Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5232 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1   Num. 5232  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso RG n.26862 anno 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE ,  rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati  NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, domiciliata presso lo studio COGNOME e RAGIONE_SOCIALE;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE ,  rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME  COGNOME e  dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME,  domiciliata  presso l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
contro
ricorrente avverso  la  sentenza  della  Corte  di  appello  di  Milano  n.  188/2020 depositata il giorno 21 gennaio 2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’8 gennaio 202 4 dal AVV_NOTAIO;
udito  il  P.M.,  in  persona  del  AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha concluso per il  rigetto del ricorso; uditi l’AVV_NOTAIO per parte ricorrente e l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per parte controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. –RAGIONE_SOCIALE ha citato in giudizio RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza della violazione della disciplina antitrust. Ha dedotto, in particolare, di aver acquistato un veicolo RAGIONE_SOCIALE Agirus TARGA_VEICOLO corrispondendo la somma di euro 120.000,00 e che la Commissione europea, dopo aver svolto un’inchiesta su possibili accordi collusivi aventi ad oggetto i prezzi relativi ad autocarri, aveva adottato una decisione in cui era stata accertata la violazione, da parte di alcune imprese costruttrici, tra cui la convenuta, della normativa anticoncorrenziale per la conclusione di accordi sui prezzi nel periodo tra il 1997 e il 2011 e quindi applicato alla stessa IVECO una sanzione pecuniaria dell’importo di euro 494.606.000,00 .
NOME  si  è  costituita  in  giudizio  eccependo  la  prescrizione  del diritto al risarcimento del danno e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda attrice.
Il Tribunale di Milano ha pronunciato sentenza non definitiva con cui ha anzitutto respinto l’eccezione di prescrizione, per non aver I VECO provato che l’attrice avesse avuto adeguata e completa conoscenza (al tempo indicato dalla convenuta) «della specifica violazione antitrust, della sua imputabilità al soggetto convenuto e del danno eziologicamente riferibile» ad essa; con la medesima pronuncia, poi, il Tribunale ha dichiarato che alle decisioni della Commissione adottate a seguito di richiesta di transazione, in conformità dell’art. 10 bis reg.
(CE) 773/2004, è applicabile il disposto dell ‘ art. 16 reg. (CE) 1/2003, e che le stesse sono pertanto vincolanti per il giudice avanti al quale si esercitata l’azione civile di risarcimento del danno , sia pure limitatamente alla sussistenza della violazione antitrust, mentre l’accertamento del nesso di causalità e l’esistenza del danno in capo al singolo resta riservato alla valutazione del giudice medesimo.
-Avverso  tale  pronuncia  ha  proposto  appello  RAGIONE_SOCIALE.  RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito al gravame.
Con sentenza del 21 gennaio 2020 la Corte di appello di Milano ha respinto l’impugnazione.
 Ha proposto ricorso  per cassazione, sulla  base  di  cinque motivi, NOME. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso.
La causa, avviata alla trattazione camerale, è stata rinviata alla pubblica udienza odierna.
Ricorrente e controricorrente hanno depositato memoria.
Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c., oltre che dei principi di diritto derivanti da tali norme in punto di individuazione della decorrenza del termine prescrizionale. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui si sarebbe limitata a valutare, ai fini della prescrizione, la sussistenza, in capo al preteso danneggiato, dell’effettiva conoscenza del danno subito e della sua ingiustizia, laddove – ad avviso della parte istante occorreva invece tener conto della conoscibilità dei predetti elementi e del grado di diligenza richiesto a tal fine.
1.1.  –  La  Corte  di  appello, dopo  aver  rilevato  che  l’odierna controricorrente  aveva  effettuato  l’acquisto  dell’autocarro  in  data  14 ottobre  2008,  ha  evidenziato  che  la  Commissione  Europea  aveva avviato il procedimento volto all’accertamento della presunta attività anticoncorrenziale ─ consistente nella diretta partecipazione di IVECO
all’intesa vietata ─ nel gennaio 2011; ha precisato che il procedimento si era poi concluso il 19 luglio 2016 con una decisione che aveva accertato l’esistenza dell’accordo collusivo in materia di prezzi. Secondo il Giudice distrettuale quel che rilevava, ai fini della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, era il momento della percezione di tale danno da parte del danneggiato, non quello della cessazione della condotta generatrice dello stesso. In tal senso, la Corte di appello ha condiviso la decisione di primo grado che aveva individuato il dies a quo della prescrizione nel momento in cui la Commissione Europea aveva assunto la sua decisione e ha rilevato che era onere di RAGIONE_SOCIALE provare che l’effettiva percezione del danno da parte di RAGIONE_SOCIALE si collocasse prima di quel momento. Il Giudice distrettuale ha aggiunto che l’odierna controricorrente era soggetto che operava in un settore ben diverso da quello della produzione di autocarri e che la pubblicità data all’ avvio del procedimento da parte della Commissione era circostanza inidonea a dimostrare che la stessa ne avesse avuto conoscenza: tanto più in considerazione della genericità dei dati informativi oggetto di diffusione.
1.2. Deve premettersi che alla fattispecie oggetto di causa si applica il d.lgs. n. 3 del 2017, il quale ha recepito la dir. 2014/104/UE, recante norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea.
Alla  disciplina  della  prescrizione  del  diritto  al  risarcimento  del danno ,  contemplata nell’art. 10 della dir. 2014/104/UE, è stata data attuazione con l ‘art. 8 del cit. d.lgs. n. 3/2017, e questo dispone:
« Il diritto al risarcimento del danno derivante da una violazione del diritto della concorrenza si prescrive in cinque anni. Il termine di prescrizione non inizia a decorrere prima che la violazione del diritto della concorrenza sia cessata e prima che l’attore sia a conoscenza o si possa  ragionevolmente  presumere  che  sia  a  conoscenza  di  tutti  i
seguenti elementi:
 della  condotta  e  del  fatto  che  tale  condotta  costituisce  una violazione del diritto della concorrenza;
del fatto che la violazione del diritto della concorrenza gli ha cagionato un danno;
dell’identità dell’autore della violazione.
« La prescrizione rimane sospesa quando l’autorità garante della concorrenza avvia un’indagine o un’istruttoria in relazione alla violazione  del  diritto  della  concorrenza  cui  si  riferisce  l’azione  per  il diritto al risarcimento del danno. La sospensione si protrae per un anno dal momento in cui la decisione relativa alla violazione del diritto della concorrenza è divenuta definitiva o dopo che il procedimento si è chiuso in altro modo ».
La norma concerne non solo gli illeciti concorrenziali di competenza della autorità garanti nazionali ma anche quelli di cui si occupa la Commissione, dal momento che per « autorità garante della concorrenza » deve intendersi, a norma dell’art. 2, lett. e) , del citato decreto legislativo, anche detto organo. La norma regola, quindi, pure la prescrizione del diritto al risarcimento del danno fatto valere in un giudizio ( follow-on ) che faccia séguito a un procedimento svoltosi avanti alla Commissione : procedimento che, come si ricava dall’ultima parte dell’articolo, assume rilievo, ai fini del decorso della prescrizione, indipendentemente dal fatto che esso culmini in una decisione sull ‘illecito antitrust (essendo la sospensione operante per un anno anche dal momento in cui « il procedimento è chiuso in altro modo »).
Il decreto legislativo prevede, all’art. 19, che a i fini dell’applicazione  temporale,  gli  artt.  3,  4,  5,  15,  comma  2,  quali disposizioni procedurali, si applicano ai giudizi di risarcimento del danno da violazione del diritto della concorrenza promossi successivamente al 26 dicembre 2014.
Il legislatore nazionale, dunque, nulla ha espressamente disposto
sul piano del diritto intertemporale, con riguardo alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno.
L ‘art. 22.1 dir. 2014/104/UE prescrive, però, che gli Stati membri assicurano che le misure nazionali di recepimento adottate al fine di rispettare le disposizioni sostanziali della direttiva non si applichino retroattivamente. Ora, quelle relative alla prescrizione sono sicuramente disposizioni di natura sostanziale (per la giurisprudenza comunitaria: Corte giust. UE 22 giugno 2022, C-267/20, Volvo AB , 46, 47 e 79; Corte giust. UE 8 novembre 2012, RAGIONE_SOCIALE , C -469/11 P, 52).
1.3.Il senso della richiamata previsione è stato chiarito dalla Corte di giustizia, la quale ha precisato che è assoggettata ratione temporis alla nuova disciplina la domanda risarcitoria per una violazione del diritto della concorrenza che, sebbene vertente su una violazione del diritto della concorrenza che è cessata prima dell’entrata in vigore della dir. 2014/104/UE, sia stata proposta dopo l’entrata in vigore delle disposizioni che la recepiscono nel diritto nazionale: sempreché, però, il termine di prescrizione applicabile a tale ricorso, in virtù delle norme previgenti, non sia scaduto prima della data di scadenza del termine di recepimento della medesima direttiva (Corte giust. UE 22 giugno 2022, C-267/20, cit., 79). Infatti, per determinare l’applicabilità dell’art. 10 della direttiva a una fattispecie risarcitoria da illecito concorrenziale occorre verificare se alla data di scadenza del termine di recepimento della direttiva 2014/104, ossia il 27 dicembre 2016, il termine di prescrizione applicabile alla situazione di cui al procedimento principale fosse scaduto (sent. ult. cit., 49): se il termine prescrizionale si è compiuto prima di tale data trova applicazione la disciplina previgente; se il termine non si è consumato, è operante la nuova regolamentazione.
Il  dato  dirimente  è  rappresentato,  così ,  dall’essersi  o  meno esaurita, alla data indicata, la fattispecie estintiva relativa al rapporto
(obbligatorio,  di  contenuto  risarcitorio)  il  cui  fatto  generatore  risulta essersi prodotto sotto il vigore della legge anteriore.
La regola modula un enunciato di carattere generale che, pur in due differenti formulazioni, si rinviene sia nella giurisprudenza nazionale di legittimità che nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Secondo questa Corte, infatti, le norme innovative sopravvenute si applicano immediatamente ai rapporti pendenti, sempreché queste non siano dirette a regolare il fatto o l’atto generatore del rapporto, ma solo gli effetti di esso (Cass. 17 novembre 1979, n. 5970; Cass. 1 ottobre 1976, n. 3202); parallelamente, è affermato dalla Corte di Lussemburgo che una nuova norma si applica, salvo deroghe, immediatamente agli effetti futuri delle situazioni sorte sotto l’impero della vecchia legge (in tal senso, già Corte giust. CE 10 luglio 1986, 270/84, COGNOME , 31, e Corte giust. CE 18 aprile 2002, C -290/00, COGNOME , 21; più di recente, Corte giust. UE 27 ottobre 2016, C -465/14, NOME van bestuur van de Sociale verzekeringsbank , 51).
1.4.  Occorre  dunque  verificare  se,  in  base  alla  disciplina anteriore a quella introdotta dall’art. 8 cit. , il diritto al risarcimento del danno si fosse o meno prescritto alla data del 27 dicembre 2016: e ciò, ovviamente, avendo riguardo alla disciplina previgente.
Orbene, ha precisato, in passato, la Corte di giustizia che in mancanza di una disciplina comunitaria in materia di prescrizione, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire il termine di prescrizione per chiedere il risarcimento del danno causato da un’intesa o da una pratica vietata dall’art. 81 CE, purché siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività (Corte giust. CE 13 luglio 2006, cause riunite da C-295/04 a C-298/04, COGNOME , punto 4 del dispositivo).
Il danno di cui si fa questione nella presente sede rientra tra quelli comunemente denominati lungolatenti, i quali sono caratterizzati dalla presenza di un segmento temporale, di significativa -e  perciò  non
trascurabile -entità, che separa l’insorgenza del danno dalla sua percezione. La lungolatenza del danno fa sì che il titolare del diritto possa dirsi in stato di inerzia, rispetto all’esercizio del diritto risarcitorio, solo a partire dal momento in cui sia adeguatamente edotto delle circostanze dell’illecito concorrenziale : sicché l’azione risarcitoria da intesa anticoncorrenziale si prescrive, in base al combinato disposto degli art. 2935 e 2947 c.c., in cinque anni dal giorno in cui chi assume di aver subito il danno abbia avuto, usando l’ordinaria diligenza, ragionevole ed adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia (così Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305). Ai fini della decorrenza del termine, quindi, non rileva il momento in cui l’agente compie l’illecito o quello in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto, quanto, piuttosto, il momento in cui la condotta ed il conseguente danno si manifestano all’esterno, divenendo oggettivamente percepibili e riconoscibili (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26188; nello stesso senso, cfr. Cass. 5 luglio 2019, n. 18176). Il principio è stato ribadito di recente dalla Corte di giustizia: si è evidenziato, per la precisione, proprio con riferimento all’illecito concorrenziale accertato dalla Commissione il 19 luglio 2016, di cui qui si dibatte, che i termini di prescrizione applicabili alle azioni per il risarcimento del danno per le violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione non possano iniziare a decorrere prima che la violazione sia cessata e che la persona lesa sia venuta a conoscenza, o si possa ragionevolmente presumere che sia venuta a conoscenza, del fatto di aver subito un danno a causa di tale violazione, nonché dell’identità dell’autore della stessa (Corte giust. UE 22 giugno 2022, C-267/20, cit., 61).
Appare  allora  comprensibile  come  la  prescrizione,  nel  caso  di intese  restrittive  della  concorrenza,  decorra,  almeno  di  regola,  dal momento in  cui  l’autorità  competente  accerta  l’illecito : infatti,  è caratteristica  propria  di  tali  accordi  il  fatto  di  rimanere  riservati  alle
imprese che li assumono: con la conseguenza che il consumatore ne rimane esposto anche se in concreto li ignora (sul punto, già Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305, cit., in motivazione).
Tale conclusione non è in contrasto con quanto affermato da questa Corte in tema di abuso di posizione dominante: e cioè col principio per cui, con riferimento a tale illecito, è possibile valorizzare, ai fini del decorso della prescrizione, il momento di avvio del procedimento amministrativo per l’accertamento del detto abuso rispetto ad un’impresa concorrente (Cass. 27 febbraio 2020, n. 5381; Cass. 3 aprile 2020, n. 7677; Cass. 19 ottobre 2022, n. 30783). Il diverso approdo di cui si è appena detto si spiega, infatti, col rilievo per cui il danno, in presenza della fattispecie di abuso, è risentito da un’impresa concorrente, che opera nel medesimo settore di quella dominante e dalla quale può dunque ragionevolmente presumersi, secondo la regola della diligenza, che osservi e vigili sulle condotte delle altre imprese (Cass. 27 febbraio 2020, n. 5381, in motivazione).
Restano da formulare due precisazioni. La prima è perfino banale: dire che, di regola, nel caso dei cartelli, la prescrizione decorre dal momento in cui l’autorità competente accerta l’illecito – o, può aggiungersi, emette altra misura che presuppone un’ infrazione alle regole della concorrenza (come nel caso in esame è avvenuto) – non significa che la prescrizione decorra sempre e comunque da quel momento. Una volta chiarito che ai fini della prescrizione è necessario guardare al momento in cui il fatto dannoso si evidenzia all’esterno con tutti i connotati che ne determinano l’illiceità, occorre prendere atto che la relativa valutazione va condotta « caso per caso, in relazione al grado di competenza e di effettiva conoscibilità proprio del soggetto danneggiato, accertando in quale momento esso abbia avuto sufficiente ed adeguata informazione quanto alla sussistenza dell’illecito lamentato in tema di tutela della concorrenza » (Cass. 5 luglio 2019, n. 18176 cit., in motivazione). La seconda puntualizzazione attiene alla distribuzione
dell’onere probatorio e si riassume nella regola per cui compete a chi eccepisce la prescrizione l’onere di provare il momento in cui chi agisce abbia assunto l’adeguata e ragionevole percezione del danno subito e della sua ingiustizia (Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305, cit.): quindi, ove l’impresa convenuta nel giudizio risarcitorio assuma che la conoscenza o conoscibilità dell’illecito consistente nell’accordo collusivo si sia radicata, nel danneggiato, in un momento anteriore a quello in cui si colloca la pronuncia dell’autorità competente, essa avrà l’onere di provare tale circostanza.
1.5. Ciò detto, l’accertamento della Corte di appello quanto al mancato maturarsi della prescrizione regolata dalla disciplina in vigore prima del d.lgs. n. 3 del 2007 si sottrae a censura. Non appare difatti concludente quanto dedotto dalla ricorrente con riguardo al supposto mancato accertamento della conoscibilità, in base all’ordinaria diligenza, dell’illecito concorrenziale da parte di RAGIONE_SOCIALE. E’ senz’altro vero che ai fini della decorrenza del termine prescrizionale non rileva l’ignoranza colpevole del danneggiato quanto all’esistenza del danno ingiusto correlato all’illecito concorrenzial e: ma il Giudice distrettuale ha evidenziato che prima della decisione della Commissione l’intesa illecita – produttiva del pregiudizio patrimoniale lamentato – «non poteva ritenersi ragionevolmente conosci uta da parte della generalità degli utenti, considerata la sua natura riservata e segreta tra i partecipanti al cartello e alle notizie generiche diffuse nel solo canale settoriale in cui operava RAGIONE_SOCIALE» (sentenza, pagg. 11 s.). Come è del tutto evidente, nella circostanza la Corte di merito ha inteso rimarcare che la mancata conoscenza dell’ intesa, d a parte dell’odierna controricorrente, era incolpevole: affermare, infatti, che l’intesa non era ragionevolmente conosciuta dalla generalità degli utenti significa dire che il detto accordo non era normalmente conoscibile, e quindi non accessibile secondo un parametro di diligenza media: e tale conclusione è confermata dalle richiamate considerazioni quanto alla connotazione
che  assumevano  le  informazioni  relative  al  cartello,  le  quali  erano generiche  e  non  raggiungibili  da  soggetti  estranei  al  mercato  degli autocarri.
1.6. La prescrizione contemplata dalla disciplina anteriore al d.lgs. n. 3 del 2007 non era quindi decorsa al momento della scadenza del termine per il recepimento della direttiva 2014/104: tanto implica, alla stregua di quanto si è detto, che il rapporto resti regolato dalla nuova disciplina sulla prescrizione. In base a quest ‘ultima – che pure prevede, come si è visto, un termine quinquennale, peraltro suscettibile di sospensione in ragione dell’ indagine o istruttoria condotta dall’a utorità garante in relazione alla violazione del diritto cui si riferisce l’azione risarcitoria – è par imenti da escludere che il diritto si sia estinto.
Il primo motivo va dunque respinto.
Il principio di diritto che al riguardo trova applicazione è il seguente: «In tema di risarcimento del danno da illecito antitrust, la domanda risarcitoria proposta dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 3 del 2017 per una violazione del diritto della concorrenza che è cessata prima dell’entrata in vigore della dir. 2014/104/UE , recepita da detto decreto legislativo, è assoggettata ratione temporis alla nuova disciplina sempre che il termine di prescrizione applicabile in virtù delle norme previgenti non sia spirato prima della data di scadenza del termine di recepimento della medesima direttiva; nel caso di illecito antitrust consistente in intesa anticoncorrenziale, rileva, dunque, che in base al diritto italiano, il termine di prescrizione della relativa azione comincia a decorrere non dal momento in cui il fatto si verifica nella sua materialità e realtà fenomenica, ma da quando esso si manifesta all’esterno con tutti i connotati che ne determinano l’illiceità».
Col secondo mezzo si oppone la nullità della sentenza e del procedimento per motivazione perplessa o apparente. Il vizio motivazionale  è  denunciato con  riguardo  al  tema  dell’efficacia,  nei
giudizi  civili,  delle  decisioni  della  Commissione  europea  adottate all’esito di un procedimento di settlement .
Il terzo motivo propone una censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 16 reg. (CE) 1/2003 e 10 bis , reg. (CE) 773/2004, in relazione agli artt. 11, 24, comma 2, 101, 102, 104, comma 1, 111 117, comma 1, Cost., all’art. 6 CEDU , agli artt. 41, 42, 47, 48 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e all’art. 19 TUE; l’istante sollecita, inoltre, un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e propone pure un incidente di costituzionalità. Sostiene che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che il giudice civile sia vincolato al portato dell’istruttoria svolta dalla Commissione del procedimento di settlement e al contenuto della condotta tenuta dall’impresa cui è ascritto l’illecito in tale procedimento; l’istante censura inoltre la decisione impugnata con riguardo alla sostanziale equiparazione delle decisioni di settlement ex art. 10 bis cit. a quelle ordinarie della Commissione. Con riferimento a tali profili sono proposte le indicate questioni di pregiudizialità e costituzionalità.
Col quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 reg. (CE) 1/2003 in relazione agli artt. 11, 24, comma 2, 101, 102, 104, comma 1, 111 117, comma 1, Cost., all’art. 6 CEDU e agli artt. 41, 42, 47, 48 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e all’art. 19 TUE . Secondo la ricorrente la decisione impugnata sarebbe viziata anche ove si ritenesse che le decisioni di settlement siano equiparabili alle decisioni ordinarie della Commissione europea, e ciò per la mancanza di imparzialità e di terzietà che caratterizza un organo amministrativo e politico quale è la detta Commissione.
Il quinto mezzo oppone la nullità della sentenza e del procedimento  per  motivazione  perplessa  o  apparente  in  merito  al mancato  esperimento  del  richiesto  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di giustizia e alla mancata proposizione della questione di costituzionalità.
Si  deduce  che,  allo  scopo  di  disattendere  dette  istanze,  la  Corte  di appello si sarebbe limitata a rinviare a quanto già rilevato nei precedenti capi della sentenza relativi all’interpretazione della normativa comunitaria in materia di settlement e all’applicabilità dell’art. 16 reg. (CE) 1/2003.
2.1. I quattro motivi si prestano a una trattazione congiunta.
2.2. Avanti alla Commissione è stata adottata una procedura di settlement , la quale integra un meccanismo, alternativo rispetto alla procedura ordinaria, e operante per i cartelli: attraverso tale procedimento la Commissione stessa e le imprese cui è riconducibile una infrazione oggetto di constatazione pervengono a un accordo con cui definiscono celermente l’esito dell’istruttoria .
Il procedimento in questione è delineato dall’art. 10 bis reg. (CE) 773/2004, introdotto dal reg. (CE) 622/2008 il quale così dispone, al primo paragrafo (primo periodo): « Dopo l’avvio del  procedimento ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 6, del regolamento (CE) n. 1/2003, la Commissione può fissare  un  termine  entro  il  quale  le  parti  possono manifestare per iscritto la loro disponibilità a partecipare a discussioni in vista dell’eventuale presentazione di proposte di transazione ».
L’ultimo capoverso del paragrafo 2 recita, nella prima parte: « In caso di progressi delle discussioni verso una transazione, la Commissione può fissare  un  termine  entro  il  quale  le  parti  possono impegnarsi a seguire la procedura di transazione presentando proposte di transazione che rispecchino i risultati delle discussioni svolte e in cui riconoscano la propria partecipazione a un’infrazione all’articolo 81 del trattato nonché la rispettiva responsabilità ».
Nel paragrafo 3 dell’articolo è disposto: « Quando la comunicazione degli addebiti notificata alle parti rispecchia il contenuto delle loro proposte di transazione, le parti interessate, nella risposta scritta  a  detta  comunicazione  degli  addebiti  confermano,  entro  il termine fissato dalla Commissione, che la comunicazione degli addebiti
loro indirizzata rispecchia il contenuto delle loro proposte di transazione. La Commissione può allora procedere all’adozione di una decisione ai sensi dell’articolo 7 e dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003  previa  consultazione  del  Comitato  consultivo  in  materia  di intese  e  posizioni  dominanti  ai  sensi  dell’articolo  14  del  medesimo regolamento ».
Il procedimento è regolamentato, nel dettaglio, dalla Comunicazione della Commissione concernente la transazione nei procedimenti per l’adozione di decisioni a norma dell’articolo 7 e dell’articolo 23 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio nei casi di cartelli. Il detto provvedimento prevede , tra l’altro, una comunicazione preliminare nell’ambito delle discussioni di transazione che permette alle parti di essere informate in merito agli elementi essenziali presi in considerazione fino a quel momento (quali i fatti contestati, la loro classificazione, la gravità e la durata del presunto cartello, l’imputazione della responsabilità, una stima della forcella delle ammende applicabili, nonché gli elementi probatori utilizzati a sostegno dei potenziali addebiti) (punto 16); dispone, altresì, che la proposta di transazione deve contenere il riconoscimento in termini chiari ed inequivocabili della responsabilità delle parti per l’infrazione, descritta sinteticamente per quanto riguarda l’oggetto, l’eventuale attuazione, i fatti principali, la loro qualificazione giuridica, inclusi il ruolo delle parti e la durata della loro partecipazione all’infrazione conformemente ai risultati delle discussioni di transazione ; precisa, altresì, che la notifica per iscritto di una comunicazione degli addebiti a ciascuna delle parti nei cui confronti sono mossi gli addebiti è una fase preparatoria obbligatoria prima di adottare qualsiasi decisione definitiva, onde programma una comunicazione degli addebiti da parte della Commissione anche in caso di procedura di transazione (punto 23): tanto che l’impresa, nella sua proposta di transazione , deve pure dichiarare di essere sufficientemente informata degli addebiti che la
Commissione  intende  muovere  nei  suoi  confronti  e  che  le  è  stata sufficientemente accordata la possibilità di esprimere il proprio punto di vista alla Commissione .
La convenienza , per l’impresa, del procedimento di settlement (il cui avvio è rimesso alla discrezione della Commissione) è da rinvenire principalmente nella celerità (e nei minori costi) della procedura, che ha carattere semplificato rispetto a quella ordinaria, e nel definitivo trattamento sanzionatorio, consistente nella riduzione, in ragione del 10%, dell’ammenda da irrogare e nel fatto che la maggiorazione applicata a scopo dissuasivo (contemplata in altro documento della Commissione denominato «Orientamenti per il calcolo delle ammende») non può eccedere un dato moltiplicatore (punto 32 della Comunicazione cit.).
2.3. Il tema che assume centralità, nei quattro motivi di ricorso in esame, è quello della relazione esistente tra il procedimento di settlement tenutosi avanti alla Commissione e la pronuncia risarcitoria devoluta all’autorità giurisdizionale ordinaria nazionale : relazione che, nella prospettiva assunta dalla ricorrente, va esaminata prendendo in considerazione i diritti di difesa delle imprese che sono parte della detta procedura e che si deduce non essere adeguatamente garantiti in quella sede. Rileva infatti RAGIONE_SOCIALE che il procedimento di settlement difetta di quelle garanzie minime proprie del procedimento ordinario e che la decisione che scaturisce dal primo non può, per conseguenza, essere parificata a quella che conclude il secondo. Il timore paventato dall’istante è, cioè, di «imporre a un organo giurisdizionale di essere vincolato da un provvedimento che si è formato, per volontà della parte, a seguito di una procedura caratterizzata da una inconfutabile compressione dei diritti di difesa» (ricorso, pag. 34); la rinuncia volontaria della parte ai propri diritti avanti alla Commissione non potrebbe dunque estendersi, secondo la ricorrente, al giudizio instaurato nei suoi confronti da un soggetto terzo, ponendosi la
soluzione contraria in contrasto con il diritto dell’Unione e con il nostro diritto costituzionale: tanto più che la Commissione, organo governativo, non può essere considerato un « tribunale indipendente e imparziale » a norma dell’art. 6 CEDU.
2.4. La sentenza impugnata consta di un ampio apparato espositivo in cui si dà conto della procedura di settlement. Dopo aver rilevato che il procedimento transattivo aveva realizzato le garanzie del giusto processo e che la parte ricorrente aveva consapevolmente rinunciato all’impugnativa giurisdizionale, la Corte di appello si è soffermata sull’art. 16 del reg. n. 1/2003 ─ a mente del quale « uando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell’articolo 81 o 82 del trattato che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione » ─ formulando considerazioni generali, incentrate sul valore vincolante della decisione della Commissione sui giudici nazionali che devono pronunciarsi sugli illeciti oggi previsti dagli artt. 101 e 102 TFUE.
Pervenendo al caso portato al suo scrutinio, la Corte distrettuale ha poi rilevato: che, pur non avendo la decisione della Commissione valore vincolante, l’illecito per cui RAGIONE_SOCIALE è stata sanzionata «non è mai stato contestato, nel procedimento avanti alla Commissione, né a quello avanti al Tribunale, né in quello dinanzi a questa Corte, e ciò non può essere ignorato dal Collegio»; che dunque «il concludente valore probatorio dell’accertamento dell’illecito non deriva tanto dalla decisione della Commissione in sé, quanto dall’istruttoria che ha condotto a tale pronuncia, caratterizzata dalla totale collaborazione di NOME, sino la sanzione ed alla sua condotta successiva»; che, considerando o meno la pronuncia quale «prova privilegiata» (con ciò evocando la giurisprudenza nazionale formatasi nel periodo anteriore a ll’av vento del d.lgs. n. 3 del 2017), «era comunque ammessa prova contraria e tale prova e in ogni caso mancata». Dopodiché, la Corte ha
ribadito  che  la  ricorrente  aveva  rinunciato  consapevolmente  al  suo diritto di impugnare la decisione amministrativa nel corso del procedimento  avanti  nel  quale  aveva  esercitato  il  proprio  diritto  di difesa.
2.5. In questi passaggi è da individuare la vera e propria ratio decidendi della pronuncia, con riguardo al tema della prova dell’illecito concorrenziale che qui interessa.
In sostanza, la Corte di appello, pur avendo discettato del valore vincolante delle decisioni della Commissione, ha basato il proprio giudizio circa l’esistenza de l l’illecito concorrenziale su altro. Per la precisione, la pronuncia impugnata risulta fondarsi: a) sulla mancata contestazione , da parte dell’impresa, degli addebiti formulati dalla Commissione; b) sulla condotta processuale da detta impresa tenuta nel giudizio di merito, in cui RAGIONE_SOCIALE non aveva parimenti contestato i fatti che integra vano l’illecito concorrenziale; c) sulle risultanze istruttorie del procedimento tenutosi avanti alla Commissione; d) sulla mancata acquisizione di alcuna prova contraria (che la Corte di appello ha implicitamente ritenuto potesse essere offerta da parte del l’odierna ricorrente).
Tale impianto argomentativo non risulta puntualmente aggredito dalla ricorrente che ha lamentato , in sintesi, l’impropria valorizzazione di  un  vincolo  di  conformazione  del  giudice  nazionale  rispetto  alla decisione della Commissione e all’istruttoria svoltasi avanti ad essa: e tanto porta a ritenere inammissibili i quattro mezzi di censura di cui qui si dibatte.
2.6.  Peraltro,  il  rilievo  attribuito  dalla  Corte  distrettuale  ai richiamati elementi -rispetto ai quali, si ripete, non sono state portate specifiche censure – non prospetta, in sé, alcun profilo di illegittimità.
In termini generali, il contegno processuale della parte è sempre suscettibile di essere apprezzato nell ‘ ambito del giudizio civile (art. 116, comma 2, c.p.c.) e determina, anzi, una relevatio ab onere probandi
quando  si  traduce  nella  mancata  contestazione  dei  fatti  allegati  da controparte,  sempre  che  questa  sia  costituita  (art.  115,  comma  1, c.p.c.).
Il comportamento tenuto dalla ricorrente avanti alla Commissione, consistente nel riconoscimento degli addebiti da questa formulati, si innesta, poi, su di un accertamento preliminare dello stesso organo che è di per sé munito di valore probatorio. Come si è visto, la comunicazione degli addebiti è una fase preparatoria obbligatoria del procedimento di settlement . La formulazione degli addebiti, destinata a tradursi nella decisione finale in caso di adesione alla transazione, riflette un accertamento che ben può essere valorizzato dal giudice nazionale, in assenza di indicazioni contrarie. E’ utile ricordare cosa ha avuto modo di precisare la Corte di giustizia, con riferimento alle decisioni con impegni di cui all’art . 9 reg. (CE) 1/2003: fattispecie che ricorre allorquando la Commissione intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione stessa nella sua valutazione preliminare. E’ stato affermato, al riguardo, che sia il principio di leale cooperazione, di cui all’articolo 4 .3 TUE, sia l’obiettivo di un’efficace e uniforme applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione impongono al giudice nazionale di tener conto della valutazione preliminare della Commissione e di considerarla quale indizio, o addirittura quale principio di prova, della natura anticoncorrenziale dell’accordo di cui trattasi alla luce dell’articolo 101 .1 TFUE (Corte giust. UE 23 novembre 2017, C-547/16, Gasorba , 29). Una diversa conclusione non può evidentemente valere con riguardo agli addebiti comunicati nel procedimento di settlement e, a maggior ragione, in relazione a quegli addebiti che siano stati oggetto di espresso riconoscimento da parte dell’impresa cui è stato contestato l’illecito : e ciò indipendentemente dal tema del vincolo conformativo di cui all’art. 16 del reg. 1 del 2003 , estraneo, come si è detto, alla ratio
decidendi della pronuncia impugnata.
Non si vede, poi, come negare valore agli elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento antitrust avanti alla Commissione, che la Corte di appello ha tenuto in conto sul presupposto – così deve intendersi, non ravvisandosi evidenze e deduzioni di contrario segno -che essi siano refluiti nel giudizio civile di danno. Non esiste alcun limite quanto all’utilizzo probatorio di tali elementi processuali . Questa Corte ha avuto modo già di rilevare che sono senz ‘al tro apprezzabili, da parte del giudice civile, le prove desumibili dagli atti di indagine dell’RAGIONE_SOCIALE nel caso di illecito concorrenziale demandato alla competenza di tale autorità (Cass. 27 febbraio 2020, n. 5381, cit., in motivazione) e tale conclusione è da confermare con riguardo alle risultanze di cui si discorre. Non rileva, evidentemente, il contesto procedimentale in cui quelle prove si sono formate e i limiti che il diritto di difesa incontri avanti alla Commissione: nel momento in cui quelle prove refluiscono nel procedimento giurisdizionale esse sono sottoposte a contraddittorio e tanto è sufficiente per escludere una compressione del diritto di difesa della parte che abbia interesse a contrastarle. In mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, il giudice civile può legittimamente porre a base del proprio convincimento le prove «atipiche», tra queste potendosi annoverare finanche le risultanze di atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, se sono idonee ad offrire sufficienti elementi di giudizio e non risultano smentite dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che sia configurabile la violazione del principio ex art. 101 c.p.c., dal momento che il contraddittorio sui mezzi istruttori si instaura con la loro formale produzione nel giudizio civile e la conseguente possibilità per le parti di farne oggetto di valutazione critica e di stimolare la valutazione giudiziale (così, di recente, Cass. 1 febbraio 2023, n. 2947).
Poco è da aggiungere con riguardo all ‘ affermazione di chiusura della Corte di appello per cui , con riferimento al tema dell’accertamento
dell’illecito , era «ammessa prova contraria» e tale prova è «in ogni caso mancata»: va solo evidenziato che essa dà evidenza plastica alla ratio decidendi della  pronuncia  impugnata,  che  in  tutto  prescinde  dalla vincolatività della decisione assunta dalla Commissione e delle prove che questa ha scrutinato.
2.7 . -In conclusione, i quattro motivi di ricorso in esame devono reputarsi inammissibili per la loro mancata attinenza al decisum (per tutte: Cass. 3 luglio 2020, n. 13735 e Cass. 7 settembre 2017, n. 20910). Anche la richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE e la questione di costituzionalità denunciano uno scollamento rispetto alla pronuncia impugnata: esse sono state difatti formulate muovendo da ll’insussis tente presupposto di una definizione del giudizio basata sul carattere vincolante della decisione di settlement o delle acquisizioni probatorie del procedimento svoltosi avanti alla Commissione. L ‘intervento della Corte di giustizia e della Corte costituzionale si rivela dunque, in proposito, privo di rilevanza ai fini del decidere.
Il ricorso deve essere allora respinto.
– Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile, in data 8 gennaio 2024.
Il AVV_NOTAIO estensore                         Il Presidente
NOME COGNOME
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