Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7761 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7761 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21558-2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in proprio e nella qualità di mandataria dell ‘ A.T.I. costituita con atto del 22/7/2009, rappresentata e difesa dall ‘ AVV_NOTAIO per procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE DI TRASFORMAZIONE URBANA IN LIQUIDAZIONE;
– intimato – avverso il DECRETO del TRIBUNALE DI NAPOLI depositato il 20/7/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/2/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.1. La RAGIONE_SOCIALE, in proprio e nella indicata qualità, ha proposto opposizione avverso lo stato passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE, dichiarato con sentenza del 29/5/2014, chiedendo di esservi ammessa per la
somma complessiva di €. 6.491.280,59 in ragione dei danni subiti per effetto della risoluzione di diritto, ascrivibile a fatto e colpa della società fallita, del contratto d ‘ appalto, stipulato con quest ‘ ultima il 9/12/2009 e successivo atto aggiuntivo del 23/12/2010, avente ad oggetto la progettazione e la realizzazione del Polo Multifunzionale per le produzioni audiovisive e multimediali.
1.2. Il tribunale, con il decreto in epigrafe, in parziale accoglimento dell ‘ opposizione, ha ammesso la società istante al passivo del fallimento per la minor somma di €. 176.623,80.
1.3. Il tribunale, in particolare, per quanto ancora rileva, dopo aver affermato che, a fronte della diffida del 14/5/2013 ad adempiere nel termine di sessanta giorni e al perdurante inadempimento della società committente agli obblighi assunti, il contratto d ‘ appalto doveva ritenersi risolto di diritto a norma dell ‘ art. 1454 c.c. in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, ha: – 1) innanzitutto, respinto la domanda avente ad oggetto il ristoro delle spese generali dipendenti dall ‘ inattività di cantiere per l ‘ illegittimo protrarsi della sospensione dei lavori concordata dalle parti in data 16/3/2011, nella misura minima prevista dall ‘ art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 554/1999, sul rilievo che tale regolamento era stato abrogato a partire dal 2010, e dunque in epoca precedente all ‘ inadempimento che ha dato luogo alla risoluzione dell ‘ appalto e che, in ogni caso, nella materia degli appalti pubblici, la valutazione equitativa ai sensi dell ‘ art. 1226 c.c. è ammessa soltanto in presenza di situazioni d ‘ impossibilità o di estrema difficoltà di una prova precisa sull ‘ammontare del danno, sicché, ‘ in mancanza anche di allegazione degli elementi da cui trarre la prova dei maggiori esborsi per spese generali, non può trovare ingresso la quantificazione presuntiva invocata dall ‘ istante ‘; – 2) in secondo
luogo, rigettato la domanda di risarcimento dei danni da mancato utile, sul rilievo che il danno per lucro cessante, pur essendo quantificabile in ragione del parametro presuntivo ‘ correlato all ‘ utile d ‘ impresa nella misura del 10% dell ‘ offerta, in base al criterio di cui all ‘ art. 345, l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F ‘, dev ‘ essere nondimeno sostenuto dalla prova adeguata circa l ‘ impossibilità per l ‘ impresa stessa ‘ di utilizzare i mezzi e la manodopera lasciati disponibili per altri lavori ‘ ; – l ‘ unica voce di danno che risulta provata è quella relativa ai maggiori oneri sostenuti per il prolungamento delle polizze fideiussorie, pari ad €. 176.623,80.
1.4. Il tribunale, pertanto, ha ammesso la società istante al passivo del fallimento per la somma di €. 176.623,80. La RAGIONE_SOCIALE, in proprio e nella indicata qualità, con ricorso spedito per la notifica il 18/9/2017, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto. Il Fallimento è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del d.P.R. n. 554/1999 e del d.m. n. 145/2000 vigenti ratione temporis e dell ‘ art. 2697 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha respinto la domanda avente ad oggetto l ‘ ammissione al passivo del diritto al ristoro delle spese generali dipendenti dall ‘ inattività di cantiere per l ‘ illegittimo protrarsi della sospensione dei lavori disposta dalla stazione appaltante in data 16/3/2011 fino al 13/7/2013.
2.2. Così facendo, infatti, ha osservato la ricorrente, il tribunale ha erroneamente omesso di considerare: -innanzitutto, che il rapporto contrattuale intercorso con la
società fallita, essendo stato sottoscritto il 9/12/2009, è senz ‘ altro assoggettato alla disciplina prevista dal regolamento di attuazione previsto dal d.P.R. n. 554/1999, che è stato abrogato dal d.P.R. n. 207/2010 ma con effetto solo a partire dall ‘ 8/6/2011, e che, a norma dell ‘ art. 25 del d.m. n. 145/2000, il danno da sospensione illegittima è quantificato in base alle spese generali infruttifere così come determinate, in base alla durata della illegittima sospensione, dall ‘ art. 34, comma 2, del regolamento citato; -in secondo luogo, che il diritto dell ‘ appaltatore a conseguire il ristoro delle spese generali maturate per effetto della totale inattività di cantiere costituisce un effetto, immediato ed automatico, della sospensione illegittima dei lavori, e cioè di quella protrattasi, come nel caso in esame, oltre il termine di sei mesi, e non richiede, pertanto, a parte quella relativa ai fatti costitutivi del diritto, come la sospensione dei lavori del 16/3/2011, alcuna prova ulteriore.
2.3. Con il secondo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell ‘ art. 2697 c.c. e dell ‘ art. 345 della l. n. 2248/1865 all. F, trasfusa nell ‘ art. 134 del d.lgs. n. 163/2006 ed altresì trasfusa nell ‘ art. 122 del d.P.R. n. 554/1999, vigenti ratione temporis , in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha respinto la domanda avente ad oggetto l ‘ ammissione al passivo del diritto al risarcimento dei danni derivanti dal mancato conseguimento di utili.
2.4. Il tribunale, infatti, ha osservato la ricorrente, così facendo, non ha considerato che, in forza delle norme invocate, l ‘ appaltatore, in caso di recesso della stazione appaltante ovvero, per analogia, di risoluzione del contratto per fatto e colpa della stessa, ha il diritto a conseguire il risarcimento del danno da lucro cessante nella misura del 10% sull ‘ importo delle
opere non eseguite, a prescindere dalla prova dell ‘ impossibilità, per l ‘ appaltatore, di riutilizzare mezzi e manodopera per l ‘ esecuzione di altri appalti.
3.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati. Nell ‘ appalto d ‘ opera pubblica (com ‘ è stato incontestabilmente qualificato quello intercorso tra la società ricorrente e la fallita), infatti, fin dall ‘ entrata in vigore del d.m. 29/5/1895, n. 257, nel caso d ‘ illegittima sospensione dei lavori, sono dovuti all ‘ appaltatore, a titolo risarcitorio e in via automatica e presuntiva (quindi anche se il danno non è provato), le spese generali e gli utili non conseguiti, ove il committente, con il proprio comportamento, ne abbia determinato l ‘ aggravio (Cass. n. 14779 del 2020; conf., Cass. n. 27690 del 2023; Cass. n. 10299 del 2023, in motiv.).
3.2. Questa Corte, in effetti, ha da tempo affermato il principio per cui, in caso di azione risarcitoria promossa dall ‘ appaltatore per l ‘ illegittima sospensione dei lavori, il danno costituito dalle spese generali che l ‘ impresa sopporta durante la sospensione è risarcibile pur in difetto di prova (Cass. n. 4391 del 2014). Le spese generali, invero, mentre non costituiscono perdite o causa di danni nel periodo in cui le opere sono eseguite, essendo computate nel prezzo pagato all ‘ appaltatore, sono, invece, dovute a quest ‘ ultimo a titolo risarcitorio ove il committente con il proprio comportamento ne abbia determinato un aggravio, essendo inerenti all ‘ azienda e allo stesso impianto del cantiere, il che avviene segnatamente in caso di illegittima sospensione di lavori, di modo che il relativo rimborso costituisce componente ineluttabile del risarcimento del danno patito dall ‘ appaltatore in conseguenza dell ‘ allungamento dei tempi di lavorazione (Cass. n. 5010 del
2009; Cass. n. 28429 del 2011; Cass. n. 14779 del 2020, in motiv.).
3.3. Il legislatore, del resto, fin dall ‘ entrata in vigore del d.m. 29/5/1895, n. 257 (art. 20), e poi, in epoca più recente, con le norme previste dall ‘ art. 34, comma 2, lett. c), del d.P.R. n. 554/1999 (nel testo in vigore fino al 7/6/2011), dall ‘ art. 25, comma 2, lett. a) del d.m. l.p. n. 145/2000 , che rinvia all’art. 34 cit., e (a far data dall ‘ 8/6/2011) dall ‘ art. 32, comma 2, lett. b) d.P.R. n. 207/2010, ha fornito un ‘ analitica disciplina di determinazione di tale voce di spesa, con la previsione di un ammontare fissato in una percentuale rispetto al prezzo dell ‘ appalto e alla durata dell’illegittima sospensione , inducendo una presunzione di danno, a tale titolo, per l ‘ illegittimo protrarsi dei lavori. In tal senso, in effetti, depone il fatto che, nel regolare i profili risarcitori connessi alla illegittima sospensione dei lavori, l’art. 25 de l d.m. n. 145 cit. (ma il discorso è estensibile anche all ‘ art. 160, comma 2, del d.P.R. 207/2010 nonch é all ‘ art. 107, comma 6, del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016), abbia avvertito l ‘ obbligo di richiamare espressamente il disposto dell ‘ art. 1382 c.c.: il che è sufficiente per intendere che, come la norma si premura di precisare al comma 2° ( ‘ la penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno ‘ ), il danno da spese generali (al pari di quello che si concreta nella perdita degli utili) debba essere risarcito ancorch é́ lo stesso non sia provato (cfr. Cass. n. 14779 del 2020, in motiv.).
3.4. Non diversamente, in effetti, ha ragionato questa Corte nell ‘ applicare l ‘ art. 345 della l. n. 2248/1865, all. F, con riferimento al caso del recesso ad nutum del committente (e, a fortiori , in caso di risoluzione del contratto per fatto imputabile alla stessa), ritenendo che l ‘ appaltatore ha il diritto di ottenere, in aggiunta ai lavori già eseguiti in base all ‘ appalto, il
risarcimento del danno calcolato sull ‘ ammontare dell ‘ utile conseguibile secondo il criterio presuntivo previsto da detta norma, pari (come ribadito dall ‘ art. 122 del d.P.R. 554/1999, come pure dall ‘ art. 134 del d.lgs. n. 163/2006, dall ‘ art. 109 del d.lgs. n. 50/2016 e dall ‘ art. 123 del d.lgs. n. 36/2023) al decimo dell ‘ importo delle opere non eseguite. L ‘ art. 345 della l. n. 2248/1865 all. F (abrogato dall’art. 256 del d.lgs. n. 163/2006) , nella parte in cui stabilisce la percentuale del residuo corrispettivo dovuta all ‘ impresa appaltatrice per il caso di esercizio da parte della committente della facoltà di recesso, può essere, in effetti, utilizzato, nella diversa ipotesi della responsabilità risarcitoria dell ‘ amministrazione medesima per inadempimento, quale parametro per la determinazione del lucro cessante dell ‘ appaltatore (cfr. Cass. n. 27690 del 2023, in motiv.; Cass. n. 11361 del 2023).
3.5. Il decreto impugnato, pertanto, lì dove ha ritenuto che le indicate voci di danno non potevano essere riconosciute per mancanza di prova in ordine alla loro sussistenza, non si è attenuto, evidentemente, ai principi illustrati e, come tale, si espone alle censure correttamente svolte sul punto dalla ricorrente .
Il ricorso dev ‘ essere, quindi, accolto e il decreto impugnato, per l ‘ effetto, cassato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Napoli che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Napoli che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima