Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 19237 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 19237 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 22318/2023 proposto da:
COMUNE DI PARMA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO NOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONSORZIO DELLA RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei curatori pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso il dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 118/2023 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE RAGIONE_SOCIALE PUBBLICHE, depositata il 21/07/2023. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME Generale NOME COGNOME il quale chiede che la Corte accolga lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore il secondo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1.- Con la sentenza n. 118/2023, depositata il 21 luglio 2023, oggetto del presente ricorso per cassazione, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha accolto il ricorso con cui il RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la rettificazione, ai sensi dell’art.204 del r.d. 1775/1933, della sentenza del TSAP n.215/2022, depositata il 17 novembre 2022, in contraddittorio con il Comune di Parma e il Consorzio della Bonifica Parmense.
1.2.- Con la sentenza n.215/2022 il RAGIONE_SOCIALE aveva deciso su un contenzioso sorto a seguito dell’impugnazione da parte del Fallimento RAGIONE_SOCIALE della deliberazione della Giunta comunale di Parma n.65 dell’8 marzo 2021 di approvazione della ‘Proposta di ripartizione economica’ del Consorzio della Bonifica Parmense avente ad oggetto la ripartizione degli oneri per la realizzazione della Cassa d’Espansione del Canale Naviglio n. INDIRIZZO lato est ed opere collegate, volta a raccogliere le acque superficiali non drenate dai terreni in conseguenza degli interventi di urbanizzazione.
Il contenzioso si poneva a valle di una lunga vicenda nel corso della quale, la società RAGIONE_SOCIALE, interamente in mano pubblica, partecipata dal Comune di Parma nella misura del 95,58% e costituita con lo scopo di urbanizzazione, trasformazione e cessione di aree destinate ad uso industriale, artigianale, commerciale e di servizi, aveva sottoscritto con il Consorzio di bonifica di Parma e con il Comune di Parma una convenzione in data 4 maggio 2007 per la realizzazione del Piano urbanistico attuativo INDIRIZZO, con il quale la società si era impegnata, all’art.10, a realizzare le opere idrauliche necessarie e propedeutiche alla futura urbanizzazione delle aree, tra cui la Cassa d’Espansione Canale Naviglio INDIRIZZO; successivamente erano state realizzate vasche provvisorie di laminazione e con provvedimento del 28 luglio 2009 il Consorzio della Bonifica Parmense aveva autorizzato lo scarico nel Canale Naviglio delle acque provenienti dalle vasche di laminazione realizzate; la società RAGIONE_SOCIALE era fallita il 5 aprile 2013, quando i comparti edificatori SPIP 2 e SPIP 3 non erano ancora completati e le opere del Piano urbanistico attuativo Cà Rossa erano state collaudate dal Comune il 12 dicembre 2013, dando espressamente atto, rispetto alle vasche di laminazione, che il fallimento SPIP (intervenuto il 5 aprile 2013) ‘ha fatto venire meno le condizioni economico finanziarie per superare tale situazione di provvisorietà, che rimane per il momento consolidata a servizio delle aree di urbanizzazione (il comparto C e gli insediamenti privati al momento realizzati)’ (fol. 13, sent. imp. n.118/2023).
La pretesa economica di cui alla deliberazione della Giunta comunale di Parma n.65 dell’8 marzo 2021 era conseguente all’inadempimento dell’opera da parte della società, che si era in precedenza resa disponibile alla cessione gratuita dei terreni nella propria disponibilità necessari alla realizzazione della infrastruttura idraulica (fol.14, sent. imp. n.118/2023).
Tale delibera aveva «posto a carico dei soggetti proprietari delle aree di trasformazione urbanistica presenti nel comparto denominato
‘Scheda Norma C8 SPIP 2’, tra cui la società RAGIONE_SOCIALE, poi dichiarata fallita, il costo di realizzazione della cassa di espansione, specificando di escludere le aree, relative ad insediamenti già esistenti e consolidati prima dell’anno 2000 e di avere calcolato proporzionalmente su ciascun lotto anche le quote di competenza delle aree pubbliche ‘al fine di non vedere compromesso l’apporto che avrebbe dovuto corrispondere la società RAGIONE_SOCIALE oggi fallita, suddividendo la quota complessiva tra gli eventuali aventi causa del fallimento’» (fol. 2/3, sent. imp. n.118/2023).
Il Fallimento aveva contestato le modalità di riparto del contributo applicate con la deliberazione dell’8 marzo 2021, formulando tre motivi di ricorso, con cui aveva impugnato sotto vari profili, la legittimità della richiesta del Consorzio della Bonifica Parmense, avallata dal Comune di Parma, assumendo, tra l’altro, che l’obbligo di realizzare la Cassa di Espansione non dovesse essere imputato ad essa ricorrente, bensì alla collettività, in quanto opera idraulica di quarta categoria, ai sensi degli artt. 9 e 10, del r. d. n. 523 del 1904 e 56, lett. c), d.lgs. n. 152 del 2006. Avevano resistito in giudizio il Consorzio della Bonifica Parmense e il Comune di Parma, sostenendo congiuntamente l’infondatezza della domanda.
