Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24010 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24010 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19912/2022 r.g., proposto da
COGNOME NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, Roma, presso avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia n. 6/2022 pubblicata in data 14/02/2022, n.r.g. 164/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 10/07/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- Banca Popolare di Spoleto spa (poi incorporata in Banco di Desio e della Brianza spa) aveva convenuto in giudizio il suo ex dipendente NOME COGNOME (dimessosi nell’anno 2006) dinanzi al Tribunale di Spoleto, per ottenere la sua condanna al risarcimento dei danni cagionati dal comportamento
OGGETTO: dipendente di banca -condotta infedele – danno cagionato ai clienti -accordo transattivo concluso dalla banca -interruzione del nesso causale – esclusione
scorretto tenuto dal lavoratore nei confronti di cinquantatré clienti, nei confronti dei quali essa banca era stata costretta a definire stragiudizialmente le loro rivendicazioni risarcitorie con l’esborso di euro 815.907,05, importo calcolato già al netto delle somme che essa banca era riuscita a recuperare con la vendita dei titoli a suo tempo proposti ai clienti.
2.- Costituitosi il contraddittorio, lo COGNOME contestava di aver operato direttamente nei confronti di tutti i clienti indicati dalla Banca nel suo ricorso, ammettendo di avere operato solo con riguardo a quarantatré clienti. Eccepiva di essersi sempre attenuto al paniere offerto dallo stesso istituto bancario nel momento in cui aveva proposto alla clientela l’investimento in titoli azionari.
3.- Con separato giudizio lo COGNOME aveva chiesto ed ottenuto dal medesimo Tribunale decreto ingiuntivo nei confronti della banca per il pagamento del t.f.r. maturato e non pagato.
4.- La banca aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo, eccependo il suo maggiore controcredito risarcitorio di cui al precedente giudizio, nonché un credito per scoperto di conto corrente.
5.- Riunite le due cause, assunte le prove testimoniali ammesse, disposta una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile, il Tribunale, rigettata l’eccezione di prescrizione sollevata dallo Zualdi, dichiarava la sua responsabilità contrattuale per avere agito in violazione del regolamento CONSOB e del t.u.f. (d.lgs. n. 58/1998) e quindi lo condannava a risarcire il danno alla banca pari alle somme che la banca aveva corrisposto ai clienti in sede transattiva, detratto quanto ricavato dalla vendita dei titoli restituiti, sicché liquidava il danno da risarcire nella somma di euro 807.554,73; dichiarava cessata la materia del contendere in ordine al t.f.r. nel frattempo pagato, sia pure nel minore importo conseguente alla compensazione con il credito per scoperto di conto corrente.
6.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello, in parziale accoglimento del gravame interposto dallo COGNOME, rideterminava il danno da risarcire nella somma di euro 767.965,19 e confermava nel resto la sentenza di primo grado.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
nel corso della verifica disposta dalla banca a seguito delle pretese risarcitorie di molti clienti per i titoli obbligazionari argentini, rivelatisi rovinosi, era emerso che lo COGNOME, in qualità di ‘addetto titoli’, si era reso responsabile del perfezionamento non soltanto di operazioni di investimento in titoli della Repubblica Argentina, ma anche di operazioni di investimento -asseritamente viziate -in differenti titoli finanziari, la cui natura avrebbe dovuto imporre l’adozione di precise e rigorose cautele;
la banca individuò quindi due tipologie di irregolarità, ossia la violazione del t.u.f. (d.lgs. n. 58/1998) e del regolamento CONSOB n. 11522/1998 nella cura dei rapporti denominati ‘contratti di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini su strument i finanziari’ a cui erano abbinati i ‘contratti di deposito titoli a custodia e amministrazione’, tanto in fase di formalizzazionestipulazione che in fase di esecuzione; l’avvenuta prestazione da parte dello Zualdi di attività estranee a questa tipologia negoziale e proprie invece del differente ‘contratto di gestione di portafoglio di investimento’, connotato da poteri più ampi ma in assenza delle specifiche deleghe che l’investitore avrebbe dovuto previamente rilasciare;
sulla base della verificata irregolarità della condotta del proprio dipendente, tale da impedire ogni efficace difesa rispetto alle pretese risarcitorie in molti casi sfociate in azioni giudiziarie, la banca decise di concludere accordi transattivi con cui effettuò alcuni esborsi di danaro in favore di quei clienti rimasti effettivamente pregiudicati ed in alcuni casi negoziando la restituzione dei titoli mobiliari contestati;
tali esborsi rappresentano il danno di cui la banca ha chiesto il risarcimento;
se è vero che il Tribunale non ha ripercorso analiticamente ciascuna delle posizioni controverse, è altrettanto vero che la contestazione di COGNOME in primo grado era stata del tutto generica, mai riferita a singole posizioni, né tantomeno alla documentazione allegata al ricorso dalla banca;
con riguardo ad alcuni clienti, che l’appellante ha eccepito di non avere mai gestito personalmente, va evidenziato che egli non ha mai
contestato la sigla apposta dall’operatore sulla documentazione, che la banca riferisce essere quella dello Zualdi, sicché è irrilevante che quei clienti gli fossero stati formalmente assegnati dalla banca;
peraltro, per la posizione n. 36, relativa ai clienti COGNOME e COGNOME, si aggiunge la prova documentale rappresentata dalla specifica denuncia presentata dai due clienti proprio nei confronti di COGNOME;
per la posizione n. 50 (relativa al cliente COGNOME NOMECOGNOME, la relazione interna ispettiva non contestata evidenzia come fosse risultato lo COGNOME ad avere gestito materialmente il portafoglio titoli del cliente;
tutte le posizioni erano state poi analiticamente indicate nelle precedenti ripetute contestazioni scritte che la banca aveva inviato all’ex dipendente, tutte rimaste senza seguito, con l’unica eccezione riguardante la posizione n. 21, relativa al cliente COGNOME;
l’esame analitico della documentazione prodotta sin nel primo grado dalla banca dimostra come siano fondati gli addebiti mossi all’ex dipendente e quindi infondato il motivo di gravame, con cui lo COGNOME sostiene l’inidoneità di quella documentazione a dim ostrare la sua condotta colposa;
invece è fondato il motivo di gravame, secondo cui almeno per due posizioni -nn. 21 e 27 -l’unica documentazione prodotta dalla banca attiene alla transazione conclusa con i relativi clienti, sicché resta indimostrato il collegamento causale con le asserite negligenze del lavoratore; pertanto le somme versate in sede transattiva con questi due clienti vanno detratte dal danno risarcibile;
infondato è il motivo di gravame relativo ai testimoni, che hanno offerto un quadro identico ed illuminante circa il modo di operare dello COGNOME; infondato è anche il motivo di appello sulla mancanza di nesso causale rispetto al danno, atteso che questo è dipeso dalla transazione, ossia
da un atto liberamente scelto dalla banca;
va infatti considerato che quelle transazioni sono state concluse in conseguenza di azioni giudiziarie risarcitorie proposte dai clienti contro la banca oppure di specifiche contestazioni con richieste risarcitorie rispetto ad operazioni in cui l’operato dell’addetto non è mai risultato documentalmente conforme alle regole bancarie;
pertanto la scelta della banca di transigere non è sicuramente irragionevole, poiché il rischio era quello di essere poi tenuta a rimborsare ai clienti per intero l’ammontare del loro rovinoso investimento;
piuttosto è necessario verificare se gli importi riconosciuti e versati in sede transattiva per ciascuna posizione risultino coerenti rispetto all’importo delle operazioni di investimento contestate e all’esito di tale verifica per alcune posizioni (nn. 42, 43, 47 e 48) la risposta è negativa, sicché i relativi importi vanno pure detratti dal danno risarcibile;
infondato è altresì il motivo di appello, con cui lo COGNOME si duole che il CTU abbia esaminato documenti non prodotti dalla banca, ma a lui consegnati dal CTP all’inizio delle operazioni peritali;
va infatti considerato che al CTU era stato chiesto di verificare quali fossero le somme ricavate dalla banca dalla vendita di titoli ad essa restituiti in sede transattiva dai clienti e se ne detenesse ancora;
dunque il riferimento ad ulteriori documenti è stato utile per ricostruire ciò che dal danno risarcibile era da scomputare, risultato in misura maggiore di quanto aveva già ammesso la banca del suo ricorso introduttivo, sicché si è trattato di una valutazi one tradottasi ‘a favore’ e non ‘a danno’ dello Zualdi;
in ogni caso si trattava di documentazione necessaria per accertare se la banca fosse o meno ancora in possesso di titoli, come temeva dal lavoratore.
7.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
8.- Banco di Desio e della Brianza spa ha resistito con controricorso.
9.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2697 e 1218 c.c. e del principio di vicinanza della prova, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale omesso di esaminare la sua deduzione circa la sua impossibilità di provare documentalmente la correttezza del proprio operato, in quanto tutta la documentazione era nella
materiale disponibilità della banca, sicché era quest’ultima a dover dimostrare la colpa dell’ex dipendente. Lamenta, in conclusione, un’illegittima inversione dell’onere probatorio.
Il motivo è in gran parte inammissibile, perché il ricorrente non si confronta in alcun modo con quell’articolata motivazione, con cui i Giudici d’appello hanno spiegato che la banca aveva assolto il proprio onere probatorio mediante copiosa documentazione, non contestata dallo Zualdi e idonea a dimostrare la sua violazione di precise regole bancarie (eccetto che per quelle posizioni analiticamente indicate ed escluse, di conseguenza, dal danno risarcibile).
Il motivo è altresì inammissibile quanto al denunziato omesso esame di un fatto decisivo, poiché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 348 ter, pen.co., c.p.c.).
Infine il motivo è in parte infondato, poiché addebita alla Corte territoriale un’inversione dell’onere della prova invece non praticata né avvenuta, avendo essa deciso partendo proprio dal presupposto che fosse la banca onerata della prova delle condotte negligenti e imprudenti tenute dal proprio dipendente nei confronti dei clienti investitori.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione dell’art. 1218 c.c. per avere la Corte territoriale escluso l’interruzione del nesso causale fra la sua condotta e il danno in considerazione degli accordi transattivi liberamente conclusi dalla banca con i clienti.
Il motivo è inammissibile, perché non si confronta con quella parte della motivazione, con cui i Giudici d’appello hanno ritenuto ‘non irragionevole’ la scelta transattiva della banca, in considerazione del fatto -altrimenti ritenuto quasi certo -di essere esposta a condanne risarcitorie di maggiore importo. E proprio in considerazione di questa ‘ragionevolezza’ della scelta transattiva la Corte territoriale ha escluso che essa potesse interrompere il nesso causale fra la condotta dello Zualdi e il danno procurato e causato ai clienti investitori. Nessuna censura è stata sollevata dal ricorrente a questo giudizio di ragionevolezza.
Peraltro, sul piano del nesso causale, ai sensi dell’art. 1223 c.c. questa Corte ha già affermato che il criterio del “più probabile che non” (detto anche
di preponderanza dell’evidenza) costituisce il modello di ricostruzione del solo nesso di causalità – regolante cioè l’indagine sullo statuto epistemologico di un determinato rapporto tra fatti o eventi – mentre la valutazione del compendio probatorio è informata al criterio della attendibilità – ovvero della più elevata idoneità rappresentativa e congruità logica degli elementi di prova assunti – ed è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità qualora -come nella specie – motivato e non abnorme (Cass. n. 26304/2021, sia pure in tema di responsabilità extracontrattuale, ma applicabile anche a quella contrattuale; Cass. sez. un. n. 576/2008).
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omessa declaratoria di nullità della consulenza tecnica d’ufficio di primo grado per l’avvenuta acquisizione di documenti non prodotti dalla banca tempestivamente, ma solo dal suo consulente tecnico di parte nel corso delle operazioni peritali, in violazione degli artt. 414, co. 1, 420, co. 5, 194 e 115 c.p.c., 87 e 90 disp.att.c.p.c.
Il motivo è inammissibile, perché non si confronta con quella parte della motivazione, con cui la Corte territoriale ha evidenziato che l’acquisizione di quei documenti da parte dell’ausiliario aveva consentito di raggiungere la prova di una maggior somma da detrarre dal danno risarcibile rispetto a quello dedotto dalla banca nel ricorso introduttivo. Quindi si è trattato di un’iniziativa del consulente tecnico d’ufficio che, oltre ad affinare l’accertamento del danno risarcibile, ha prodotto un esito favorevole allo COGNOME che rende pertanto la sua censura priva di interesse e, come tale, inammissibile.
Il motivo è comunque infondato. Questa Corte, in funzione nomofilattica, ha già affermato che in materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti – non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio (Cass.
sez. un. n. 3086/2022). Nel caso di specie l’ausiliario nominato in primo grado ha acquisito alcuni documenti prodotti dal consulente tecnico della banca per rispondere ai quesiti sottopostigli, sicché nessuna nullità è configurabile.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data