Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26589 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26589 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 7266/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Milano, alla INDIRIZZO, in persona della procuratrice speciale AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME, rappresentata e difesa, come da procura speciale allegata al ricorso, dall’ AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultimo (EMAIL) e presso lo RAGIONE_SOCIALE in Roma, alla Via INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, Ente di diritto pubblico con gestione autonoma (ora RAGIONE_SOCIALE, per effetto di trasformazione in RAGIONE_SOCIALE, per atti AVV_NOTAIO di Roma, rep. n. 88504, rogito n. 26071 del 26 giugno 2024, avente effetto dal giorno 1 luglio 2024), con sede in Roma, alla INDIRIZZO, in persona del suo Presidente e legale
rappresentante pro tempore AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultim o in Roma, alla INDIRIZZO.
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 151/2024, della CORTE DI APPELLO DI ROMA, pubblicata il giorno 10/01/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 30/09/2025 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato il 20 settembre 2013, l’RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti anche, breviter , RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE) citò RAGIONE_SOCIALE s.p.a. innanzi al Tribunale di Roma per ottenerne la condanna al pagamento, in suo favore, di € 8.431.778,66, oltre accessori, previo accertamento negativo della loro spettanza alla convenuta. Espose di aver corrisposto tale somma alla banca convenuta , quale ‘ partecipante ‘ al ‘ capitale ‘ dell’RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta delle previsioni dell’allora vigente Statuto di RAGIONE_SOCIALE.C.S., adottato nel 2005, a seguito del decreto interministeriale del 4 agosto 2005, poi annullato con provvedimento di autotutela del 6 marzo 2013, comunicatogli il 4 aprile 2013. In particolare, premesso il proprio inquadramento quale ente pubblico economico dotato di personalità giuridica e gestione autonoma, istituito con la legge n . 1295 del 24 dicembre 1957, avendo quale funzione l’erogazione di credito per lo sport e per le attività RAGIONE_SOCIALE: i ) descrisse analiticamente le componenti del proprio patrimonio (‘ fondo di dotazione ‘, parteci pato da vari soggetti privati e pubblici, tra cui l’odierna RAGIONE_SOCIALE; ‘ fondo di garanzia ‘, conferito dal RAGIONE_SOCIALE; ‘ fondo di riserva ordinaria ‘; eventuali ‘ riserve straordinarie ‘; ‘ fondo ex lege n. 50/83 ‘, detto anche ‘ fondo patrimoniale ‘, costituito ed alimentato periodicamente dal versamento, da parte del RAGIONE_SOCIALE, del 3%, poi ridotto al 2%, calcolato sugli incassi lordi dei concorsi pronostici) in base allo Statuto del 1984, poi aggiornato nel 2002; ii ) puntualizzò che la
distribuzione degli utili era disciplinata dall’art. 31 di quest’ultimo, il quale prevedeva che da essi doveva dapprima prelevarsi la quota non inferiore al 30%, da destinarsi a riserva ordinaria, ed in seguito che il dividendo non poteva essere superiore al 9% del capitale versato da ciascun partecipante al fondo di dotazione, il rimanente dovendo destinarsi a fondi di riserva straordinari. I partecipanti, inoltre, non avevano diritto di recesso, potendo solo alienare la propria quota di partecipazione al fondo di dotazione; iii ) espose analiticamente le vicende che avevano condotto alla modifica dello Statuto predetto, avvenuta con decreto interministeriale del 4 agosto del 2005, conseguente alla direttiva del 14 dicembre 2004, e le novità da esso previste quanto alla composizione del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE (tra cui l’avvenuta trasformazione del fondo di dotazione in capitale, con relativa ripartizione tra i partecipanti), ed alla determinazione degli utili; iv ) rimarcò le ragioni per cui tale nuovo Statuto e l’appena menzionata direttiva erano stati successivamente annullati, con efficacia ex tunc , con provvedimento interministeriale di autotutela del 6 marzo 2013, a seguito del quale, con propria delibera del 13 settembre 2013, n. 424, i commissari straordinari di RAGIONE_SOCIALE, medio tempore nominati, annullarono le delibere di distribuzione degli utili per gli anni 2005-2010, assunte sulla base dello Statuto del 2005 annullato, risultati pari, per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ad € 8. 989.552,10, e rideterminarono la distribuzione degli utili per il medesimo periodo in base al reviviscente Statuto del 2002 ed ai corrispondenti bilanci; v ) descrisse ampiamente il contenzioso amministrativo generato dalle predette vicende, relativo ai provvedimenti amministrativi annullati in autotutela; vi ) lamentò l’indebito oggettivo, ex art. 2033 cod. civ., nei confronti della convenuta (pari alla differenza tra gli utili corrispostile per il periodo 2005-2010, in base allo Statuto del 2005, poi annullato, e quanto alla stessa effettivamente spettante, per il medesimo periodo, in forza del precedente Statuto del 2002), poiché l’annu llamento in sede di autotutela dello Statuto del 2005 aveva posto nel nulla tutte le delibere adottate in forza di quello Statuto, comprese quelle di distribuzione degli utili, fondate proprio su quest’ultimo. In via subordinata, e per l’ipotesi in cui a d etto Statuto fosse stato riconosciuto il
carattere negoziale, fondò il proprio diritto alla ripetizione dell’indebito anche sulla invocata nullità delle delibere appena indicate, perché adottate in situazione di difetto o illiceità della causa o in violazione di norme imperative, anche internazionali (artt. 107-108 TFUE) in materia di aiuti di Stato, nonché per illiceità dell’oggetto e/o del motivo o per difetto dei requisiti di cui all’art. 1346 cod. civ.
1.1. Si costituì RAGIONE_SOCIALE, che: i ) chiese, preliminarmente, la sospensione del processo, ex art. 295 cod. proc. civ., in attesa dell’esito dei giudizi amministrativi e dell’impugnativa della delibera n. 424/2013 dei commissari straordinari dell’RAGIONE_SOCIALE proposta da RAGIONE_SOCIALE anche nei confronti di RAGIONE_SOCIALE; ii ) concluse per il rigetto delle avverse pretese, invocando l’applicazione della disciplina societaria, le relative prescrizioni e sostenendo l’illiceità della suddetta delibera e la irripe tibilità degli utili già distribuiti in dipendenza dello Statuto allora vigente.
1.2 . L’adito tribunale, acquisita documentazione, con sentenza del 1 6 gennaio 2020, n. 1002 , rigettò l’istanza di sospensione, accolse la domanda di RAGIONE_SOCIALE.C.S. e condannò la convenuta alla restituzione, in suo favore, di € 8.431.778,66, « oltre accessori come indicato in motivazione ».
Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, promossi contro quella decisione, rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, l’adita Corte di appello di Roma, con sentenza del 10 gennaio 2024, n. 151, resa ex art. 281 sexies cod. proc. civ., così dispose: « Respinge l’appello principale; accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, degli interessi, sulla somma capitale liquidata in primo grado di euro 8.431.778,66, al saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore ai 12 mesi nel periodo della mora, ove superiori al tasso degli interessi già riconosciuti, dalle date delle singole liquidazioni a titolo di utili di cui in motivazione ».
2.1. Per quanto ancora di interesse in questa sede, quella corte: i ) rimarcò, innanzitutto, che « La causa petendi del presente giudizio risiede nella ripetizione d’indebito, cosicché al fine della decisione non è
indispensabile attendere la formazione del giudicato sull’impugnazione della delibera n. 424/2013 dei Commissari straordinari, che costituisce solo una delle ragioni poste a base della domanda, mentre occorre in ogni caso scrutinare se gli utili in questione siano stati, o meno, legittimamente distribuiti in base al complessivo tenore della domanda quale su riassunta. Pertanto, l’impugnazione della delibera n. 424/13 dei Commissari Straordinari (già pendente presso questa Corte d’Appello, col n.r.g. 2962/2019, decisa da questa Corte, IV Sezione Civile, con la sentenza n. 278/2023 ed attualmente pendente presso la Corte di Cassazione) non costituisce il necessario ed imprescindibile presupposto logico-giuridico della presente decisione, bensì solo uno dei pretesi antefatti logico-giuridici della pretesa di RAGIONE_SOCIALE.C.S. Essa è invero fondata altresì su tutti gli atti precedenti alla delibera n. 424/13 ed in particolare sui plurimi vizi da cui, ad avviso di I.C.S., la modifica statutaria del 2005 e le conseguenti delibere di attribuzione degli utili sono affetti »; ii ) ritenne, poi, « necessario richiamare la recentissima pronuncia della S.C. n. 974 del 2023 a Sezioni Unite, che ha efficacemente sottolineato la natura ed i caratteri distintivi dell’odierno appellato quale ‘organismo di diritto pubblico … oltre alla personalità giuridica ed all’influenza pubblica dominante’; quale ente, in particolare che, ‘…pur esercitando attività bancaria e finanziaria, settori generalmente aperti alla concorrenza, non osserva esclusivamente criteri di rendimento, efficacia e redditività, ma persegue finalità di interesse generale, gestendo istituzionalmente a titolo gratuito l’accesso di terzi richiedenti fondi speciali, che pertanto non possono essere rifiutati per ragioni di convenienza economica…’. L’ente, costituito invero per legge, la quale ha previsto altresì il suo primo Statuto, ha finalità di interesse generale (art. 3 della legge istitutiva) ed è l’unica banca pubblica ex art. 151 T.U.B., non costituita cioè in RAGIONE_SOCIALE, in riferimento ai tempi dei fatti di causa. Le sue modifiche statutarie non sono sottoposte ai ‘partecipanti al capitale’, ma approvate dalle competenti Autorità ed emanate con Decreto Ministeriale; il bilanc io non è approvato dall’assemblea, ma dal consiglio di amministrazione; i suoi partecipanti sono in larga parte enti pubblici. Ancora, gestisce -gratuitamente e con modalità predeterminate statutariamente -alcuni fondi
speciali di titolarità dello Stato e da questo alimentati. Onde, non può essere assimilato ad una banca costituita in sRAGIONE_SOCIALE, le cui regole di funzionamento sono disciplinato unicamente dal T.U.B. e nel codice civile; se è vero, infatti, che opera con criteri di economicità, oltre che di sana e prudente gestione nell’erogazione del credito ai sensi di Statuto, non può sottrarsi all’attività costituita dalla gestione dei predetti fondi speciali. Esso è in effetti una banca pubblica, non solo perché persegue finalità di interesse generale allorquando eroga credito, dovendo favorire lo sport e le attività RAGIONE_SOCIALE, ma anche e soprattutto perché opera con danaro in massima parte pubblico, che deve gestire con criteri di sana e prudente gestione »; iii ) precisò, quindi, che, alla luce della ricostruzione della natura giuridica di IRAGIONE_SOCIALE. come operata dalla riportata pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, « è del tutto prevalente la disciplina propria degli enti pubblici rispetto a quella societaria, invocata dall’appellante. In primo luogo, si deve rilevare come la disciplina che soccorre in via principale quanto all’attività d’impresa bancaria ferma quella di matrice pubblicistica prevista dalla legge istitutiva e dallo Statuto -è quella del T.U.B., come espressamente previsto dal suo art. 151. Le norme del c.c., ai fini che qui interessano e cioè per quanto concerne l’impugnativa delle delibere consiliari e l’efficacia del loro annullamento, trovano applicazione se e nella misura in cui si armonizzino con la tutela assicurata all’ente dal diritto pubblico e con la natura autoritativa dei provvedimenti adottati per la sua sana e prudente gestione, nonché con il T.U.B., i quali hanno portata ed applicabilità prevalente »; iv ) osservò che « Il Decreto Interministeriale del 6.3.2013, richiamato in narrativa, aveva annullato d’ufficio in autotutela la Direttiva del 14.12.2004 astrattamente prevista dalla legge n. 350/2003 quale strumento ministeriale per indirizzare le modifiche statutarie previste dalla legge -e il Decreto del 4 agosto 2005, di approvazione del nuovo Statuto. Il provvedimento del 6.3.2013 è stato qualificato legittimo dai Giudici Amministrativi con sentenza passata in giudicato : Cons. Stato del 2015 n. 4379, nella quale (pag. 32 sgg.) si è espressamente affermata l’illegittimità delle previsioni statutarie del 2005 poiché ‘…in contrasto con l’interesse collettivo (per come conformato dalla
legge), del quale l’ICS costituisce ente esponenziale’ . In essa si è dato ampiamente conto, tra l’altro, di come, nello Statuto del 2005: il fondo di dotazione era stato trasformato in ‘capitale’; il patrimonio risultava formato dal fondo di dotazione, nonché dal fondo di riserva ordinario e dalle riserve ordinarie e straordinarie; invece i fondi costituiti con danaro pubblico, quello ex l. 50/83 e quello di garanzia erano declassati a meri ‘ prestiti patrimoniali’; era modificata la disciplina degli utili, prevedendosi a favore dei partecipati al fondo di dotazione il 50% degli utili di bilancio, ripartiti proporzionalmente alla quota di capitale di pertinenza di ciascun partecipante; a ciascuno dei privati partecipanti era assicurato il recesso, con diritto alla liquidazione della quota ‘di sua spettanza del patrimonio comprensiva delle riserve’, rinviando sul punto alle norme codicistiche; il tutto supervalutando l’apporto dei privati a scapito dei fondi pubblici ed operando in modo illegittimo, al di fuori della delega legislativa. La legge n. 350 del 2003 si era invece limitata a prevedere l’adeguamento dello Statuto al solo fine di poter concedere contributi per interessi su mutui con un fondo speciale; rappresentanza delle di assicurare la Regioni e delle autonomie locali negli organi di I.C.S.; di stabilire procedure e criteri per la liquidazione delle quote di partecipazione al fondo di dotazione. Rispetto alle previsioni della legge, il Consiglio di Stato ha espressamente osservato come le modifiche s tatutarie ‘non si rivelano affatto applicative delle finalità previste dalla legge di delega’, cosicché esse si erano rivelate ‘incongrue ed irragionevoli’. In particolare, la predetta legge n. 350 del 2003 non aveva previsto né il nuovo riassetto e ridefi nizione del ‘patrimonio’; né l’espunzione dallo stesso dei ‘fondi apportati’ di nuova dotazione; né la modifica dei criteri di ripartizione degli utili, basata sull’allargamento della composizione del capitale» ; v) precisò che, « una volta legittimamente annullati la Direttiva di indirizzo e lo Statuto, la ripartizione degli utili negli esercizi 2005 2010 -seguita all’approvazione dei bilanci degli esercizi 2005 -2010 -sulla base dei criteri previsti dallo Statuto del 2005 era perciò divenuta analogamente illegittima, se posta in relazione, come dovuto, con le previsioni, prescrizioni e limitazioni tornate efficaci con la reviviscenza disposizioni statutarie del 2002. Infatti, la ripartizione degli utili eseguita in
ossequio alla modifica statutaria del 2005 aveva avuto quale suo ‘plafond’ non più il solo originario fondo di dotazione, ridefinito ‘capitale’, ma anche le riserve patrimoniali suesposte, in esso compreso il fondo ex l. 50/2003; tuttavia i criteri per tale ripartizione avevano perso la loro base normativa, essendo intervenuto l’annullamento statutario in autotutela . È evidente che tale ripartizione, nella misura in cui seguiva all’approvazione dei bilanci degli esercizi 2005/2010, non poteva più essere considerata efficace, in quanto, oltre a quanto sin qui detto, era fondata su bilanci sul punto illegittimi. Invece, in base allo Statuto del 2002, ‘reviviscente’, il bilancio dell’ente, con l’elenco dei mutui annualmente concessi, era trasmesso al RAGIONE_SOCIALE , ‘al cui stato di previsione, da presentarsi in Parlamento, deve essere allegato’: . Il bilancio è un bilancio pubblico, il quale pertanto non poteva che essere redatto in base alla legge ed in base agli atti presupposto legittimi; non certo poteva contenere distribuzione di utili da ritenersi definitivamente caducati, privi di titolo legittimante, a seguito dell’annullamento in autotutela delle previsioni statutarie che tali utili avevano previsto. La distribuzione di tali utili, ai sensi dell’art. 72 T.U.B. doveva essere rimossa ex tunc , ed in tal senso hanno operato i Commissari, con conseguente rideterminazione, per gli esercizi 2005-2010, degli utili ripartibili sulla base dei criteri previsti dallo Statuto del 2002. Lo spostamento patrimoniale dall’RAGIONE_SOCIALE. ai partecipanti dell’originario fondo di dotazione e per qual che qui rileva a RAGIONE_SOCIALE -era cioè divenuto privo di titolo, cosicché era ad esso applicabile l’art. 2033 c.c., quale invocato da RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. »; vi ) affermò che « La natura della delibera di revoca della ripartizione degli utili, quale atto dovuto in conseguenza del legittimo annullamento del nuovo Statuto del 2005, esclude che possano trovare applicazione i rimedi impugnatori propri delle delibere di organi di società di capitali. Ed invero, il Consiglio di Stato, con la predetta sentenza passata in giudicato, ha ritenuto che la delibera commissariale fosse atto esecutivo dovuto e vincolato, quale conseguenza dell’annullamento in autotutela dello Statuto del 2005, a vendo esso efficacia ex tunc e considerando l’annullamento e la delibera in rapporto di presupposizione conseguenzialità. Al Giudice Ordinario è rimesso il solo
compito di verificare l’eventuale violazione dei diritti soggettivi dei partecipanti nelle determinazioni relative alla distribuzione degli utili; violazione in concreto insussistente poiché si era trattato di utili percepiti in virtù di modifiche statutarie invalide e non più efficaci poiché annullate. In tale contesto, la disciplina societaria propria dei tempi e delle caratteristiche dell’impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione, nonché dell’impugnazione dei bilanci, anche limitatamen te alla distribuzione degli utili, non trova applicazione. Le delibere consiliari, ai sensi degli artt. 2388 sgg. c.c., costituiscono la modalità di esercizio dell’attività di gestione rimessa agli amministratori ed in particolare sono dirette a formare la volontà dell’ente, cosicché hanno natura di atti interni alla società; mentre nel caso di specie, a partire dalla modifica statutaria, hanno avuto natura di atti amministrativi apparentemente esecutivi della delega legislativa o, quanto alla delibera n. 4 24 del 2013, di atto dovuto discendente dall’annullamento statutario, ai quali pertanto la disciplina civilistica societaria non è applicabile. Per lo stesso motivo, non trovano applicazione le disposizioni civilistiche in materia societaria ed in particol are l’art. 2949 c.c. sulla prescrizione breve quinquennale dei diritti che derivino da rapporti societari. L’unica prescrizione applicabile è quella propria della ripetizione d’indebito ed essa non si era maturata, come condivisibilmente osservato dal Tribunale»; vi) considerò infondate le argomentazioni, contenute nei motivi di gravame, circa l’esclusione, da parte del Tribunale, dell’applicazione dell’art. 2388 c.c., laddove fa salvi i diritti acquistati in buona fede da terzi in esecuzione delle delibere, in quanto RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stata soggetto di buona fede. Opinò, sul punto, che « A seguito delle illegittime modifiche statutarie che avevano ampliato la base su cui calcolare gli utili anche alle componenti del patrimonio costituite esclusivamente da fondi pubblici, i privati partecipanti hanno beneficiato di utili sproporzionati rispetto ai conferimenti iniziali ed agli utili percepiti negli esercizi passati, come ben messo in evidenza anche nella su richiamata sentenza del Consiglio di Stato. A tal proposito è appena il caso di notare che i dati esposti nelle difese dell’attore e riportati in narrativa, sia sulla composizione globale del patrimonio dell’ente, con l’amplissima
partecipazione statale, sia sui conferimenti e sugli utili degli esercizi ‘ ante ‘ modifica del 2005 e di quelli ‘ post ‘ modifica del 2005 non sono neppure contestati. I maggiori utili percepiti a decorrere dall’esercizio 2005, a parità di apporti al fondo di dotazione, non potevano che essere dovuti alla modifica statutaria illegittima. Pertanto, è decisivo osservare che RAGIONE_SOCIALE, quale istituto di credito esercente professionalmente l’attività bancaria e creditizia e, perciò del tutto edotta dei criteri legislativi e di tecnica finanziaria in base ai quali calcolare gli utili, era del tutto in grado di avvedersi che la fonte dell’aumento esponenziale degli utili ricevuti a decorrere dall’esercizio del 2005 risiedeva proprio nella modificata composizione del patrimonio dell’ente, al cui allargamento partecipavano i soggetti privati, pur restando inalterata la loro dotazione in favore dell’ente. Del tutto contrastante, infine, con il disposto dell’art. 31 dello Statuto è l’argomentazione difensiva second o la quale, pur alla luce delle previsioni statutarie del 2002, il consiglio poteva ripartire utili ai partecipanti al fondo di dotazione anche in misura superiore al 9% del capitale e fino addirittura al 70% degli utili prodotti in ciascun esercizio. È vero che lo statuto del 2002 prevede che possano essere ripartiti utili ai partecipanti anche in misura superiore al 9% del capitale, ma subordina tale potere nel caso in cui gli amministratori deliberino di assegnare la rimanenza ad aumento del dividendo per i partecipanti. Invece, in tutte le delibere di ripartizione degli utili tra il 2005 e il 2010 il consiglio di amministrazione non ha destinato nei modi suddetti le rimanenze, quindi la condizione per destinare maggiori utili non si è mai verificata. È da ribadire, invece, che lo statuto del 2005 è stato annullato anche perché imponeva di distribuire utili ai partecipanti nella misura del 67,74%, alterando il meccanismo di ripartizione a beneficio dell’investimento dei partecipanti privati e a discapito dell’investimento pub blico . L’avvenuto annullamento in autotutela dello Statuto per illegittimità esclude, in conclusione, la possibilità di ravvisare -nel contesto suesposto -qualunque forma di affidamento di buona fede in capo all’odierna appellante. Conforta tale conc lusione l’ulteriore, ma non meno decisiva, osservazione per cui la delibera commissariale che ha caducato le pregresse ripartizioni degli utili
avvenute in base allo Statuto illegittimo ed annullato in autotutela e costituiti in massima parte dalle componenti del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE costituito con fondi pubblici, ha tenuto conto del fatto che la ripartizione così avvenuta violava la disciplina comunitaria sul divieto di aiuti di Stato, di cui all’ art. 108 TFUE.; circostanza messa in luce sin da l parere dell’Avvocatura di Stato del 2.8.2012, richiamato, tra gli altri, dal provvedimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 6.3.2013 di annullamento in autotutela su richiamato. Detti aiuti vietati sono invero ravvisabili tutte le volte in cui il meccanismo per cui il beneficiario ottenga un vantaggio attraverso risorse pubbliche atto ad alterare la concorrenza ed a incidere sugli scambi tra Paesi membri (così, recente, Cass. del 2020 n.22631)» ; vii ) ritenne fondato, infine, l’unico motivo di appello incidentale con cui l’RAGIONE_SOCIALE aveva contestato la sentenza di primo grado laddove gli aveva negato la spettanza di interessi ex art. 1224, comma 2, cod. civ. per difetto di prova. Considerò applicabili, infatti, i principi espressi da Cass., S.U., n. 19499 del 2008, trattandosi di un debito di valuta, e riconobbe il maggior danno ex art. 1224, comma 2, cod. civ. sulla somma capitale in misura pari al saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore ai dodici mesi nel periodo della mora, ove superiore al tasso degli interessi già riconosciuti. Si trattava, invero, di un criterio presuntivo, adottabile in favore di qualunque creditore e non avendo RAGIONE_SOCIALE allegato né provato un pregiudizio superiore (quale, ad esempio, il ricorso al credito con interessi negativi superiori, ecc.).
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a cinque motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’RAGIONE_SOCIALE. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« In relazione all’art. 360 , comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.: nullità e/o illegittimità e/o erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione delle norme sulla sospensione necessaria del giudizio ai sensi
dell’art. 295 c.p.c. ». Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondato il primo motivo di appello principale, con riferimento all’istanza di sospensione del giudizio ex art. 295 cod. proc. civ. formulata dall’odierna ricorrente alla luce della pendenza (oggi dinanzi a questa Corte) del giudizio promosso da RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE per l’annullamento , ex artt. 2388 e/o 2377 cod. civ. e/o per la declaratoria della nullità ex art. 2379 cod. civ. della delibera n. 424 assunta dai Commissari straordinari ICS in data 13 settembre 2013 (con cui quest’ultimi avevano proceduto ad ‘ annullare ‘ le delibere di approvazione dei bilanci degli anni 2005-2010 e di distribuzione utili ai partecipanti del capitale dell’RAGIONE_SOCIALE stesso) ;
II) « I n relazione all’art. 360, co mma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2033 c.c. e 324 cpc; 2494 e 2388 cc.; del d.lgs. n. 356/90 e d.lgs. n. 385/93; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 14, 72 e 151 T.U.B., 23, 25, 1346, 1418, 2093, 2377, 2379, 2388, 2433, 2949 c.c.; violazione e/o falsa applicazione della disciplina statutaria 1984 -2002. erroneità e/o illegittimità dell’impugnata sent enza n. 151/24 nella parte in cui ha ritenuto sussistente il diritto restitutorio ex art. 2033 c.c. dell’ ICS. Appl icabilità all’ ICS della normativa del codice civile e, in particolare, di quella dettata in materia societaria ». Si contestano le argomentazioni con cui la corte distrettuale ha sostenuto che l’RAGIONE_SOCIALE, costituito per legge, per le sue caratteristiche, non può essere assimilato ad una banca costituita in s.p.a., le cui regole di funzionamento sono disciplinate unicamente dal T.U.B. e nel codice civile. Si assume, tra l’altro, che: i ) « Benché non si ignori la natura di banca pubblica ‘residua’ dell’ICS, la sottoposizione dello stesso alla disciplina dettata in materia di società di capitali discende in ogni caso, con evidenza, dalla ricostruzione del quadro normativo di riferimento (erroneamente ricostruito e interpretato dal Giudice) »; ii ) « Sono errate, dunque, le conseguenze che la Corte di Appello trae dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4379/2015 con riferimento alla delibera 424/2013. Il Consiglio di Stato non si è pronunciato nel merito della legittimità della delibera n. 424/2013, avendo declinato la propria
giurisdizione su tale atto. Di conseguenza, non può desumersi dalla pronuncia del Consiglio di Stato un accertamento della correttezza e della legittimità della Delibera n. 424/2013 (peraltro impugnata direttamente nel giudizio autonomo instaurato da UniCredit, pendente dinanzi a codesta Suprema Corte di Cassazione). Deve pertanto sostenersi che l’RAGIONE_SOCIALE è soggetto alla disciplina dettata in materia di società di capitali, essendo applicabili anche in via analogica le relative norme di riferimento e in particolare le disposizioni del TUB. Da ciò deriva l’annullabilità e/o nullità della Del. n. 424 del 13 settembre 2013 per impossibilità dell’oggetto ex art. 1315 c.c. e violazione delle disposizioni di legge in materia di impugnazione delle delibere consiliari e assembleari e dei relativi termini di decadenza; l’annullabilità e/o nullità della Del. n. 424 del 13 settembre 2013 per impossibilità dell’ogget to ex art. 2379 c.c. e in ogni caso per violazione degli artt. 2423 e 2433 c.c. N e consegue, inoltre, l’applicazione del termine di prescrizione quinquennale e, pertanto, l’impossibilità per l’ICS di richiedere indietro le relative somme inerenti le distribuzioni per bilanci dal 2005 al 2007, così come l’annullabilità e/o nullità della Del. n. 424 del 13 settembre 2013 per impossibilità dell’oggetto e in ogni caso per violazione degli artt. 2948 e 2949 cc. Il tipo di attività esercitata dall’RAGIONE_SOCIALE onsente di ritenere applicabili le disposizioni civilistiche in materia di società di capitali, almeno relativamente all’organizzazione interna e quantomeno in riferimento alle attività svolte in ambito bancario. Ne discende che all’Ente resistente e agli atti dallo stesso adottati debbano ritenersi applicabili le disposizioni civilistiche dettate in materia di società di capitali, almeno per quanto concerne lo svolgimento dell’attività di impresa bancaria »; iii ) la delibera n. 424/2013, è « all’evidenza nulla, ex art. 2379 cod. civ., per impossibilità dell’oggetto e/o annullabile per la manife sta violazione degli artt. 2423 e 2433 cod. civ., in quanto non poteva disporre degli utili ormai distribuiti in virtù di approvazioni di bilanci del tutto conformi alla legge »; iv ) le distribuzioni di dividendi relative agli esercizi 2005-2010 risultano conformi anche alle disposizioni del vecchio Statuto;
III) « I n relazione all’art. 360, co mma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1147, 1175, 1375, 2388, 2433, 2729, 2033, comma 2, e 2697 c.c.; assenza di prova circa la mala fede dell’ accipiens al momento del pagamento; violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. ; in ogni caso, difetto di motivazione della sent. n. 151/24 sul punto ». Vengono contestate le argomentazioni con cui la corte distrettuale ha ritenuto configurabile uno stato di mala fede in capo ad RAGIONE_SOCIALE in riferimento alla ricezione degli utili derivanti sulla base dello Statuto dell’RAGIONE_SOCIALE del 2005;
IV) « In relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. : violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2388, 2041 c.c., 107 e 108 T.F.U.E. -Insussistenza di un aiuto di stato vietato ». Si criticano gli assunti con cui la corte territoriale ha opinato che la ripartizione degli utili avvenuta sulla base dello statuto poi annullato violava la disciplina comunitaria sul divieto di aiuti di Stato, di cui all’ art. 108 TFUE ;
V) « In relazione all’art. 360, co mma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.: erroneo e illegittimo accoglimento dell’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE. Violazione e/o erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 1224, co mma 2, c.c. sulla quantificazione e la corresponsione degli interessi dovuti all’ ICS ». Si assume che la decisione oggi impugnata, -ben diversa, peraltro, rispetto a quella assunta, ad esempio, dalla Corte di Appello di Torino nell’analogo contenzioso avviato dall’ICS nei confronti di Intesa RAGIONE_SOCIALE -si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità sul tema. Lo stesso precedente richiamato dalla sentenza (Cass., SU, n. 19499/2008) si pone al termine di un vivace dibattito ermeneutico circa la sufficienza, o meno, della qualità di imprenditore da parte del creditore, al fine della dimostrazione della sussistenza di un maggior danno, ai sensi dell’art. 1224, co mma 2, c.c. Tuttavia, come meglio precisato dalla successiva giurisprudenza della Corte di Cassazione ( inter alia , cfr. Cass. n. 22096 del 2013), tale presunzione non può dirsi valere (come invece ritenuto dalla Corte di Appello di Roma) per qualsiasi genere di creditore. Secondo la ricorrente, « la presunzione di cui trattano le Sezioni Unite trova fondamento su di un uso del denaro – quello
cioè dell’acquisto dei titoli di stato non superiore ai dodici mesi ritenuto quale statisticamente più frequente per il creditore preso a riferimento nella citata pronuncia. Tale presunzione deve essere logicamente collegata esclusivamente a quei soggetti per cui, appunto, tale uso possa dirsi così frequente e ‘naturale’ da giustificare lo schema della prova presuntiva, sulla base dell’ id quod plerumque accidit . La stessa, dunque, può valere solo per l’imprenditore commerciale e non invece per l’ICS, che, proprio sulla base delle motivazioni opposte dalla impugnata sentenza, si trova al di fuori di tale categoria, potendosi al più riconoscere all’RAGIONE_SOCIALE la qualifica di imprenditore non commerciale, in quanto lo stesso (anche sulla base di quanto rilevato dalla stessa sentenza) non svolge la propria attività con alcuna finalità di lucro, ma solo per il migliore sviluppo della propria situazione finanziaria, senza, però, mai rischiare perdite legate ad una logica commerciale di concorrenza e, quindi, di aleatorietà di impresa propriamente detta. Invece, permane in ogni caso uno specifico onere probatorio del creditore circa il quantum della propria pretesa risarcitoria in punto di maggior danno ai sensi dell’art. 1224, co mma 2, c. c. Ebbene, l’ICS non ha mai fornito la prova o anche solo un indizio circa la quantificazione di tale danno e ciò risulta del tutto pacifico tra le parti ».
Il primo di tali motivi risulta inammissibile, perché non si confronta con l’intera ratio decidendi della corte capitolina sul punto.
Quella corte, infatti, ha negato il provvedimento di sospensione facendo riferimento anche, se non soprattutto, ai fatti anteriori alla delibera commissariale n. 424/2013, in primis all’avvenuto annullamento con decreto interministeriale del 6 marzo 2013, avente efficacia ex tunc , del precedente decreto interministeriale del 4 marzo 2005, con cui era stato approvato il nuovo Statuto dell’RAGIONE_SOCIALE odierno controricorrente medesimo (posto che proprio le novellate previsioni di quest’ultimo in tema di riparto degli utili ai partecipanti privati all’ ex Fondo di dotazione dell’RAGIONE_SOCIALE stesso, ivi ridenominato capitale , avevano determinato la distribuzione di tali utili oggi chiesti in restituzione).
Stante tale effettiva ratio decidendi , sintetizzabile nell’avere individuato un rapporto causale diretto tra l’ annullamento dello Statuto del 2005 e l’indebito da ripetere, indipendentemente dalla delibera commissaria le suddetta, la legittimità, o non, di quest’ultima , dunque, non aveva alcuna incidenza causale/pregiudiziale sulla domandata restituzione, posto che si era trattato di un atto dovuto dei commissari dopo l’annullamento d i quello Statuto, con conseguente insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’invocata sospensione ex art. 295 cod. proc. civ.
In quest’ottica, dunque, il motivo nemmeno appare rispettoso di quanto chiarito, del tutto condivisibilmente, da Cass. n. 21563 del 2022 ( cfr . pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n. 35782 del 2023 ( cfr . pag. 41 e ss. della motivazione), da Cass. n. 25495 del 2024 ( cfr . pag. 7-8 della motivazione), da Cass. n. 26871 del 2024 (cfr. pag. 11-12 della motivazione) e da Cass. n. 19277 del 2025 ( cfr . pag. 16 e ss. della motivazione), a tenore delle quali « l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo “decisum” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica
indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01) ».
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, ex art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ., per la ragione, affatto dirimente, che la natura di organismo pubblico dell’ RAGIONE_SOCIALE è stata sancita da Cass., SU, n. 974 del 2023 (alle cui ampie argomentazioni, sul punto, già richiamate dalla corte distrettuale, può qui farsi rinvio, ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.) e ciò comporta, proprio tenuto conto di quanto si legge, in proposito, nella sua motivazione, che a ll’RAGIONE_SOCIALE oggi controricorrente non può applicarsi la disciplina societaria. Né RAGIONE_SOCIALE ha fornito argomenti e/o spunti interpretativi realmente significativi al fine di rimeditare quella conclusione.
A tanto deve aggiungersi che la corte territoriale ha ritenuto che « La natura della delibera di revoca della ripartizione degli utili, quale atto dovuto in conseguenza del legittimo annullamento del nuovo Statuto del 2005, esclude che possano trovare applicazione i rimedi impugnatori propri delle delibere di organi di società di capitali. Ed invero, il Consiglio di Stato, con la predetta sentenza passata in giudicato , ha ritenuto che la delibera commissariale fosse atto esecutivo dovuto e vincolato, quale conseguenza dell’annullamento in autotutela dello Statuto del 2005, avendo esso efficacia ex tunc e considerando l’annullamento e la delibera in rapporto
di presupposizione conseguenzialità . Al Giudice Ordinario è rimesso il solo compito di verificare l’eventuale violazione dei diritti soggettivi dei partecipanti nelle determinazioni relative alla distribuzione degli utili; violazione in concreto insussistente poiché si era trattato di utili percepiti in virtù di modifiche statutarie invalide e non più efficaci poiché annullate. In tale contesto, la disciplina societaria propria dei tempi e delle caratteristiche dell’impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione , nonché dell’impugnazione dei bilanci, anche limitatamente alla distribuzione degli utili, non trova applicazione. Le delibere consiliari, ai sensi degli artt. 2388 sgg. c.c., costituiscono la modalità di esercizio dell’attività di gestione rimessa agli amministratori ed in particolare sono dirette a formare la volontà dell’ente, cosicché hanno natura di atti interni alla società; mentre nel caso di specie, a partire dalla modifica statutaria, hanno avuto natura di atti amministrativi apparentemente esecutivi della delega legislativa o, quanto alla delibera n. 424 del 2013, di atto dovuto discendente dall’annullamento statutario, ai quali pertanto la disciplina civilistica societaria non è applicabile. Per lo stesso motivo, non trovano applicazione le disposizioni civilistiche in materia societaria ed in particolare l’art. 2949 c.c. sulla prescrizione breve quinquennale dei diritti che derivino da rapporti societari. L’unica prescrizione applicabile è quella propria della ripetizione d’ind ebito ed essa non si era maturata, come condivisibilmente osservato dal Tribunale. Sono altresì infondate le argomentazioni contenute nei motivi in esame, circa l’esclusione, da parte del Tribunale, dell’applicazione dell’art. 2388 c.c., laddove fa salvi i diritti acquistati in buona fede da terzi in esecuzione delle 48 delibere, in quanto RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stata soggetto di buona fede ».
Orbene, è innegabile, ad avviso di questo Collegio, che, in tali assunti, soprattutto in quello per cui, dopo essersi premesso che « Al Giudice Ordinario è rimesso il solo compito di verificare l’eventuale violazione dei diritti soggettivi dei partecipanti nelle determinazioni relative alla distribuzione degli utili», si è considerata una tale violazione « in concreto insussistente, poiché si era trattato di utili percepiti in virtù di modifiche statutarie invalide e non più efficaci poiché annullate», debba ravvisarsi una valutazione -qui
condivisa -in termini, comunque, di piena legittimità della delibera commissariale suddetta.
Il terzo motivo di ricorso si rivela inammissibile.
Esso, infatti, per come concretamente articolato, è volto a contestare accertamenti di natura chiaramente fattuali e, come tali, insindacabili in questa sede, posti dalla corte distrettuale a fondamento della sua conclusione (con una motivazione che non integra violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e di prova presuntiva, oltre che priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti) circa la impossibilità di ravvisare qualsivoglia forma di affidamento in buona fede, in capo all’odi erna ricorrente, al momento del pagamento, in suo favore, degli utili della cui restituzione si discute. Una siffatta doglianza, dunque, mostra di non tenere in alcun conto il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ( cfr. e multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 25911 e 20895 del 2025; Cass. nn. 28390, 27522, 11299 e 7993 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., SU, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr . Cass. nn. 25911 e 20895 del 2025; Cass. n.
24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione ( cfr . Cass. n. 11176 del 2017), posto che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423, 27328 e 35006 del 2024; Cass. nn. 1166, 8671 e 20895 del 2025).
In effetti, come puntualizzato, in motivazione, da Cass. n. 7612 del 2022, e Cass. nn. 8671, 20895 e 25911 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (cfr. Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
Inammissibile risulta pure il quarto motivo di ricorso.
Invero, si legge nella sentenza impugnata ( cfr . pag. 52-53 della motivazione) che la conclusione della corte distrettuale circa l’impossibilità di configurare qualunque forma di affidamento di buona fede, in capo ad RAGIONE_SOCIALE, al momento del pagamento, in suo favore, degli utili della cui restituzione si discute è conforta dalla « ulteriore, ma non meno decisiva, osservazione per cui la delibera commissariale che ha caducato le pregresse ripartizioni degli utili avvenute in base allo Statuto illegittimo ed annullato in autotutela e costituiti in massima parte delle componenti del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE costituito con fondi pubblici, ha tenuto conto del fatto che la ripartizione così avvenuta violava la disciplina comunitaria sul divieto di aiuti di Stato, di cui all’ art. 108 TFUE.; circostanza messa in luce sin dal parere dell’Avvocatura di Stato del 2.8.2012, richiamato, tra gli altri, dal provvedimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 6.3.2013 di annullamento in autotutela su richiamato. Detti aiuti vietati sono invero ravvisabili tutte le volte in cui il meccanismo per cui il beneficiario ottenga un vantaggio attraverso risorse pubbliche atto ad alterare la concorrenza ed a incidere sugli scambi tra Paesi membri (così, recente, Cass. del 2020 n. 22631) ».
È palese, dunque, che ci si trovi al cospetto di una affermazione che, ove pure voglia escludersene il carattere di mero obiter dictum (ricordandosi che « In sede di legittimità, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta sono inammissibili per difetto di interesse, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione ». Cfr . Cass. n. 1770 del 2025), si rivela essere, innegabilmente, una ratio decidendi ulteriore ed autonoma rispetto a quella contestata con il precedente, ma già disatteso, terzo motivo quanto, appunto, all’inconfigurabilità del suddetto affidamento di buona fede della buona fede . Pertanto, deve trovare applicazione il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l’omessa
o inefficace impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua , della sentenza ( cfr ., ex multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 19277 del 2025; Cass. nn. 5102 e 4067 del 2024; Cass. nn. 26801 e 4355 del 2023; Cass. n. 4738 del 2022; Cass. n. 22697 del 2021; Cass., SU, n. 10012 del 2021; Cass. n. 3194 del 2021; Cass. n. 15075 del 2018; Cass. nn. 18641 e 15350 del 2017).
6. Il quinto motivo di ricorso, infine, è infondato.
La corte capitolina, infatti, ha applicato, del tutto correttamente, il principio, sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, « Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali » ( cfr . Cass., SU, n. 19499 del 2008. In senso conforme, si vedano anche le successive Cass. nn. 4402, 17813 e 20753 del 2009; Cass. n. 12609 del 2010; Cass. nn. 3029 e 3954 del 2015; Cass. n. 25666 del 2021). La medesima pronuncia delle Sezioni Unite, peraltro, ha puntualizzato che, « Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo
adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale » (in senso conforme vedasi anche la più recente Cass. n. 25666 del 2021).
Ne consegue che, nell’odierna vicenda, avendo la corte territoriale riconosciuto all’RAGIONE_SOCIALE il maggior danno come da essa individuato -sul duplice presupposto che quello indicato dalle Sezioni Unite è un « criterio presuntivo, adottabile in favore di qualunque creditore e non avendo I.C.S. allegato né provato un pregiudizio superiore (quale, ad es., il ricorso al credito con interessi negativi superiori, ecc.) » soltanto in presenza di saggio medio dei titoli di Stato superiore al tasso legale, e non una somma superiore per la quale sarebbe stata necessaria l’allegazione e la corrispondente prova, la sua pronuncia, in parte qua , si rivela immune dal vizio oggi contestatole dalla ricorrente.
7. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE deve essere respinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dall ‘RAGIONE_SOCIALE controricorrente, dandosi atto, altresì, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento »
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla controparte, liquidate in € 23.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 30 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME