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Decadenza dall’azione giudiziaria, prestazioni previdenziali

Decadenza dall’azione per il conseguimento di prestazioni previdenziali, termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo.

Pubblicato il 13 February 2022 in Diritto Previdenziale, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
TRIBUNALE DI PERUGIA
Sezione Lavoro

Il Tribunale, in persona del Giudice del Lavoro dott., nella causa civile n. 625/2020 Ruolo G. Lav. Prev. Ass., promossa da

XXX (avv.)

– ricorrente

contro

INPS (avv.)

– resistente

ha emesso e pubblicato, ai sensi dell’art. 429 c.p.c, all’esito dell’udienza dell’11.2.2022 la seguente

SENTENZA

1. XXX si è rivolto a questo Tribunale, con ricorso depositato in data 23.7.2020, al fine di ottenere la condanna dell’Inps, mediante l’intervento del Fondo di garanzia previsto dalla legge, a corrispondergli le somme, al lordo delle ritenute, rispettivamente, di € 14.702,50 a titolo di TFR e di € 5.305,26 per le ultime tre mensilità di retribuzione.

Ha riferito di avere prestato servizio alle dipendenze di *** s.r.l. sino al 22.6.2013 e di essere rimasto creditore delle somme indicate attesa l’insolvenza della società datrice di lavoro. Ha precisato di avere presentato istanza di fallimento, ma che la procedura concorsuale si è chiusa, ad istanza del curatore, per incapienza dell’attivo patrimoniale. Ha, quindi, contestato i provvedimenti di rigetto delle istanze amministrative, evidenziando che, a differenza di quanto sostenuto dall’ente, non è necessario e neppure possibile formare ed azionare un titolo esecutivo individuale nella fattispecie in esame ed osservando, sulla base delle circolari dell’ente, che i dati evincibili dai Flussi Uniemens ricevuti e non contestati dal resistente, sono sufficienti ad attestare la consistenza del credito mentre l’incapienza patrimoniale della datrice di lavoro è conclamata proprio alla luce della chiusura anticipata della procedura concorsuale.

2. Costituitosi con memoria del 3.5.2021, l’Inps ha difeso la correttezza del proprio operato richiamando alcuni pronunciamenti del Giudice di legittimità che sostengono che il ritorno in bonis della datrice di lavoro consente al lavoratore di azionare e tentare di soddisfare il proprio credito nei suoi confronti. Ha, inoltre, eccepito l’inesistenza dei presupposti per l’intervento del Fondo di garanzia con riferimento alle ultime mensilità perché richiesto perché richiesto al di là della soglia temporale prevista dal d.lgs. n. 80/1992.

3. All’udienza del 14.5.2021, lo scrivente ha invitato la difesa del ricorrente a produrre visura camerale storica della società datrice di lavoro e a precisare se intendesse ridimensionare il petitum “…effettuandone una nuova ragionata quantificazione basata sui cedolini paga in atti…” alla luce delle contestazioni che l’Inps aveva sollevato in ordine ai limiti, nell’an e nel quantum, dell’intervento assicurativo inerente alle ultime tre mensilità, assegnando apposito termine ad Inps per replica.

Con nota depositata il 12.6.2021, il ricorrente, chiarito che il rapporto di lavoro è cessato il 1.7.2013 come evidenziato dai cedolini paga in atti, ha depositato la visura camerale storica dell’azienda datrice di lavoro, ha ammesso che non sono dovute le ultime mensilità, precisando che quella di Marzo 2013 non è ricompresa nelle tre coperte dall’assicurazione di fonte legale e che le altre sono state rivendicate oltre il termine di dodici mesi previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 80/1992 ed ha limitato la domanda alla richiesta di condanna al versamento del TFR. Nelle note difensive depositate in vista dell’udienza del 22.10.2021, il ricorrente ha argomentato che il Fondo di garanzia deve intervenire ad erogare il TFR anche nel caso di chiusura del fallimento per insussistenza di attivo patrimoniale senza pretendere la formazione di un ulteriore titolo esecutivo che il dipendente non può più conseguire per effetto della cancellazione dell’impresa sociale dal registro delle imprese, mentre l’Inps ha insistito nella necessità di formazione del titolo al fine di effettuare un tentativo di esecuzione individuale verso l’imprenditore tornato in bonis o nei confronti dei soci.

All’udienza del 22.10.2021, il Giudice ha rilevato d’ufficio la questione della decadenza previdenziale prevista dall’art. 47 del d.p.r. n. 639/1970, assegnando alle parti termine a difesa ex art. 101 c.p.c.

Nelle note depositate in data 30.11.2021, il ricorrente ha argomentato di non essere incorso nella decadenza perché l’odierno giudizio è stato incardinato “…avverso la reiezione della domanda presentata dal sig. XXX in data 06.02.2019 e decisa con provvedimento del 23.07.2019 del Comitato provinciale…” e non con riferimento alla prima domanda amministrativa, che Inps non ha neppure preso in considerazione. Ne costituirebbe conferma il contegno serbato dall’ente in sede amministrativa, rivendicato anche nell’odierno giudizio, teso ad ottenere dall’assicurato la presentazione di ulteriore domanda amministrativa corredata da documentazione attestante l’intrapresa dell’esecuzione forzata.

Nella replica del 29.12.2021, l’Inps ha chiesto di dichiarare il ricorso inammissibile per intervenuta decadenza richiamando allo scopo una sentenza emessa in data 1.12.2021 da questo Tribunale in diversa composizione () che ha deciso nel senso auspicato dall’ente una controversia identica radicata da un collega dell’odierno ricorrente.

La causa è, quindi, stata trattata per via cartolare ai sensi dell’art. 221 della legge n. 77/2020 e s.m. in base al decreto del 24.1.2022 ritualmente comunicato alle parti dalla cancelleria.

4. In via preliminare, va dichiarata la cessazione della materia del contendere con riferimento alla domanda di condanna dell’Inps al pagamento delle ultime mensilità ai sensi del d.lgs. 80/1992 tenendo conto della rinuncia al riguardo formulata nella nota del 12.6.2021 dal difensore del ricorrente (cfr Cass., sez. II, 4837/2019).

5. Nel resto, il ricorso va dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza.

5.1 Invero, è documentato in atti che:

– il XXX è stato licenziato dalla *** s.r.l. unipersonale in data 1.7.2013;

– la datrice di lavoro è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Perugia con sentenza n. 66 del 4.6.2015;

– il ricorrente ha presentato istanza di insinuazione nel passivo, ma il Tribunale, con decreto del 15.2.2016, ha disposto di non procedere all’accertamento del passivo per inesistenza di beni nel patrimonio dell’imprenditore fallito ai sensi dell’art. 102 L.F.;

– il 23.4.2018 il XXX ha presentato domanda di intervento del Fondo di garanzia Inps;

– il 18.1.2019 l’Inps ha respinto l’istanza spiegando che, vista la chiusura del fallimento con decreto emesso ai sensi dell’art. 102 L.F. “…deve essere eventualmente presentata domanda telematica per esecuzione individuale e non per fallimento….” richiamando alcune circolari;

– il 6.2.2019 il XXX ha presentato nuova domanda amministrativa;

– il 17.4.2019 l’Inps ha respinto anche questa nuova istanza in quanto il lavoratore non risultava licenziato direttamente dal curatore, come prescritto da circolari dell’ente;

– il 12.7.2019 il XXX ha interposto ricorso amministrativo;

– il 24.7.2019 l’Inps ha confermato il provvedimento di rigetto;

– il 23.7.2020 è stata incardinata l’odierna lite mediante deposito dinanzi a questo Tribunale del ricorso introduttivo del giudizio.

Come accennato, il ricorrente ha sostenuto che, in caso di chiusura della procedura fallimentare senza accertamento del passivo per inesistenza di beni aggredibili, non è sostenibile, pena frustrare irragionevolmente i diritti dei lavoratori assicurati, pretendere che il dipendente consegua e produca all’Inps un titolo esecutivo individuale che, in caso di società di capitali, è impossibile ottenere visto che le suddette vengono immediatamente estinte mediante cancellazione dal registro delle imprese ai sensi dell’art. 118 L.F.

Trattasi, in altri termini, di argomentazioni con le quali è stato censurato il provvedimento con il quale l’ente ha rigettato la prima istanza amministrativa basata sull’instaurazione di procedura concorsuale, mentre nulla si afferma con riguardo alla seconda, presentata con riferimento ad una procedura di esecuzione individuale che, del resto, come ricordato proprio dalla difesa del ricorrente, non era neppure possibile intraprendere.

5.2 A tali premesse in fatto va aggiunto, in diritto (come si dirà meglio appresso) che la decadenza è, in ogni caso, impedita unicamente dalla presentazione di un ricorso giudiziario e non da una seconda domanda amministrativa, pena consentire un’agevole elusione di un istituto posto a tutela di esigenze di certezza anche finanziaria che hanno un rilievo di ordine pubblico, tanto da dover essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, così che, alla data del deposito del ricorso, il termine di decadenza era spirato. Infatti, l’art. 47 del d.p.r. n. 639/1970, nei limiti di interesse, prevede che: “Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi l’autorità giudiziaria ai sensi degli articoli 459 e seguenti del codice di procedura civile. Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma. Dalla data della reiezione della domanda di prestazione decorrono, a favore del ricorrente o dei suoi aventi causa, gli interessi legali sulle somme che risultino agli stessi dovute. L’Istituto nazionale della previdenza sociale è tenuto ad indicare ai richiedenti le prestazioni o ai loro aventi causa, nel comunicare il provvedimento adottato sulla domanda di prestazione, i gravami che possono essere proposti, a quali organi debbono essere presentati ed entro quali termini. È tenuto, altresì, a precisare i presupposti ed i termini per l’esperimento dell’azione giudiziaria……”.

Fra le prestazioni comprese nella Gestione prestazioni temporanee per i lavoratori dipendenti regolata dall’art. 24 della legge n. 88/1989 vi sono anche quelle di competenza del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto istituito dalla legge n. 297/1992, di talché è pacifico (cfr, Cass., sez. unite, 19992/2009; sez. lavoro, 15531/2014) che anche la richiesta della prestazione in questione è assoggettata al termine di decadenza annuale.

Orbene, in base alla disposizione riportata, la decadenza dall’azione di accertamento del diritto ad ottenere le prestazioni del Fondo di garanzia matura, nell’ipotesi di tempestiva presentazione del ricorso amministrativo avverso il provvedimento di rigetto, una volta decorso il termine di un anno dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o dalla data di scadenza del termine di novanta giorni che l’organo amministrativo ha a disposizione per definire il ricorso amministrativo. Diversamente, nell’eventualità in cui il ricorso amministrativo venga presentato tardivamente (o venga tardivamente evaso dall’ente), opera il termine residuale di chiusura di un anno e trecento giorni, costituendo quest’ultimo l’arco temporale entro il quale il procedimento amministrativo deve necessariamente concludersi ed infatti: 120 giorni è il termine entro il quale l’Inps deve provvedere sull’istanza amministrativa ai sensi dell’art. 7 della legge n. 533/1973, 90 giorni è il termine entro il quale è possibile presentare ricorso amministrativo e dopo ulteriori 90 giorni matura il silenzio-rigetto (art. 46, commi 5 e 6 della legge n. 88/1989) che consente di rivolgersi all’Autorità Giudiziaria. Lineare e consolidato è in tal senso l’orientamento espresso dal S.C., secondo cui “In tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, l’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 (nel testo modificato dall’art. 4 del d.l. n. 384 del 1992, conv., con modif., dalla l. n. 438 del 1992), dopo avere enunciato due diverse decorrenze della decadenza (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o da quella di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua – nella “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo” – la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione, di cui all’art. 7 della l. n. 533 del 1973, e di centottanta giorni, previsto dall’art. 46, commi 5 e 6, della l. n. 88 del 1989), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo – pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria – non consente lo spostamento in avanti del “dies a quo” per l’inizio del computo del termine di decadenza (di tre anni o di un anno); tale disposizione, quale norma di chiusura volta ad evitare una incontrollabile dilatabilità del termine di una decadenza avente natura pubblica, deve trovare applicazione anche se il ricorso amministrativo, o la relativa decisione, siano intervenuti in ritardo rispetto al termine previsto.” (Cass., sez. lavoro, 15969/2017); “In tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali , l’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (nel testo modificato dall’art. 4 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438) dopo avere enunciato due diverse decorrenze delle decadenze riguardanti dette prestazioni (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua infine – nella “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo” – la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui all’art. 7 della legge 11 agosto 1973, n. 533 e di centottanta giorni, previsto dall’art. 46, commi quinto e sesto, della legge 9 marzo 1989, n. 88), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo – pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria – non consente lo spostamento in avanti del “dies a quo” per l’inizio del computo del termine decadenziale (di tre anni o di un anno). Ne consegue che, al fine di impedirne qualsiasi sforamento in ragione della natura pubblica della decadenza regolata dall’anzidetto art. 47, il termine decorre, oltre che nel caso di mancanza di un provvedimento esplicito sulla domanda dell’assicurato, anche in quello di omissione delle indicazioni di cui al comma quinto del medesimo art. 47.” (Cass., sez. unite, 12718/2009; cfr anche, ex multis, sez. lavoro, 7527/2010). nuova istanza amministrativa).” (Cass., sez. lavoro, 21039/2018; cfr, nei medesimi termini, VI-lavoro, 8926/2011).

Del resto, come ricordato dai precedenti di legittimità richiamati, ove la proposizione di un ricorso amministrativo o l’adozione di una decisione tardiva dell’ente potessero spostare in avanti il decorso del termine, la decadenza di legge – basata su un’esigenza di certezza e di ordine pubblico anche economico[1] – sarebbe soggetta ad una agevole elusione.

6. Alla luce delle considerazioni precedenti, accertata la parziale cessazione della materia del contendere di cui al punto n. 4, il ricorso va dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza. Visto l’art. 92 c.p.c., il rilievo officioso della decadenza e l’oggettiva difficoltà di orientamento creata da un quadro normativo interdisciplinare complesso, costituiscono ragioni gravi ed eccezionali per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti in causa.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, in accoglimento del ricorso:

– dichiara cessata la materia del contendere nei limiti di cui al punto 4 della motivazione;

– dichiara, nel resto, il ricorso inammissibile per intervenuta decadenza; – compensa integralmente le spese di lite fra le parti in causa.

Perugia, lì 11.2.2022

IL GIUDICE

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