1.3.- Il Tribunale Superiore delle Acque, con sentenza n. 215/2022 del 17 novembre 2022 (oggetto del giudizio di rettificazione deciso con la sentenza qui impugnata), respinse il ricorso e dispose la compensazione delle spese del giudizio.
Segnatamente, affermò che la Cassa d’Espansione, e cioè l’opera rimasta inadempiuta, era da qualificarsi come rientrante tra le «dotazioni ecologiche e ambientali » ai sensi dell’art. A-25, comma 4, lett. a) della l. r . n. 20 del 2000 e dell’art. 21, comma 1, lett. b) e comma 3, lett. a), della l. r. n. 24 del 2017 «in quanto funzionali all’invarianza idraulica di opere umane», nella specie , «le nuove edificazioni » e non era da annoverare fra le opere idrauliche di cui agli
artt. 9 e 10 del r. d. n. 523 del 1904, e neppure tra quelle preordinate all’edificazione delle aree, cioè le opere di urbanizzazione, come sostenuto dal fallimento, e conseguentemente affermò che trattandosi di ‘dotazioni ecologiche e ambientali’ da ciò discendeva l’obbligo di realizzazione e sopportazione dei relativi oneri economici da parte dei soggetti attuatori degli strumenti di programmazione urbanistica, tra i quali, rientrava a pieno titolo la società RAGIONE_SOCIALE e per essa il Fallimento ricorrente. Osservò, ancora, che «poiché si tratta di opere di invarianza idraulica conseguenti a determinate attività umane, disciplinate da norme regionali, non è pertinente il riferimento all’art. 56, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 152/2006: le vasche di laminazione, ivi previste, infatti, sono “opere di difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti”, di prevenzione d’eventi in sé naturali, non strumentali agli interventi antropici di cui qui, invece, si discute.»
Il TSAP aggiunse, in conclusione, che «nella convenzione sottoscritta il 4.05.2007 con il consorzio di RAGIONE_SOCIALE per la trasformazione delle aree di proprietà, RAGIONE_SOCIALE aveva assunto l’obbligazione, pro-quota, di realizzare la cassa di espansione.».
1.4.- Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE propose ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite avverso la sentenza n.215/2022 del TSAP, cui resistettero con controricorso il Comune di Parma ed il Consorzio della Bonifica Parmense: con ordinanza a Sezioni Unite n. 7320/2024, pubblicata il 19 marzo 2024, il ricorso è stato dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese, come segnalato in memoria dal Comune di Parma.
Le Sezioni Unite, in particolare, hanno affermato «La decisione impugnata, in conclusione, afferma che l’onere relativo alla realizzazione delle dotazioni ecologiche e ambientali è stato posto legittimamente a carico del soggetto attuatore degli interventi previsti dalla pianificazione urbanistica comunale, essendo dette dotazioni da considerare «precondizioni per la trasformazione del territorio»,
avendo la società RAGIONE_SOCIALE (che ha come scopo proprio l’urbanizzazione, la trasformazione e la cessione a privati di aree destinate ad uso industriale, artigianale, commerciale e servizi) dichiarato al Comune di Parma «la propria disponibilità a svolgere, previo accordo tra le parti, la veste di soggetto attuatore dell’intervento», obbligazione assunta con la sopra indicata convenzione urbanistica (art. 10. riguardante il concorso alle spese) del 4 maggio 2007.» (fol. 10, ord. Sez. U. n. 7320/2024). Quindi, hanno esaminato e disatteso le censure volte a criticare la qualificazione delle Casse d’espansione come ‘dotazioni ecologiche ed ambientali’ e a sostenere l’applicabilità, esclusa dalla sentenza impugnata, del regime giuridico degli oneri di urbanizzazione dovuti, ai sensi dell’art. 5, l. n. 10 del 1977, ora art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001, in ragione dell’obbligo del privato di partecipare ai costi delle opere di trasformazione del territorio. Hanno conclusivamente statuito «Quindi, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la decisione impugnata, in coerenza con le funzioni perseguite dalla cassa di espansione, ha ritenuto che trova applicazione il disposto del comma 2, lett. C), dell’art. A-26 citato, in forza del quale ‘ciascun intervento diretto all’attuazione di un nuovo insediamento o alla riqualificazione di un insediamento esistente, comporta l’onere per il soggetto attuatore: (…) c) di provvedere alla realizzazione delle dotazioni ecologiche ed ambientali di cui all’articolo A-25 individuate dal piano’ e non già il disposto del comma 4-bis, dell’art. A-26 citato, in forza del quale soltanto ‘La realizzazione delle dotazioni territoriali di cui agli articoli A-23 e A-24, eseguita dai soggetti attuatori degli interventi, in attuazione di quanto disposto dal comma 2, lettera b), e dal comma 4 o in caso di interventi diretti, comporta lo scomputo dei contributi concessori dovuti ai sensi dell’articolo 28 della legge regionale n. 31 del 2002 secondo quanto disposto dal RUE e l’acquisizione delle stesse al patrimonio indisponibile del Comune.’» (fol.12), rimarcando infine che «… la sentenza del TSAP ha dato risposta alla deduzione (relativa
alla violazione dell’art.23 della Costituzione, n.d.r.), ravvisando, inequivocabilmente, la fonte dell’obbligo di contribuzione posto a carico della società RAGIONE_SOCIALE, sia nelle leggi regionali che riguardano le dotazioni territoriali, sia nella convenzione sottoscritta il 4 maggio 2007.».
1.5.- Il RAGIONE_SOCIALE propose anche ricorso dinanzi al TSAP e chiese la rettificazione della sentenza n.215/2022, lamentando l’omessa pronuncia su alcune censure del ricorso originario, cui resistettero il Comune di Parma ed il Consorzio della Bonifica Parmense. Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche con la sentenza n. 118/2023, depositata il 21 luglio 2023, oggetto del presente ricorso per cassazione, ha accolto parzialmente il ricorso del RAGIONE_SOCIALE ed ha rettificato la sentenza impugnata nei sensi di seguito precisati.
Segnatamente, il TSAP in sede di rettificazione ha affermato, respingendo le prime due censure:
che il TSAP implicitamente aveva ravvisato la fonte dell’obbligo di contribuzione posto a carico di SPIP, quale soggetto attuatore, sia nelle leggi regionali che riguardano le dotazioni territoriali (l.r . n.20/2000 e l.r. n.4/2017) sia nella convenzione sottoscritta il 4 maggio 2007 (fol. 11 della sent. imp. n.118/2023);
ii) che il TSAP, non solo aveva espressamente respinto la censura relativa alla nullità della convenzione del 4 maggio 2007 con riguardo alla indeterminatezza della clausola convenzionale, ma aveva anche implicitamente respinto la questione che era stata posta relativamente alla nullità della convenzione del 2007 per violazione di norme imperative nonché alla violazione dell’art. 4.7 del Piano strutturale comunale e dell’art. A-26 dell’allegato alla legge regionale 20/2020, che ricondurrebbero comunque la realizzazione delle dotazioni territoriali al contributo concessorio, perché «risulta evidente l’implicita reiezione anche di tale censura sulla base delle argomentazioni precedentemente espresse dalla sentenza ovvero della natura
attribuita alle casse di espansione, il cui onere sarebbe legittimamente posto a carico del privato in quanto considerate dalle leggi regionali dotazioni ecologico-ambientali quali ‘precondizioni per la trasformazione del territorio’» (fol.12 della sent. imp. n.118/2023).
Il TSAP, in sede di rettificazione, ha quindi ritenuto ammissibile ed ha accolto la censura per omessa pronuncia in relazione al terzo motivo del ricorso originario, con cui erano stati dedotti dal Fallimento ricorrente, in relazione dalla delibera della Giunta del Comune di Parma n.65 dell’8 marzo 2021, la violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241 del 1990 e del principio di proporzionalità, il difetto di istruttoria e di motivazione rispetto alle concrete modalità di riparto delle spese di realizzazione della cassa di espansione, contestando l’utilizzo del criterio della superficie fondiaria e non della superficie lorda utile, che avrebbe gravato particolarmente la SPIP essendo posto a suo carico il contributo anche per le aree occupate dallo scalo ferroviario nonché dalle vasche di laminazione già realizzate e collaudate; inoltre era stata contestata l’individuazione delle aree sottoposte al contributo solo tra quelle rientranti nel Comparto 8 con esclusione degli insediamenti realizzati prima del 2000, mentre tutte le urbanizzazioni avrebbero reso necessaria la cassa di espansione e avrebbero beneficiato della opera; nonché il mancato rispetto delle norme urbanistiche vigenti e del principio della perequazione urbanistica.
Il TSAP , in sede di rettificazione, ricostruite le vicende intercorse anche sulla scorta della stessa deliberazione impugnata, ha proceduto all’esame della domanda proposta con il terzo motivo del ricorso originario ed ha rettificato la sentenza impugnata esponendo a riguardo due distinte ed autonome rationes decidendi.
Innanzi tutto, il TSAP ha affermato (fol. 16/17 n.118/2023) che, in disparte la natura dell’opera da realizzare, non appaiono ragionevoli né sufficientemente motivati i criteri sulla cui base è stato ripartito il contributo della Cassa di Espansione n. 2, considerato che si tratta di una opera che
viene realizzate per esigenze idrauliche e in un contesto urbanistico e normativo mutato rispetto agli anni 2007- 2008 e per cui, quindi, i criteri di ripartizione del contributo non potevano fare riferimento a pregresse situazioni – essendo invece richiamata ‘l’attualizzazione del quadro di riparto precedentemente sviluppato’, dovendo eventuali impegni assunti in sede convenzionale o di pianificazione attuativa, qualora non ancora eseguiti (circostanza nel caso di specie contraddetta dall’avvenuto collaudo delle opere) essere oggetto di una autonoma azione comunale, mentre la delibera indica espressamente anche la finalità di non compromettere ‘l’apporto che avrebbe dovuto corrispondere la società RAGIONE_SOCIALE, ma che la società ha già realizzato con la esecuzione delle opere originariamente previste nella convenzione (opere di urbanizzazione, scalo ferroviario) o comunque accettate dal Comune (vasche di laminazione provvisorie).
Quindi, il TSAP , sempre nella sentenza resa in sede di rettificazione, ha svolto una seconda ratio a sostegno dell’accoglimento (fol.17/20 n.118/2023) ed ha affermato che «anche a ritenere la Cassa di espansione una dotazione territoriale quale dotazione ecologico- ambientale, come ritenuto dal Comune nella delibera impugnata e dalla sentenza n. 215 del 2022, la legge regionale (Emilia-Romagna) n. 20 del 2000, vigente al momento di stipula della convenzione, prevedeva che ciascun intervento diretto all’attuazione di un nuovo insediamento o alla riqualificazione di un insediamento esistente, comportasse l’onere per il soggetto attuatore di provvedere alla realizzazione ‘delle dotazioni ecologiche ed ambientali di cui all’articolo A-25 individuate dal piano’ (con disposizione analoga a quella contenuta nell’art. 4.7. del PSC 2030). Tale obbligo non può che essere quello risultante dalla Convenzione sottoscritta nel 2007 proprio per l’attuazione del Piano Cà Rossa. Nella sostanza i criteri di riparto tendono a prevedere il maggiore aggravio dei costi a carico del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, in relazione ad un presupposto inadempimento agli obblighi della convenzione e al venir meno della disponibilità alla cessione delle aree, mentre, trattandosi di un autonomo criterio individuato dal Consorzio
di bonifica e dal Comune di Parma per il riparto degli oneri di una opera necessaria in relazione alle trasformazioni del territorio attualmente esistenti sull’area e in relazione alle norme urbanistiche comunali vigenti (PSC 2030) i criteri di riparto non potevano che fare riferimento alla situazione attuale della area e a tutti gli insediamenti le cui acque attualmente confluiscono nel bacino imbrifero del Canale Naviglio. Sotto tale profilo appare irragionevole l’esclusione degli insediamenti realizzati prima del 2000, essendo la realizzazione della cassa di espansione, a seguito del procedimento riavviato dal Consorzio nel 2020, collegata a nuove esigenze di tutela del territorio e del rischio idraulico previste dal PSC 2030 e dal mutato quadro normativo, secondo quanto indicato nella stessa delibera dell’8 marzo 2021 con riferimento, quindi, a tutti gli insediamenti esistenti.» (fol.17/18 sent. imp.). Quindi il TSAP ha rimarcato la circostanza, illustrata dalla stessa difesa comunale, secondo cui i soggetti attuatori degli interventi erano stati chiamati a far fronte alla spesa in forza dell’art. 6.11 delle NTA del PSC, che riguarda interventi urbanistici futuri e non interventi urbanistici già realizzati, e ha ribadito che comunque l’esclusione degli insediamenti realizzati prima dell’anno 2000 era generica ed arbitraria.
Ha, inoltre, affermato che la deliberazione impugnata era contradittoria e violava il principio di proporzionalità, in quanto pur avendo richiamato gli obblighi derivanti dalla Convenzione e dal PUA, il contributo a carico del fallimento SPIP era stato calcolato anche per aree utilizzate per interventi eseguiti in adempimento alla convenzione del 2007, quali le superfici occupate dallo scalo ferroviario o dalle stesse vasche di laminazione ‘provvisorie’ (ma oggetto del collaudo nel 2013), duplicando quindi le obbligazioni derivanti dalla Convenzione.
Ha, tuttavia, disatteso la censura proposta laddove era stata denunciata la violazione del principio della perequazione urbanistica.
1.6.- Il Comune di Parma ha proposto ricorso per cassazione con nove motivi. Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha replicato con controricorso. Anche il Consorzio
della Bonifica Parmense ha replicato con controricorso ed ha svolto tre motivi nel ricorso incidentale adesivo al ricorso del Comune di Parma.
Il PG ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto di accogliere il secondo motivo del ricorso principale, assorbiti tutti gli altri.
Tutte le parti costituite hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1.- Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 204 del r.d. n. 1775/1993, dell’art. 517, n. 6, c.p.c. del 1865 (in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.), per avere erroneamente ritenuto ammissibile il motivo di rettificazione poi deciso, che la ricorrente avrebbe invece dovuto proporre con ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.
Il ricorrente Comune di Parma deduce che il TSAP ha errato a non rilevare la inammissibilità del motivo del ricorso per rettificazione con cui era stata dedotta l’omessa pronuncia in relazione al terzo motivo del ricorso originario assumendo che sempre e comunque « l’omessa pronuncia, in quanto riconducibile all’art. 112 c.p.c., è tutelabile attraverso lo strumento proprio della rettificazione ».
2.2.- Il motivo è inammissibile.
Il ricorso in rettificazione è stato proposto per l’omesso esame di un motivo concernente un autonomo capo di domanda su cui la sentenza doveva pronunciarsi, come tale rilevante, ai fini della rettificazione, sulla base delle disposizioni del codice di procedura civile del 1865 richiamate – con un rinvio recettizio (Cass., sez, un., 25 giugno 2019, n. 16979, Cass, civ. Sez. Unite, 28 gennaio 2021, n. 1917) – nel r.d. 1775 del 1933, in particolare dell’art. 517, n. 6, che riguardava l’omessa pronuncia ‘sopra alcuno dei capi della domanda’.
Sul punto va confermato il consolidato orientamento della giurisprudenza della Cassazione per cui l’omessa pronuncia, in quanto riconducibile all’art. 112 c.p.c., è tutelabile attraverso lo strumento proprio della rettificazione di cui all’art. 204 del r.d. n.1175/1933 e non
a mezzo dell’impugnazione in Cassazione (Cass. civ. Sez. Unite, n.2156/2021; Cass. n. 10088/2020) e la decisione risulta, sul punto, immune da vizi.
Avverso l’omessa pronuncia del Tribunale regionale delle acque pubbliche il rimedio esperibile non è l’appello, bensì il ricorso per rettificazione proposto dinanzi al medesimo Tribunale regionale, come disposto dall’art. 204 del r.d. n. 1775 del 1933 (t.u. delle acque), recante un rinvio recettizio ai casi previsti dall’art. 517 del codice di rito del 1865 ovvero alle seguenti ipotesi: se la sentenza “abbia pronunciato su cosa non domandata”, “se abbia aggiudicato più di quello che era domandato”, “se abbia omesso di pronunciare sopra alcuno dei capi della domanda” e “se contenga disposizioni contraddittorie” (Cass. n. 18652 del 08/07/2024; Cass. Sez. U. n. 157 del 09/01/2020) e, nel presente caso, viene dedotto l’omesso esame di un capo della domanda, quello concernente l’illegittimità della deliberazione dell’8 marzo 2021 impugnata, e non l’omesso esame di un motivo perché è il capo di domanda ad essere confluito nel motivo.
3.1.- Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 204 del r.d. n. 1775/1993 e dell’art. 517, n.6, c.p.c. del 1865 (in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.), per avere pronunciato in contrasto con parti della precedente pronuncia che lo stesso TSPA aveva indicato come non rettificabili.
Il ricorrente deduce che la sentenza ha poi pronunciato in contrasto con parti della prima sentenza non rettificate, con riferimento sia agli obblighi nascenti dalla convenzione urbanistica del 2007 (art. 10) e al loro legame con la contribuzione prevista dalla delibera n. 65/2021, sia, almeno in apparenza, alla natura di ‘opera idraulica’ della Cassa in questione e si duole che il Tribunale abbia erroneamente fondato la sua decisione (anche) su tali premesse, giungendo alla conclusione per cui, non potendosi più invocare gli obblighi convenzionali, il riparto di cui alla delibera comunale n. 65/2021 doveva restare «autonomo dagli
impegni illo tempore assunti da RAGIONE_SOCIALE» e avrebbe richiesto una «autonoma azione comunale».
3.2. – Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della l.r . Emilia -Romagna n. 20/2000, artt. A.25 e A.26, comma 2, lett. c), della l.r . Emilia-Romagna n. 24/2017, artt. 21, comma 1, e 35, comma 2, lett. d) e delle norme tecniche di attuazione di cui al PSC 2006, art. 77, e al PSC, art. 6.11 (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.), laddove il Tribunale ha ravvisato la sufficienza della realizzazione delle vasche provvisorie di laminazione ai fini di soddisfare gli obblighi gravanti su SPIP quale soggetto attuatore degli interventi previsti dalla pianificazione urbanistica territoriale; denuncia inoltre, l’omesso esame di un fatto decisivo (in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.), costituito dalla mancata considerazione del fatto che le ‘vasche di laminazione’ sono opere provvisorie e meramente ‘interne’ al comparto, mentre le Casse d’Espansione sono dotazioni definitive di tipo ‘esterno’, cioè destinate a raccogliere le acque provenienti da un’area più ampia e tale differenza dimostrerebbe che l’obbligazione assunta da SPIP in base alla Convenzione è rimasta ancora inadempiuta.
3.3.- Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del r.d. n. 267/1942, art. 72, della l. n. 241/1990, art. 11, della l.r. n. 20/2000, artt. A.25 e A.26, comma 2, lett. c), della l.r. n. 24/2017, artt. 21, comma 1, e 35, comma 2, lett. d) e delle norme tecniche di attuazione di cui al PSC 2006, art. 77, e al PSC, art. 6.11 (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere assunto che lo stato di fallimento di RAGIONE_SOCIALE incidesse sul contenuto degli obblighi ai quali essa era sottoposta.
3.4.- Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della l.r. n. 20/2000, artt. A.25 e A.26, comma 2, lett. c), della l.r. n. 24/2017, artt. 21, comma 1, e 35, comma 2, lett. d) e delle norme tecniche di attuazione di cui al PSC 2006, art. 77, e al PSC, art. 6.11 (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere assunto, a
giustificazione della pronuncia di annullamento, un mutamento del ‘quadro normativo’ senza indicare quali norme sarebbero mutate e in quale direzione e senza avvedersi che in realtà la disciplina rilevante era in piena continuità.
3.5.- Il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 204 del r.d. n. 1775/1993, dell’art. 517, n. 6, c.p.c. del 1865 (in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.), della l.r. n. 20/2000, artt. A.25 e A.26, comma 2, lett. c), della l.r. n. 24/2017, artt. 21, comma 1, e 35, comma 2, lett. d) e delle norme tecniche di attuazione di cui al PSC 2006, art. 77, e al PSC, art. 6.11, del r.d. n. 267/1942, art. 72, della l. n. 241/1990, art. 11 (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.); omesso esame di un fatto decisivo (in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.); violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 152 del r.d. n. 1775/1993 e dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.), e viene riassuntivamente proposto rispetto ai motivi nn. II-V che precedono, per avere prospettato illegittimamente elementi di discontinuità nel quadro decisionale del Comune e, in ogni caso, ecceduto manifestamente i motivi del ricorso originario del Fallimento SPIP.
Il ricorrente deduce riassuntivamente, che nessuno degli elementi ‘ricostruiti’ dal Tribunale poteva essere utilmente impiegato quale parametro per valutare la legittimità del criterio di distribuzione degli oneri definito dalla delibera n. 65/2021, vuoi perché attinente a parti della sentenza non rettificate, vuoi perché in violazione di legge o frutto dell’omesso esame di un fatto decisivo, vuoi perché il TSAP avrebbe ecceduto rispetto ai motivi di ricorso originariamente proposti.
3.6.- Il settimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto essenziale (in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.), per non avere considerato che la delibera comunale già da sé ripartisce l’onere tra tutti gli insediamenti le cui acque bianche confluiscono nel bacino imbrifero, come la stessa sentenza richiede.
3.7.- L’ottavo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della l.r. n. 20/2000, artt. A.25 e A.26, comma 2, lett. c), della l.r. n. 24/2017, artt. 21, comma 1, e 35, comma 2, lett. d), e delle norme tecniche di attuazione di cui al PSC 2006, art. 77, e al PSC, art. 6.11 (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.); eccesso di potere giurisdizionale (in relazione all’art. 200, n. 1, del r.d. n. 1775/1993 e all’art. 360, n. 1, c.p.c.), per avere violato la portata temporale delle norme urbanistiche rilevanti e per essersi sostituita, senza che ve ne fossero le condizioni sostanziali e processuali, a un apprezzamento di merito riservato all’Amministrazione comunale.
La censura concerne la statuizione con cui si è ritenuto ‘irragionevole e arbitraria’ la limitazione del contributo agli interventi successivi all’anno 2000 perché, secondo il Tribunale, la Cassa d’Espansione sarebbe stata collegata a ‘nuove esigenze di tutela del territorio e del rischio idraulico’ per le quali si sarebbe dovuto far riferimento a tutti gli insediamenti esistenti e, quindi, anche a quelli anteriori al 2000.
3.8.- Il nono motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 204 del r.d. n. 1775/1993, dell’art. 517, n. 6, c.p.c. del 1865 (in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.); violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 152 del r.d. n. 1775/1993 e dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.); omesso esame di un fatto decisivo (in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.), per avere deciso su parti della sentenza non rettificata, ecceduto manifestamente i motivi di ricorso originario e omesso di considerare che le aree sottoposte al contributo avevano comunque potenzialità edificatoria.
4.1.- Si è già avuto modo di illustrare, in sede di esposizione dello ‘svolgimento del processo’, che la sentenza impugnata fonda l’accoglimento del motivo di rettificazione relativa alla domanda proposta con il terzo motivo del ricorso originario su due autonome rationes decidendi , su cui diffusamente si sofferma, entrambe idonee
a sorreggere sul piano logico giuridico la pronuncia di illegittimità della deliberazione dell’8 marzo 2021 impugnata.
Giova osservare che i motivi dal secondo al sesto, compreso quest’ultimo che – come esplicita lo stesso ricorrente – li riassume, svolgono varie critiche tutte afferenti alla prima ratio che ha come presupposto la qualificazione della Cassa d’Espansione come ‘infrastruttura idraulica’ e la considerazione che la società aveva già realizzato le opere originariamente previste dalla convenzione del 2007 al momento in cui venne adottata la deliberazione impugnata.
I motivi dal settimo al nono attengono, invece, alla seconda ratio , che risulta svolta riconoscendo il carattere di ‘dotazione ecologica ambientale’ all’opera in questione e la permanenza dell’obbligo da parte del soggetto attuatore di realizzare l’opera, salvo a ritenere illegittima la deliberazione della Giunta Comunale dell’8 marzo 2021 in relazione ai criteri e alle modalità di calcolo del relativo contributo economico.
4.2.- Tanto premesso, va rammentato che, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. n. 5102 del 26/02/2024; Cass. n. 15399 del 13/06/2018).
Per la presente fattispecie, risulta prioritario l’esame dei motivi dal settimo al nono che concernono la seconda autonoma ratio , che – alla luce della ordinanza delle Sezioni Unite n. 7320/2024 che ha confermato la sentenza del TSAP n. 215/2022 per la parte non oggetto di rettificazione -risulta in linea con la definitiva qualificazione
dell’opera in questione come ‘dotazione ecologica – ambientale’ la cui realizzazione è rimasta a carico pro quota dei soggetti attuatori degli strumenti di programmazione urbanistica.
Invero, la seconda ratio (fol. 17/20) non confligge con le parti della sentenza originaria non rettificata, in quanto il TSAP rettamente ha preso in considerazione sia la qualificazione dell’opera come ‘dotazione ecologica-ambientale’, sia la sussistenza della Convenzione stipulata nel 2007 e dell’obbligo gravante in capo ai soggetti attuatori, anche se ha svolto poi apprezzamenti sfavorevoli alle tesi del ricorrente circa la deliberazione dell’8 marzo 2021, in quanto ne ha evidenziato ed affermato la illegittimità sotto il profilo della irragionevolezza, dell’arbitrarietà, della contraddittorietà della deliberazione e della violazione del principio di proporzionalità in ordine ai criteri ed alle modalità di determinazione del contributo.
5.1.- I motivi dal settimo al nono, da trattare prioritariamente e congiuntamente per connessione, sono inammissibili e vanno respinti.
5.2.- Per le decisioni rese dal Tribunale superiore delle acque pubbliche in sede di giurisdizione amministrativa nelle materie stabilite dall’art. 143 del r.d. n. 1775 del 1933, il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione è esperibile, oltre che per i vizi indicati dall’art. 201 del citato regio decreto (incompetenza ed eccesso di potere), per ogni violazione di legge, sostanziale e processuale, e non per soli motivi inerenti alla giurisdizione, essendo tale limitazione operante, a norma dell’art. 111 Cost., unicamente per le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei conti (Cass. Sez. U. 29 ottobre 2002, n. 15251; Cass. Sez. U. 15 aprile 2020, n. 7833).
Avverso le sentenze del Tribunale superiore delle acque pubbliche il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. è ammissibile se volto a dedurre vizi della motivazione nei limiti consentiti dalla formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., come modificato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, e, dunque, soltanto per
censurarne l’inesistenza, la contraddittorietà o la mera apparenza, non essendo consentita al giudice di legittimità la verifica della sufficienza o razionalità della motivazione stessa in ordine alle questioni di fatto, la quale comporterebbe un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U. n. 14995 del 29/05/2024; Cass. Sez. U. 35008/2022)
Pertanto, la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche è impugnabile per vizio di motivazione qualora l’anomalia denunciata rilevi ai sensi dell’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, mentre non sono ricomprese « questioni o argomentazioni giuridiche, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo» (Cass. n. 22397 del 06/09/2019); ugualmente non è ricompreso il diverso apprezzamento dei fatti e la valutazione delle prove – così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione – che involgono apprezzamenti di fatto, che sono riservati al sindacato esclusivo del giudice di merito (Cass. n. 27722 del 25/10/2024, in motiv.).
Alla luce di questi principi risulta inammissibile il settimo motivo che, svolto come vizio motivazionale, critica l’apprezzamento delle risultanze istruttorie e l’argomentazione giuridica che l’accompagna ed eccede manifestamente l’ambito devolutivo circoscritto del testo novellato dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. riservato al sindacato di legittimità.
5.3.- Ugualmente inammissibili risultano i motivi ottavo e nono.
Come più volte affermato da questa Corte «L’ambito del sindacato del Tribunale superiore delle acque pubbliche, qualora sia chiamato a pronunciarsi in unico grado sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati, è limitato all’accertamento dei vizi relativi allo svolgimento della funzione pubblica (compresi quelli denotati dalle
figure sintomatiche dell’eccesso di potere), ed attiene quindi alla verifica della ragionevolezza e proporzionalità della scelta rispetto al fine, senza estendersi alle ragioni di merito, dovendosi arrestare non solo dinanzi alle ipotesi di scelte equivalenti, ma anche a quelle meno attendibili, purché congruenti con il fine da raggiungere e con le esigenze da governare.» (Cass. Sez. U. n. 18643 del 08/07/2024; v. anche Cass. Sez. U. n.35008/2022, Cass. Sez. U. n. 11291/2021).
Questo principio si applica anche alle sentenze rese nel giudizio di rettificazione che riguardano casi di giurisdizione diretta, ove il TSAP abbia ritenuto di accogliere la domanda di rettificazione e abbia pronunciato nel merito (fase rescissoria), e la decisione impugnata vi si è attenuta in quanto ha puntualmente illustrato i profili di irragionevolezza (esclusione degli insediamenti realizzati prima del 2000, nonostante il mutamento del quadro normativo, di cui dava atto la stessa delibera impugnata, anche con riferimento agli insediamenti già esistenti), di contraddittorietà della delibera e di violazione del principio di proporzionalità (determinazione del contributo a carico del Fallimento anche per aree utilizzate per gli interventi eseguiti in adempimento della convenzione del 2007 ed oggetto del collaudo del 2013).
Non si configurano, infine, le violazioni di norme di legge denunciate con i motivi ottavo e nono, per non essere in realtà oggetto di censura l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, né una falsa applicazione della legge, che consiste nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta
interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851).
Entrambe le doglianze veicolano piuttosto l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è critica esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Nella sostanza, le due censure si risolvono in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e prospettano una ricostruzione fattuale differente da quella operata dal TSAP, insindacabile nell’ordinaria sede di legittimità, in quanto di esclusiva spettanza del giudice del merito, qualora autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), come nel caso in esame.
6. All’esito dell’esame, i motivi dal settimo al nono vanno dichiarati inammissibili.
A ciò consegue che i motivi dal secondo al sesto risultano inammissibili per difetto di interesse per le ragioni prima esposte (p. 4.1. e ss.) in quanto, anche ove in tesi potessero essere ritenuti fondati, il loro accoglimento non muterebbe l’esito del giudizio, risultando confermata la statuizione della sentenza di rettificazione che ha annullato la deliberazione n.65 dell’8 marzo 2021 della Giunta del Comune di Parma con autonoma ratio decidendi a seguito della declaratoria di inammissibilità dei motivi dal settimo al nono concernenti detta ratio .
7.1.- Il ricorso incidentale adesivo del Consorzio della Bonifica Parmense propone tre motivi.
7.2.- Il primo motivo ed il secondo motivo del ricorso incidentale denunciano la violazione dell’art.204 del r.d. n.1775/1933 per non avere il TSAP dichiarato inammissibile, perché in contrasto con il diritto vivente espresso dalla Corte di legittimità, o infondato il ricorso per rettificazione in quanto concernente l’omesso esame di un motivo.
Entrambi i motivi sono inammissibili per le ragioni già prima esposte nel respingere il primo motivo del ricorso principale che si confermano (p.2.1. e ss.).
7.3.- Il terzo motivo denuncia la nullità del procedimento e, quindi, della sentenza per violazione (o falsa applicazione), ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., degli artt. 132, 115 c.p.c. ed art. 118 disposizioni attuative c.p.c.; lamenta il Consorzio che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in violazione dell’art. 115 c.p.c., avrebbe attribuito erroneamente alla delibera della Giunta Comunale di Parma, n. 65 dell’8 marzo 2021 un significato difforme da quello oggettivo fatto palese dal documento. Deduce che la sentenza impugnata si è pronunciata sul presupposto, errato, che dalla citata delibera comunale emergesse che il progetto di realizzazione della Cassa di Espansione n. 2 sul INDIRIZZO riattivato dal Consorzio della Bonifica Parmense con l’approvazione del progetto definitivo fosse riferito ad un’opera diversa da quella alla cui realizzazione si era obbligata la SPIP nella convenzione urbanistica del 2007 in quanto asseritamente rispondente ad esigenze idrauliche, urbanistiche e normative mutate rispetto agli anni 2007-2008.
Il terzo motivo è inammissibile perché, pur prospettano error in procedendo e in iudicando , in realtà sollecita un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie ed una diversa ricostruzione dei fatti.
Il ricorso principale e il ricorso incidentale vanno dichiarati inammissibili.
Le spese seguono la soccombenza e vanno poste in solido a carico del Comune di Parma e del Consorzio della Bonifica Parmense, nella misura liquidata in dispositivo.
Raddoppio del contributo unificato ove dovuto.
PQM
La Corte, a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso principale ed il ricorso incidentale;
condanna il ricorrente principale Comune di Parma e il ricorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE Parmense in solido alla rifusione delle spese di giudizio in favore del Fallimento RAGIONE_SOCIALE che liquida in euro 8.000,00=, oltre euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30 maggio 2002, n.115, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, in