Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13530 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13530 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6964-2023 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Curatore pro tempore, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 586/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 22/09/2022 R.G.N. 791/2021;
R.G.N. 6964/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 27/03/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
1. con sentenza ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. del 22 settembre 2022, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva dichiarato le domande -di accertamento, incidenter tantum , della natura simulata del rapporto di lavoro subordinato (dal 2006 al 2015) formalmente nei confronti della società ungherese RAGIONE_SOCIALE e della sua sussistenza effettiva alle dipendenze invece di RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE e di conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive maturate (€ 236.953,31), oltre alla regolarizzazione previdenziale e contributiva -improcedibili, per il sopravvenuto fallimento di RAGIONE_SOCIALE nel corso del giudizio;
2. sul rilievo di identità delle domande proposte in primo grado e in appello, essa ha ritenuto strumentale l’accertamento incidentale di simulazione del rapporto lavorativo con la società ungherese e invece diretto della sua esistenza con la società italiana, in funzione di condanna di questa al pagamento delle differenze retributive: e pertanto, riservata alla cognizione del giudice fallimentare, per inesistenza di un autonomo interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno dell’i mpresa (comportante invece la cognizione del giudice del lavoro). Né, secondo la Corte territoriale, sussistendo l’interesse originario del ricorrente alla regolarizzazione previdenziale, per la genericità della domanda, in assenza di specificazione in ordine alla prescrizione o meno della contribuzione, ma neppure se di
condanna al versamento dei contributi, ovvero alla costituzione di una rendita o al risarcimento del danno; neppure egli avendo convenuto in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE;
3 . in merito alla denunciata violazione dell’art. 101 c.p.c., per mancata concessione alle parti di termini a difesa dal Tribunale, che aveva sollevato d’ufficio la questione di improcedibilità della domanda, la Corte d’appello ha, infine, rilevato l’assenza di una richiesta in tale senso delle parti, riportatesi alle rispettive conclusioni; e ha ritenuto, quand’anche violata la norma, la sostanziale irrilevanza della dedotta nullità per l’affermata cognizione in via esclusiva del Tribunale fallimentare;
con atto notificato il 21 marzo 2023, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui il Fallimento ha resistito con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
il ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per violazione dell’art. 101, secondo comma c.p.c., per avere il Tribunale, che aveva sollevato d’ufficio la questione di improcedibilità della domanda, limitato il diritto di difesa delle parti, non avendo loro concesso i termini prescritti, pure avendole invitate a concludere sulla procedibilità delle domande (primo motivo);
esso è infondato;
l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, stabilito dall’art. 101, secondo comma c.p.c., non riguarda le questioni di solo diritto, ma quelle di fatto ovvero miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale
probatorio, bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero un’attività assertiva in punto di fatto e non già mere difese (Cass. 5 maggio 2021, n. 11724; Cass. 9 gennaio 2024, n. 822, che, in applicazione del principio, ha negato la nullità della sentenza impugnata che, rilevando d’ufficio il caso fortuito, non aveva concesso termine a difesa ai sensi dell’art. 101 c.p.c., posto non trattarsi di una nuova questione di fatto, ma di una diversa ricostruzione della vicenda con parziale riqualificazione dei medesimi fatti). Ed infatti, la nullità della sentenza (cd. ‘della terza via’ o ‘a sorpresa’), che su tale questione si fondi, discende dalla violazione del diritto di difesa, qualora la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (Cass. 23 maggio 2014, n.11453; Cass. 12 settembre 2019, n. 22778; Cass. 6 febbraio 2023, n. 3543);
3.1. nel caso di specie, la questione rilevata d’ufficio è di mero diritto e non esige dalle parti alcuna diversa attività probatoria, né assertiva in punto di fatto anziché mere difese, in quanto relativa agli effetti del fallimento della società datrice, noto alle parti del giudizio (interrotto per tale evento e tempestivamente riassunto dal lavoratore ricorrente nei confronti del fallimento), in punto di procedibilità della domanda;
4. il ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 112 c.p.c. in combinazione con l’art. 102 c.p.c., per avere il Tribunale erroneamente ritenuto generica la domanda di regolarizzazione dei contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro, piuttosto che puntualmente formulata, essendo stati inseriti nel ricorso introduttivo i conteggi riguardanti la domanda previdenziale, i periodi lavorativi rivendicati, la qualifica e il CCNL applicato: e pertanto, i necessari requisiti
di valutazione della domanda, neppure essendo all’epoca ritenuta necessaria dalla giurisprudenza di legittimità l’istituzione del contraddittorio anche nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE (secondo motivo);
5. anch’esso è infondato;
infatti, nemmeno nel ricorso introduttivo del giudizio si rinviene alcuna specifica allegazione, né alcun elemento che definisca puntualmente la domanda di ‘regolarizzazione contributiva’, quanto ai requisiti presupposti né, ancor prima, se di condanna al versamento dei contributi, ovvero alla costituzione di una rendita o al risarcimento del danno: nel primo caso, esigente la necessaria istituzione del contraddittorio anche nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE (Cass. 14 maggio 2020, n. 8956; Cass. 9 gennaio 2024, n. 701), pure nel caso di specie mancata;
il ricorrente ha infine dedotto violazione dell’art. 112 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 409 e 433 c.p.c., per la procedibilità delle domande di accertamento del rapporto di lavoro e di regolarizzazione contributiva, siccome autonome da quella di condanna patrimoniale, e non ad essa strumentali, per la pertinenza del loro interesse allo status del lavoratore all’adempimento degli obblighi pubblicistici riguardanti l’assicurazione previdenziale (terzo motivo); 8. esso pure è infondato;
occorre ancora una volta ribadire la ripartizione di competenza cognitoria tra il giudice del lavoro e quello del fallimento, secondo il discrimine individuato nelle rispettive prerogative speciali, spettando: a ) al primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo ‘status’ del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del
licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro; b ) al secondo, quale giudice del fallimento, le controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso dei creditori e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale, in funzione della garanzia della parità di loro trattamento (Cass. 30 marzo 2018, n. 7990; Cass. 11 aprile 2023, n. 9621, in motivazione sub p.to 7);
9.1. nel caso di specie, è mancata, come detto, alcuna allegazione da parte del lavoratore ricorrente, al di là di quello genericamente affermato senza declinazione di una specifica né effettiva ragione di tutela dello status di lavoratore subordinato, di un autonomo interesse giuridico concreto ed attuale (sempre necessario per proporre una domanda giudiziale, in funzione dell’utilità del provvedimento richiesto a tutela di un diritto o di una situazione giuridica: Cass. 4 maggio 2012, n. 6749; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2057; Cass. 22 novembre 2022, n. 34388) all’accertamento dell’esistenza di un rapporto lavorativo subordinato nei confronti della società italiana fallita (tenuto conto della inammissibilità, per genericità, di quella di ‘regolarizzazione contributiva’), diverso da quello strumentale ad una condanna patrimoniale (relativa al pagamento delle differenze retributive), di spettanza del giudice fallimentare, siccome pertinente alla partecipazione al concorso;
10. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese secondo il principio di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
La Corte
rigetta il ricorso e condanna il lavoratore ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 10.000,00 per compensi professionali; oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 27 marzo 2024