Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25862 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25862 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14704/2023 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME in proprio e nella qualità di titolare della omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 203/2023 della CORTE D’APPELLO DI ANCONA, depositata il 27/1/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1/7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 27/1/2023, la Corte d’appello di Ancona, in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME e in riforma della decisione di primo grado, ha condannato NOME COGNOME al risarcimento dei danni sofferti dal COGNOME in conseguenza del procedimento penale per abusivismo edilizio instaurato nei confronti del COGNOME in conseguenza dell’esecuzione, da parte del COGNOME, di taluni abusi edilizi sulla proprietà del COGNOME, nell’occasione anticipatamente posta a disposizione del COGNOME in attesa del suo definitivo trasferimento in favore della coniuge del COGNOME che di detto immobile di era resa promissaria acquirente;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha ritenuto che il pregiudizio morale subito dal Radi (e il danno patrimoniale consistito nel carico delle spese legali) a seguito dell’instaurazione del descritto procedimento penale nei propri confronti (giudizio conclusosi con l’assoluzione del Radi) dovesse causalmente ricondursi alla responsabilità del COGNOME poiché, se quest’ultimo non avesse realizzato gli abusi edilizi sulla proprietà del Radi, quest’ultimo non sarebbe stato esposto al procedimento penale foriero dei pregiudizi morali e patrimoniali dallo stesso denunciati;
ciò posto, ritenuta la sussistenza di elementi presuntivi sufficienti a dar riscontro del danno non patrimoniale subito dal Radi per effetto dell’instaurazione del procedimento penale in esame, la corte territoriale ha pronunciato la condanna del COGNOME al pagamento, in favore della controparte, della complessiva somma di euro 16.861,73 (di cui euro 5.000,00 a titolo di risarcimento del danno morale, e il resto a titolo di risarcimento del danno costituito dalle spese affrontate nel corso del processo penale), oltre agli accessori;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso; il ricorrente ha depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, il COGNOME censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2043 c.c. e 40 e 41 c.p. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente il nesso di causalità tra il fatto del COGNOME (consistito nella realizzazione degli abusi edilizi contestati in sede penale) e i danni lamentati dal Radi, atteso che il ridetto nesso di causalità avrebbe dovuto ritenersi inevitabilmente dissolto dall’intervenuta denuncia dell’abuso, da parte di una terza persona, e dalla successiva iniziativa dell’autorità giudiziaria; denuncia e iniziativa giudiziaria successivamente rivelatesi del tutto infondate con riguardo alla persona del COGNOME
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come l’esame relativo all’efficienza causale spiegata dall’azione illecita del COGNOME nella produzione dei danni denunciati dal COGNOME (efficienza causale nella specie ritenuta prevalente e assorbente rispetto all’incidenza della denuncia del terzo e a ll’iniziativa dell’autorità giudiziaria volta a ll’instaurazione del processo penale a carico del COGNOME) costituiscano espressione propria della discrezionalità valutativa del giudice di merito;
da questa prospettiva, è appena il caso di evidenziare come, attraverso la proposizione della censura in esame, il ricorrente -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si sia limitato ad allegare un’erronea ricognizione, da parte
del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione delle norme di legge invocate, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente il COGNOME nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa (propriamente sotto il profilo dello svolgimento causale della fattispecie illecita), rispetto a quanto operato dal giudice a quo ;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella
ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
del tutto privo di rilievo, infine, deve ritenersi il richiamo operato dal ricorrente alla riconosciuta infondatezza della denuncia avanzata nei confronti del COGNOME e della stessa successiva iniziativa giudiziaria intrapresa, atteso che, a prescindere dall’esito del procedimento penale, del tutto ragionevole appariva, al momento della commissione degli abusi da parte del COGNOME, la prevedibilità dell’ apertura di un’indagine penale a carico del proprietario dell’immobile su cui venivano realizzandosi gli abusi edilizi, con la conseguente produzione del danno morale a carico di quello nella specie propriamente consistito nella sola ‘pendenza’ del procedimento penale e non già nei suoi esiti favorevoli per l’imputato;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché per vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale condannato il COGNOME al pagamento, in favore della controparte, dell’importo di euro 5.000,00 a titolo di risarcimento danno in assenza di alcun adeguato supporto probatorio, nonché per aver condannato l’odierno istante al risarcimento delle spese sostenute dal Radi per il processo penale, tenuto conto della possibilità, garantita al Radi dal D.M. 20 dicembre 2021, di ottenere il rimborso, dal competente Fondo ministeriale, delle spese relative al procedimento penale conclusosi con la propria assoluzione;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia specificamente indicato gli elementi presuntivi da cui ha tratto la prova del danno morale sofferto dal Radi, precisando come potesse ritenersi « in via presuntiva ed in base alla comune esperienza, che la pendenza di un procedimento penale per fatti che una persona non ha commesso generi effettivamente una sofferenza interiore in termini di ansia e frustrazione, con riflessi anche nella vita di relazione, che, nella fattispecie, in mancanza di ulteriori elementi fattuali esplicativi della sofferenza effettivamente vissuta, appare equo liquidare in complessivi € 5000,00 all’attualità, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente pronuncia al saldo » (cfr. pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata);
da tanto deriva la manifesta infondatezza della censura in esame, nella parte in cui contesta l’effettivo ricorso di un valido fondamento probatorio (nella specie rinvenuto in chiave presuntiva) alla base della condanna al risarcimento dei danni pronunciata dal giudice d’appello;
quanto alla questione avanzata dall’odierno ricorrente in ordine al mancato ricorso, da parte del Radi, al Fondo ministeriale previsto per il rimborso delle spese degli imputati assolti con le formule previste dalla legge, è appena nel caso di rilevare come, tanto l’art. 1, co. 1022, della legge n. 178/2020, quanto l’art. 6 del D.M. Giustizia del 20 dicembre 2021, circoscrivano l’applicabilità della ridetta provvidenza ai soli casi di sentenze divenute irrevocabili dopo il 1° gennaio 2021, là dove, nel caso di specie, la sentenza pronunciata nei confronti del COGNOME è divenuta irrevocabile in epoca precedente: infatti, secondo quanto afferma il controricorrente alla pag. 3 del controricorso (non contestato dal ricorrente), la sentenza di assoluzione definitiva del COGNOME è stata emessa il 04.12.2015, depositata il 23.02.2016, e non impugnata;
del tutto inammissibile, infine, deve ritenersi il contestato vizio di motivazione della sentenza impugnata, avendo l’odiern o ricorrente inammissibilmente argomentato la violazione della norma di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c. attraverso il confronto della congruità della motivazione censurata con elementi tratti aliunde rispetto al solo testo elaborato dalla corte territoriale, in tal modo ponendosi in contrasto con i criteri sul punto indicati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti di rilevabilità del carattere illogico o apparente della motivazione (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01; Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 – 01);
in ogni caso, tale doglianza deve ritenersi priva di fondamento, avendo la corte territoriale elaborato un discorso motivazionale pienamente comprensibile, logicamente lineare e giuridicamente corretto, del tutto idoneo a dar conto dell’ iter logico-giuridico seguito al fine di giungere alla decisione contestata;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 1/7/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME