Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25711 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25711 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 15831/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE MONTE DEI PASCHI DI RAGIONE_SOCIALE, con sede in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata al ricorso, d all’AVV_NOTAIO, presso il cui indirizzo p.e.c. ( ) elettivamente domicilia.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata al controricorso, d all’AVV_NOTAIO, presso il cui indirizzo p.e.c. (EMAIL) elettivamente domicilia.
-controricorrente –
e
COGNOME NOME, quale curatore dell’eredità giacente di NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale allegata al controricorso,
d all’AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
e
COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOME.
-intimati –
avverso la sentenza, n. cron. 481/2022, della CORTE DI APPELLO DI ANCONA, pubblicata il giorno 13/04/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 11/09/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato RAGIONE_SOCIALE citò RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti, anche, breviter , MPS) innanzi al Tribunale di Fermo al fine di sentir accogliere le seguenti conclusioni: ‘ Piaccia all’adito Tribunale, contrariis reiectis , così provvedere e statuire: 1) accertata e dichiarata l’inesistenza e/o la nullità dei contratti di conto corrente, di apertura di credito e di quelli in premessa specificati, perché privi dei requisiti di sostanza e di forma richiesti dalla legge a pena di nullità, condannare la RAGIONE_SOCIALE convenuta alla restituzione, in favore dell’attrice delle somme versate e non dovute, per le causali di cui in premessa, ovvero per interessi ultra legali, commissione massimo scoperto, spese ed interessi in misura illegittima, siccome determinati e capitalizzati trimestralmente in violazione del divieto dell’anatocismo, nonché il sistema delle valute fittizie e quant’altro evidenziato nella premessa del presente atto (girocontazione illegittima), il tutto in violazione dell’obbligo di trasparenza, oltre interessi e rivalutazione monetaria, anche sugli interessi attivi, ovvero a compensarle con quelle eventualmente dovute, ad ogni titolo nessuno escluso, alla banca convenuta, da determinarsi nel corso della espletanda istruttoria mediante apposita c.t.u. contabile ; 2) in subordine, nella denegata ipotesi in cui non dovesse
trovare accoglimento l’eccezione di invalidità di cui al punto 1) delle conclusioni, accertato e dichiarato che la convenuta RAGIONE_SOCIALE, per l’intera durata dei rapporti bancari intercorsi ed analiticamente specificati in premessa, in forza delle esplicitate, illegittime causali e clausole contrattuali invalide, nulle, annullabili e, comunque, improduttive di effetti giuridici, ha applicato in danno dell’attrice voci di debito effettivamente non dovute per interessi ultra legali, commissione massimo scoperto, spese ed interessi in misura illegittima, siccome determinati e capitalizzati trimestralmente in violazione del divieto dell’anatocismo, nonché il sistema delle valute fittizie e quant’altro evidenziato nella premessa del presente atto (girocontazione illegittima), il tutto in violazione dell’obbligo di trasparenza, condannarla alla restituzione, in favore dell’attrice delle somme versate e non dovute, oltre interessi e rivalutazione monetaria, anche sugli interessi attivi, ovvero a compensarle con quelle eventualmente dovute ad ogni titolo, nessuno escluso, alla banca convenuta, da determinarsi nel corso dell’espletanda istruttoria mediante apposita c.t.u. ; 3) condannare, in ogni caso, controparte al risarcimento, in favore dell’attrice, dei maggiori danni subiti e subendi, a causa della illegittima condotta inadempiente assunta ex adverso , danni da determinarsi nel corso della espletanda istruttoria e rimessi al prudente apprezzamento del Tribunale e, finanche in via equitativa: ‘.
1.1. Costituendosi ritualmente e tempestivamente in giudizio, la banca convenuta chiese ed ottenne, innanzitutto, di chiamare in causa NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali fideiussori dell’attrice. Concluse, poi, per il rigetto delle avverse pretese perché infondate e, comunque, prescritte, e domandò, in riconvenzionale, la condanna di RAGIONE_SOCIALE, nonché dei suoi menzionati fideiussori, in solido fra loro, al pagamento, in suo favore, di € 53.238,41, oltre inte ressi convenzionali come specificamente indicati. In via subordinata, chiese effettuarsi il conguaglio o la parziale compensazione delle somme eventualmente riconosciute come dovute all’attrice, con la maggior somma dovuta alla convenuta e, per l’effetto, condannare tutte le controparti (attrice
e chiamati in causa), in solido fra loro, a pagarle l ‘importo eccedente, comprensivo di interessi fino al saldo.
1.1.1. Si costituirono pure i chiamati in causa, chiedendo dichiararsi: i ) invalide, inefficaci o estinte le fideiussioni da essi prestate in favore di RAGIONE_SOCIALE, relativamente alla apertura di credito ed alle facilitazioni concesse all’attrice; ii ) non dovute, quantomeno nella misura richiesta, le somme reclamate in forza del rapporto di garanzia, atteso che la banca, nel corso del rapporto, aveva applicato alla debitrice principale condizioni e tassi non dovuti siccome in violazione degli artt. 1284 c.c. e 117 del TUB, del divieto dell’anatocismo, a titolo di commissione di massimo scoperto ed in violazione delle valute e delle spese concordate. Domandarono, inoltre, la condanna della convenuta al risarcimento dei danni subiti e subendi, a causa della sua illegittima condotta assunta in violazione dei principi di correttezza e buona fede regolanti la materia.
1.2. Esaurita l’istruttoria, nel corso della quale sopravvenne il fallimento dell’attrice, si costituì la curatela della stessa e fu disposta ed espletata una c.t.u. contabile, l’adito tribunale, con sentenza del 10 febbraio 2017, n. 113, così dispose: « Condanna RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 73.771,81, oltre interessi legali dalla domanda e fino al saldo; condanna RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.p.a. al pagamento, a titolo di maggior dan no, della somma di € 691,73, oltre interessi dal deposito del presente provvedimento e fino al saldo; condanna RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE alla refusione delle spese di lite in favore del RAGIONE_SOCIALE liquidate in € 10.000,00, oltre iva, cpa e spese generali come per legge; condanna RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE alla refusione delle spese di lite in favore dei terzi chiamati, liquidate in € 12.000 oltre iva, cpa e spese generali come per legge ».
Definendo il gravame promosso da RAGIONE_SOCIALE avverso quella decisione, l’adita Corte di appello di Ancona, con sentenza del 13 aprile 2022, n. 481, pronunciata nel contraddittorio con il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, e nella contumacia NOME COGNOME, così statuì: « 1) In parziale riforma della sentenza di primo
grado, dispone che le spese processuali liquidate a carico di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE siano compensate nella misura di 1/3, rimanendo i residui 2/3 a carico di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE; 2) Conferma, nel resto, la sentenza appellata; 3) Condanna l’appellante alle spese di lite in favore di ciascuna delle due parti costituite, rispettivamente a) RAGIONE_SOCIALE e b) COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; spese che compensa nella misura di 1/3, rimanendo i residui 2/3 a carico di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e che liquida, per l’intero, in euro 2.835 per la fase di studio della controversia; in euro 1.820,00 per la fase introduttiva, euro 4.860,00 per la fase di decisione, oltre 15% rimborso forfettario, iva e cpa ».
2.1. In particolare, quella corte: i ) pur avendo accertato che il conto corrente per cui è causa era aperto al momento dell’introduzione del giudizio con saldo debitore di € 53.238,41, rigettò l’eccezione di inammissibilità della domanda attrice di ripetizione di indebito; ii ) respinse l’eccezione di prescrizione ivi ribadita dalla banca appellante, ritenendo di aderire alla ricostruzione del rapporto effettuata dal c.t.u. sul presupposto della esistenza di un’apertura di credito per facta concludentia (cd. fido di fatto); iii ) confermò la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato illegittima l’applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, stante l’assenza di prova in atti di una negoziazione specifica delle condizioni contrattuali successiva alla delibera CICR, e degli addebiti operati dalla banca a titolo di commissione di massimo scoperto, siccome non pattuita o pattuita senza la specificazione del criterio di calcolo, oltreché riconosciuto il maggior danno; iv ) accolse il motivo di gravame relativo alla liquidazione delle spese, disponendo la parziale compensazione di quelle di entrambi i gradi.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a., affidandosi a sette motivi. Hanno resistito, con distinti controricorsi, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che ha depositato anche memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., e l’AVV_NOTAIO, qualificatosi curatore dell’eredità giacente di NOME COGNOME. Non hanno svolto difese in questa sede NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi tre motivi di ricorso sono rubricati, rispettivamente:
« (Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.): violazione o falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. Insussistenza dei presupposti dell’azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. ed inammissibilità della relativa domanda »;
II) « (Art. 360, comma, 1, n. 4, c.p.c.): nullità della sentenza per violazione degli artt. 2909 c.c. e 324, 329 c.p.c. Violazione del giudicato interno »;
III) « (Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.): nullità della sentenza per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e/o motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ».
Essi, sotto i riportati differenti profili, investono tutti la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il primo motivo di gravame, col quale MPS aveva censurato la decisione del tribunale per avere omesso di statuire in ordine alla (dirimente) eccezione di inammissibilità della domanda di ripetizione dell’indebito formulata dalla RAGIONE_SOCIALE (poi ribadita dal curatore fallimentare, costituitosi in prosecuzione) nei confronti della prima, con riguardo al contratto di c/c n. 2441J (rinumerato 10110P c/o BAV e 10110,88 c/o BMPS), per l’effetto condannando il predetto istituto di credito al pagamento, in favore della parte attrice, della somma di € 73.771,81 (di cui € 73.234,25 per somme asseritamente illegittime percepite dalla banca con riferimento al predetto rapporto di c/c), oltre interessi legali dalla domanda al saldo, in aperta violazione dell’art. 2033 cod. civ. interpretato alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali. Lamenta la ricorrente che la corte dorica, a fronte dello specifico motivo di appello formulato da RAGIONE_SOCIALE, dopo aver accertato (conformemente alla sentenza di primo grado) che il conto corrente per cui è causa risultava ancora aperto al momento dell’introduzione del giudizio con saldo debitore di € 53.238,41 ( cfr . pag. 4 della decisione impugnata: « essendovi da un lato, effettivamente, la somma di euro 53.238,41 quale saldo debitore del c/c n. 10110.88, non pagata dalla RAGIONE_SOCIALE »), ha apoditticamente rigettato l’eccezione di inammissibilità della domanda di ripetizione fornendo una motivazione contraddittoria ed in aperto
contrasto con la più recente e pressoché unanime giurisprudenza di legittimità, oltreché con le risultanze di causa. Si assume, tra l’altro, che la sentenza impugnata, « da una parte, viola il giudicato formatosi con riguardo all’accertamento del saldo debitore del c/c 10110.88 alla data del 03/12/2020 (compiuto dalla sent. 113/17 Tribunale di Fermo), dall’altra, (erroneamente) qualifica come pagamenti quegli stessi importi che la sentenza di primo grado ha accertato come meri indebiti (per complessivi euro 127.010,22, di cui euro 126.472,66 relativi al c/c 10110.88 ed euro 537,56 relativi al c/c 719T), così erroneamente supponendo che: (i) il c/c 10110.88 fosse chiuso alla data dell’introduzione del giudizio di primo grado; (ii) la Società correntista avesse effettuato pagamenti. Così pervenendo al risultato di rigettare l’eccezione (peraltro rilevabile d’ufficio) di inammissibilità della domanda di ripetizione, nonostante fosse irrevocabilmente accertato che il c/c 10110.88 era ancora aperto alla data della introduzione del giudizio con un saldo debitore di euro 53.238,41, per cui non sussiste alcun pagamento ripetibile ». In definitiva, quindi, la ricorrente insiste nel proprio assunto secondo cui la domanda di ripetizione di indebito della originaria attrice non poteva essere proposta, dal momento che, all’atto dell’introduzione del giudizio, il c/c 10110.88 era ancora aperto, a nulla rilevando che esso, eventualmente, fosse stato chiuso in pendenza di lite.
1.1. Questi motivi, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano fondati, nei limiti di cui si dirà, alla stregua delle seguenti considerazioni.
1.2. Giova premettere che: i ) le descritte domande proposte in citazione dall’originaria attrice riguardavano il contratto di c/c n. 2441J (rinumerato 10110P c/o BAV e 10110,88 c/o BMPS) e quello n. NUMERO_DOCUMENTO; ii ) dalla sentenza impugnata si desume, tra l’altro: ii-a ) che « Il Tribunale di Fermo emetteva sentenza n. 113/2017, pubblicata il 10/02/2017, con cui veniva condannata la RAGIONE_SOCIALE appellante alla restituzione in favore del RAGIONE_SOCIALE, della somma di €. 73.771,81, al netto del saldo debitore del c/c n. 10110.88, di €. 53.238,41 reclamato in via riconvenzionale dalla RAGIONE_SOCIALE » ( cfr . pag. 2). In altri termini, il tribunale, sulla base dei calcoli effettuati dal nominato c.t.u.,
ritenne la banca ivi convenuta tenuta alla restituzione, in favore del RAGIONE_SOCIALE (costituitosi in giudizio dopo il fallimento della medesima società, originaria attrice), in relazione al predetto conto corrente n. 10110.88, dell’importo di € 126.472,66 (a titolo di interessi ultralegali ed anatocistici, oltre che di commissione di massimo scoperto, illegittimamente applicati), sottraendo, tuttavia, da esso, € 53.238,41, quale saldo passivo del medesimo conto, il cui credito era stato domandato, in via riconvenzionale, da MPS al momento della sua costituzione in giudizio (si era trattato, in sostanza, di una cd. compensazione atecnica); ii-b ) la ritenuta natura ripristinatoria delle rimesse affluite su quel conto (ragione per la quale è stato respinto il motivo di gravame concernente il mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca in primo grado).
1.3. Nella medesima sentenza della corte distrettuale si legge pure che « La RAGIONE_SOCIALE appellante si duole, in primo luogo, che sia stata disattesa la sua eccezione di inammissibilità della domanda di ripetizione dell’indebito formulata dalla RAGIONE_SOCIALE (poi dall’amm.ne fallimentare, costituitasi in prosecuzione) nei confronti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE Spa con riferimento al contratto di c/c n. 2441J, specificando che nessun pagamento è stato eseguito dalla RAGIONE_SOCIALE (allorché in bonis ) anche in considerazione del credito (incontestato ed accertato in sentenza) vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei suoi confronti (per Euro 53.238,41) quale saldo debitore del c/c n. 10110.88 al 03/12/2010. Sul punto, peraltro, viene fatta confusione, essendovi da un lato, effettivamente, la somma di euro 53.238,41 quale saldo debitore del c/c n. 10110.88, non pagata dalla RAGIONE_SOCIALE, dall’altro quanto effettivamente pagato da quest’ultima, di cui v’è prova attraverso la produzione del contratto e degli estratti conto relativi a tutto il rapporto contrattuale. Non si tratta di mere contabilizzazioni ma di pagamenti effettivi che il c.t.u. in primo grado ha calcolato proprio sulla base della documentazione prodotta. In ogni caso, poiché è indubbio che il correntista -come è accaduto nel caso in esame può far valere la nullità delle clausole negoziali relative agli interessi, commissioni e spese, anche nella formale pendenza del conto corrente al momento della citazione, a nulla giova eccepire l’inammissibilità della
domanda di ripetizione, quando questa conseguirebbe alla rilevata nullità. La giurisprudenza che ritiene possibile l’azione di ripetizione dell’indebito per pagamenti eseguiti dal correntista in virtù di annotazioni in conto illegittimamente eseguite dalla banca, solo una volta estinto il conto corrente – sulla premessa che i versamenti di danaro eseguiti su di esso dal correntista non costituiscono pagamenti ma costituiscono semplici rimesse che hanno il carattere di ripristinare il fido concesso dalla banca al cliente – fa salva, infatti, proprio la richiesta di declaratoria di nullità e le conseguenti domande di ripetizione ».
1.3.1. Queste argomentazioni, tuttavia, non persuadono.
1.3.2. Invero, come affatto condivisibilmente osservato da Cass. n. 16602 del 2024 ( cfr . in motivazione, pag. 16 e ss.), nel rapporto di conto corrente bancario la periodica chiusura del conto assolve alla funzione di consentire la liquidazione del saldo; la chiusura del conto non implica, cioè, lo scioglimento del rapporto, giacché questo si protrae alle condizioni pattuite dopo la data di chiusura, con riporto « a nuovo » del saldo del periodo ( cfr . Cass. 28 febbraio 2024, n. 5282, in motivazione): infatti, l’estratto conto relativo alla liquidazione di chiusura, previsto dall’art. 1832, comma 2, cod. civ., non è soltanto quello che esprime la situazione finale del rapporto, al momento in cui esso ha termine, ma anche quello che rappresenta il risultato di tutte le operazioni verificatesi fino ad una certa data e la contabilizzazione delle medesime, con l’indicazione di un saldo attivo o passivo, comprensivo di ogni ragione di dare ed avere, e tale da costituire la prima posta della successiva fase del conto ( cfr ., per tutte, Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187).
1.3.3. Orbene, il saldo a debito (€ 53.238,41) del conto n. 10110.88 -già intestato ad RAGIONE_SOCIALE in bonis -rimasto accertato in giudizio ed il cui pagamento è stato richiesto, in via riconvenzionale, da RAGIONE_SOCIALE allorquando si è tempestivamente costituita in primo grado (con comparsa depositata il 4 ottobre 2011), doveva considerarsi, dunque, riferito ad una di tali chiusure intermedie del conto, dal momento che della chiusura definitiva del menzionato rapporto di conto corrente non vi è evidenza nella sentenza impugnata, essendo ragionevole ritenere, peraltro, che detto rapporto
successivamente terminò per effetto della sopravvenuta dichiarazione di fallimento della correntista, in data 13 marzo 2012, che determinò lo scioglimento del rapporto stesso. Ora, è vero che nel rapporto di conto corrente il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito, salvo l’osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito (art. 1852, comma 1, cod. civ.): ciò non implica, però, che il medesimo correntista possa aspirare, per ciò solo, alla pronuncia, in proprio favore, della condanna al pagamento di quanto eventualmente risultante come da lui non dovuto per effetto del ricalcolo del saldo del suo conto ad una certa data.
1.3.4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, è senz’altro ammissibile, prima della chiusura del conto, l’azione volta all’accertamento giudiziale della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, posto che il correntista ha un interesse giuridicamente apprezzabile al conseguimento di un risultato utile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto ( cfr . Cass. n. 21646 del 2018). Per ottenere la pronuncia di condanna corrispondente ad un tale accertamento non basta, però, che sia data dimostrazione del saldo ricalcolato, a credito o, come nella specie, a minor debito del cliente, ad una certa data di chiusura intermedia del conto: poiché tale saldo è suscettibile di modificarsi, visto che esso costituisce la partita contabile su cui si innestano le successive movimentazioni del rapporto, occorre che sia allegato e provato, o altrimenti non contestato, che quel saldo sia restato, nel tempo, invariato. Ed onerato d ella prova in questione non può che essere il correntista stesso: soggetto quest’ultimo – che, agendo in giudizio per il soddisfacimento di una propria pretesa, ha l’onere di dar ragione dell’attualità di questa.
1.3.5. Alla strega di tali argomentazioni, Cass. n. 16602 del 2024 ha stabilito che « la domanda del correntista proposta prima della chiusura del
conto, e diretta all’ottenimento di una condanna della banca al pagamento del saldo intermedio rideterminato per effetto dello storno di addebiti illegittimi operati nel corso del rapporto, non può essere accolta ove il correntista stesso non alleghi e inoltre dimostri, in caso di contestazione, l’attualità di quel saldo al momento in cui la causa è posta in decisione ».
1.4. È intuitivo che questa conclusione postula l’esistenza di un saldo attivo del conto all’esito della sua rideterminazione previa espunzione delle voci (interessi, ultralegali, anatocismo, commissione di massimo scoperto) già ivi illegittimamente addebitate.
1.4.1. Nella vicenda all’esame del Collegio, invece, emerge chiaramente che, all’esito della rideterminazione del saldo del menzionato conto corrente n. 10110.88, lo stesso era rimasto comunque passivo (€ 53.238,41) e che sullo stesso erano stati contabi lizzati circa € 126.472,66 a titolo di interessi ultralegali ed anatocistici, oltre che di commissione di massimo scoperto, illegittimamente applicati.
1.4.2. Va osservato, allora, che, come sancito da Cass. n. 16112 del 2024, « secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca in relazione alla nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo a un contratto di apertura di credito regolato in conto corrente, occorre distinguere l’ipotesi di esistenza di versamenti con funzione ripristinatoria della provvista e l’ipo tesi di esistenza di versamenti in funzione solutoria. Solo codesti secondi portano all’accoglimento della domanda di ripetizione d’indebito (che è altra dalla domanda ex art. 1852 cod. civ. di immediato pagamento del saldo a credito), perché nel caso di versamenti ripristinatori ciascun versamento non configura un pagamento, essendo tale solo quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’ accipiens (Cass. Sez. U n. 24418-10; recentemente Cass. Sez. 1 n. 4214-24). Di nessuna rilevanza è la circostanza che un simile versamento avvenga per atto spontaneo del debitore o meno, perché ciò che conta, ai fini dell’accoglimento dell’azione di ripetizione, è
unicamente il fatto che si sia trattato giustappunto di un versamento in funzione solutoria ».
1.4.3. Si è già detto, tuttavia, che la sentenza impugnata ha confermato la natura meramente ‘ ripristinatoria ‘ delle rimesse affluite sul conto de quo .
1.4.4. Nella specie, dunque, l’errore della corte distrettuale è stato quello di condannare la banca al pagamento delle somme illegittimamente addebitate alla correntista, qualificandole come indebiti pagamenti di quest’ultima, senza verificare, tuttavia, se la medesima avesse, o meno, versato alcunché (quale pagamento o anche quale mera rimessa ripristinatoria) a copertura di tali addebiti.
1.4.5. In definitiva, e facendo proprie il Collegio le considerazioni, affatto condivisibili, rinvenibili in Cass. n. 15149 del 2024 -pronunciatasi su questione giuridica assolutamente analoga a quella posta dai motivi di ricorso in esame -« manca, nell’odierna vicenda, l’accertamento, da parte dei giudici di merito, del presupposto stesso dell’azione di ripetizione di indebito, espressamente esercitata dall’originaria attrice e accolta dai giudici, vale a dire l’accertamento dell’esistenza di un ‘pagamento’ in senso tecnico (nel senso chiarito da Cass. S.U. 24418/2010); anzi, manca del tutto l’accertamento del versamento, da parte della correntista sia pure a titolo mero ripristino della provvista del fido -delle somme illegittimamente addebitatele dalla banca ».
1.4.6. In altri termini, l’azione di ripetizione dell’indebito che, come si è visto, è quella che il RAGIONE_SOCIALE odierno controricorrente ha ribadito essere stata concretamente promossa da RAGIONE_SOCIALE in bonis , attrice originaria -può essere esercitata anche in costanza del rapporto di conto corrente bancario, ma, affinché la pretesa del correntista, cui sia stata illegittimamente addebitata una somma, seguita da un suo versamento, sia qualificabile come ripetizione di indebito pagamento, occorre che quel versamento abbia natura solutoria; in caso contrario, non è configurabile un diritto di ripetizione dell’indebito, ai sensi degli artt. 2033 e ss. cod. civ., in capo al correntista ( cfr . Cass. n. 4214 del 2024), il quale « potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza,
per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo » ( cfr . la già menzionata Cass., SU, n. 24418/2010, pag. 10-11).
I motivi di ricorso da quarto al settimo sono rubricati, rispettivamente:
IV) « (Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.): violazione o falsa applicazione degli artt. 2935 e 2946 c.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c. »;
V) « (Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.): nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine ai motivi di gravame con riguardo alla erroneità della c.t.u. »;
VI) « (Art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.): nullità della sentenza per acritico richiamo alle conclusioni rassegnate dal c.t.u. »;
VII) « (Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.): violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 e ss. cod. civ. ».
Essi, sotto i riportati differenti profili, criticano la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il secondo motivo di gravame con il quale RAGIONE_SOCIALE aveva censurato la decisione del tribunale per aver omesso ogni decisione sull’eccezione di prescrizione formulata dalla stessa fin dalla propria tempestiva costituzione in giudizio. Assume la ricorrente che: i ) la corte distrettuale ha disatteso le proprie censure ritenendo di aderire alla ricostruzione del rapporto operata dal c.t.u. del primo grado, benché contestata da RAGIONE_SOCIALE, sull’unico presupposto della esistenza, per il periodo antecedente al 15 giugno 1993 (data del primo contratto di fido agli atti) di un’apertura di credito conclusa per facta concludentia ; ii ) la medesima corte ha omesso di considerare che, nel caso di specie, non risulta prodotta agli atti alcuna documentazione contrattuale attestante la natura affidata dei rapporti bancari in contestazione, se non esclusivamente con riguardo al c/c ordinario n. 10110.88 per il periodo successivo al 15 giugno 1993; iii ) l’apertura di credito è un contratto bancario tipico, soggetto alla disciplina dettata in tema di trasparenza bancaria dal TUB, quindi deve essere redatto per iscritto a
pena di nullità; iv ) il fatto che una banca abbia (in ipotesi) talvolta consentito il superamento del limite del fido, in relazione ad importi accreditati ma non ancora effettivamente incassati ed acquisiti, di per sé non integra una manifestazione di volontà idonea a sostituire le clausole pattuite tra le parti, con difformi ‘ clausole d’uso ‘, ben potendo costituire espressione di tolleranza ed esplicazione di una facoltà discrezionale di volta in volta esercitata dalla banca secondo le circostanze del caso concreto; v ) considerato il rigoroso orientamento giurisprudenziale in merito alla necessità della forma scritta ad substantiam per la contrattualizzazione delle aperture di credito, alla carenza probatoria circa la natura affidata dei rapporti per cui è causa giammai potrebbe sopperirsi con strumenti probatori diversi da un documento sottoscritto da entrambi i contraenti; vi ) in difetto di prova della natura affidata del rapporto di c/c (quanto meno fino alla predetta data del 15 giugno 1993), tutte le rimesse registrate sul conto devono ritenersi, quindi, solutorie e, come tali, soggette a prescrizione decorrente dal giorno stesso del pagamento; vii ) sotto un diverso profilo, posto che il giudizio di appello continua ad ispirarsi ad una logica devolutiva e, quindi, di revisio prioris istantiae sebbene nei limiti della specificità dei motivi di appello, si deve ritenere affetta da nullità ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la sentenza di appello con cui la c orte, pur sollecitata dall’appellante a controllare la decisione del giudice di primo grado in quanto adagiatasi sulle conclusioni di una c.t.u., con critiche rivolte sia sotto il profilo della mancata considerazione della c.t.p. di parte, sia sotto il profilo della intrinseca congruenza, proceda all’esame dell’appello limitandosi ad evocare la c.t.u. dichiarando genericamente di condividerne gli assunti, così finendo per omettere l’adempimento del dovere motivazionale; viii ) la corte territoriale ha inteso valorizzare elementi (erroneamente) ritenuti idonei ad integrare la fattispecie del cd. ‘ fido di fatto ‘, da una parte recependo acriticamente quelli evidenziati dal c.t.u. nella relazione integrativa e, dall’altra, fornendo una distorta interpretazione della ‘ Lettera contratto di fido ‘ del 15 giugno 1993, desumendo da quest’ultima una volontà pattizia difforme da quella risultante dal tenore letterale delle parole, mediante l’erronea attribuzione del
significato di ‘ proroga ‘ di una linea di credito già in essere, ad una pattuizione che, con tutta evidenza, costituisce una concessione ( ex novo ) di una linea di credito prima inesistente, per questa via escludendo la natura solutoria delle rimesse fino ad allora effettuate, che assume valore decisivo ai fini dell’accoglimento dell’eccezione di prescrizione ritualmente formulata.
2.1. Questi motivi, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano complessivamente inammissibili alla stregua delle dirimenti considerazioni di cui appresso.
2.2. Giova ricordare, innanzitutto, che, come ricordato da Cass. n. 15073 del 2024 ( cfr . in motivazione), secondo la giurisprudenza di legittimità, anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 154 del 1992, il contratto di apertura di credito poteva essere stipulato per fatti concludenti e non esigeva la forma scritta ( cfr . Cass. n. 14470 del 2005; Cass. nn. 6090 e 17090 del 2008; Cass. n. 15782 del 2010). Il predetto principio è stato ribadito da questa Corte con l’affermare che, in tema di prescrizi one del diritto alla ripetizione di somme affluite sul conto corrente, la prova della natura ripristinatoria delle rimesse, di cui è onerato il correntista, come i suoi aventi causa, può essere fornita dando riscontro, attraverso presunzioni, della conclusione del contratto di apertura di credito, quando tale contratto sia stato concluso prima dell’entrata in vigore della legge n. 154 del 1992 e del d.lgs. n. 385 del 1993, o quando, pur operando, per il periodo successivo a quest’ultima disciplina, la nullità del contratto per vizio di forma, il correntista o il suo avente causa non facciano valere, a norma dell’art. 127, comma 2, del citato d.lgs., la nullità stessa ( cfr. Cass. n. 34997 del 2023).
2.2.1. In quest’ultimo arresto è stato osservato, affatto condivisibilmente, che: i ) nel regime previgente all’entrata in vigore dell’art. 3 della legge n. 154 del 1992, il quale ha imposto l’obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari, era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito, alla luce del comportamento rilevante della banca; ii ) non è preclusa la dimostrazione per presunzioni del contratto di apertura di credito, poiché le presunzioni semplici sono sicuramente delle prove, disciplinate nel titolo II
del libro VI del codice civile, dedicato appunto alle prove; iii ) l’art. 2725 cod. civ. è evidentemente inapplicabile ai contratti di apertura di credito conclusi in epoca in cui i medesimi non dovevano stipularsi per iscritto a pena di nullità; iv ) è pur vero che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’esistenza di un contratto di apertura di credito bancario non può essere ricavata, per facta concludentia , dalla mera tolleranza di una situazione di scoperto ( cfr . Cass. n. 8160 del 1999) e che, in particolare, una situazione di fatto caratterizzata dallo svolgimento di un conto passivo con adempimenti reiterati, da parte della banca, di ordini di pagamento del correntista, anche in assenza di provvista e nell’ambito dei limiti di rischio dalla stessa banca preventivamente valutati, non dimostra, in sé, la stipulazione, per fatti concludenti, di un contratto di apertura di credito in conto corrente, con obbligo della banca di eseguire operazioni di credito passive, potendo la suddetta situazione di fatto trovare fondamento in una posizione di mera tolleranza da parte della banca stessa ( cfr . Cass. n. 12947 del 1992); v ) ciò non significa, tuttavia, che sia impedita la prova per presunzioni dell’apertura di credito, ma solo che una presunzione, quanto all’esistenza dell’apertura di credito, non può trarsi dalle descritte situazioni.
2.3. Tanto premesso, i motivi di ricorso in esame sconfinano apertamente nel merito, laddove, sostanzialmente, finiscono con il chiedere a questa Corte di legittimità di rivalutare il fatto e le prove per concludere che, invece, anteriormente al 15 giugno 1993, il negozio di apertura di credito per fatti concludenti non era stato concluso.
2.3.1. Si dimentica, tuttavia, che: i ) la prova della natura ripristinatoria delle rimesse, di cui è onerato il correntista, può essere fornita dando riscontro, attraverso presunzioni, della conclusione del contratto di apertura di credito, quando tale contratto sia stato concluso prima dell’entrata in vigore della legge n. 154 del 1992 e del d.lgs. n. 385 del 1993, o quando, pur operando, per il periodo successivo a quest’ultima disciplina, la nullità del contratto per vizio di forma, il correntista non faccia valere, a norma dell’art. 127, comma 2, del citato d.lgs., la nullità stessa ( cfr . Cass. n. 34997 del 2023); ii ) la corte distrettuale ha chiaramente indicato le ragioni da cui ha
tratto il proprio convincimento circa la infondatezza della eccezione di prescrizione ivi ribadita dall’appellante, dovendosi qui ricordare con specifico riferimento alla doglianza di cui al quinto motivo -che, come ripetutamente sancito dalla giurisprudenza di legittimità, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento ( cfr . Cass. nn. 18079, 16117, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199, 1522 e 395 del 2021; Cass. nn. 23684 e 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Ne deriva che è possibile ravvisare una ‘ motivazione apparente ‘ nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva ( cfr . Cass. n. 16117 del 2024; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017); iii ) quanto all’invocato vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ( cfr . sesto motivo), avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui applicabile ratione temporis (giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dalla odierna ricorrente con atto notificato il 7 marzo 2017, come emerge dalla pagina 11 del ricorso. Cfr. Cass. n. 11439 del 2018), la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cd. ‘ doppia conforme ‘), -come innegabilmente accaduto nella
vicenda in esame, avendo la corte d’appello modificato la decisione di primo grado esclusivamente in punto di statuizione sulle spese processuali -questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che « Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice »), sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( cfr . Cass. n. 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere rimasto, invece, inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza di cui al sesto motivo. Inoltre, l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. -nel testo introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 13 aprile 2022) -riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 17021, 6127 e 2607 del 2024; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395
del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); iv ) quanto al settimo motivo, che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 18079, 13621, 10786 e 2607 del 2024; Cass. n. 30878 del 2023; Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 13005 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass. n. 35787 del 2022; Cass. n. 35041 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 19146 del 2022; Cass. n. 15240 del 2022; Cass. n. 25909 del 2021; Cass. n. 25470 del 2019; Cass. n. 14938 del 2018; Cass. n. 25470 del 2019), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr. , tra le tante, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018; Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023; Cass. nn. 2607, 10786, 13621 e 18079 del 2024). In altri termini, il sindacato suddetto
non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016). La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni ( cfr . Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013). Nel quadro dei riportati princìpi, risulta chiaro che il motivo de quo si risolve in una sostanziale, inammissibile, rivisitazione del merito, attraverso la proposizione di una interpretazione di clausole contrattuali, in senso favorevole alla istante, diversa da quella, dalla stessa contestata, preferita dalla corte distrettuale.
2.3.2. Non resta, dunque, che prendere atto dei relativi accertamenti compiuti dalla corte predetta, chiaramente di natura fattuali, rispetto ai quali le complessive argomentazioni delle censure in esame, appaiono sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così mostrando di non considerare che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla
giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 15033 del 2024; Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »); ii ) un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn. 19064 e 2395 del 2006), se concretamente proponibile, da rapportarsi, peraltro, al già richiamato testo novellato di cui alla citata norma e con il rispetto (qui mancato) degli oneri di allegazione sanciti da Cass., SU, n. 8053 del 2014; iii ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione
impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118 e 17201 del 2024).
3. In definitiva, quindi, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. deve essere accolto, nei limiti di cui si è detto, con riguardo ai suoi primi tre motivi, dichiarandosene inammissibili gli altri. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso di RAGIONE_SOCIALE, nei sensi di cui in motivazione, limitatamente ai suoi primi tre motivi, dichiarandone inammissibili gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile