Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26890 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26890 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22567/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentat a e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 1728/2019 depositata il 13/12/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La vicenda trae origine dalla domanda di risarcimento danni proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per l’inadempimento del contratto di acquisto da parte di COGNOME della licenza del pacchetto software ‘soft case’ (composto da vari moduli) per la produzione, fruizione ed archiviazione sostitutiva dei documenti in formato digitale, con annessa manutenzione ed assistenza, a fronte di un versamento del canone annuo di 3600 €. Il contratto era stato stipulato per passare dall’archiviazione cartacea a quella in formato digitale di tutti i documenti, compresa l’archiviazione conservativa, con valenza fiscale, del ciclo attivo ai sensi dell’art. 3 del D.M. 23 gennaio 2004. Il contratto è stato anticipatamente disdettato dalla RAGIONE_SOCIALE e durante il periodo di preavviso si sono riscontrate anomalie del sistema, in termini di mancato aggiornamento del programma ed inadeguata assistenza, tali da compromettere la regolare archiviazione con firma digitale delle fatture emesse dalla società acquirente.
Il Tribunale di Ancona, con sentenza n. 495/2015, rigettava la domanda di risarcimento proposta dalla RAGIONE_SOCIALE ritenendo che il disservizio per 986 ore e il successivo acquisto del programma da RAGIONE_SOCIALE non erano stati determinati dall’inadempimento della convenuta, in quanto il vizio era stato riscontrato nel sistema informatico della RAGIONE_SOCIALE e non nel programma venduto da RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’ Appello di Ancona, con la sentenza n. 1728 del 3 dicembre 2020, riformando parzialmente la sentenza impugnata ha
condannato la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno patrimoniale subito dalla RAGIONE_SOCIALE e rappresentato dall’esborso eseguito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE che ha curato la fornitura del nuovo programma necessario a sopperire alla mancanza di supporto tecnico causato dal recesso anticipato della convenuta e a proseguire nell’archiviazione e conservazione digitale dei documenti aziendali. Ha condannato anche al pagamento di euro 5.000 per il danno derivante dalla perdita di produttività.
Propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, sulla base di sette motivi illustrati da memoria.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5.1. Con il primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Lamenta l’erroneità della pronuncia in punto di liquidazione equitativa del danno in favore della RAGIONE_SOCIALE, in quanto non vi è prova della sua esistenza. Inoltre, censura la sentenza perché è priva di motivazione, non avendo il giudice del gravame spiegato le ragioni poste a fondamento della condanna risarcitoria di € 5.000,00, in violazione del principio del c.d. minimo costituzionale.
5.2. Con il secondo motivo, ancora con riferimento alla condanna di € 5.000,00, lamenta la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 132, comma 4, c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
Sostiene che la Corte territoriale non ha indicato le ragioni fattuali e giuridiche alla base della suddetta condanna, in violazione del citato art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c.
5.3. Con il terzo motivo di ricorso denunzia la violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. anche in relazione alla condanna al pagamento di € 22.500,00, (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
Deduce il difetto di motivazione, anche su tale capo, in quanto non risulta l’iter logico -giuridico che la Corte ha seguito per arrivare ad
accogliere l’ulteriore domanda risarcitoria della RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, la condanna si fonda su una motivazione apparente, dal momento che il giudice del gravame ha tratto il suo convincimento da questioni, per un verso, non introdotte nel giudizio, quali il recesso, per altro, indimostrate, quali la necessità del cambio di software.
5.4. Con il quarto motivo denuncia il vizio di nullità della sentenza ex art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., ancora in relazione alla condanna al pagamento di € 22.500,00, sotto l’aspetto della motivazione apparente, mancando una spiegazione a tale decisione.
5.5. Con il quinto motivo di ricorso denunzia la contraddittorietà e la mancanza di motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.
Si duole che , dopo aver riconosciuto l’assistenza prestata da RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE in entrambe le circostanze oggetto di contestazione (mancata apposizione della marca temporale entro il 6 dicembre 2010; modifica dell’estensione dei files), la corte di merito abbia poi, in modo incoerente, ritenuto tardivo l’adempimento, quando un termine per adempiere non era stato previsto dalle parti.
5.6. Con il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte anconetana condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di € 22.500,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE sull’erroneo presupposto dell’esistenza di un termine per adempiere, coincidente con i termini fiscali, in realtà non contrattualmente previsto, per cui non si potrebbe configurare un ritardato adempimento. Inoltre, ha mal interpretato il contratto inter partes, ritenendo il recesso esercitato dalla stessa RAGIONE_SOCIALE illegittimo e ‘causa dell’offesa del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE‘ (cfr. p. 35 ricorso principale).
5.7. Con il settimo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sempre in relazione alla condanna di € 22.500,00.
Si duole che la Corte abbia omesso di considerare un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ossia che il cambio di programma era stato frutto di una libera scelta di NOME, perché non soddisfatta del programma di RAGIONE_SOCIALE, e non per la mancanza di assistenza di quest’ultima. Oltre a ciò, avrebbe tralasciato di considerare le prove collegate a tale circostanza che, laddove valutate, avrebbero condotto al rigetto dell’appello.
I primi due motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Osserva infatti il collegio, con riferimento alla lamentata violazione dell’art. 1226 c.c. (primo motivo), come parte ricorrente, nell’articolazione delle ragioni a base delle sue doglianze, non abbia specificato in che modo le statuizioni impugnate non sarebbero conformi alle previsioni di legge e, quindi, quale sia l’errore di diritto in cui sarebbe incorso il secondo giudice.
Ciò, in pieno contrasto con l’ormai consolidato principio enunciato da questa Corte regolatrice, secondo il quale il vizio della sentenza di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, ‘non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione’ (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ord., 2 maggio 2024, n. 11709; Cass. civ., Sez. lav., 22 aprile 2024, n. 10748; Cass. civ., Sez. I, Ord., 14
marzo 2024, n. 6795; Cass. civ., Sez. I, Ord., 13 febbraio 2024, n. 4000; Cass. civ., Sez. II, Ord., 18 gennaio 2024, n. 1918).
Osserva ulteriormente il collegio, con specifico riguardo alla doglianza di nullità della sentenza (secondo motivo), che essa è infondata.
In caso di liquidazione equitativa del danno, infatti, per giurisprudenza consolidata, la relativa statuizione non può essere censurata in sede di legittimità quando non sia frutto di una scelta arbitraria del giudice di merito, ma invece contenga, in motivazione, l’indicazione, seppur sommaria, dei criteri e degli elementi considerati per determinare l’entità del danno. Criteri che non devono essere ‘manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto’ (v. Cass. civ., Sez. I, Ord., 4 aprile 2024, n. 8880; Cass. civ., Sez. III, Ord., 4 marzo 2024, n. 5674; Cass. civ., Sez. III, Ord., 2 febbraio 2024, n. 3178; Cass. civ., Sez. III, Ord., 17 agosto 2023, n. 24724; Cass. civ., Sez. III, Ord., 7 luglio 2023, n. 19277; Cass. civ., Sez. I, Ord., 25 luglio 2022, n. 23175).
Nessuna violazione della norma denunciata sussiste nel caso di specie, posto che la perdita di produttività, riconosciuta e non negata nel suo an, è stata quantificata dal giudice del merito in base a criteri logici e non arbitrari, avendo la Corte territoriale, sulla base delle circostanze del caso concreto, ritenuto congruo quantificare in € 5.000,00 tale perdita, perché rispetto alle 986 ore di lavoro perso, ha valutato la somma richiesta sovrastimata, adducendo una motivazione logica e coerente.
Tali argomentazioni, ad avviso del collegio, sono intelligibili e prive di insanabili contraddizioni intrinseche e, pertanto, rispettose del c.d. minimo costituzionale, quale perimetro entro il quale può
svolgersi il sindacato di legittimità (principio sancito da Cass. civ., SS.UU, 7 aprile 2014, n. 8053).
6.1. Gli ulteriori motivi di ricorso, terzo e quarto, a loro volta, possono essere scrutinati insieme, riguardando anch’essi la medesima questione giuridica, questa volta, la condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno in favore della RAGIONE_SOCIALE quantificato in € 22.500,00, ma non conducono alla cassazione della decisione impugnata.
In primo luogo, a fronte della reiterata denuncia di nullità della sentenza per mancanza dell’elemento motivazionale e, quindi, per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. (terzo e quarto motivo), va ricordato come, secondo pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, per ricorrere tale vizio occorre che ‘la motivazione non ci sia del tutto sul piano grafico o che essa, considerata come tale, sia intrinsecamente contraddittoria o apparente’ (così da ultimo, Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 12 aprile 2024, n. 9943; Cass. civ., Sez. III, Ord., 11 maggio 2022, n. 14946).
La stessa giurisprudenza ha specificato che l’anomalia motivazionale può consistere in un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ovvero obiettivamente incomprensibili, concretandosi quindi in difetti che ‘devono essere desumibili dallo stesso tessuto argomentativo attraverso cui essa si sviluppa, e devono comunque essere attinenti ad una quaestio facti’ (cfr. Cass. civ. n. 9943/2024 cit.; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 15 novembre 2018, n. 29402). Con l’ulteriore precisazione che, in sede di legittimità, comunque non è possibile compiere ‘una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito’ (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 10 aprile 2024, n. 9659; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 11 luglio 2022, n. 21931; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 28
giugno 2022, n. 20782; Cass. civ., Sez. V, Ord., 11 gennaio 2022, n. 602).
Nella fattispecie, non ricorre alcuno dei suddetti requisiti, dal momento che la motivazione della Corte anconetana è graficamente e concretamente articolata, non presenta vizi logici, lacune o aporie e riporta, invece, in modo chiaro ed inequivoco il supporto argomentativo della decisione.
Neppure può parlarsi di un argomentare perplesso e obiettivamente incomprensibile ovvero di argomentazioni inconciliabili, risultando invece esplicitate, in modo adeguato, lineare e secondo un iter logico-giuridico, le ragioni della condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno patrimoniale subìto dalla RAGIONE_SOCIALE, per l’assenza di supporto tecnico a seguito del recesso anticipato della prima, che ha fatto sì che la RAGIONE_SOCIALE acquistasse un altro software sostenendone i relativi costi per € 22.500,00.
6.2. Anche le doglianze argomentate nel quinto e sesto motivo di ricorso, relative all’asserita violazione delle norme in materia di interpretazione del contratto, anche in termini di tardivo adempimento da parte di RAGIONE_SOCIALE nel termine perentorio del 6 dicembre 2010 indicato nella sentenza, non colgono nel segno.
In proposito, la sentenza impugnata non lascia spazio a interpretazioni: il termine perentorio del 6 dicembre 2010 è relativo non all’adempimento per eseguire la manutenzione e, quindi, all’aggiornamento del sistema da parte dei tecnici della RAGIONE_SOCIALE (che nel caso le parti, per come riportato dall’art. 3 del contratto, indicato dalla ricorrente a pp. 29-30, non sembra avessero previsto), quanto piuttosto al termine previsto dalla normativa fiscale, affinché il Responsabile della Conservazione dei dati provvedesse all’inserimento delle fatture periodiche nel ‘lotto di archiviazione’ e alla successiva ‘chiusura’ di detto lotto tramite firma digitale e marcatura temporale. Dunque, non un termine perentorio entro cui procedere alla manutenzione o aggiornamento
del software, ma un termine entro cui compiere tutti gli adempimenti previsti dalla legge, il cui mancato rispetto ha determinato la RAGIONE_SOCIALE a rivolgersi ad altro fornitore, per non essere esposta a sanzioni amministrative.
Aggiungasi che la mancata riproduzione, da parte del ricorrente, pattuizioni, costituisce una palese violazione dei principi di autosufficienza e specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., atteso che la riproduzione unicamente dell’art. 3 non consente al collegio di dell’intero contratto e, quindi, di tutte le relative verificare i termini complessivi dell’accordo intercorso inter partes.
Infine, ma non in ordine di importanza, osserva altresì questo collegio come, in ogni caso, in tema di interpretazione del contratto e di applicazione delle regole ermeneutiche, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé riservato al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, ‘con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati’ (cfr. da ultimo, ex plurimis, Cass. civ., Sez. III, Ord., 6 maggio 2024, n. 12273; Cass. civ., Sez. lav., 26 aprile 2024, n. 1119; Cass. civ., Sez. lav., 23 aprile 2024, n. 10948; Cass. civ., Sez. III, Ord., 31 gennaio 2024, n. 2887).
Per questa ragione, quindi, la parte che intende denunciare in cassazione un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale non può limitarsi al generico richiamo delle regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., ma ha l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (cfr. da ultimo, tra le tante, Cass. civ., Sez. II, 6 maggio 2024, n. 12117; Cass. civ., Sez. I, Ord., 19 aprile 2024, n. 10612;
Cass. civ., Sez. III, Ord., 10 aprile 2024, n. 9731; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 26 febbraio 2024, n. 5081; Cass. civ., Sez. III, Ord., 11 ottobre 2023, n. 28426; Cass. civ., Sez. I, Ord., 21 settembre 2023, n. 2698).
D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i profili appena illustrati, l’interpretazione del contratto data dal giudice non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una di quelle possibili.
Nel caso in esame, la Corte d’appello, tenuto conto degli esiti istruttori, attesa l’evidenza delle anomalie di sistema e la necessità di ‘procedere con speditezza ai dovuti aggiornamenti per evitare i disservizi alla propria assistita e, non da ultimo, di non farla incorrere in sanzioni’ (v. p. 5 sentenza impugnata n. 1726/19), ha ritenuto incontroverso l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE alle pattuizioni contrattuali. E, nello spiegare le ragioni del suo convincimento, ha espresso il ragionamento seguito, in modo non implausibile, ricorrendo a una motivazione, anche sotto tale profilo, rispettosa della soglia del ‘c.d. minimo costituzionale’ (cfr. Cass. civ., SS.UU., n. 8053/2014 cit.), di guisa che la soluzione interpretativa prescelta si sottrae al sindacato di legittimità.
6.3. Anche le censure dei vizi di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., specificate sempre nel sesto motivo, ma anche nel settimo motivo, non meritano di essere accolte.
Non la violazione di legge, per le ragioni appena enunciate, attesa, anche in questo caso, l’assenza di qualsivoglia confronto o indicazione del contrasto tra le norme che la ricorrente assume violate e le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata.
Ma neppure il vizio di cui al n. 5, potendo essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia. In altre parole, deve trattarsi di un fatto che
risulta dal testo della sentenza e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della medesima controversia. Con la precisazione che, il mancato esame di elementi istruttori, non integra di per sé il fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia poi dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 3 maggio 2024, n. 12019; in motivazione, Cass. civ., SS.UU., 30 aprile 2024, n. 11676; Cass. civ., Sez. III, Ord., 17 aprile 2024, n. 10477; Cass. civ., Sez. V, Ord., 5 aprile 2024, n. 9054; Cass. civ., Sez. II, 29 marzo 2024, n. 8581; Cass. civ., Sez. V, 25 marzo 2024, n. 7966; Cass. civ., Sez. I, Ord., 13 marzo 2024, n. 6655).
Nello specifico, la censura verte sulla non condivisione della condanna al risarcimento del danno, perché la RAGIONE_SOCIALE avrebbe liberamente deciso di passare ad altro programma, sostenendo il costo di € 22.500,00. Sennonché, nonostante la reiterazione di ragioni indirizzate a dimostrare l’esistenza di una tale determinazione, che sarebbe stata corroborata dal mancato esame delle dichiarazioni testimoniali della signora NOME COGNOME, le censure comunque sono generiche e, come tali, non possono essere accolte.
6.4. In particolare, nella formulazione del settimo motivo non risulta minimamente individuata e adeguatamente illustrata anche una sola circostanza, ritenuta decisiva dalla ricorrente, che non sarebbe stata esaminata dal giudice d’appello, laddove, di contro, dalla lettura della sentenza emerge che quest’ultimo ha compiuto un accertamento in fatto in maniera complessiva e non certamente atomistica delle risultanze istruttorie.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza