Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2043 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2043 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22339/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato COGNOME in INDIRIZZO INDIRIZZO, giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) e dall’avvocato COGNOME NOME, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME in INDIRIZZO INDIRIZZO, giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1125/2020 del TRIBUNALE DI CATANIA, depositata il 21.03.2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
La vicenda qui al vaglio può riassumersi, per quel che ancora rileva, in breve nei termini seguenti.
Il Giudice di Pace di Acireale, su richiesta di NOME COGNOME, ingiunse a NOME COGNOME il pagamento della somma di € 2.346,22, afferente al preteso credito vantato dal ricorrente, ai sensi dell’art. 1298 cod. civ., nei confronti dell’ex coniuge, in relazione ad alcune rate di un mutuo stipulato da entrambe le parti, a riguardo delle quali l’intimata non aveva inteso corrispondere la metà dell’importo.
Proposta opposizione dalla COGNOME, il Giudice di pace, revocato il decreto ingiuntivo, condannò la COGNOME a pagare al COGNOME la minor somma di € 283,81, e il COGNOME, accolta, in parte, la domanda riconvenzionale dell’opponente, a pagare alla COGNOME la somma di € 2.862,81.
-Il COGNOME aveva esposto che in corso di matrimonio, unitamente alla moglie, aveva stipulato un contratto di mutuo, garantito da ipoteca, con la Deutsche Bank s.p.a., con l’obbligo di restituzione con rate mensili di € 670,35 e che la COGNOME, dalla pronuncia del provvedimento provvisorio di regolamento dei rapporti fra coniugi, non aveva più provveduto a fornire la provvista corrispondente alla metà delle rate mensili e ciò dall’aprile 2013 al marzo 2014, costringendo l’esponente, per non darsi insolvente, a versare l’intero ammontare.
-La COGNOME, per contro, aveva rassegnato che, ai sensi dell’art. 1298 cod. civ., il mutuo era stato contratto nell’esclusivo interesse
del ricorrente, che lo aveva utilizzato per acquistare la sua nuova abitazione e, pertanto, chiedeva le fosse restituita la somma di € 3.146,70, che era stata costretta, nelle more, a versare, al fine di scongiurare l’esecuzione.
Il Giudice di pace ritenne che la COGNOME si fosse avvantaggiata del mutuo solo nella misura del 12% e decise la causa di conseguenza, per come sopra riportato.
1.1. COGNOME impugnò la statuizione di primo grado innanzi al Tribunale di Catania, che, riformata la sentenza di primo grado, stabilì che, nel riparto interno, il mutuo dovesse essere restituito per il 49% dalla COGNOME e per il 51% dal COGNOME.
-Si trae dalla sentenza d’appello l’iter argomentativo seguente:
il mutuo stipulato con la Deutsche Bank il 9/2/2010 per un capitale di € 120.000,00, era stato, quanto ad € 94.329,99, destinato a far fronte a un precedente mutuo di € 100.000,00, contratto il 27/2/2007 per l’acquisto di una casa comune in Acireale e il residuo di € 24.519,01 era stato riversato sul conto corrente comune;
a riguardo del mutuo del 2007, 46.000 euro erano stati utilizzati per l’acquisto d’un immobile in Fiumefreddo di Sicilia, di esclusiva proprietà del COGNOME, e 27.000 euro al fine di estinguere l’ipoteca gravante sull’immobile di Acireale, che il giorno prima della stipulazione del mutuo, il 26/2/2007 era stato donato alla moglie;
quanto al residuo mutuato di € 24.519,01, come si è detto confluito nel conto corrente cointestato, il Tribunale reputò essere rimasto provato l’utilizzo personale in favore dell’appellante della sola complessiva somma di € 3.335,00 (€ 2.500,00 + 835,00);
alla restituzione della restante parte del mutuo (di 120.000 euro) erano tenuti, nel rapporto interno, entrambe le parti, che,
era da presumere, ne avessero disposto nell’interesse della famiglia;
il Tribunale, affermando esercizio di potere equitativo, ritenne che solo l’1% del finanziamento era da considerare utilizzato in via esclusiva dal COGNOME.
NOME COGNOME proponeva ricorso sulla base di tre motivi. NOME COGNOME resisteva con controricorso.
Il Consigliere delegato di questa Sezione, con provvedimento del 16/5/2023, propose definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto definirsi il ricorso.
Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 20 dicembre 2023, all’approssimarsi della quale entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 769 cod. civ., assumendo che il Giudice dell’appello, ragionando in astratto a riguardo dell’interesse soddisfatto con l’utilizzo del primo mutuo (quello di 100.00,00 euro), attraverso motivazione perplessa, non si era avveduto che si era in presenza di una donazione in favore della moglie, senza che ne fosse stata contestata la mancanza di forma o asserita simulazione, così stravolgendo la causa del predetto negozio giuridico.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., addebitandosi alla sentenza impugnata di aver posto a fondamento <>, così violando il principio dispositivo della prova; ricostruzione, in ogni caso, qualificata come <>, poiché la COGNOME era divenuta proprietaria esclusiva per donazione, mentre il COGNOME lo era divenuto per l’immobile di Fiumefreddo di Sicilia.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ.
Questo il ragionamento censorio:
-la ricorrente aveva dimostrato, producendo l’estratto conto e le copie degli assegni attraverso i quali era stata spesa la somma mutuata riversata nel conto corrente bancario, la destinazione della predetta somma;
-nessuno degli assegni era riferibile all’esponente : erogazioni del marito al fratello e ad amici, al notaio, che aveva rogato l’atto della casa di Fiumefreddo, oltre ad <>. Pur in presenza di una tale prova presuntiva, contrastata genericamente dalla controparte, il Giudice, violando l’art. 2697 cod. civ., aveva deciso come anticipato, senza che fosse stata fornita la prova da parte del NOME di un <> anche da parte dell’altro cointestatario (la COGNOME).
Il primo motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
Non consta dalla sentenza impugnata che la ricorrente abbia dedotto l’esistenza di una donazione in suo favore.
Solo per questa assorbente ragione il motivo, prospettante allegazione del tutto nuova, non può essere preso in esame in questa sede.
Peraltro, sempre, in punto d’ammissibilità, il motivo appare apodittico, aspecifico e vago.
Il secondo motivo risulta, del pari, inammissibile.
La ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi
di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
10. Il terzo motivo segue lo stesso destino degli altri due.
Non si rileva una violazione dell’art. 2697 cod. civ., poiché non si è in presenza di una inversione dell’onere probatorio, bensì di una ricostruzione fattuale non condivisa dalla ricorrente.
L ‘ evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage (si veda il secondo motivo) del
richiamo agli artt. 115 e 116, cod. proc. civ. (cfr., ex multis, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
Nel suo complesso il ricorso merita, quindi, rigetto.
Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, a carico della ricorrente e in favore del controricorrente, siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vigente art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna della ricorrente al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge, nonché al pagamento dell’ulteriore somma di € 1.000,00 (sempre in favore del controricorrente), ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché della somma di € 1.000, 00 ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 20 dicembre 2023.