Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2670 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2670 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25841/2020 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOMEricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMEcontroricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 976/2020 depositata il 10/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’Appello di Bologna ha riformato la decisione del Tribunale di Reggio Emilia che aveva accolto la domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di Unicredit s.p.a. dichiarando la nullità dei contratti di gestione patrimoniale stipulati con l’allora Bipop Carire in data 21.5.1999 e 19.10.1999, in quanto privi della sottoscrizione della banca, dichiarando assorbite le altre domande volte alla declaratoria di nullità o di risoluzione dei medesimi contratti in ragione della violazione delle norme di TUF a tutela dell’investitore, condannando la banca alla restituzione delle perdite subite pari alla somma di euro 74.225,24, oltre interessi.
2. La Corte territoriale accoglieva l’appello della banca in ragione della sentenza n. 898/2018 delle Sezioni Unite di questa Corte circa il requisito della forma scritta per cui « In tema di intermediazione finanziaria il requisito della forma scritta del contratto quadro posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’articolo 23 del d.lgs. n. 58/1998 va inteso non in senso strutturale ma funzionale, ha avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dalla stessa tenuti», principio poi ribadito da questa Corte in numerose sentenze successive in relazione ai contratti bancari in generale.
Quanto alle restanti diverse domande, non esaminate dal Tribunale in quanto ritenute assorbite, la Corte le ha ritenute rinunciate, ripercorrendo la giurisprudenza di legittimità a proposito della presunzione di rinuncia in grado d’appello alle domande svolte in primo grado, in particolare richiamando i principi stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 7940/2019 per cui: (a) « Il processo
ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla legge n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.) a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e, comunque, non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum nel thema decidendum del giudizio di primo grado»; (b) «Quanto alla riproposizione, per orientamento consolidato di questa Corte, la stessa può avvenire in qualsiasi forma idonea ad evidenziare in modo non equivoco la chiara e precisa volontà della parte sottoporre la questione alla decisione del giudice di appello (Cass. n. 12345 del 2003) sebbene non sia sufficiente, a tal fine, il richiamo alle conclusioni e deduzioni operate nel giudizio di primo grado, dovendo la riproposizione avvenire in maniera specifica (Cass. n. 16360 del 2004)» .
Sulla base di questi arresti e di ulteriori precedenti citati, la Corte ha osservato che con la comparsa di risposta gli appellati, rimasti vittoriosi, si erano « limitati a un solo generico richiamo, contenuto in due righe a pagina 10, alla assenza della allegazione e prova da parte della banca della propria diligenza affermando, nell’ultimo capoverso: ‘Al proposito non può che rinviarsi alle difese svolte in primo grado a supporto delle relative domande ed eccezioni da intendersi, anche nel presente grado, espressamente richiamate e riproposte ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 346 c.p.c.’ per poi rassegnare subito dopo le conclusioni: ‘Voglia la Corte d’appello di Bologna dichiarare inammissibile ovvero rigettare l’impugnazione proposta da Unicredit spa; in ogni caso accogliere le
domande formulate dagli attori in primo grado come da conclusioni di cui all’atto di citazione qui espressamente richiamate’», ed ha, perciò ritenuto che simili modalità non soddisfacessero i requisiti di specificità richiesti dalla Suprema Corte, anche in considerazione della pluralità, articolazione e diversità delle domande proposte dagli odierni appellati.
3.- Avverso la sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato ricorso affidandolo a quattro motivi, corredato anche da memoria. Ha resistito Unicredit s.p.a.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. degli artt. 346 e 112 c.p.c., i ricorrenti deducono la nullità della sentenza gravata per aver ritenuto rinunciate le domande formulate in primo grado dagli appellati (relative ad una articolata serie di violazioni di norme primarie e regolamentari da parte dell’intermediario finanziario nella gestione di due portafogli di investimento) nonostante la esplicita richiesta di esame contenuta nella comparsa di risposta in appello; osservano, in particolare, che Unicredit aveva proposto appello ritenendo non integrata la nullità dei contratti di gestione «RAGIONE_SOCIALE» e prendendo posizione rispetto anche alle ulteriori questioni dichiarate assorbite nella sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, e, non dovendo gli appellanti proporre appello incidentale in ragione dell’espresso assorbimento delle ulteriori questioni, nella comparsa di risposta (pag. 10 e 11) avevano ricordato l’inesistenza, nel processo di primo grado dell’allegazione e della prova della diligenza richiesta all’intermediario finanziario. In conformità al principio di autosufficienza del ricorso, trascrivono i ricorrenti le parti rilevanti della comparsa di risposta d’appello nella quale -tra l’altro – si leggeva, sotto al titolo « sulla seconda parte dell’appello ovvero sull’adempimento dei doveri legali e contrattuali in capo
all’intermediario » che l’appello non era destinato, in ogni caso, a portare al risultato concretamente favorevole alla banca, anche qualora avesse dovuto trovare riforma la decisione di primo grado quanto alla forma del contratto di investimento, essendo rimasta completamente assente nel processo l’allegazione e la prova della diligenza che l’intermediario aveva solamente affermato di offrire senza in concreto averlo fatto, « in particolare in punto di resa delle informazioni ai clienti quanto al rischio elevatissimo degli strumenti finanziari di cui si dolgono e quanto alla conoscenza degli stessi da parte dei dipendenti che, con gli appellati, si sono relazionati. A proposito non può che rinviarsi alle difese svolte in primo grado a supporto delle relative domande ed eccezioni da intendersi anche nel presente grado espressamente richiamate e riproposte (analogamente a quello che fa Unicredit che incolla nella citazione d’appello le proprie identiche difese del grado precedente anche relativamente alle questioni che il Tribunale ha ritenuto assorbite dalla pronuncia di nullità), ai sensi e per gli effetti di cui gli articoli 346 c.p.c. ». Frasi nelle quali – secondo i ricorrenti – si esprime chiaramente la volontà della parte appellata di proporre anche alla Corte d’appello le domande e le eccezioni relative all’adempimento dei doveri di fonte legale e di fonte regolamentare già formulate in citazione.
Sicché la Corte d’appello avrebbe violato l’articolo 346 c.p.c. pur nell’interpretazione di legittimità richiamata, perché il passaggio che la sentenza liquida come « generico richiamo, contenuto in due righe a pagina 10, alla assenza della allegazione e prova da parte della banca della propria diligenza » aveva, invece, la inequivoca idoneità a manifestare alla Corte medesima la volontà delle parti appellate di chiedere, in caso di accoglimento del motivo d’appello della banca, l’esame di tutte le ulteriori questioni assorbite in primo grado.
2.- Con il secondo motivo che denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. degli articoli 112, 346 c.p.c. ai sensi dell’articolo 360 comma 1 n. 4 c.p.c. i ricorrenti deducono che la sentenza è viziata per apparenza e contraddittorietà della motivazione perché il passaggio cardine in cui la Corte afferma che « simili modalità non soddisfano i requisiti di specificità delle domande proposte degli odierni appellati in primo grado », non chiarisce quali siano detti requisiti di specificità che, a dire della Corte territoriale, sarebbero richiesti dalla Suprema Corte per ritenere rituale ed efficace la riproposizione delle domande stesse rendendo impossibile comprendere l’ iter decisionale della pronuncia, il cui complessivo ragionamento non sarebbe idoneo a fondare il minimo costituzionale di motivazione rispetto al punto decisivo della pronuncia.
3.- Con il terzo motivo che denuncia la nullità della sentenza ex art.360 comma 1 n. 4 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 101 comma 2, 112 e 346 c.p.c., i ricorrenti censurano la decisione in quanto «a sorpresa» poiché l’appellante in nessuno dei passaggi dei propri scritti aveva eccepito o rilevato l’inidoneità della comparsa di risposta a sottoporre al vaglio della Corte d’Appello le domande e le eccezioni assorbite, sicché il thema decidendum anche del procedimento d’appello era chiaro tra le parti, che hanno pienamente interloquito su di esso. Pertanto la questione della presunta rinuncia degli appellati alle domande svolte in primo grado e ritenute assorbite dal Tribunale, avrebbe dovuto -in quanto sollevata d’ufficio – essere sottoposta alle parti, dovendo, quelle appellate, poter evidenziare al Collegio d’appello di aver chiaramente e tempestivamente espresso, all’interno della comparsa di risposta depositato entro la prima udienza, la volontà di sottoporre al giudice di seconde cure la questioni assorbite in primo grado.
4.- Con il quarto motivo, che denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., degli artt. 92 e 112 c.p.c. e dell’art. 2 comma 2 del D.M. n. 55 del 2014, i ricorrenti si dolgono della pronuncia gravata in punto spese, perché gli appellati sono stati condannati, in ragione della soccombenza, a rifondere una somma di euro 578,00 per esborsi relativamente al primo grado mai in effetti sostenuti da Unicredit, trattandosi, invero, della somma corrisposta dagli attori/appellati a titolo di contributo unificato, marca per anticipazioni forfettarie e costi di notificazione, tutte voci che, ovviamente, la parte convenuta in primo grado non aveva sostenuto e che la stessa Unicredit nella nota spese depositata non aveva domandato a titolo di spese vive.
5.- I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto evidentemente connessi, tutti riguardando, sotto diversi profili, la medesima statuizione circa la presunzione di rinuncia delle domande dichiarate assorbite in primo grado. Va accolto il primo motivo, il che assorbe l’interesse all’esame degli altri
5.1- La questione sottoposta alla Corte con il primo mezzo attiene al modo in cui, la parte vittoriosa in primo grado e convenuta in appello dalla parte soccombente, debba formulare in secondo grado le domande o le eccezioni che dal primo giudice siano state superate o non esaminate perché assorbite (o anche quelle esplicitamente respinte qualora l’eccezione mirasse a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni) per richiamarle in discussione al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo ai sensi dell’art. 346 c.p.c..
5.2- Anzitutto è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui rispetto a queste domande (o eccezioni), detta parte, non ha l’onere di proporre appello incidentale, difettando di interesse al riguardo (v. e x multis Cass., Sez. Un., n. 25246/2008; Cass., Sez, Un. n. 7700/2016; Cass., Sez, Un. n. 11799/2017;
Cass. Sez. Un. 13195/2018); invero quanto alle domande e/o eccezioni che sono state semplicemente «non accolte» (ossia non decise poiché superate o assorbite), si ha soccombenza teorica della parte che le ha dedotte perché questa è vittoriosa nel merito, sicché non ha interesse ad impugnarle ma, in ipotesi di gravame interposto dalla soccombente effettiva, può decidere di rimetterle in discussione limitandosi a riproporle ex art. 346 cod. proc. civ. nel primo scritto difensivo in appello, trattandosi di fatti già rientranti nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado (Cass. n. 7940/2019; conf. Cass. n. 20451/2017: « Una soccombenza soltanto teorica in primo grado -che ha luogo quando la parte, pur vittoriosa, abbia però visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero accogliere le sue conclusioni per ragioni diverse da quelle prospettate -non fa sorgere l’interesse della stessa ad appellare, ma le impone unicamente l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre le domande ed eccezioni respinte o dichiarate assorbite nel giudizio di primo grado, onde superare la presunzione di rinuncia e, quindi, la decadenza di cui all’art. 346 c.p.c. »).
5.3- Fermo quanto precede, agli effetti della soluzione della questione giova ricordare, come rilevato da S.U. n. 7700/2016 e poi ribadito da S.U. n. 11799/2017 (occasionata, quest’ultima, da divergenze tra le Sezioni semplici sui confini circa le modalità devolutive al giudice di appello, fra l’istituto dell’appello incidentale e quello della mera «riproposizione» di cui all’art. 346 c.p.c.) che sotto il profilo funzionale, se «l’appello incidentale» è riconducibile alla figura dell’impugnazione in generale, la «riproposizione» è strumento processuale con cui il legislatore ha inteso riferirsi alla prospettazione in appello di questioni che possano essere, appunto, solo «ri-proposte», cioè proposte come al primo giudice, in quanto il loro mancato accoglimento non è dipeso da una precedente decisione ma dal disinteresse all’esame della questione. Perciò
l’attività devolutiva della loro cognizione si realizza con la riproposizione, appunto, cioè un’espressa richiesta di esaminare tali questioni.
5.4 -Questa Corte è nella specie investita, dunque, propriamente del tema di ciò che è necessario e sufficiente ad integrare la «riproposizione» in casi siffatti, tema sul quale si è espressa ripetutamente, dando luogo ad un principio nomofilattico richiamato in numerose massime e sintetizzato nell’onere della parte interessata « di riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo chiaro e preciso, tale da manifestare in forma non equivoca la sua volontà di chiederne il riesame » (v. ex multis Cass. n. 14086/2010; Cass. 24124/2106).
Sulla questione si è consolidato anche il principio di diritto secondo cui, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 cod. proc. civ. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse. Tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (così Cass. n. 10796/09, ma anche Cass. S.U. n. 25246/08, in motivazione).
Questo principio di diritto è richiamato anche da Cass. Sez. Un. n.7940/2019 (citata dalla Corte di merito nel proprio ragionamento decisorio) nell’ambito della ricostruzione dei principi di nomofilachia a proposito dell’interpretazione dell’art. 346 c.p.c. funzionale alla decisone della specifica questione oggetto di rimessione che, però, riguardava «le barriere preclusive», alla riproposizione in appello delle domande (in quel caso di garanzia e di regresso già avanzate nei confronti di terzi e rimaste assorbite dal rigetto in prime cure
delle istanze dell’attore principale) ed in particolare la questione se la riproposizione delle domande potesse avvenire solo con costituzione tempestiva (venti giorni prima dell’udienza fissata nell’atto di citazione in appello ovvero differita) oppure anche direttamente all’udienza ex art. 350 c.p.c.: dunque un tema diverso da quello nella fattispecie rilevante, cui quella decisione non aggiunge alcun contributo nomofilattico specifico.
Appare, invece, conferente quanto precisato da Cass. 413/2017, secondo cui il principio appena richiamato « va inteso nel senso che, se è vero che la presunzione di rinuncia non è impedita da un richiamo agli atti del primo grado, qualora questo sia del tutto generico, sì da tradursi in una mera formula di stile, quando ciò non sia accaduto e l’appellato abbia soltanto omesso -come nel caso di specie- di riproporre espressamente una determinata domanda, occorre tenere conto dell’intero contenuto delle difese e della posizione complessivamente assunta dall’appellato. Quando questi, con qualsiasi forma, abbia evidenziato la sua volontà di mantenere comunque ferma la propria domanda, sollecitando il giudice di secondo grado a decidere in merito, va escluso che vi abbia rinunciato» (nella fattispecie la Corte ha ritenuto non configurabile la rinuncia perché il convenuto appellato, pur senza riproporre espressamente una domanda di manleva nei confronti del terzo chiamato, si era costituito resistendo non solo verso l’appellante principale ma anche nei confronti del terzo appellante incidentale).
5.5 – Questo criterio interpretativo si presta alla decisione del caso di specie. Fermo infatti, che richiami meramente generici, effettuati in appello e contenuti nelle conclusioni delle comparse di risposta delle parti vittoriose, alle rispettive conclusioni rassegnate nel grado precedente, non siano sufficienti (ed in tal senso si esprimono vari precedenti richiamati anche dal giudice di secondo grado, v. Cass. n. 10796/2009; Cass. n. 25840/2020; Cass. n.
22311/2020), laddove non si tratti di mere «formule di stile» il giudice non può trascurare di indagare la volontà della parte. Nel caso di specie – alla luce del contenuto della comparsa di risposta richiamata dai ricorrenti e sopra ritrascritta nelle parti significative -la parte appellata nel proprio atto costitutivo ha richiamato quelle domande al cui vaglio aveva perso interesse attuale e concreto in primo grado (e perciò ritenute «assorbite») per effetto dell’accoglimento di una dedotta ragione di nullità dei contratti che -attenendo alla forma scritta ad substantiam -rendeva evidentemente superflua, ai fini della condanna richiesta, la valutazione delle ulteriori ragioni sostanziali che erano state prospettate per ottenere la dichiarazione di risoluzione dei contratti stessi o per il risarcimento dei danni. Invero nella comparsa di costituzione gli odierni ricorrenti si erano espressi in termini sufficientemente chiari e certamente inequivoci nel senso di riproporre alla Corte d’Appello -nell’ipotesi in cui avesse ritenuto di riformare la sentenza di primo grado in punto nullità dei due contratti di gestione dei portafogli di investimento per assenza della necessaria forma scritta- le altre questioni che fondavano la domanda di nullità o risoluzione dei contratti per violazione delle norme del T.U.F e di quelle regolamentari attuative delle stesse, ovvero il risarcimento dei danni richiamate nel corpo dell’atto costitutivo -sia pure per relationem -onde sottolineare che la banca in ragione delle stesse, quand’anche vittoriosa sul motivo di gravame attinente alla forma dei contratti, sarebbe risultata soccombente rispetto alle contestazioni mosse circa la violazione degli obblighi informativi, attivi e passivi, dell’intermediario.
In altre parole la specificità e l’univocità, di cui agli arresti sopra richiamati, sono requisiti della «riproposizione» rilevanti agli effetti della valutazione della presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., ma ciò non implica che la parte sia tenuta a ritrascrivere o riportare per esteso i fatti costitutivi delle domande già proposte in
primo grado e già rientranti nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio in ragione della natura del processo di secondo grado quale revisio prioris istantiae, salvo -appunto – che una riproposizione delle stesse debba escludersi per effetto di un’inidonea manifestazione di volontà in tal senso (v. nel senso qui accolto le recenti Cass. ord. n. 12756/2024 e n. 26117/2024)
6.- Il quarto motivo di cassazione relativo alla statuizione delle spese del primo grado di giudizio, resta anch’esso assorbito dall’accoglimento del primo motivo, in quanto il giudice del rinvio dovrà procedere sul punto ad una nuova valutazione.
7.- Pertanto il ricorso va accolto quanto al primo motivo, assorbiti gli altri. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia le parti innanzi alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione