Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6640 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6640 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 119/2023 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’ Avv. NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avv. NOME COGNOME e come da pec:EMAIL
– ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME come da procura speciale allegata al controricorso, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv.
Oggetto: Responsabilità civile – Domanda risarcitoria – Danni da reato – Misura.
CC 13.01.2025
Ric. n. 119/2023
Pres. G. COGNOME
Est. I. COGNOME
NOME
NOME
e come
da
pec:
EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n.1159/2022 della Corte di Appello di Catanzaro pubblicata in data 19 ottobre 2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 gennaio 2025 dalla Consigliera Dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Catanzaro con la sentenza qui impugnata ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme n. 70/2019 che, per l’effetto , ha confermato, con condanna di NOME COGNOME a rifondere in favore NOME COGNOME le spese del grado di gravame.
Per quanto ancora qui di rilievo, con atto di citazione del marzo 2008 NOME COGNOME aveva convenuto innanzi al Tribunale di Lamezia Terme NOME COGNOME per sentirlo condannare al risarcimento dei danni in forza della sentenza n. 69/2000, passata in giudicato, con cui la Corte penale d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione e di £ 500.000 di multa per il reato di cui all’art. 641 c.p., oltre al risarcimento del danno da essa subito da liquidare in separata sede. In sede penale, COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, era stato riconosciuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta ascrittogli per avere emesso, a fronte di un accordo transattivo concluso nel 1993 con NOME COGNOME per la fornitura di olio, un assegno di £. 87.563.680, nonostante la linea di credito accordata alla RAGIONE_SOCIALE fosse stata revocata, così contraendo un’obbligazione con il proposito di non adempierla. L’attrice aveva, altresì, dedotto di non avere ottenuto il pagamento dell’assegno tratto su un conto inattivo della società debitrice, dichiarata fallita nel 1995, e di avere subito una perdita patrimoniale corrispondente all’importo dell’assegno rimasto insoluto e un danno morale da liquidare in via
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Est. I. COGNOME equitativa. Si era costituto in giudizio il convenuto, eccependo l’inammissibilità della domanda e chiedendone, comunque, il rigetto; in via subordinata, aveva chiesto la riduzione dell’ammontare del risarcimento nella misura di giustizia, rimettendosi al prudente apprezzamento del Tribunale per il riconoscimento e la liquidazione del danno morale.
La causa era stata istruita mediante le produzioni documentali delle parti e con sentenza n. 70/2019 il Tribunale di Lamezia Terme, ritenendo che «dalla motivazione della sentenza emessa dalla corte d’Appello emerge acclarata la sussistenza del reato di cui all’art. 641 c.p. e che l’imputato abbia assunto l’obbligazione contrattuale con la NOME NOME con l’intento di non farvi fronte, rilasciando in favore della stessa l’assegno dell’importo di lire 87.563.380 », ha parzialmente accolto la domanda condannando il convenuto al pagamento della somma di € 45.222,86, «pari alla somma per cui vi era stata la dissimulazione d’insolvenza, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sulla somma liquidata, a partire dalla data di decisione del giudice penale, fino al saldo del dovuto», rigettandola nel resto, non essendo stato provato il danno morale.
Avverso la decisione della Corte d’appello di Catanzaro, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Ha resistito con controricorso NOME COGNOME
Ai fini della decisione del presente ricorso questa Corte ha proceduto in camera di consiglio ai sensi dell’art. 3 80 bis.1 c.p.c..
Parte ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia ‘ in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c. ‘ la ‘violazione dell’art. 113 c.p.c.; violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. per mancata esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; violazione dell’art. 2043 c.c. ‘ ; in particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’a ppello in violazione dell’art.
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113 c.p.c. ha liquidato il danno conseguente al reato in misura pari all’obbligazione rimasta inadempiuta in assenza di fonti normative in tal senso e, nell’assumere tale decisione, violando l’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c., non ha esplicitato le ragioni di fatto e di diritto che hanno condotto alla liquidazione del danno nella misura adottata. Inoltre, in violazione dell’art. 2043 c.c., non ha individuato né l’effettivo danno prodotto dal reato, né il nesso di causalità tra l’evento ed il danno liquidato .
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta ‘ in relazione all’art. 360, n. 5), c.p.c’ l’ ‘ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘ ; nello specifico, si duole che la Corte d’appello nel pronunciare la condanna del ricorrente al pagamento di una somma pari al credito rimasto insoddisfatto non avrebbe tenuto conto del fatto che la transazione rimasta inadempiuta aveva ad oggetto esclusivamente un differimento del pagamento, e non aveva comportato né una riduzione del quantum debeatur , né una diminuzione delle garanzie del credito; lamenta inoltre che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del fatto che il credito corrispondente alla somma liquidata era stato già riconosciuto in altra sede giudiziaria, essendo stato ammesso al passivo del fallimento della società rappresentata dal ricorrente.
