Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21858 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21858 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18147/2023 proposto da:
NOME COGNOME, difeso in proprio ex art. 86 c.p.c., con domicilio digitale ex lege ;
– ricorrente –
contro
***;
– intimato – avverso la sentenza n. 820/2023 della CORTE D’APPELLO DI BARI, depositata il 23/5/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che:
con sentenza resa in data 23/5/2023, la Corte d’appello di Bari ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del reato di minaccia ex art. 612 c.p. commesso dal convenuto ai danni del COGNOME;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva rilevato la mancata dimostrazione, da parte del COGNOME, di qualsivoglia pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale subito in conseguenza del reato commesso dal COGNOME;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi di impugnazione;
NOME COGNOME non ha svolto difese in questa sede;
considerato che:
con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 612, co. 1, c.p., nonché degli artt. 2727 e 2729, co. 1, c.c., per avere la corte territoriale confuso il reato commesso dalla controparte, sostanzialmente qualificandolo alla stregua di un reato di danno anziché di un reato di pericolo – con le conseguenti ricadute sul piano della prova delle conseguenze dannose sofferte dalla vittima sotto il profilo del concreto pregiudizio inferto a carico della propria libertà morale – e per avere, inoltre, la corte territoriale omesso di considerare gravemente indizianti i fatti secondari allegati dall’attore ai fini della dimostrazione del concreto pregiudizio subito, incorrendo nel travisamento degli elementi di prova analiticamente descritti in ricorso;
il motivo è inammissibile;
d ev’essere preliminarmente rilevata la sostanziale inconcludenza o irrilevanza della distinzione formulata dal ricorrente tra le figure del reato di danno e del reato di pericolo (in cui sarebbe consistito il reato di minaccia ascritto a carico del convenuto), non avendo egli esattamente compreso la ratio effettiva della decisione impugnata;
in breve, secondo quanto correttamente statuito dal giudice a quo , la mera attestazione, da parte del giudice penale, dell’avvenuta lesione della libertà morale del minacciato, o della messa in pericolo di tale bene (come elemento costitutivo del reato di minaccia), non vale, di per sé, ad assumere come dimostrata l’effettiva sussistenza di ‘conseguenze’ dannose di ordine patrimoniale o non patrimoniale concretamente subite dalla vittima;
sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte, per cui la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l ‘ accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell ‘ esistenza – desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità – di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, mentre resta impregiudicato l ‘ accertamento, riservato al giudice civile, in ordine all ‘ an – in concreto – ed al quantum del danno da risarcire; entro tali limiti, detta condanna, una volta divenuta definitiva, ha effetti di giudicato sull ‘ azione civile e portata onnicomprensiva, riferendosi ad ogni profilo di pregiudizio scaturito dal reato, ancorché non espressamente individuato nell’atto di costituzione di parte civile o non fatto oggetto di pronunce provvisionali, che il giudice non abbia formalmente dichiarato di escludere nel proprio
dictum (cfr. Cass. Sez. 3, ord. n. 23960 del 2/8/2022, Rv. 665441 -01 ; Cass. Sez. 3, ord. n. 8477 del 5/5/2020, Rv. 657804 -01; nonché Cass. Sez. 3, ord. n. 4318 del 14/2/2019, Rv. 652689 -01);
ciò posto, esclusa la configurabilità giuridica del c.d. danno in re ipsa (ossia del danno come entità implicita nella commissione stessa del fatto illecito), deve riconoscersi che l’accertamento della commissione del reato di minaccia, se certamente comporta l’attestazione della lesione, o della messa in pericolo, del bene giuridico protetto dalla norma penale, non comporta, di per sé, la dimostrazione dell’effettiva concretizzazione di conseguenze pregiudizievoli di tale lesione, o messa in pericolo, di detto bene;
quanto, infine, alle restanti considerazioni argomentate dal ricorrente con la censura in esame -sostanzialmente volte a dolersi della mancata considerazione, da parte dei giudici del merito, delle circostanze allegate dal COGNOME come elementi indiziari sufficienti (in quanto gravi, precisi e concordanti) a ritenere dimostrate le conseguenze pregiudizievoli denunciate -è appena il caso di rilevare che queste si risolvono in una rivisitazione nel merito dei fatti di causa e delle prove, non consentita in sede di legittimità;
con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza impugnata per vizio di extrapetizione, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. per essersi la corte territoriale illegittimamente spinta a pronunciarsi sul tema delle spese di costituzione di parte civile liquidate nella sentenza penale emessa a carico della controparte – al fine di negarne la risarcibilità -, al di là dei limiti posti dal motivo di appello avanzato dall’ attuale ricorrente, unicamente volto a denunciare l’omessa pronuncia del giudice di primo grado sul punto, nonché in relazione
all’omesso ragionamento inferenziale volto a provare il danno morale subito;
sotto altro profilo, il ricorrente lamenta motivazione apparente, con particolare riguardo all’impossibilità di individuare l’ iter logico-giuridico seguito dal giudice a quo nel negare la fondatezza della domanda risarcitoria che era stata da lui proposta;
il motivo è infondato;
d ev’essere in primo luogo disattesa l’affermazione contenuta nella censura in esame nella parte in cui lamenta un preteso vizio di extrapetizione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale con riguardo al punto concernente il risarcimento delle spese di costituzione di parte civile liquidate nella sentenza penale;
invero, il giudice d’appello ha sottolineato il carattere decisivo della circostanza costituita dall’avvenuta liquidazione delle spese di parte civile da parte del giudice penale allo scopo di evidenziare la sostanziale irrilevanza della contestazione di omessa pronuncia ascritta al primo giudice: e ciò, proprio perché il titolo esecutivo consistente nella liquidazione delle spese di parte civile da parte del giudice penale doveva ritenersi tale da assorbire ogni questione in ordine al corrispondente risarcimento del danno patrimoniale invocato dal COGNOME;
in breve, proprio l’argomentazione esposta dal giudice d’appello con riguardo all’efficacia esecutiva della sentenza penale (nella parte in cui ha liquidato le spese di costituzione di parte civile) ha costituito un passaggio indispensabile – e, dunque, non un vizio di extrapetizione – al fine di sottolineare l’irrilevanza della denunciata omissione di pronuncia da parte del giudice di primo grado sul punto;
del tutto priva di fondamento, infine, deve ritenersi la censura avanzata quanto al preteso carattere apparente della motivazione del
giudice d’appello in ordine al diniego del risarcimento del danno invocato dall’odierno ricorrente, avendo la corte territoriale del tutto correttamente e comprensibilmente sottolineato la mancata dimostrazione, da parte del danneggiato, delle conseguenze dannose concretamente subite per effetto dell’illecito penale commesso dalla controparte; e ciò sul presupposto -fondato sul consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità in precedenza richiamato – secondo cui la sola commissione del reato non vale a ritenere comprovata la sussistenza del danno civile;
con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92, co. 2, c.p.c., per avere la corte territoriale omesso di disporre la compensazione delle spese del giudizio, in considerazione del comportamento processuale ed extraprocessuale della controparte, così come analiticamente compendiato in ricorso;
il motivo è inammissibile;
invero, riguardo alla contestazione avente ad oggetto l’omessa compensazione delle spese del giudizio, va richiamato il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte, per cui, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (S.U., Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 -01 e successive conformi);
da ciò deriva l’inammissibilità della censura in esame, nella parte in cui riflette criticamente, in questa sede di legittimità, sul l’esercizio di una facoltà discrezionale che è invece propria del giudice di merito;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, il ricorso dev’essere rigettato;
non vi è luogo di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto difese;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione