso di ritardo nell’adempimento dell’obbligazione l’obbligo della parte inadempiente di risarcire il danno;
appare evidente che l’aver investito la somma di € 500.000,00 nell’acquisto di beni che a distanza di oltre 10 anni non sono stati
ancora consegnati ha comportato un danno a NOME COGNOME pari al guadagno che questi avrebbe potuto realizzare impiegando il denaro in attività di investimento finanziario. In mancanza di allegazioni circa il valore locativo degli immobili, e di ogni altro elemento da cui poter desumere che l’attore avrebbe potuto rivendere gli immobili ad un prezzo superiore alla somma pagata, il danno deve essere liquidato nell’importo degli interessi legali a decorrere dal 30 aprile 2003 fino alla data di aggiudicazione dell’immobile in sede di espropriazione forzata, cioè il 9 luglio 2015, oltre rivalutazione monetaria per il periodo successivo fino alla data della sentenza d’appello trattandosi di debito di valore.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari proponevano ricorso per cassazione NOME e NOME COGNOME affidandolo ad un unico motivo.
NOME COGNOME si difendeva depositando controricorso con ricorso incidentale affidato a cinque motivi, illustrato da memoria depositata in prossimità dell’adunanza.
CONSIDERATO CHE:
RICORSO PRINCIPALE
Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti principali deducono violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 112, 115 e 345 cod. proc. civ. ed all’art. 2697 cod. civ., in relazione alla determinazione ed accertamento della sussistenza del danno e del quantum risarcitorio. Con due diverse censure i ricorrenti lamentano: i. ) la violazione dell’art. 2697 cod. civ. nella parte in cui il giudice di appello ha riconosci uto un risarcimento del danno all’odierno resistente in assenza di qualsivoglia valido supporto probatorio da questi fornito nei giudizi di merito, ritenendo con ciò il danno esistente in re ipsa , in
spregio ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità; ii. ) con la seconda censura i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello ancorato il risarcimento del danno da ritardo nell’adempimento all’applicazione del criterio della decorrenza degli interessi legali non richiesto in prime cure dall’odierno resistente, come se si effettuasse una condanna secondo equità.
1.1. Il motivo è infondato. La questione del ritardo nell’adempimento del preliminare da parte di NOME e NOME COGNOME va risolta sul piano dei principi generali in tema di inadempimento contrattuale. L’inadempimento come il ritardo viene accertato dal giudice con riferimento al momento in cui si è determinato, che coincide con il momento in cui il contraente ha la scelta tra adempiere, non adempiere affatto, ovvero ritardare l’esecuzione della prestazio ne assunta. Nel caso di specie, è al momento in cui si è verificato il ritardo – attraverso la mancata consegna degli immobili alla data pattuita – che occorre fare riferimento ai fini della determinazione del risarcimento del danno, secondo il principio generale codificato all’art. 1225 cod. civ., a norma del quale «Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta». Non ha pregio, dunque, quanto sostenuto nel mezzo di gravame laddove si censura la pronuncia impugnata addirittura sotto il profilo dell’ultra petizione, ex art. 112 cod. proc. civ., nella parte in cui il giudice di seconde cure riconosce al promissario acquirente il risarcimento del danno da ritardo a prescindere da ogni eventuale esplicita richiesta della parte non inadempiente.
Tanto precisato, nel caso di specie, ai fini del risarcimento del danno rileva quale dies a quo l’inutile scadenza della data di consegna della cosa futura consacrata nel contratto preliminare del 29.01.2002,
ossia il 30.04.2003. Correttamente, quindi, la Corte d’appello ha liquidato il danno da ritardo a decorrere dalla prevista data di consegna degli immobili fino alla data di aggiudicazione degli stessi in sede di espropriazione forzata.
1.2. Per ciò che attiene al mancato godimento degli immobili mai consegnati a NOME COGNOME, questa Corte ha avuto di recente occasione di precisare che il non uso di un immobile, il quale è pure una caratteristica del contenuto del diritto dominicale, non è suscettibile di risarcimento in assenza di allegazione della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento : l’inerzia, facoltà pure riconosciuta al proprietario, resta una manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, mentre il danno conseguenza riguarda il pregiudizio al bene della vita che, mediante la violazione del diritto, si sia verificato. Alla reintegrazione formale del diritto violato, anche nella sua esplicazione di non uso, provvede infatti la tutela reale e non quella risarcitoria. Il danno risarcibile è, dunque, rappresentato dalla specifica e concretamente allegata possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata perduta: in tal caso, il danno per il mancato il godimento diretto, ovvero indiretto – comunque ascrivibile all’area del danno emergente perché pur sempre inerente al diritto di godere – può essere valutato equitativamente ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022, Rv. 666193 -02, soprattutto punto 4.9.).
In coerenza con detti principi, correttamente la Corte territoriale non ha ritenuto di dover riconoscere il danno da non uso degli immobili mai consegnati a NOME COGNOME in mancanza di allegazioni circa il
valore locativo degli immobili e di ogni altro elemento da cui poter desumere che l’attore avrebbe potuto rivendere l’immobile ad un prezzo superiore alla somma pagata (v. sentenza p. 8, ultimo capoverso). Semmai, la Corte distrettuale ha riconosciuto a NOME COGNOME il danno da ritardo riguardante l’immobilizzazione della ragguardevole somma da questo anticipata, nei limiti degli interessi compensativi comunque attribuiti dalla legge (cfr. infra , punto 4).
1.2.1. In disparte l’inconferente riferimento , nel motivo di ricorso, alle pronunce di questa Corte relative alla diversa questione dei limiti risarcitori imposti alla liquidazione del danno non patrimoniale (Cass. n. 26972 del 2008); il criterio di liquidazione utilizzato nella pronuncia in esame è, invece, in linea con quanto stabilito da questa Corte, che condiziona il risarcimento del maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, cod. civ. da ritardato adempimento di una obbligazione di valuta al l’eventuale superamento – durante la mora – del saggio degli interessi legali dal saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi (Cass. Sez. U, Sentenza n. 19499 del 16/07/2008, Rv. 604419 -01, conf. di recente da: Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22512 del 09/08/2021, Rv. 662345 -01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24598 del 18/10/2017, Rv. 646047 -02; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3954 del 26/02/2015, Rv. 634449 – 01), ma solo nell’ipotesi di espressa richiesta della parte non inadempiente (v. infra , punto 4.): non avendo NOME COGNOME mai fatto espressa richiesta relativamente al maggior danno da questi subíto a causa dell’immobilizzazione del denaro, condivisibilmente la Corte distrettuale ha limitato la posta risarcitoria all’ammontare degli interessi corrispettivi.
II. RICORSO INCIDENTALE
Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione degli artt. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., 820 comma 3, cod. civ., 1218 cod. civ. e 1282 cod. civ., in punto di calcolo degli interessi liquidati per la protratta fruizione della somma di € 500.000,00. La statuizione impugnata combina erroneamente la regola dell’art. 1219, comma 1, n. 3) cod. civ., che codifica – sulla linea dei frutti civili – la spettanza di un corrispettivo (interessi dei capitali) per il godimento di una somma a partire dalla scadenza del termine, con la diversa regola dell’art. 1282, comma 1, cod. civ., che sancisce un più generale criterio di redditività di qualsiasi somma comunque detenuta. La combinazione ha prodotto nella sentenza che si impugna in via incidentale l’appiattimento, se non la confusione, della domanda di danno da inadempimento con la domanda di pagamento dei frutti generati da un antico versamento.
Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. e 112 cod. proc. civ., per non avere il giudice d’appello pronunziato su tutta la domanda di NOME COGNOME L’odierno resistente ebbe, infatti, a proporre due distinte domande: una legata al recupero dei frutti civili della somma di €500.000,00 trattenuta per oltre un decennio dei convenuti che non dettero seguito all’assunta obbligazione di vendita; l’altra legata al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale.
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto entrambi sostengono la sovrapposizione tra risarcimento del danno per il ritardo dell’adempimento della promessa di vendita di cosa futura, e la liquidazione degli interessi compensativi, e lamentano il mancato riconoscimento del risarcimento del danno dal ritardo. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che in tema di obbligazioni pecuniarie, gli interessi – contrariamente a quanto avviene nell’ipotesi di somma di
danaro dovuta a titolo di risarcimento del danno, di cui integrano una componente necessaria – hanno fondamento autonomo rispetto al debito cui accedono e, pertanto, corrispettivi, compensativi o moratori che siano, possono essere attribuiti, in applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., soltanto su espressa domanda della parte. Ove questa non specifichi, tuttavia, la natura degli accessori richiesti, si presumono domandati gli interessi corrispettivi – dovuti indipendentemente dalla mora e dall’inadempimento, essendo fondati su presupposti diversi da quelli che giustificano l’attribuzione degli interessi di mora. Gli interessi corrispettivi, infatti, sono previsti per una funzione equitativa, mirando a compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della cosa da lui consegnata all’altra parte prima di riceverne la controprestazione; attesa la loro peculiare finalità, sono dovuti, a differenza degli interessi moratori, indipendentemente dalla mora e dall’inadempimento (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 36659 del 25/11/2021, Rv. 663083 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18292 del 19/09/2016, Rv. 641074 -01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10884 del 11/05/2007, Rv. 597525 – 01). Nel caso di specie, il ricorrente incidentale aveva chiesto la liquidazione dei danni subíti per la mancata percezione dei frutti civili sugli immobili non goduti, non già sull'(ingente) somma versata. Come argomentato supra , punto 1.1., NOME COGNOME non ha, per un verso, fornito sufficienti allegazioni a sostegno dell’asserito danno emergente o mancato guadagno per il non uso degli immobili mai consegnati; né, per altro verso, ha fatto espressa richiesta del danno derivante dall’impiego fruttifero della somma corrisposta.
Tanto precisato, devono dunque essere dichiarati infondati i primi due motivi del ricorso incidentale.
Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 360, comma 1, n. 3) e 115 cod. proc. civ., laddove l’impugnata sentenza non ha preso a fondamento della statuizione adottata gli elementi di prova dedotti da NOME COGNOME costituiti dagli elaborati grafici e dal disciplinare delle rifiniture allegate al contratto preliminare e prodotti nel fascicolo relativo alla causa decisa con la sentenza costituente il dedotto giudicato esterno, a sua volta allegato al fascicolo di primo grado ma mai scrutina to dal giudice d’appello.
Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ.: la specifica statuizione che si impugna ha omesso di esaminare il fatto decisivo, ossia la proposizione di una domanda di quantificazione del danno da inadempimento contrattuale oggetto di espressa discussione nel processo. Nel fascicolo della causa decisa con la sentenza n. 1267/2013 del Tribunale di Bari, prodotto nel giudizio di liquidazione, risultavano gli elementi necessari per la determinazione di un presumibile canone di locazione rapportato alle nozioni di comuni esperienza e di notorietà locale, nonché i documenti progettuali generali e di rifinitura utili a specificare entro i limiti del domandato un danno figurativo, ma anche idonei a essere base di una valutazione equitativa della quantificazione domandata e di una verifica tramite C.T.U. Tali elementi, consistenti esattamente negli elaborati progettuali relativi alle unità immobiliari in questione nonché al disciplinare delle rifiniture, dovevano ritenersi già acquisiti al processo e consentivano l’ammissione della consulenza tecnica.
Con il quinto motivo si denuncia violazione degli articoli 112, 115, comma 1 e 2, 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. e 1226 cod. civ. Il giudice di seconde cure afferma che il potere riconosciuto al giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa non esonera la parte istante dall’onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto
in suo possesso. Orbene, come risulta dagli atti del processo fin qui richiamati, le richieste di NOME COGNOME sono state corredate con gli elaborati tecnici sulla consistenza e sulle caratteristiche dell’immobile promesso in parziale vendita; il documentato pagamento di un prezzo non esiguo rappresenta, altresì, un parametro significativo delle possibilità redditive dei beni promessi. Pertanto, l’invocato impiego di nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, così come l’impossibilità di s timare esattamente il conseguimento di frutti impossibili a concretizzarsi, proprio a causa della mancata consegna dei beni promessi in vendita, costituiscono nel loro significativo insieme base adeguata per obbligare il giudicante a quantificare con valutazione equitativa il danno domandato, e a verificarne secondo domande a mezzo di CTU la ragionevolezza entro il richiesto.
8. Il terzo, quarto e quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tutti riguardano la questione della determinazione del valore degli immobili mai consegnati, e sono inammissibili, poiché si traducono in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. Invero, in tema di procedimento civile sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento ( ex plurimis , di recente: Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
Per le ragioni espresse supra , punto 1.1., nel caso di specie la Corte distrettuale si è soffermata proprio sul fatto che benché il mancato godimento di immobili per ritardo nella consegna di essi rispetto al termine pattuito nell’atto di trasferimento costituisca di per sé un danno emergente riconosciuto in re ipsa , la parte non è comunque esonerata dall’onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto in suo possesso. Orbene, continua la Corte, NOME COGNOME ha riconosciuto l’impossibilità di provare il danno nel suo preciso ammontare e si è sottratto all’onere di fornire dati del mercato immobiliare, limitandosi ad indicare un valore di € 25.000,00 all’anno scollegato da qualsiasi criterio obiettivo relativo alla caratteristiche tipologiche dei costituenti immobili e al mercato immobiliare: tanto basta, conclude la Corte distrettuale con deduzione logica plausibile e perciò insindacabile in sede di legittimità, ad escludere la liquidazione equitativa del danno emergente dal mancato godimento degli immobili di cui è causa (v. sentenza p. 8, 1° capoverso).
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Stante la reciproca soccombenza, compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale; dichiara infondati i primi due motivi del ricorso incidentale, inammissibili i restanti;
compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti e del ricorrente in via incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda