Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23134 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23134 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 15782 del ruolo generale dell’anno 2025 , proposto da
Campobasso NOME , nato a Bari il 1.07.1958 {c.f. CMPGPP CODICE_FISCALE), Campobasso NOME , nato a Bari il 07.09.1962 (c.f. CMPPQL62P07A662L), e Campobasso NOME , nata a Bari il 24.7.1965 (c.f. CMPSLL65lB4A6620), eredi testamentari del defunto NOME COGNOME, deceduto in Bari in data 8.11.2014, rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME (c.f. RSN CODICE_FISCALE – PEC EMAIL -fax NUMERO_TELEFONO), NOME COGNOME (c.f.: CODICE_FISCALE pec: avvEMAIL) e NOME COGNOME (c.f. RSN CODICE_FISCALE; fax: NUMERO_TELEFONO pec: EMAIL), tutti domiciliati in Bari ed elettivamente in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio del dott. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso.
Ricorrenti
contro
Comune di Triggiano , c.f. NUMERO_DOCUMENTO in persona del Sindaco p.t. NOME COGNOME in virtù di determina dirigenziale n° 247 del 18/06/2019, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta
la procura speciale in calce al controricorso, domiciliato in Roma presso l’avv. NOME COGNOME, in INDIRIZZO nello studio legale NOME, COGNOME, COGNOMERAGIONE_SOCIALE & partner, dove intende ricevere le notificazioni in alternativa alla PEC: EMAIL – fax NUMERO_TELEFONO – e- mailEMAIL
Controricorrente e Ricorrente incidentale
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n° 469 depositata il 22 febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- Dopo un lungo iter processuale, sia davanti al giudice amministrativo che a quello ordinario, la Corte d’appello di Bari, adita dagli eredi di NOME COGNOME (indicati in intestazione) in sede di rinvio da Cass. n° 1186/2018, liquidava a loro favore euro 903.927,92, a titolo di risarcimento del danno per equivalente, oltre interessi dalla pronuncia di primo grado (17 luglio 2008), a seguito dell’occupazione usurpativa di una porzione di suolo per l’ampliamento dell’Ospedale INDIRIZZO di Triggiano avvenuta all’esito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità iniziato con decreto sindacale del 7 agosto 1985.
2 .- Il Giudice del rinvio premetteva che la natura edificabile del suolo era ormai questione coperta dal giudicato.
Nel merito, osservava che la c.t.u., disposta nel corso del giudizio di appello che dette luogo alla sentenza cassata, era condivisibile, fatta eccezione per una incoerenza nell’individuazione del valore unitario da attribuire ad ogni metro quadrato del fondo espropriato. Infatti, il c.t.u. aveva attribuito al fondo occupato il valore, calcolato al 4 novembre 1990, di lire 1.400.000 al metro quadrato, corri-
spondenti a lire 100.000 al metro cubo, sul rilievo che sul suolo potessero essere edificati quattro metri cubi per ogni metro quadrato, ‘ ritenendo cioè un abbattimento dell’Indice di fabbricazione fondiaria di 4 mc/mq ‘.
Tale conclusione appariva, tuttavia, ‘ in contraddizione con la metodologia di calcolo precedente col quale aveva determinato il prezzo al mc, partendo dal costo al mq degli appartamenti: «per costruire un mq. di appartamento occorre utilizzare circa 3,5 mc (…) 1.400.000 : 3,5 x 0,25 = £ 100.000 al mc» ‘.
Riteneva, pertanto, che il prezzo al metro quadrato del fondo illegittimamente appreso dal Comune di Triggiano dovesse essere corretto nella minor somma di lire 350.000 al metro quadrato, con la conseguenza che il valore complessivo del risarcimento, all’anno 1990, era pari a lire 1.035.650.000 (mq 2.959 per lire 350.000) pari ad euro 534.868,59.
Tale importo doveva essere aggiornato alla data della decisione di primo grado (17 luglio 2007) e pertanto l’entità del risarcimento, a quella data, risultava pari ad euro 903.927,92.
Nulla era dovuto a titolo di danno da ritardo, non essendo stato provato, mentre erano dovuti solo gli interessi, dalla data della prima pronuncia (17 luglio 2007) al soddisfo.
Nulla spettava a titolo di danno per la perdita di valore della parte residua dell’area, dato che l’occupazione usurpativa integrava un illecito ex art. 2043 cod. civ. e che gli attori non avevano provato, né chiesto di provare, il pregiudizio economico subito.
Spese di tutte le fasi del giudizio (primo grado, appello, cassazione e rinvio) compensate per un quarto e per i residui tre quarti a carico del Comune, nonché ‘ restituzione da parte del Comune di Triggiano agli eredi Campobasso di quanto già versato a titolo di spese ‘.
3 .- Ricorrono per cassazione gli eredi Campobasso, affidando l’impugnazione a sette mezzi.
Resiste il Comune che conclude per la reiezione del ricorso, proponendo due motivi di ricorso incidentale.
Il procedimento è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ. Le parti hanno depositato le rispettive memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4 .- Col primo motivo di ricorso i Campobasso, sulla base dell’art. 360 n° 4 cod. proc. civ., deducono la violazione dell’art. 55 del d.P.R. n° 327/2001 e la nullità della sentenza per errore manifesto, ultrapetizione, motivazione abnorme ed incomprensibile.
La Corte -nell’esaminare e disattendere il quinto motivo di appello del Comune (col quale l’Ente locale si doleva dell’eccessivo valore attribuito al terreno) -aveva ritenuto condivisibile la c.t.u. espletata nel giudizio di rinvio dall’ingegner COGNOME (anche sul rilievo che essa fosse coerente con quella depositata dall’ingegner COGNOME nel giudizio per la determinazione dell’indennità di occupazione legittima), ma avrebbe, poi, rilevato un errore nella stima del c.t.u. COGNOME concernente il valore del suolo.
Tale rilievo era avvenuto in sede di rigetto del quinto motivo di appello del Comune, doveva ritenersi che esso fosse stato fatto sulla base di un autonomo rilievo ufficioso.
A dire della Corte, infatti, la stima Losacco era corretta, ad eccezione della parte in cui aveva determinato il valore di mercato del suolo: il consulente avrebbe dapprima detto che valore dell’area corrispondeva a lire 400 mila al metro quadrato e, dunque, ad euro 100 mila al metro cubo, sul rilievo che potessero essere edificati quattro metri cubi per ogni metro quadrato; mentre, in altro precedente passaggio, avrebbe accertato che per costruire un metro quadrato di appartamento occorreva utilizzare circa 3,5 metri cubi, con la conseguenza che il prezzo al metro quadrato del fondo era
più correttamente individuabile in lire 350 mila al metro quadrato e non in lire 400 mila.
Tale conclusione non era, tuttavia, condivisibile, secondo i ricorrenti, sia perché era derivata da un rilievo d’ufficio della Corte, sia perché la formula utilizzata dal c.t.u. per indicare i metri cubi di alloggio realizzabili per ogni metro quadro di superficie era sempre stata la stessa ed era perfettamente corretta, dando come risultato finale il valore di lire 400.000 mila al metro quadrato di suolo.
5 .- Il mezzo, contrariamente a quanto dedotto dal controricorrente, è ammissibile ed è anche fondato.
Deve premettersi che prima della Delibera della Giunta regionale della Puglia n° 2250 del 21 dicembre 2017 non esisteva per la Regione un testo normativo contenente le ‘ Definizioni uniformi ‘ in materia urbanistica ed edilizia.
Pertanto, nel prosieguo della presente ordinanza si farà riferimento alla terminologia utilizzata dalle parti e dal Giudice del merito.
Tanto premesso, dall’esame diretto degli atti processuali (cui questa Corte può procedere, dato che il motivo è stato formulato anche ai sensi dell’art. 360 n° 4 cod. proc. civ.), emerge che fu il Comune a porre, per primo, la questione del ragguaglio tra valore al metro quadrato e valore al metro cubo all’udienza del 12 febbraio 2001, nel corso della quale fece osservare che l’Indice fondiario di fabbricazione (IFF) andava ridotto da 4 a 3,5.
Tali osservazioni indussero il Giudice a convocare a chiarimenti il c.t.u., il quale, nondimeno, respinse la tesi del Comune e confermò il proprio calcolo, ribadendo che l’IFF era pari a 4, in quanto per ogni metro quadrato di suolo potevano essere edificati 4 metri cubi. Nondimeno, la Corte territoriale ha ritenuto di dover ridurre egualmente il valore al metro quadrato del fondo, sulla scorta dei seguenti snodi logici: « La stima operata dal CTU ing. COGNOME è quindi corretta, salvo che nella parte in cui ha determinato il valore di mercato del suolo dell’epoca in ragione di lire 400.000/mq, pari a L
100.000/mc, affermando che, sul suolo in questione, potessero essere edificati 4 metri cubi/mq, ritenendo cioè un abbattimento dello IFF di 4 mcmq. Tanto appare in contraddizione con la metodologia di calcolo precedente col quale aveva determinato il prezzo al mc, ponendo dal costo al mq degli appartamenti: “per costruire un mq di appartamento occorre utilizzare circa 3,5 mc (…) 1.400.000 : 3,5 x 0,25 = £ 100.000 al mc “» (sentenza pagina 8).
Pare, tuttavia, che la Corte sia partita da un’erronea interpretazione della formula usata dal c.t.u. (1.400.000 : 3,5 x 0,25), nella quale è palese che il primo coefficiente (3,5) corrisponde ai metri cubi realizzabili su ogni metro quadrato di superficie ed il secondo (0,25) al rapporto tra la superficie totale del lotto in esame e quella, necessariamente minore, destinata all’edificazione (area edificabile), notoriamente variabile a seconda dei Comuni e delle singole zone.
A fronte di tali osservazioni, la riduzione operata dalla Corte territoriale non appare comprensibile, giacché i due dati (i coefficienti 3,5 e 0,25) non sono affatto in contraddizione tra loro (come invece ritenuto a pagina 8, righe 10-12), ma rappresentano due entità diverse: il primo, come già detto, restituisce il totale dei metri cubi realizzabili su ogni metro quadrato di suolo e il secondo il totale dei metri quadrati concretamente edificabili del lotto secondo le disposizioni urbanistiche (nel caso di specie: un quarto del totale).
Tale fraintendimento si è ripercosso sulla motivazione, la quale con fondamento viene censurata dai ricorrenti.
Peraltro, giova aggiungere, da un lato, che il rilievo concernente la contraddittoria metodologia di calcolo del c.t.u. avrebbe dovuto condurre, semmai, ad una richiesta di chiarimenti e non all’adozione del valore più basso; dall’altro, che la riduzione è stata effettuata nonostante le osservazioni del Comune sulla riduzione dell’IFF fossero già state respinte dal c.t.u.: sicché la scelta operata diret-
tamente in sentenza senza alcun contraddittorio pare effettivamente uscire, a sorpresa, dal perimetro del contraddittorio.
6 .- Col secondo , il terzo ed il quarto motivo i ricorrenti censurano la decisione del Giudice del rinvio nel punto in cui ha liquidato il danno alla data della decisione di primo grado (17 luglio 2007) e poi ha attribuito i soli interessi da tale data sino al soddisfo.
Per contro, la Corte avrebbe dovuto liquidare il danno alla data della perdita della proprietà (4 novembre 1990) ed attribuire gli interessi sul capitale via via rivalutato, trattandosi di obbligazione di valore.
Inoltre, la Corte aveva riconosciuto ai danneggiati gli interessi senza alcuna specificazione del saggio, mentre vi era specifica domanda sul punto di attribuzione di un tasso di interessi superiore a quello legale, essendo divenuto, quest’ultimo, irrisorio.
7 .- I mezzi sono parzialmente fondati nel senso appresso indicato. È, infatti, ben noto ( ex multis : Cass., sez. III, 5 luglio 2023, n° 19063) che l’obbligazione risarcitoria per equivalente derivante da illecito aquiliano è un debito di valore e, come tale, va liquidato alla data della decisione, con la precisazione che l’importo così liquidato all’attualità non costituisce altro che una diversa espressione monetaria del pregiudizio patrimoniale arrecato al momento del fatto.
A tale liquidazione può aggiungersi anche il ristoro del danno derivante dal ritardo nel pagamento della somma dovuta a titolo risarcitorio, che va identificato nel pregiudizio derivante dalla mancata disponibilità del predetto importo durante il tempo occorrente ad accertarlo e ad incassarlo.
Il ristoro di quest’ultimo pregiudizio non è, tuttavia, automatico, né presunto iuris et de iure , occorrendo che il danneggiato provi, anche in via presuntiva, il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento.
Ora, la Corte ha liquidato il danno alla data del 17 luglio 2007, corrispondente alla decisione del primo grado, mentre -secondo
quanto sopra detto -avrebbe dovuto liquidarlo all’attualità, ossia al momento della sua decisione, così riconoscendo in favore dei Campobasso un valore monetario corrispondente al danno subito al momento dell’illecito, ma espresso a valori attuali.
Per tale parte, la sentenza non appare, dunque, conforme ai dettami di questa Corte in tema di risarcimento del danno per equivalente derivante da fatto illecito.
I ricorrenti, però, pretendono anche di avere il ristoro del pregiudizio sofferto per la mancata disponibilità della somma dal fatto al soddisfo.
Tale pretesa non può essere accolta, in quanto la sentenza ha escluso il ‘ maggior danno ‘ (espressione con la quale deve intendersi, come anticipato, il ristoro per la mancata disponibilità immediata della somma liquidata) in ragione della mancanza di prova ed i ricorrenti, lungi dal contrastare tale ratio decidendi , si limitano a dedurre che tale ristoro sarebbe dovuto automaticamente.
È poi ovvio che la reiezione della domanda di risarcimento per il ritardo nel pagamento della somma implica l’infondatezza della conseguente domanda (in teoria corretta, ove fosse stato assolto l’onere probatorio sull’ an ) di liquidazione di tale danno mediante un saggio di interessi non corrispondente a quello legale, ma determinato in via equitativa.
In conclusione, i mezzi sono fondati nella sola parte in cui lamentano la determinazione della somma dovuta a titolo risarcitorio riferendola alla data del 17 luglio 2007 e non alla data della decisione della Corte.
8 .- Col quinto mezzo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e del d.m. n° 55/2014, dovuta ad una incongrua liquidazione delle spese.
Col sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
La Corte, pur avendo accolto, ai sensi dell’art. 389 cod. proc. civ., la domanda di restituzione delle spese di lite pagate dagli eredi, nel dispositivo della sentenza si sarebbe limitata a condannare il Comune alla restituzione delle spese predette, senza quantificarne l’ammontare.
9 .- I mezzi sono assorbiti, in quanto in sede di secondo rinvio la Corte dovrà procedere a nuova liquidazione delle spese dell’intero giudizio, provvedendo anche alla eventuale quantificazione di quelle da restituire dall’una o dall’altra parte processuale.
10 .- Col settimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dello art. 132, secondo comma, n° 4, cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n° 4 dello stesso codice, nonché la violazione degli artt. 115 del codice di rito, 2043, 2697 cod. civ., 24 Cost. e art. 1, protocollo n° 1, della Cedu.
Con la citazione introduttiva della lite, NOME COGNOME avrebbe proposto domanda di risarcimento del danno derivato alla sua residua porzione di terreno e avrebbe anche documentato tale pregiudizio patrimoniale con una sua relazione tecnica, allegata sub n° 6 alla citazione stessa, non contestata dal Comune convenuto.
Avrebbe, poi, anche proposto appello incidentale avverso la domanda risarcitoria pretermessa.
La Corte del rinvio avrebbe, invece, respinto tale domanda osservando che gli attori non avevano provato il danno e, prima ancora, che non avevano nemmeno chiesto di provarlo; che essi non avevano nemmeno formulato un apposito quesito al c.t.u.; che la relazione del consulente non era stata da loro mai contestata.
La prima affermazione sarebbe erronea, in quanto il Campobasso aveva chiesto l’ammissione di c.t.u. a conferma della propria c.t.p. La seconda affermazione era incomprensibile ed inconferente, in quanto l’omessa formulazione di un quesito al c.t.u., ad opera della parte processuale, non ha alcun rilievo e non implica rinuncia alla consulenza.
Anche la terza affermazione sarebbe errata e contraddittoria, in quanto il primo giudice non avrebbe posto alcun quesito al consulente e non vi era pertanto alcun passaggio logico della relazione da contestare.
La motivazione della Corte sarebbe, pertanto, mancante o apparente, in quanto il giudice avrebbe dovuto fondare la decisione sulla consulenza di parte non contestata, oppure disporre una c.t.u.
11 .- Il mezzo è inammissibile.
I ricorrenti allegano che il tribunale omise di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno per la perdita di valore del fondo residuo e che il loro ascendente propose appello avverso tale omissione.
Sennonché, dalla motivazione dell’ordinanza che ha cassato la sentenza d’appello e che ha dato luogo al primo giudizio di rinvio (Cass. n° 1186/2018) non emerge che NOME COGNOME abbia coltivato tale censura anche in sede di legittimità.
In quella sede, infatti, egli formulò un primo motivo dolendosi della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (motivo accolto), mentre gli altri mezzi concernevano la nullità della decisione ex artt. 112 e 279 cod. proc. civ., l’omesso esame circa la rilevanza del decreto di acquisizione ex art. 43 del d.P.R. n° 327 del 2001, la nullità del procedimento e della decisione per mancanza dei presupposti per la pronuncia della sentenza non definitiva ex art. 277 del codice di rito.
I ricorrenti, pertanto, avrebbero dovuto dapprima allegare e poi trascrivere -o, almeno, illustrare il contenuto (ai sensi dell’art. 366 n° 6 cod. proc. civ.) -degli atti processuali successivi alla decisione d’appello, onde comprovare che la domanda risarcitoria concernente il suolo residuo venne coltivata anche nel terzo grado di giudizio.
La carenza rende il motivo in esame del tutto inammissibile.
Quanto, poi, alla violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., deve -del pari -rammentarsi che l’onere di contestazione riguarda le allega-
zioni delle parti e non i documenti prodotti (tra i quali rientra a pieno titolo la c.t.p.), né la loro valenza probatoria (Cass., sez. III, 17 novembre 2021, n° 35037), e che, comunque, il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti -che la ricorrente non ha avuto cura di effettuare – sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata, o non integrata, la non contestazione che il ricorrente pretende di negare o di affermare (Cass., sez. I, 16 luglio 2024, n° 19588).
12 .- Si passa ora all’esame dei motivi di ricorso incidentale proposti dal Comune.
Il primo motivo di ricorso incidentale -col quale il Comune deduce ‘ Errores in procedendo in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112, 113, 115, 324 e 345 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 1322, 2° comma c.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa pronuncia ed esame in riassunzione a seguito della sentenza della S.C. N. 1186/18 del 18.1.2018 ‘ -è caratterizzato da formulazione perplessa ed ai limiti della comprensibilità.
Pare di capire che il Comune deduca che alla Corte territoriale in sede di rinvio non fosse precluso di procedere ad una nuova ed autonoma valutazione delle emergenze processuali, dato che Cass. n° 1186/18 non aveva enunciato alcun principio di diritto.
Ove avesse provveduto in tal senso, la Corte ‘ avrebbe dovuto confermare il rigetto della domanda riproposta successivamente alla rinuncia rassegnata all’udienza del 30 gennaio 2006, ribadita a pag. 15 della conclusionale depositata il 30 marzo 2006, preclusiva della potestà di decidere impedita dalla precedente rinuncia (…) e di ogni attività giurisdizionale indipendentemente dall’accettazione dell’altra parte con effetto estintivo dell’azione, efficacia di rigetto nel merito, estintiva dell’interesse delle controparti alla prosecuzione del giudizio (…) integrando la riproposizione ad hoc della domanda
alla successiva udienza del 14 luglio 2008 gli estremi di una domanda nuova (…) rilevabile anche d ‘ ufficio (…) ‘.
13 .- Il mezzo è del tutto inammissibile, in quanto diretto a rimettere in discussione uno snodo logico dell’ordinanza n° 1186/18 di questa Corte, ossia quello nel quale si afferma che ‘ l’ordinanza del 17.7.2008, ex art. 186 quater c.p.c. fu emessa a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 14.7.2008, nel corso della quale l’ Avv. NOME COGNOME per la parte danneggiata (…) chiese la condanna del Comune al risarcimento del danno nella misura di € 611.278,39 (…) ‘.
14 .- Anche il secondo mezzo di ricorso incidentale è caratterizzato da formulazione perplessa ed ai limiti della comprensibilità.
Il Comune lamenta ‘
Errores in procedendo in relazione all’art. 360
n. 3 e 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112, 113, 115, 324 in relazio- ne agli artt. 2043, 2058, 1322, 2° comma, e 2909 c.c. Violazione e
falsa applicazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa pronuncia sull’insussistente abdicazione del diritto di proprietà quale presup-
posto essenziale al risarcimento del danno per equivalente moneta- rio, suscettibile di determinare un esito diverso della controversia
‘.
Pare di comprendere che, secondo il Comune, la perdita della proprietà non sarebbe derivata dalla accessione invertita, ma dall’opzione esercitata dal proprietario a favore della tutela risarcitoria.
15 .- La doglianza è inammissibile per più ragioni.
Anzitutto, il motivo è del tutto privo di chiarezza (art. 366 n° 4 e 4 cod. proc. civ.).
In secondo luogo, il mezzo tende palesemente a rimettere in discussione un dato ormai passato in giudicato e dato per acquisito dalla stessa Cass. n° 1186/18, ossia la perdita del diritto di proprietà a seguito della costruzione dell’opera pubblica.
16 .- In conclusione, la sentenza va cassata in accoglimento del primo, del secondo, del terzo e del quarto mezzo di impugnazione
principale, con il co seguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Bari, anche per il regolamento delle spese processuali.
Va nondimeno disposto il raddoppio del contributo unificato a carico del Comune, ricorrente incidentale.
p.q.m.
la Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale. Dichiara assorbiti i motivi quinto e sesto ed inammissibili il settimo motivo del ricorso principale ed i due motivi del ricorso incidentale. Cassa e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1quater , del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del Comune Triggiano, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2025, nella camera di con-