2.1. I primi due motivi del ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati poiché relativi alla medesima censura con cui si lamenta che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente liquidato il danno conseguente al reato in misura pari all’obbligazione rimasta inadempiuta, sono inammissibili sia con riferimento alle asserite violazioni di legge denunciate sia con riferimento al preteso omesso esame di un fatto decisivo.
2.1.1. Giova evidenziare che la Corte d’appello ha dato atto, in via preliminare, che «il Tribunale si è correttamente fatto carico di verificare la sussistenza dei danni-conseguenza derivanti dalla
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Est. I. Ambrosi commissione del reato con ciò dimostrando di non avere considerato il danno in re ipsa identificandolo con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione riconducibili ai sensi dell ‘art . 1223 c.c. in via immediata e diretta al fatto di reato accertato con autorità di cosa giudicata in sede penale.» (pag. 4 della sentenza impugnata).
La Corte calabrese ha altresì escluso la fondatezza della tesi di parte appellante, oggi reiterata con i mezzi in esame, spiegando che il mancato pagamento dell’assegno tratto sul conto corrente della RAGIONE_SOCIALE (società di cui era amministratore l’odierno ricorrente COGNOME) è fatto che, sul piano civilistico, obbliga la società (ora fallita), per un verso, al pagamento della somma indicata nell’assegno e, per l’altro verso, l’ autore del reato al pagamento delle medesima somma, maggiorata di interessi e rivalutazione a titolo di risarcimento del dannoconseguenza derivante dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, coincidente con il mancato incasso della somma portata dall’assegno ricevuto dalla Faro in esecuzione dell’ accordo transattivo intervenuto tra le parti (pagg. 4-5 della sentenza impugnata).
La Corte di merito ha concluso, infine, con l’affermare che «Non è invero in discussione tra le parti che per il principio della compensatio lucri cum damno dalla somma dovuta alla Faro a titolo di risarcimento del danno per capitale, interessi e rivalutazione monetaria, dovrà essere detratto quanto già ottenuto dalla stessa in sede di fallimentare con il riparto parziale (€ 2.313,32) e quanto eventualmente incasserà in sede di riparto finale.» (pag. 5 della sentenza impugnata).
Tanto richiamato, le censure proposte, per un verso, nonostante la formale intestazione, attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte d’appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento
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Est. I. Ambrosi dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale -della volontà contrattuale e delle risultanze istruttorie, è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499); per l’altro verso, con le censure di omesso esame risulta evidente che il ricorrente tende a formulare una tipica censura diretta a denunciare un vizio non più denunciabile secondo il vigente dettato dell’art. 360 comma 1 n. 5 (insufficienza), neppure confrontandosi con il costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’obbligazione del risarcimento del danno derivante da fatto illecito integrando un debito di valore, tende alla effettiva ed integrale reintegrazione del patrimonio della parte lesa nella situazione in cui si sarebbe trovata se non si fosse verificato l’evento dannoso, anche nell’ipotesi in cui si proceda, come nella specie, alla liquidazione con valutazione equitativa, non facendo questa venir meno l’esigenza di una effettiva rispondenza del risarcimento all’entità del danno (cfr. in particolare, v. Cass. Sez. 3, 15/06/2016 n. 12284; Cass. Sez. 1, 04/08/2000 n. 10263).
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia ‘ in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c.: violazione dell’art. 91 c.p.c.’ il capo della pronuncia sulle spese di gravame, affermando che in realtà il giudice di appello – avendo sostanzialmente riformato la sentenza di primo grado e mutato il contenuto precettivo (implicitamente accogliendo in parte il gravame del COGNOME) -ha ridotto l’entità del quantum debeatur che andrà decurtato di quanto la parte attrice andrà a riscuotere dalla liquidazione dell’attivo del fallimento di RAGIONE_SOCIALE
3.1. Il motivo è parimenti inammissibile in quanto non sussiste la violazione dell’art. 91 c.p.c. .
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E’ sufficiente richiamare al riguardo il principio secondo cui l’ individuazione della parte soccombente è compiuta da parte del Giudice di merito in base al principio di causalità a mente del quale gli oneri economici e l’ obbligo di rimborsare alle altre parti le spese da loro anticipate, necessarie per la difesa, debbano essere assunti da colui il quale, col comportamento antigiuridico tenuto prima e fuori del giudizio, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo protrarsi (Cass. 30/05/2000, n. 7182; Cass. 27/11/2006, n. 25141; Cass. 15/07/2008, n. 19456; Cass. 29/07/2021, n. 21823; Cass. 12/12/2022, n. 36182).
In definitiva, il ricorso proposto da NOME COGNOME va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Per questi motivi
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo d i contributo
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Est. I. Ambrosi unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione