Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25662 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25662 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2555/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, con domiciliazione digitale ex lege
-ricorrente-
contro
INPS, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE, con domiciliazione digitale ex lege
-controricorrente-
COGNOME NOME
-intimato- sul ricorso incidentale proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale ex lege
-ricorrente incidentale-
contro
NOME COGNOME NOMECOGNOME INPS
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 3181/2023 depositata il 3/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.L’avv. NOME COGNOME ha difeso alcuni clienti in cause contro l’INPS, nelle quali i clienti pretendevano di avere riconosciuto l’assegno di invalidità.
In quelle cause sono state esperite delle consulenze tecniche, allo scopo, per l’appunto, di accertare l’invalidità dichiarata dai ricorrenti, quale presupposto del diritto alla prestazione assistenziale.
Le CTU hanno dato esito negativo, nel senso che hanno escluso invalidità rilevanti, ma l’avv. NOME COGNOME insieme al collega NOME COGNOME ha sottratto dai fascicoli di ufficio le
perizie negative, sostituendole con altre, false, di segno opposto.
I giudici incaricati di trattare quelle cause hanno dunque emesso sentenze favorevoli, ossia di riconoscimento della invalidità e della relativa prestazione assistenziale, fidando nelle false perizie inserite nel fascicolo in luogo di quelle originali.
Quando si è tuttavia accertato che le sentenze erano frutto del dolo, e cioè della fraudolenta sostituzione delle consulenze tecniche con altre false, i due sono stati imputati di reati per i quali hanno patteggiato una pena detentiva.
2.L’INPS, che sulla base di quelle sentenze, frutto della frode, aveva corrisposto nel frattempo le prestazioni, ha agito verso i due avvocati per avere il risarcimento del danno pari alle somme che aveva corrisposto, e che non era riuscito a recuperare dai destinatari, in quanto alcuni erano nel frattempo morti ed altri erano privi di reddito.
3.- Davanti al Tribunale di Torre Annunziata, i due avvocati si sono difesi eccependo che l’INPS, per poter pretendere la restituzione delle somme versate, avrebbe dovuto previamente ottenere la revocazione delle sentenze, e non lo aveva fatto.
Il Tribunale ha tuttavia disatteso questa eccezione, ed ha qualificato la domanda dell’INPS come di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., e non dunque come domanda di restituzione di un indebito, ossia di una somma pagata su sentenza nulla.
Il Tribunale ha inoltre ritenuto provata quella domanda di risarcimento sulla base di quanto era stato accertato nel giudizio di patteggiamento, dove gli stessi imputati avevano fatto dichiarazioni confessorie, e sulla base delle prove addotte dall’INPS.
4.- La sentenza è stata impugnata con appello principale ed appello incidentale dai due avvocati, i quali hanno ribadito l’eccezione di pregiudizialità della revocazione ed hanno
obiettato che non poteva utilizzarsi la sentenza di patteggiamento quale giudicato nel giudizio civile.
La Corte di Appello ha rigettato il gravame.
5.- Avverso tale decisione propongono ricorso entrambi gli avvocati, principale il COGNOME con cinque motivi, ed incidentale l’COGNOME, anche egli con cinque motivi.
L’INPS ne chiede il rigetto con controricorso.
Ragioni della decisione
1.Il ricorso principale .
E’ proposto da COGNOME . È basato su cinque motivi.
1.Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 342 c.p.c.
La tesi del ricorrente è la seguente.
La Corte di Appello ha dichiarato inammissibile il motivo di appello sulla pregiudizialità della revocazione, ma in realtà quel motivo era sufficientemente illustrato.
Sostiene il ricorrente di avere ‘ chiaramente confutato e contrastato le ragioni esposte dal Giudice di I cure, osservando che nella fattispecie sottoposta al suo scrutinio: i) difettavano sia la prova del nesso causale tra la condotta imputata al convenuto dott. COGNOME e il preteso danno subito dall’INPS, sia la prova della preventiva infruttuosa escussione del patrimonio dei beneficiari delle indebite prestazioni assistenziali; ii) conseguentemente non era configurabile una situazione oggettivamente impedi tiva all’ottenimento dell’effettivo ripristino dello status quo ante, presupposto dell’autonomo esercizio dell’azione risarcitoria; iii) l’INPS, omettendo di esperire le azioni di revocazione delle sentenze previdenziali viziate ex art. 395 c.p.c., avesse essa stessa concorso a
cagionare il danno non avendo diritto al relativo risarcimento ex art. 1227 c.c. ‘
A fronte di una cosa precisa impugnazione, non poteva la Corte di Appello dichiarare l’inammissibilità.
Il motivo è inammissibile.
Non coglie la ratio della decisione impugnata.
L’appello non è stato dichiarato inammissibile per difetto di specificità, ex art. 342 c.p.c., ma perché, a dire dei giudici di secondo grado, non coglieva la ratio della sentenza impugnata. I giudici di appello, infatti, hanno osservato che il giudice di primo grado aveva qualificato la domanda non come domanda di restituzione di somme versate su sentenza, caso nel quale avrebbe dovuto essere prima revocata la sentenza (sulla cui base è avvenuto il pagamento) e poi fatta domanda di restituzione; il giudice di primo grado aveva invece qualificato la domanda come di risarcimento del danno ex articolo 2043 c.c.
La sentenza impugnata assume che tale qualificazione non è stata censurata.
Da ciò si ricava che la pronuncia di inammissibilità dell’appello (fatta dai giudici di secondo grado) non è basata sull’articolo 342 c.c., ossia non è una pronuncia di inammissibilità per difetto di specificità dei motivi di appello, ma è una pronuncia di inammissibilità perché si censura una ratio diversa da quella che sta a fondamento della sentenza impugnata.
Dunque, il motivo in questione a sua volta non coglie la ratio della decisione di appello. La quale non entra nel merito della questione se sia o meno pregiudiziale esperire l’azione di revocazione prima di poter avere la restituzione delle somme, non entra nel merito, in quanto si limita a dire che l’appellante non ha censurato la giusta ratio decidendi , che era altra da quella da lui supposta.
Questa ratio decidendi (della decisione di appello) non è a sua volta qui censurata: il ricorrente si limita a ribadire di aver fatto l’eccezione di pregiudizialità, di averla esposta a sufficienza, e dunque di aver proposto su tale questione un appello sufficiente ai sensi del l’articolo 342 c.p.c.
Ma non è per tale insufficienza che la Corte di Appello ha dichiarato inammissibile il motivo.
1.1- Va però anticipato, perché sarà questione che interseca quasi tutti i motivi di ricorso, principale ed incidentale, quale è la regola sulla pregiudizialità della azione di revocazione.
Infatti, entrambi i ricorrenti la invocano nel significato sbagliato. Essi pretendo di trarre sia da Cass. 21255/2013 che da Cass. 5682/2023, l’opposto di ciò che le due pronunce dicono.
Queste due decisioni, infatti, hanno affermato il principio di diritto secondo cui la parte vittima di una sentenza pronunciata per effetto del dolo può agire ‘ direttamente per il risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ., allorché ricorra una situazione di oggettiva carenza di interesse ad avvalersi dell’impugnazione straordinaria ‘, (Cass. 2155/2013) come nel caso in cui l’esperimento della revocazione sarebbe infruttuoso, cioè non garantirebbe il recupero delle somme.
Allo stesso modo, chi è vittima di una sentenza ottenuta con dolo, può ottenere la condanna generica da parte del giudice penale senza bisogno di esperire l’azione di revocazione di quella sentenza (Cass. 5682/2023).
Dunque, l’orientamento di questa Corte è diverso, se non l’opposto, di ciò che i due ricorrenti adducono ed è nel senso che si può agire direttamente con l’azione di risarcimento da fatto illecito, senza bisogno di ottenere previamente la revocazione della sentenza frutto di dolo, quando tale revocazione sarebbe inutile.
Nel caso presente, ove anche INPS avesse ottenuto la revocazione, non avrebbe recuperato le somme versate ai beneficiari, ossia ai soggetti che la sentenza ottenuta con dolo indicava come aventi diritto alle somme stesse. E lo ha dimostrato depositando la prova dei tentativi infruttuosi fatti per riavere le somme versate.
Il che ha legittimato la diversa azione di risarcimento del danno (ex art. 2043 c.c.) nei confronti dei soggetti che hanno dato causa ai pagamenti che Inps non ha più poi potuto recuperare. Ciò detto.
2.Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’articolo 112 c.p.c.
Sostiene il ricorrente che, dichiarando inammissibile il ricorso, la Corte di Appello non ha pronunciato sulla eccezione di inammissibilità della azione di risarcimento proposta da INPS, per difetto di previa revocazione della sentenza.
Inoltre, la sentenza impugnata ha erroneamente inteso (ed anche qui si fa questione di omessa pronuncia) il ruolo che, rispetto al giudizio civile, ha la sentenza di patteggiamento.
In altri termini, il ricorrente aveva sia posto la questione della pregiudizialità, che quella dell’efficacia di giudicato, entrambe disattese.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha affermato che l’appello non coglieva la ratio dedicendi e, proprio per tale motivo, non lo ha esaminato nel merito. Come si è detto prima, questa ratio della decisione di appello, a sua volta, non è qui adeguatamente impugnata. Il ricorrente non la coglie, non contesta di avere invece colto esattamente la decisione di primo grado e di averla adeguatamente censurata in appello.
Ma, al di là di ciò, la decisione impugnata contiene implicito rigetto del motivo di appello, ove si potesse dire che è stato
formulato in quei termini, ossia nel senso che esso contiene la censura esatta: è di implicito rigetto perché assume che si può agire ex articolo 2043 c.c. senza ottenere prima la revocazione della sentenza frutto di dolo. E questa decisione è corretta, fa applicazione dei principi di diritto di questa Corte, prima ricordati.
Quanto alla censura di non avere adeguatamente colto il ruolo della sentenza di patteggiamento, è inammissibile a sua volta: la decisione impugnata ha precisato che il giudice di primo grado non ha attribuito alla sentenza di patteggiamento efficacia di gi udicato, ma che l’ha usata, insieme ad altri elementi, per ricavarne nesso di causa e danno. Così, infatti, si esprime: ‘ Come, infatti, già riportata nella parte narrativa della presente pronunzia, il Tribunale non ha affatto attribuito alcuna automaticità tra sentenze di patteggiamento e accertamento della responsabilità civile, specificando, anzi, il contrario e cioè che doveva escludersi qualsiasi efficacia automatica e vincolante delle predette pronunzie penali .’ (p. 9)
Anche su questo punto, la ratio della decisione impugnata è dunque che, con l’appello, non era stata colta la ratio decidendi ; vizio della impugnazione che si ripete qui: anche rispetto alla decisione qui impugnata non si coglie la ratio decidendi .
Ove anche si intendesse ritenere che i ricorrenti hanno colto la ratio , ossia hanno censurato l’apprezzamento della sentenza di patteggiamento quale indizio, per il suo contenuto, il motivo sarebbe inammissibile, poiché mira a censurare l’apprezzamento delle prove che è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito.
Giova ricordare che quest’ultimo, a partire dal primo grado, aveva tratto argomenti dalla sentenza di patteggiamento per affermare la responsabilità dei due difensori in ordine al danno lamentato da INPS, ed aveva evidenziato come tra gli elementi
ci fossero le stesse dichiarazioni dei due imputati (‘ entrambi (hanno) mostrato un atteggiamento collaborativo in sede di giudizio, l’uno non solo ammettendo le proprie responsabilità, ma anche facendo luce su episodi non contestati e l’altro contribuendo alla corretta ricostruzione e della vicenda e del ruolo da lui svolto n ell’organizzazione e perpetrazione delle condotte criminose ‘, p. 13 della sentenza).
3.- Il terzo motivo prospetta nullità della sentenza per difetto di motivazione.
Secondo il ricorrente non è dato intendere su quali argomenti la Corte di Appello ha ritenuto inammissibili i motivi di impugnazione.
Il motivo è infondato.
Come è noto la sentenza può dirsi nulla per difetto di motivazione quando mancano del tutto le ragioni che la giustificano, o esse sono apparenti, non corrispondenti al caso (Cass. sez. un. 8053/2014).
Qui, e risulta da quanto si è detto in precedenza, la ratio della decisione impugnata è chiara: i motivi di appello sono inammissibili in quanto non hanno colto la ratio decidendi del primo grado, che era diversa da quella supposta erroneamente dagli appellanti.
4.- Con il quarto motivo si prospetta violazione degli articoli 395 cpc, oltre che degli articoli 402 c.p.c. e 2043, 2056, 1223 c.c. La tesi è la riproposizione di censure già viste.
Innanzitutto, si ripete la questione della pregiudizialità dell’azione di revocazione, e si sostiene che il Tribunale, pur avendo qualificato la domanda di INPS come azione di risarcimento ex art. 2043 c.c., poi però, nel dispositivo, ha condannato alla restituzione, e dunque ad un effetto che doveva conseguire necessariamente alla revocazione (p. 25 del ricorso).
Inoltre, secondo il ricorrente, non vi era prova del fatto che l’INPS non potesse recuperare le somme versate, che non erano state corrisposte ai pensionati, bensì all’avv. COGNOME quale antistatario.
Si conclude, ancora una volta, prospettando l’onere del previo esperimento dell’azione di revocazione (p. 26): ‘ pertanto, sull’Ente previdenziale gravava l’onere, pregiudiziale alla domanda risarcitoria nei confronti del dott. COGNOME della proposizione nel termine di legge del rimedio revocatorio allo scopo di rimuovere le sentenze previdenziali viziate da prove ‘ false ‘ ( p. 26).
Questo motivo è inammissibile.
Esso postula un accertamento in fatto diverso da quello compiuto dai giudici di merito, i quali hanno dato per dimostrato che l’INPS non ha potuto recuperare le somme ingiustamente versate, e su tale presupposto di fatto, che, come si è ripetuto più volte, legittimava l’Inps all’azione di risarcimento, hanno ritenuto quest’ultima correttamente proposta.
Dunque, la regola giuridica (non vi è onere di previa azione di revocazione ove questa sia inutile o infruttuosa) presuppone un accertamento in fatto, qui non ripetibile.
5.- Il quinto motivo prospetta violazione degli articoli 2697 e 2043, 2056, 20729, 1223, 1227 c.c., oltre che 444 e 445 c.p.p. Con tale motivo si reitera una censura mossa con i motivi precedenti.
E cioè: i giudici di merito hanno tratto indicazione circa la responsabilità dei due avvocati (e dunque il nesso di causa tra la loro condotta ed il danno) nonché indicazioni circa l’ammontare del danno, dalla sentenza di patteggiamento. E tuttavia da tale sentenza non si poteva trarre alcunché di supporto alla decisione, poiché la sentenza di patteggiamento non ha efficacia di giudicato (p. 28 del ricorso, ove è citata la
giurisprudenza a supporto di tale assunto). Comunque sia, la sentenza di patteggiamento non conteneva alcuna indicazione circa i numeri delle sentenze affette da dolo, ossia dovute al dolo dei due difensori.
Il motivo è inammissibile.
Ancora una volta: non coglie la ratio decidendi . I giudici di merito non hanno attribuito alla sentenza di patteggiamento efficacia di giudicato nel giudizio civile.
Inoltre, essi hanno tratto la prova del nesso di causa e del danno da una serie di indizi (ammissioni degli stessi due imputati, documenti prodotti dall’INPS). Ma qui il procedimento presuntivo, che ha portato a dare rilievo a quegli indizi, non è affatto censurato: non si dice dove sia errato e quale criterio tra quelli che stanno alla base di una corretta presunzione sia stato violato.
6.- Il sesto motivo (v. p. 29 del ricorso) non è in realtà un vero e proprio motivo. Non contiene censure, ma solo la richiesta che, in caso di accoglimento del ricorso, le spese vengano poste a carico di controparte.
7.Il ricorso incidentale
È proposto da COGNOME ossia l’altro avvocato convenuto dall’INPS per il risarcimento del danno.
Il ricorso è basato su cinque motivi.
8.- Con il primo motivo si prospetta nullità della sentenza per difetto di motivazione.
Ripropone la questione più volte posta dal ricorrente principale: che chi intende ottenere la restituzione di somme pagate sulla base di una sentenza dovuta al dolo di una delle parti, deve prima ottenere la revocazione di tale sentenza.
E ritiene che su tale quesitone, posta chiaramente nel primo grado, i giudici di appello non hanno motivato.
E, soprattutto, non lo hanno fatto adeguatamente alla luce del fatto che il ricorrente aveva espressamente richiamato il principio della pregiudizialità dell’azione di revocazione, come stabilito da questa Corte (‘ Al riguardo si rammenterà che l’ABAGNALE aveva censurato tale argomentare richiamando quel principio di diritto enunciato proprio dalla Suprema Corte con sent. n. 21255 del 2013, per il quale chi intende dolersi che la sentenza sia viziata da dolo oppure da prove riconosciute e/o dichiarate false e/o da corruzione del giudice ecc. ha l’obbligo e non la semplice facoltà di chiederne la revocazione ai sensi dell’articolo 395 c. p.c’, p. 23)
I giudici di appello n on hanno in particolare motivato sull’onere dell’INPS di dimostrare il danno subito (‘ nel caso di specie INPS NON ha provato in alcun modo la sussistenza di un danno conseguenza ingiusto, sia nell’an che nel quantum, NON ha fornito nessuna prova del nesso causale tra la presunta condotta illecita del comparente ed il presunto danno da essa subito, limitandosi unicamente a richiedere l’importo innanzi indicato che, a suo dire, avrebbe (indimostratamente) versato ai soggetti indicati ne ll’atto introduttivo’ , p. 21).
E, in particolare, apparirebbe perplessa la motivazione sul fondamento della pretesa risarcitoria dell’INPS (p. 23 e ss. del ricorso).
Il motivo è infondato.
Oltre al già ricordato principio su cosa debba mancare perché una sentenza possa dirsi nulla per difetto di motivazione (Cass. Sez. Un. 8053/ 2014), valgano le considerazioni già fatte con riguardo al ricorso principale: la decisione impugnata ha fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte (Cass. 21255/2013; Cass. 5682/2024) secondo cui vi è onere di proporre ed ottenere la revocazione della sentenza effetto di dolo se la revocazione è inutile o infruttuosa: stabilire se lo sia
costituisce accertamento in fatto non sindacabile in cassazione, se non per difetto assoluto di motivazione. Nella fattispecie, il giudice di merito ha motivato quella ragione: ha detto che l’INPS non era stato in grado di recuperare le somme, quindi era i nfruttuosa l’azione di ripetizione, e ciò legittimava quella di risarcimento ex art. 2043 c.c.
2.- Con il secondo motivo, che prospetta violazione degli articoli 112, 115, 342 c.p.c. si ripete nuovamente l’argomento già visto. I giudici di appello avrebbero dichiarato inammissibile l’appello senza tener conto che esso era più che specifico. Si faceva valere la violazione del principio di pregiudizialità, ossia dell’onere del previo esperimento della revocazione, e tale censura era chiara ed argomentata nel motivo di appello. Si eccepiva inoltre, molto dettagliatamente, che la sentenza di patteggiamento non ha efficacia di giudicato (p. 33 e ss. del ricorso).
E, in modo ripetitivo, si sostiene che tale onere non è stato assolto e che ciò avrebbe dovuto comportare inammissibilità della domanda di risarcimento (‘ INPS, infatti, intendendo aggredire in prima battuta l’odierno esponente (e il COGNOME) si è reso inadempiente all’onere di proposizione nel termine di legge del rimedio revocatorio, non attivandosi adeguatamente affatto per rimuovere dal mondo giuridico ed economico le sentenze previdenziali dedotte come viziate da falsità e per ottenere un pronuncia di merito volta al ripristino della situazione quale sarebbe stata in assenza delle asserite falsità, con ‘l’eventuale restituzione di ciò che siasi conseguito con la sentenza revocata’ (v. art. 402 c.p.c.). previa escussione dei reali legittimati passivi e ben eficiari dell’asserito illecito, gli accipiens ‘, p. 30 del ricorso).
Quindi l’INPS ha dato causa al suo stesso danno (1227 c.c.).
Il motivo è inammissibile.
Lo è per le ragioni già dette non solo con riferimento al ricorso principale, bensì anche con riferimento ai motivi precedenti di quello incidentale.
Vale a dire: non è stata dichiarata inammissibilità per difetto di specificità (art. 342 c.p.c.), ma perché il motivo, seppure specifico, non coglieva la ratio della decisione impugnata, sia quanto alla qualificazione della domanda che quanto alla efficacia della sentenza di patteggiamento nel giudizio civile per danni.
Quanto alla prova del danno, vale quanto già detto: che è accertamento nel merito, motivato dai giudici di appello, e che a fronte di tale motivazione, non è detto alcunché che vada a smentire il ragionamento indiziario cui i giudici di merito hanno fatto ricorso.
10.- Il quarto motivo contiene una censura non fatta dal ricorrente principale, poiché contesta alla decisione impugnata un omesso esame.
Secondo il ricorrente incidentale l’INPS ha allegato e dimostrato che aveva, si, agito verso i beneficiari, ma in ogni occasione era stata soccombente. Se il giudice di merito avesse considerato tale dato, avrebbe concluso che invece che essere dunque dimo strato il danno (l’impossibilità di recuperare le somme) quella soccombenza lo smentiva.
Il motivo è inammissibile.
Il motivo all’esame non è, infatti, sufficientemente specifico, nel senso che non dice se, come e dove tale circostanza è stata sottoposta al giudice di appello, e se vi è stata controversia sul punto.
Ma, a prescindere da ciò, la tesi sarebbe che, siccome l’INPS ha inutilmente agito per la revocazione contro tre pensionati, allora questo è indizio che non ha sofferto alcun danno ingiusto, forse, sul presupposto che, essendo soccombente nell’azione di
recupero delle somme (per infruttuosità della stessa), allora il danno consistito nell’avere corrisposto quelle somme non è affatto ingiusto, ma giustificato.
Ognuno vede la stranezza di tale censura: se chi ha pagato somme non dovute non riesce a recuperarle, vuol dire che quelle somme sono state legittimamente corrisposte.
11.- Il quarto motivo, che prospetta violazione degli articoli 112, 395, 402 cpc., e 1223, 1227, 2043, 2056 cc., ritorna sulla questione della pregiudiziale necessità di ottenere la revocazione delle sentenze frutto di dolo: ‘ Con il presente motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di plurime disposizioni di legge per aver violato il principio di pregiudizialità portato dalle norme in epigrafe ‘.
Seguono le ragioni, già note, per le quali avrebbe dovuto essere accolta, dapprima l’eccezione (in primo grado) e poi il motivo di appello che faceva valere il mancato rispetto, da parte dell’INPS, dell’onere di ottenere prima la revocazione e poi chiedere la restituzione di quanto pagato sulla base delle sentenze revocate.
Ammette il ricorrente incidentale che ‘ dal punto di vista della pregiudizialita’ dell’impugnazione per revocazione rispetto alla domanda risarcitoria, quest’ultima, facendo seguito al rimedio impugnatorio, va proposta per tutto quello che quest’ultimo non consente, o non avrebbe consentito, di ottenere ‘ (p. 43).
Si fa presente che legittimata all’azione di revocazione è la parte, mentre legittimata all’azione di restituzione, che a quella consegue, è chi ha materialmente percepito le somme.
Si conclude dicendo che ‘ Il giudice di appello ha omesso di pronunciare in ordine al motivo di appello avente ad oggetto l’eccezione di pregiudizialità (e il connesso difetto di
legittimazione passiva in ordine alla pretesa restitutoria).’ (p. 44).
Il motivo è inammissibile.
Non coglie la ratio decidendi .
I giudici di appello hanno osservato come l’INPS, giusta la qualificazione data alla domanda da parte del primo giudice, ha proposto azione di risarcimento ex art. 2043 c.c., e poteva farlo, come si è ripetuto più volte: azione rispetto alla quale sono legittimati passivi i danneggianti e non necessariamente chi ha ricevuto materialmente le prestazioni non dovute.
Dunque, la censura non coglie a sua volta la ratio decidendi di appello, la quale ha confermato la qualificazione della domanda come azione di risarcimento ex art. 2043 c.c.
12.- Il quinto motivo, che nuovamente denuncia violazione degli articoli 112, 342 cpc, 444 e 445 cpp, 1223, e ss. c.c., ripropone nuovamente la questione della prova del nesso di causalità e del danno.
Questa volta in forma contradditoria rispetto ai motivi precedenti.
Ed infatti, si ammette che ‘ è vero che formalmente sia il tribunale, sia la corte territoriale, abbiano nelle premesse e forse nelle intenzioni negato l’efficacia vincolante delle pronunzie di patteggiamento ‘ (p. 53), dunque si ammette che non hanno affermato espressamente che la sentenza di patteggiamento fa giudicato.
E tuttavia, nei fatti, l’avrebbero usata come giudicato. E ciò in quanto hanno sostenuto che era onere degli imputati ‘ addurre ragioni fondate che giustificassero la loro ammissione di colpevolezza innanzi al giudice penale pur essendo in realtà innocenti ‘ come anche ‘ il COGNOME e l’COGNOME avrebbero dovuto contestare l’affermazione del Tribunale nella parte in cui ha
rilevato che i predetti non si erano limitati ad ammettere le loro responsabilità in modo generico ‘ (p. 54).
Da qui la tesi che in realtà essi hanno usato la sentenza di patteggiamento come fosse un giudicato esterno.
Seguono le ragioni e la giurisprudenza in base alle quali non può attribuirsi efficacia di giudicato alla sentenza di patteggiamento. Salvo poi però a dire che quella sentenza è stata valorizzata come prova della responsabilità e del danno. E infatti si assume che ‘ contrariamente a quanto ritenuto da controparte, dalla lettura delle sentenze di patteggiamento non si evince affatto un dato oggettivo e terzo riportante il danno subito dall’INPS ne’ la sua quantificazione ‘ (p. 58).
Inoltre ‘ e, contrariamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, mai alcuna ammissione (men che meno avuto riguardo agli abnormi ed indimostrati importi oggi ex adverso pretesi come a risarcirsi) è mai venuta in esistenza da parte dell’ABAGNALE’ (p. 59)
Il motivo è inammissibile.
È in contraddizione con le premesse: dapprima si assume che la sentenza di patteggiamento di fatto è usata quale giudicato, poi però si conclude che non è stata valutata adeguatamente per ciò che indicava, ossia per quello che valeva come indizio o come prova.
Il motivo è dunque contraddittorio e fa ripetizione di tutte le censure precedenti, rispetto alle quali si rimanda a quanto già detto, sia relativamente alla questione della pregiudizialità della domanda di revocazione, sia per quanto attiene al rilievo da dare alla sentenza di patteggiamento.
Inoltre, e va ribadito per l’ennesima volta: l’accertamento circa le prove che possono derivare da una sentenza di patteggiamento (dichiarazioni fatte dagli imputati ed altro) è un apprezzamento in fatto, che non è censurabile in cassazione se
non per difetto assoluto di motivazione; si aggiunga che, ove il contenuto della sentenza penale sia adottato ad indizio nel giudizio civile per il risarcimento, il ricorrente ha l’onere di contestare in modo specifico quale è stata la violazione del procedimento presuntivo, e di dedurre quale avrebbe dovuto essere quello corretto. Censura qui del tutto assente.
Vanno dunque rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Condanna entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese di lite, nella misura di 10.000,00 euro, oltre 200,00 euro di esborsi, ciascuno, oltre al pagamento delle spese generali, nei termini di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed incidentale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 20/06/2025.
Il Presidente NOME COGNOME