Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5268 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 5268  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35268/2018 R.G. proposto da:
CONDOMINIO  INDIRIZZO,  elettivamente  domiciliato  in INDIRIZZO,  presso  lo studio  dell’avvocata RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME
-ricorrente-
 contro
CONDOMINIO  INDIRIZZO,  elettivamente  domiciliato  in INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocata COGNOME NOME
-controricorrente-
 avverso  la  SENTENZA  di  TRIBUNALE  di  MILANO  n.  9906/2018 depositata il 05/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il INDIRIZZO ha proposto ricorso articolato in  sei  motivi  avverso  la  sentenza  n.  9906/2018  del  Tribunale  di Milano, pubblicata il 5 ottobre 2018.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4quater , e 380bis .1 c.p.c. Il ricorrente ha depositato memoria in data 5 febbraio 2023.
Il Tribunale di Milano ha respinto l’appello avanzato dal RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO contro la sentenza resa in data 29 ottobre 2016 dal Giudice di pace di Milano, avente ad oggetto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 47536/2015 che il RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO aveva intimato per conseguire la ripetizione della somma di € 4.464,05, oltre interessi. Il Giudice di pace aveva ravvisato la fondatezza della pretesa restitutoria avanzata dal RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, avendo questo dimostrato, attraverso la produzione degli estratti conto, che vi fosse stata una fuoriuscita di denaro a favore del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO , nell’importo rideterminato dal Giudice di Pace in € 4.461,40, dal conto corrente acceso dall’RAGIONE_SOCIALE proprio per la gestione del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, conto su quale, a dire del Giudice di pace, ‘ tutte le operazioni di entrata e uscita operate dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE venivano effettuate in nome e per conto del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO 39 ‘.
Il  Tribunale  ha,  a  sua  volta, sostenuto  che  ‘è  documentale  che  le somme che il  condominio  appellato  ha  reclamato  con  il  ricorso  per decreto ingiuntivo  a titolo  di  ripetizione  dell’indebito  sono  uscite  dal conto corrente che l’RAGIONE_SOCIALE COGNOME utilizzava per la gestione  del  RAGIONE_SOCIALE  di  INDIRIZZO,  come  risulta  anche dall’intestazione degli estratti conto prodotti nella fase monitoria dove
si legge ‘ RAGIONE_SOCIALEne RAGIONE_SOCIALE. INDIRIZZO e a prescindere dalla formale intestazione del conto medesimo. È altresì documentale e non contestato che tali somme siano entrate nel conto corrente del RAGIONE_SOCIALE appellante. Sarebbe stato, dunque, onere di quest’ultimo allegare a dimostrare il titolo che giustificasse lo spostamento patrimoniale in suo favore … . Dunque, poiché è riconosciuto che il soggetto che si è beneficiato del pagamento non dovuto (ossia il passaggio di denaro privo di giustificazione dall’un conto corrente all’altro) è il condominio di INDIRIZZO, quest’ultimo è tenuto alla restituzione dei pagamenti indebiti, non avendo fornito allegazione o prova di una diversa fonte di debito che giustificasse i passaggi di denaro dall’uno all’altro’. Il giudice d’appello ha pure precisato che non minava la fondatezza della azionata pretesa ex art. 2033 c.c. ‘la eventuale violazione da parte dell’amministratore dei doveri derivanti dal contratto di mandato’. Infine, il Tribunale di Milano ha definito ‘inammissibile … la censura relativa alla originaria carenza dei presupposti per la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, trattandosi di profilo sul quale il giudice di prime cure ha omesso di pronunciarsi in sentenza e che avrebbe dovuto essere fatto valere come vizio di omessa pronuncia’.
4. Il primo motivo del ricorso del INDIRIZZO INDIRIZZO denuncia  la  violazione  dell’art.  112  c.p.c.  per  avere  il  Tribunale  di Milano  omesso  di  pronunciare  sulla  ‘precisa  doglianza’  spiegata dall’appellante, lamentando che il Giudice di pace non aveva delibato in ordine alla illegittima emissione del decreto ingiuntivo ed all’altrettanto illegittima concessione della immediata esecutività dello stesso.
Il  secondo  motivo  di  ricorso  denuncia  la  violazione  degli  artt.  112, 633 e  642  c.p.c.,  per  non  avere  il  Tribunale  di  Milano  risposto  alla doglianza di parte e per non avere rilevato che il decreto ingiuntivo
era  stato  emesso  al  di  fuori  del  disposto  dell’art.  633  c.p.c.  e  che l’immediata esecutività era stata concessa in palese violazione dell’art. 642 c.p.c.
4.1. Primo e secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono volti a denunciare un error in procedendo in cui sarebbe incorso il Tribunale, avendo ritenuto ‘inammissibile … la censura relativa alla originaria carenza dei presupposti per la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto’, trattandosi di punto sul quale il Giudice di pace non aveva pronunciato in sentenza e che, perciò, ‘avrebbe dovuto essere fatto valere come vizio di omessa pronuncia’. Il ravvisato error in procedendo è comunque rilevante ai fini della cassazione della sentenza, in quanto la questione di diritto ad esso sottostante risulta prima facie infondata e può essere perciò decisa in questa sede, non richiedendo ulteriori accertamenti in fatto (arg. da Cass. Sez. Unite n. 2731 del 2017).
La manifesta infondatezza della questione che è alla base del primo e del secondo motivo di ricorso discende dal pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui in sede di opposizione a decreto ingiuntivo non assumono rilievo decisivo le eventuali ragioni di legittimità, validità ed efficacia del decreto ingiuntivo attinenti alla carenza dei presupposti della sussistenza della prova scritta ex art. 633 c.p.c. o la carenza delle condizioni per la concessione della esecuzione provvisoria ex art. 642 c.p.c., operando, piuttosto, il poteredovere del giudice dell’opposizione di decidere sulla pretesa dedotta in giudizio attraverso il procedimento ingiuntivo, nonché sulle eccezioni di merito dell’opponente. L’opposizione al decreto ingiuntivo non è, infatti, un’impugnazione del decreto, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione di merito, teso all’accertamento dell’esistenza
del diritto di credito azionato dal creditore con il ricorso monitorio, di tal che la sentenza che decide il giudizio deve accogliere la domanda del creditore istante, rigettando conseguentemente l’opposizione, quante volte abbia a riscontrare che i fatti costitutivi del diritto fatto valere in sede monitoria, pur se non sussistenti al momento della proposizione del ricorso o della emissione del decreto, sussistono tuttavia in quello successivo della decisione, mentre l’opponente è privo di adeguato interesse a dolersi del fatto che la sentenza impugnata, nel rigettare l’opposizione, non abbia tenuto conto che difettava una delle condizioni originarie di ammissibilità o di esecutività del decreto ingiuntivo, se non al fine di invocare la caducazione della condanna al pagamento delle spese del procedimento monitorio ( ex multis , Cass. n. 3123 del 1955; n. 11613 del 1992; n. 6421 del 2003; n. 15037 del 2005; n. 419 del 2006; n. 5754 del 2009; n. 19560 del 2009; n. 16199 del 2011; n. 15224 del 2020).
5.Il terzo motivo del ricorso del INDIRIZZO INDIRIZZO censura  l’omesso  esame  circa  fatti  decisivi  per  il  giudizio  (art.  360, comma 1, n. 5, c.p.c.) per la ‘mancata considerazione di circostanze di  fatto  sostenute hic et  inde ‘  (i  ‘comportamenti  appropriativi, affermati  da  entrambi  i  contendenti  e  addirittura  ormai  scolpiti  da sentenza del Tribunale penale di Milano’).
Così anche il quarto motivo del ricorso del INDIRIZZO INDIRIZZO si riconduce al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) per la ‘omessa considerazione della precisa e ripetuta contestazione con la quale il deducente ha eccepito il difetto di prova che le somme reclamate ex adverso siano affluite sul conto corrente di INDIRIZZO e l’attore ha finito per ammettere la circostanza’.
5.1. Terzo e quarto motivo di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, giacché affetti da una comune ragione di
inammissibilità: opera, infatti, la previsione di cui all’art. 348ter , comma 5, c.p.c. (applicabile ratione temporis ), che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme). Né, del resto, il ricorrente adempie all’onere, impostogli dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse erano tra loro diverse (Cass. n. 5947 del 2023).
L’esame del sesto  motivo  di  ricorso  dimostrerà,  peraltro,  che  i  fatti storici  cui  alludono  il  terzo  ed  il  quarto  motivo  sono  stati,  in  realtà, comunque  presi  in  considerazione  dal  Tribunale  (e  quindi,  semmai, piuttosto  apprezzati  dai  giudici  del  merito  in  modo  difforme  alle aspettative del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO), ovvero che essi non rivelano un carattere  ‘decisivo’  (vale  a  dire,  idonei  a  determinare  un  esito diverso della controversia).
6. Il quinto motivo del ricorso del INDIRIZZO INDIRIZZO deduce la violazione e mancata applicazione dell’art. 24 del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, in tema di ‘identificativi unici inesatti’.
6.1. Questo motivo introduce il tema del d.lgs. n. 11 del 2010, che ha attuato la direttiva 2007 /64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, quanto alla responsabilità del prestatore di servizi di pagamento del pagatore o del beneficiario ove un ordine di pagamento sia eseguito conformemente all’identificativo unico fornito dall’utente dei servizi di pagamento, che non corrisponde al nome del beneficiario specificato dall’utente stesso.
La sentenza impugnata non contiene alcun riferimento a tale questione  giuridica.  Il  motivo  è,  quindi,  inammissibile  giacché  non
risulta adempiuto l’onere, gravante sul ricorrente che proponga una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito e di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto (art. 366, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 6, c.p.c.), onde dar modo alla Corte di controllare la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa, che altrimenti deve presumersi ‘nuova’ (tra le tante, Cass. n. 27568 del 2017).
Può anche osservarsi incidentalmente che il d.lgs. n. 11 del 27 gennaio 2010, nel recepire la direttiva 2007/64/CE, ha fornito regole vincolanti di comportamento per i prestatori e per gli utilizzatori di servizi di pagamento, la cui inosservanza può essere fonte di responsabilità per le parti di un’operazione di pagamento, senza perciò rivelare alcuna incidenza su una fattispecie, quale quella in esame, ove si prospetta un’ipotesi di indebito oggettivo correlata all’esecuzione della disposizione bancaria.
Il sesto motivo di ricorso, infine, allega la violazione dell’art. 2033 c.c. Secondo il ricorrente, non vi era spazio per dare applicazione alla ripetizione di indebito in presenza di una ‘appropriazione indebita’ di somma imputabile all’ex amministratore del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO.
Questo  motivo  rievoca  le  vicende  delittuose  attribuite  al  signor COGNOME,  il  quale  avrebbe  sottratto  somme  ingenti,  condotte  per  le quali  è  stato  condannato  in  sede  penale;  si  assume,  inoltre,  che  il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO ‘non ha effettuato alcun pagamento e semplicemente  lamenta  di  aver  subito  appropriazione  indebita  da parte del suo ex amministratore’, e che il conto corrente su cui si era prelevato ‘non è del condominio appellato’.
7.1. Il sesto motivo di ricorso rivela, innanzitutto, profili di inammissibilità, in quanto, benché prospettato come violazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in realtà invoca una rivalutazione complessiva delle risultanze istruttorie, contesta che il Tribunale, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, e chiede a questa Corte una rilettura complessiva delle allegazioni difensive svolte nei gradi di merito, per inferirne l’erronea attribuzione delle qualità di solvens e di accipiens alle parti di causa. Tale operazione è estranea alle regole del giudizio di legittimità, in quanto suppone un accesso diretto agli atti e una delibazione degli
stessi in via inferenziale.
7.2. L’essenziale motivazione del Tribunale di Milano può essere così riassunta: a) ‘è documentale che le somme che il condominio appellato ha reclamato con il ricorso per decreto ingiuntivo a titolo di ripetizione dell’indebito sono uscite dal conto corrente che l’RAGIONE_SOCIALE COGNOME utilizzava per la gestione del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, come risulta anche dall’intestazione degli estratti conto prodotti nella fase monitoria dove si legge ‘ RAGIONE_SOCIALEne RAGIONE_SOCIALE. INDIRIZZO ‘ e a prescindere dalla formale intestazione del conto medesimo’; b) altresì documentale e non contestato che tali somme siano entrate nel conto corrente del RAGIONE_SOCIALE appellante; c) non è stato dimostrato il titolo che giustificasse lo spostamento patrimoniale in favore del RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO INDIRIZZO; d) il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO è perciò obbligato a ripetere quanto indebitamente conseguito.
7.3. Il pagamento dell’indebito fa sorgere l’obbligo di restituzione, ex art.  2033  c.c.,  in  capo  a  colui  che  di  fatto  si  avvalga  di  quel pagamento,  essendo solo quest’ultimo il soggetto che, con la
materiale apprensione del pagamento, acquista la qualità di accipiens e, con essa, l’obbligo di restituire quanto acquisito.
Dimostrata la qualità di accipiens del INDIRIZZO in base all’apprezzamento delle risultanze documentali, ed esclusa l’esistenza del vincolo, il Tribunale ha poi accertato in fatto (con valutazione che non è sindacabile in sede di legittimità per violazione di norma di diritto) che per l’azione di ripetizione di indebito avesse la legittimazione in qualità di solvens il INDIRIZZO INDIRIZZO, in quanto tali somme erano riferibili al patrimonio di quest’ultimo, giacché prelevate da un conto corrente di gestione intestato all’amministratore (cfr. Cass. n. 1186 del 2019). Che l’amministratore erogasse per conto del RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO somme che faceva transitare su un conto corrente non intestato a detto condominio, ma che erano comunque di pertinenza dello stesso, in violazione dell’art. 1129, comma 7, c.c., è cosa che rileva ai fini delle gravi irregolarità perseguibili nell’ambito dell’inadempimento del contratto di RAGIONE_SOCIALE, ma non esclude che il condominio acquisisse la qualità di solvens ove, come accertato nella specie, l’amministratore, tradendo il vincolo fiduciario in ordine alla gestione del conto, procedesse ad indebiti pagamenti in favore di terzi.
La ripetizione d’indebito oggettivo, che configura un’azione di natura restitutoria a carattere personale, è circoscritta tra il destinatario del pagamento e il solvens , sia che questi lo abbia effettuato personalmente, sia che il pagamento sia avvenuto a mezzo di rappresentante. Ne consegue che deve essere esclusa la legittimazione attiva in proprio del rappresentante in un’azione promossa ai sensi dell’art. 2033 c.c. al fine di ottenere la restituzione di somme versate dal medesimo in tale specifica qualità, spettando detta legittimazione esclusivamente al rappresentato (arg. da Cass. n. 13829 del 2004 e Cass. n. 7871 del 2011).
 Il  ricorso  va  perciò  rigettato,  con  condanna  del  ricorrente  a rimborsare  al  controricorrente  le  spese  del  giudizio  di  cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono  i  presupposti  processuali  per  il  versamento -ai  sensi dell’art. 13, comma 1quater ,  del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La  Corte  rigetta  il  ricorso  e  condanna  il  ricorrente  a  rimborsare  al controricorrente  le  spese  sostenute  nel  giudizio  di  cassazione,  che liquida in complessivi € 1.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il  versamento,  da parte  del  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione