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Risarcimento danni in appalto: la prova dei costi

Una sentenza della Corte d’Appello analizza il tema del risarcimento danni in appalto. Il caso riguarda una controversia tra un’impresa edile e una committente per il pagamento di opere extracontratto e per i costi di sanatoria di alcuni vizi. La Corte ha stabilito che, per ottenere il risarcimento, non è sufficiente la stima di un perito (CTU), ma è necessaria la prova concreta della spesa effettivamente sostenuta. Di conseguenza, ha ridotto l’importo detratto dal credito dell’impresa, accogliendo parzialmente l’appello e modificando la ripartizione delle spese legali.

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Risarcimento danni in appalto: la stima non basta, serve la prova della spesa

Nel contesto dei contratti di costruzione, le controversie sono tutt’altro che rare. Una recente sentenza della Corte d’Appello ha ribadito un principio fondamentale in materia di risarcimento danni in appalto: per ottenere il rimborso dei costi sostenuti a causa dei vizi dell’opera, non è sufficiente una stima peritale, ma è indispensabile fornire la prova documentale dell’esborso effettivo. Questa decisione chiarisce i confini tra valutazione del danno e sua concreta dimostrazione, con importanti implicazioni per committenti e appaltatori.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un contratto d’appalto per la realizzazione di un’unità immobiliare. L’impresa costruttrice, non avendo ricevuto il saldo, otteneva un decreto ingiuntivo contro la committente. Quest’ultima si opponeva, contestando il debito e avanzando a sua volta una domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni derivanti da vizi costruttivi e dal mancato completamento di alcune opere, come gli intonaci.

Il Tribunale di primo grado, dopo aver disposto una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), aveva revocato il decreto ingiuntivo e, operando una serie di compensazioni, aveva condannato la committente a pagare all’impresa una somma residua molto ridotta. In particolare, il giudice aveva detratto dal credito dell’appaltatore sia il costo per il completamento degli intonaci (eseguiti da un’altra impresa), sia una somma stimata dal CTU per i costi e gli oneri di una pratica di sanatoria resasi necessaria per sanare alcuni difetti dell’opera.

L’Appello e la questione del risarcimento danni in appalto

L’impresa appaltatrice ha impugnato la sentenza di primo grado, articolando due principali motivi di appello.

Il primo motivo contestava la detrazione dei costi per gli intonaci, sostenendo che tali lavori non le fossero mai stati commissionati e che l’impresa terza si fosse occupata solo degli intonaci interni, mentre essa avrebbe dovuto realizzare quelli esterni.

Il secondo, e più rilevante, motivo di appello riguardava la detrazione della somma di quasi 4.000 euro per i costi della pratica di sanatoria. L’impresa sosteneva che la committente non avesse mai fornito la prova di aver effettivamente sostenuto tale spesa, limitandosi a produrre la ricevuta di pagamento di una sanzione di soli 340 euro. Pertanto, il risarcimento danni in appalto accordato dal Tribunale si basava su una mera stima del CTU e non su un costo reale.

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha analizzato distintamente i due motivi, giungendo a conclusioni opposte.

Sul primo punto, relativo agli intonaci, i giudici hanno respinto il ricorso. Hanno chiarito che il CTU aveva correttamente valutato il valore complessivo di tutte le opere extracontratto esistenti al momento del sopralluogo, inclusi gli intonaci. Poiché era pacifico che tali lavori non fossero stati eseguiti dall’impresa appellante, era giusto detrarre il loro valore dal compenso totale, a prescindere da chi li avesse effettivamente realizzati. Il punto non era commissionare o meno il lavoro, ma remunerare l’impresa solo per ciò che aveva costruito.

Sul secondo motivo, invece, la Corte ha dato piena ragione all’impresa. I giudici hanno sottolineato un principio cardine del diritto processuale: chi chiede un risarcimento deve provare il danno subito. Nel caso specifico, la committente aveva formulato una domanda di risarcimento per i costi della sanatoria, ma in giudizio aveva documentato unicamente il pagamento di 340 euro per la sanzione amministrativa. La restante, e ben più cospicua, parte della somma, relativa a presunti onorari professionali, era rimasta una semplice stima del CTU, non supportata da alcuna fattura, parcella o prova di pagamento.

La Corte ha quindi affermato che non si può riconoscere, come voce di danno risarcibile, una mera stima operata dal perito in assenza di qualsiasi dato specifico circa l’effettivo esborso. Il risarcimento deve ristorare un pregiudizio economico reale e provato, non potenziale o ipotetico.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte d’Appello ha parzialmente accolto l’impugnazione. Ha ricalcolato il credito dell’impresa edile, stabilendo che dalla somma dovuta poteva essere detratto solo l’importo di 340 euro, ovvero l’unico costo di cui la committente aveva fornito prova documentale. Di conseguenza, l’importo finale a debito della committente è aumentato a oltre 4.200 euro.

Questa decisione ha avuto un impatto anche sulla ripartizione delle spese legali. Considerato l’esito complessivo dei due gradi di giudizio, in cui entrambe le parti sono risultate parzialmente vittoriose e parzialmente soccombenti, la Corte ha disposto la compensazione parziale (per 2/3) delle spese di entrambi i gradi, condannando la committente a rimborsare all’impresa il residuo terzo. La sentenza offre una lezione pratica fondamentale: nel richiedere un risarcimento danni in appalto, è cruciale non solo allegare ma soprattutto provare documentalmente ogni singola voce di costo, poiché la stima di un consulente, per quanto qualificata, non può mai sostituire la prova di una spesa effettivamente sostenuta.

In un appalto, se un’opera viene eseguita da un’altra impresa, il suo valore può essere detratto dal compenso dell’appaltatore originario?
Sì. Se la perizia tecnica (CTU) valuta il valore totale delle opere esistenti, è corretto detrarre da tale valore l’importo relativo ai lavori che, pur presenti, non sono stati eseguiti dall’appaltatore originario, al fine di remunerarlo solo per il lavoro effettivamente svolto.

Per ottenere un risarcimento danni in appalto, è sufficiente la stima di un perito (CTU) o serve la prova della spesa?
No, la stima del consulente tecnico non è sufficiente. La parte che richiede il risarcimento ha l’onere di fornire la prova documentale e specifica dell’esborso effettivamente sostenuto. In assenza di tale prova (es. fatture, ricevute), il risarcimento non può essere riconosciuto.

Cosa succede alle spese legali se entrambe le parti vincono e perdono parzialmente in una causa d’appalto?
Si verifica una situazione di ‘reciproca soccombenza’. Il giudice valuta l’esito complessivo della controversia e può disporre la compensazione parziale o totale delle spese legali. Nel caso esaminato, la Corte ha compensato le spese per 2/3, condannando la parte che aveva ottenuto un risultato complessivamente meno favorevole a rimborsare il restante 1/3.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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