Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4196 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 4196  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22339/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) rappresentata e  difesa dall’avvocato  COGNOME  NOME (C.F. CODICE_FISCALE), ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato COGNOME  in  INDIRIZZO  INDIRIZZO,  giusta  procura  in atti;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) e dall’avvocato COGNOME NOME, elettivamente domiciliato  presso  lo  studio  dell’avvocato  COGNOME  NOME in INDIRIZZO INDIRIZZO,  giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso  la  sentenza  n.  1125/2020  del  TRIBUNALE  DI  CATANIA, depositata il 21.03.2020;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 20/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
La vicenda qui al vaglio può riassumersi, per quel che ancora rileva, in breve nei termini seguenti.
 Il  Giudice  di  Pace  di  Acireale,  su  richiesta  di  NOME  COGNOME, ingiunse  a  NOME  COGNOME  il  pagamento  della  somma  di  € 2.346,22,  afferente  al  preteso  credito  vantato  dal  ricorrente,  ai sensi  dell’art.  1298  cod.  civ.,  nei  confronti  dell’ex  coniuge,  in relazione ad alcune rate di un mutuo stipulato da entrambe le parti, a riguardo delle quali l’intimata non aveva inteso corrispondere la metà dell’importo.
Proposta opposizione dalla COGNOME, il Giudice di pace, revocato il decreto ingiuntivo, condannò la COGNOME a pagare al COGNOME la minor somma  di  €  283,81,  e  il  COGNOME,  accolta,  in  parte,  la  domanda riconvenzionale dell’opponente, a pagare alla COGNOME la somma di € 2.862,81.
-Il COGNOME aveva esposto che in corso di matrimonio, unitamente alla moglie, aveva stipulato un contratto di mutuo, garantito da ipoteca, con la Deutsche Bank s.p.a., con l’obbligo di restituzione con rate mensili di € 670,35 e che la COGNOME, dalla pronuncia del provvedimento provvisorio di regolamento dei rapporti fra coniugi, non aveva più provveduto a fornire la provvista corrispondente alla metà delle rate mensili e ciò dall’aprile 2013 al marzo 2014, costringendo l’esponente, per non darsi insolvente, a versare l’intero ammontare.
–COGNOME, per contro, aveva rassegnato che, ai sensi dell’art. 1298 cod. civ., il mutuo era stato contratto nell’esclusivo interesse del ricorrente, che lo aveva utilizzato per acquistare la sua nuova abitazione e,  pertanto,  chiedeva le  fosse  restituita la  somma  di  € 3.146,70, che era stata costretta, nelle more, a versare, al fine di scongiurare l’esecuzione.
Il Giudice di pace ritenne che la COGNOME si fosse avvantaggiata del  mutuo  solo  nella misura  del  12%  e  decise  la causa  di conseguenza, per come sopra riportato.
1.1.  COGNOME impugnò la statuizione di primo grado innanzi al Tribunale di Catania, che, riformata la sentenza di primo grado, stabilì  che,  nel  riparto  interno,  il  mutuo  dovesse  essere  restituito per il 49% dalla COGNOME e per il 51% dal COGNOME.
-Si trae dalla sentenza d’appello l’iter argomentativo seguente:
il mutuo stipulato con la Deutsche Bank il 9/2/2010 per un capitale  di  €  120.000,00,  era  stato,  quanto  ad  €  94.329,99, destinato  a  far  fronte  a  un  precedente  mutuo  di  €  100.000,00, contratto il 27/2/2007 per l’acquisto di una casa comune in Acireale e  il  residuo  di  €  24.519,01  era  stato  riversato  sul  conto  corrente comune;
 a  riguardo  del  mutuo  del  2007,  46.000  euro  erano  stati utilizzati  per  l’acquisto  d’un  immobile  in  Fiumefreddo  di  Sicilia,  di esclusiva proprietà del COGNOME, e 27.000 euro al fine di estinguere l’ipoteca  gravante  sull’immobile  di  Acireale,  che  il  giorno  prima della  stipulazione  del  mutuo,  il  26/2/2007  era  stato  donato  alla moglie;
 quanto al residuo mutuato di € 24.519,01, come si è detto confluito nel conto corrente cointestato, il Tribunale reputò essere rimasto  provato  l’utilizzo  personale  in  favore  dell’appellante  della sola complessiva somma di € 3.335,00 (€ 2.500,00 + 835,00);
alla restituzione della restante parte del mutuo (di 120.000 euro)  erano  tenuti,  nel  rapporto  interno,  entrambe  le  parti,  che, era da presumere, ne avessero disposto nell’interesse della famiglia;
il Tribunale, affermando  esercizio di potere equitativo, ritenne che solo l’1% del finanziamento era da considerare utilizzato in via esclusiva dal COGNOME.
 NOME  COGNOME  proponeva  ricorso  sulla  base  di  tre motivi. NOME COGNOME resisteva con controricorso.
Il Consigliere delegato di questa Sezione, con provvedimento del 16/5/2023, propose definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto definirsi il ricorso.
Il  processo  è  stato  fissato  per  l’adunanza  camerale  del  20 dicembre  2023,  all’approssimarsi  della  quale  entrambe  le  parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 769 cod. civ., assumendo che il Giudice dell’appello, ragionando in astratto a riguardo dell’interesse soddisfatto con l’utilizzo del primo mutuo (quello di 100.00,00 euro), attraverso motivazione perplessa, non si era avveduto che si era in presenza di una donazione in favore della moglie, senza che ne fosse stata contestata la mancanza di forma o asserita simulazione, così stravolgendo la causa del predetto negozio giuridico.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., addebitandosi alla sentenza impugnata di aver posto a fondamento << della decisione, non le prove, ma una ricostruzione apodittica al di fuori di una corretta dimostrazione probatoria, anzi contro l'unico documento che dimostra il possibile (e unico) interesse della sig.ra COGNOME, cioè la sola quietanza estintiva del Mutuo Unicredit, quello contratto dai coniugi per l'acquisto pro quota (metà indivisa) della casa di Acireale, INDIRIZZO, così violando il principio dispositivo della prova; ricostruzione, in ogni caso, qualificata come <>, poiché la COGNOME era divenuta proprietaria esclusiva per donazione, mentre il COGNOME lo era divenuto per l’immobile di Fiumefreddo di Sicilia.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ.
Questo il ragionamento censorio:
-la ricorrente aveva dimostrato, producendo l’estratto conto e le copie degli assegni attraverso i quali era stata spesa la somma mutuata riversata nel conto corrente bancario, la destinazione della predetta somma;
-nessuno degli assegni era riferibile all’esponente , si trattava di erogazioni del marito al fratello e ad amici, al notaio, che aveva rogato l’atto della casa di Fiumefreddo, oltre ad <>. Pur in presenza di una tale prova presuntiva, contrastata genericamente dalla controparte, il Giudice, violando l’art. 2697 cod. civ., aveva deciso come anticipato, senza che fosse stata fornita la prova da parte del COGNOME di un <> anche da parte dell’altro cointestatario (la COGNOME).
Il primo motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
Non  consta  dalla  sentenza  impugnata  che  la  ricorrente  abbia dedotto l’esistenza di una donazione in suo favore.
Solo  per  questa  assorbente  ragione  il  motivo,  prospettante allegazione  del  tutto  nuova,  non  può  essere  preso  in  esame  in questa sede.
Peraltro,  sempre,  in  punto  d’ammissibilità,  il  motivo  appare apodittico, aspecifico e vago.
Il secondo motivo risulta, del pari, inammissibile.
La ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto,
una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
Il terzo motivo segue lo stesso destino degli altri due.
Non si rileva una violazione dell’art. 2697 cod. civ., poiché non si  è  in  presenza  di  una  inversione  dell’onere  probatorio,  bensì  di una ricostruzione fattuale non condivisa dalla ricorrente.
L ‘ evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage (si veda il secondo motivo) del richiamo agli artt. 115 e 116, cod. proc. civ. (cfr., ex multis, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
Nel suo complesso il ricorso merita, quindi, rigetto.
Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, a carico della ricorrente e in favore del controricorrente, siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.
 Al  rigetto  del  ricorso  consegue,  ai  sensi  dell’art.  380 -bis cod.  proc.  civ.,  vigente  art.  96,  co.  3  e  4,  cod.  proc.  civ.,  la condanna della ricorrente al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis
(essendo  stato  il  ricorso  proposto  successivamente  al  30  gennaio 2013),  sussistono  i  presupposti  processuali  per  il  versamento  da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge, nonché al pagamento dell’ulteriore somma di € 1.000,00 (sempre in favore del controricorrente), ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché della somma di € 1.000, ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento  da  parte  della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 20 dicembre 2023.