Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15808 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15808 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7034/2022 R.G. proposto da :
COGNOME RAGIONE_SOCIALE domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentata e difesa da ll’avv . COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso; -ricorrente- contro
NOME RAGIONE_SOCIALE domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al controricorso;
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la sentenza d ella Corte d’appello di Brescia n. 1137/2021, depositata il 14/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con contratto del 12/11/2007, RAGIONE_SOCIALE concesse in locazione ad RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE , d’ora in avanti semplicemente ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ) un immobile da adibire a supermercato sito in Urgnano (Bg), per il corrispettivo annuo di € 60.000,00 oltre iva .
Con ricorso al Tribunale di Bergamo del 4/4/2013, COGNOME invocò la risoluzione del contratto, in ragione della mancata esecuzione, da parte del locatore, delle opere necessarie a rendere l’immobile conforme alla normativa antincendio. La sentenza di primo grado (n. 1426/2015) rigettò la domanda e, ‘accertata la persistenza del rapporto di locazione’, condannò la conduttrice al pagamento dei canoni dovuti fino all’introduzione del giudizio .
La statuizione venne poi confermata dalla Corte d’appello di Brescia , la quale, con sentenza n. 263/2016, condannò altresì COGNOME al pagamento degli interessi ex d.lgs. n. 231/2002 (il dispositivo delle due sentenze è riportato alla nota 1 di pag. 3 del controricorso di Fresco Incontro).
Nelle more di tale giudizio, la locatrice RAGIONE_SOCIALE, con PEC del 24/1/2014, diffidò la conduttrice , ai sensi dell’art. 1454 c.c., a corrispondere, entro i successivi quindi giorni, i canoni insoluti. Successivamente, emesse le fatture relative a tali canoni dal febbraio 2014 all’ottobre 2015, chiese ed ottenne, dal Tribunale di Bergamo, il decreto ingiuntivo n. 1351/2016, per il complessivo importo di € 173.936,02.
A seguito d ell’ opposizione di COGNOME, il Tribunale di Bergamo, sul presupposto che il contratto di locazione si fosse risolto ai sensi dell’art. 1454, comma 3, c.c., revocò il decreto ingiuntivo opposto ma condannò COGNOME al pagamento della metà dei canoni pattuiti,
a titolo di risarcimento del danno da occupazione abusiva dell’immobile fino al marzo 2017. La sentenza fu appellata da entrambe le parti, dando origine a due procedimenti (nn. 853 e 854 del 2018) successivamente riuniti.
La Corte d’appello di Brescia, con la sentenza in questa sede impugnata, ritenendo che, con il suo contegno successivo, la locatrice avesse rinunciato ad avvalersi della risoluzione già prodottasi per effetto della diffida ad adempiere, rigettò l’opposizione a decreto ingiuntivo, accogliendo, per converso, l’appello di Fresco Incontro.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE sulla base di sei motivi.
Fresco Incontro ha resistito con controricorso, nel quale ha svolto anche un motivo di ricorso incidentale condizionato.
La trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce il ‘vizio assoluto di motivazione sulla nullità del contratto del 12.11.2007 per violazione dell’art. 1, comma 346 Legge 311/2014, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.’. Lamenta che la Corte d’appello di Brescia non si sia ‘ pronunciata sulla nullità del contratto di locazione su cui si fonda l’avversa richiesta di pagamento dei canoni’ (pag. 12 del ricorso per cassazione) , mentre ‘l’eccepita nullità contrattuale, pur sollevata dalla ricorrente solamente in sede di appello, avrebbe in ogni caso dovuto essere esaminata dalla Corte di Brescia nel rispetto del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. (…)’ (pag. 13 del ricorso per cassazione).
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, la sua formulazione non appare coerente con il vizio denunziato, che avrebbe dovuto essere prospettato in termini (non
già di difetto di motivazione, bensì) di violazione della norma del procedimento di cui all’art. 112 c.p.c. Questa Corte dovrebbe, allora, d’ufficio attribuire all’illustrazione del motivo un contenuto propositivo non conforme a quello che la stessa parte ricorrente ha inteso attribuirgli.
Peraltro, anche laddove – sulla base del principio di diritto enunciato da Sez. Un., n. 17931/2013 (alla cui stregua, ‘ nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione ‘) – si volesse attribuire al motivo il significato argomentativo della violazione del dovere di pronunciare su una questione della quale la corte territoriale era stata investita (dunque, l’evocazione del vizio della violazione dell’art. 112 c.p.c. : si veda, da ultimo, Cass., n. 759/2025, secondo cui ‘l ‘erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato ‘ ), il motivo dovrebbe parimenti dichiararsi inammissibile. E invero, premesso che la sentenza impugnata non dà conto in alcun modo della deduzione della questione della mancata registrazione del contratto, la ricorrente ha omesso di fornire l’indicazione specifica – nel rispetto di quanto disposto da ll’art. 366 n. 6 c.p.c. – della scansione processuale nella quale avrebbe investito la corte territoriale della questione. Nell’illustrazione del motivo, i nfatti, ci si limita a far riferimento a un’interrogazione all’Agenzia delle Entrate di Bergamo (all. A in appello, riprodotto nel giudizio di cassazione sub all. C) e ad altro documento (all. D) che dovrebbe comprovare la registrazione
‘postuma’ del contratto da parte della società locatrice , senza riprodurre però ‘luogo’ e modalità con le quali sulla questione si era argomentato in seno al giudizio di merito, così restando oscuro il presupposto della rituale sottoposizione della stessa al giudice di secondo grado, che giustificherebbe l’addebito di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.. Né tale carenza è supplita dalla parte del ricorso dedicata all’esposizione dello svolgimento processuale. Infatti, a pag. 8 si allude ad una presa di posizione dei difensori sulla questione della mancata registrazione nelle conclusioni e nelle repliche autorizzate prima del cambiamento del rito processuale, anche in questo caso omettendo -sempre in manifesta violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. – sia di riprodurre anche solo indirettamente il pertinente contenuto di tali atti (precisando a quale parte del l’atto l’indiretta riproduzione corrisponderebbe), sia di localizzare detti atti nel presente giudizio di legittimità.
2. Con il secondo motivo si deduce la ‘omessa pronuncia sull’appello incidentale proposto da NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.’ . Nella comparsa di risposta di cui al procedimento n. 854/2018 della Corte d’appello di Brescia , l’odierna ricorrente aveva infatti richiesto che, in caso di accoglimento dell’appello principale di COGNOME (relativo al pagamento dei canoni oggetto del decreto ingiuntivo, sul presupposto della persistente efficacia del contratto di locazione, ad onta della diffida ad adempiere inviata il 24 gennaio 2014), il contratto in discorso venisse dichiarato risolto ‘per effetto della domanda di risoluzione contrattuale formulata da COGNOME con ricorso del 02.05.2013′, nonché ‘per effetto della disdetta contenuta nel ricorso ex art. 414 c.p.c. introduttivo del primo grado del presente giudizio’ ( così, testualmente, alla nota 3 di pag. 15 del ricorso per cassazione).
Il motivo è inammissibile.
Vale, anzitutto, anche in questo caso la prima considerazione svolta in relazione al motivo precedente, con riguardo alla impropria
articolazione del la censura in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., anziché al n. 4 (per violazione dell’art. 112 c.p.c. ).
In secondo luogo, premesso che ‘in tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione dei “principi regolatori del giusto processo” e cioè delle regole processuali ex art. 360 n. 4 c.p.c., deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia ‘ (Cass., n. 22341/2017; conforme, Cass., n. 26087/2019), nel caso di specie la genericità con cui viene fatto riferimento al motivo di appello incidentale successivo (in violazione, dunque, dell’art. 360 -bis , n. 2, c.p.c.) non consente di apprezzar e la ‘decisività’ dell ‘ipotetica omessa pronuncia, dal momento che non consente di desumere l’effettiva sussistenza di un interesse ad impugnare, in capo all’appellante incidentale successivo, derivato dall’appello principale autonomo della controparte. In particolare, risulta incomprensibile ai fini dell’apprezzamento ai sensi dell’art. 360 -bis n. 2 c.p.c. nei termini indicati il solo riferimento di cui alla nota 1.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1454 c.c., ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio relativamente alla risoluzione di diritto del contratto conseguente alla diffida ad adempiere del 24.01.2014 di Fresco Incontro, ai sensi dell’ art. 360, n. 3 e n. 5 c.p.c. ‘ , per non avere la Corte d’appello ritenuto risolto il contratto di locazione per effetto della suddetta diffida ad adempiere, nonostante la locatrice avesse omesso qualsivoglia richiesta di pagamento del canone per un lungo periodo successivo (dalla fine del 2013 al marzo 2016).
Il motivo è fondato.
La società ricorrente rappresenta come il giudice di primo grado avesse correttamente attribuito efficacia risolutiva del contratto alla più volte menzionata diffida ad adempiere, anche in considerazione dell’inerzia di Fresco Incontro nel sollecitare il pagamento dei canoni, protrattasi per ben diciotto mesi. Invoca, quindi, l’insegnamento di
Sez. un., n. 553/2009, segnatamente del principio di diritto ivi espresso, secondo cui ‘la rinuncia all’effetto risolutorio da parte del contraente non adempiente non può ritenersi in alcun modo ammissibile, trattandosi di effetto sottratto, per evidente voluntas legis , alla libera disponibilità del contraente stesso’ . Ritiene non perspicuo il richiamo, da parte della Corte d’appello di Brescia, del precedente di cui a Cass., n. 23824/2010 (alla cui stregua, ‘ in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, il contraente non inadempiente, così come può rinunciare ad eccepire l’inadempimento che potrebbe dar causa alla pronuncia di risoluzione, può, del pari, rinunciare ad avvalersi della risoluzione già avveratasi per effetto o della clausola risolutiva espressa o dello spirare del termine essenziale o della diffida ad adempiere e può anche rinunciare ad avvalersi della risoluzione già dichiarata giudizialmente, ripristinando contestualmente l’obbligazione contrattuale ed accettandone l’adempimento ‘) , dal momento che esso ‘attiene ad una fattispecie completamente diversa, avendo in quell’ipotesi ad oggetto la rinuncia alla clausola risolutiva espressa manifestata dalla parte venditrice per effetto dell’accettazione del pagamento tardivo (e spontaneo) da parte dell’acquirente’ (pag. 20 del ricorso per cassazione).
Preliminarmente , occorre dar conto dell’effettiva sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità circa la rinunciabilità dell’effetto risolutorio correlato alle fattispecie di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c..
Alla già citata sentenza del 2010 (che aveva confermato la pronuncia di merito che aveva respinto la domanda di risoluzione di un contratto di transazione, in forza del quale ad una della parti era dovuta la consegna di tre autovetture, ravvisando nell’accettazione, da parte del creditore, della consegna di due autovetture e del controvalore in denaro della terza autovettura un comportamento concludente di rinuncia ad avvalersi della pattuita clausola risolutiva
espressa), hanno fatto seguito, in senso conforme (per limitarsi alle pronunce massimate, successive all’arresto delle Sezioni unite del 2009), Cass., n. 5734/2011 (in relazione a una clausola risolutiva espressa); Cass., n. 16880/2013 (in relazione al termine essenziale); Cass., n. 9317/2016 (in relazione a una diffida ad adempiere); Cass., n. 26687/2023 ( che ha affermato che ‘ la risoluzione del contratto in seguito all’inutile decorso del termine previsto nella diffida ad adempiere non è rilevabile d’ufficio, atteso che soltanto al creditore è rimessa la valutazione della convenienza di far valere l’effetto risolutivo ‘) .
Non sono mancate, d’altra parte, pronunce difformi le quali, allineandosi al dictum delle Sezioni unite del 2009, hanno ritenuto non più disponibile, da parte del contraente non inadempiente, l’effetto d i una risoluzione di diritto già prodottasi (si vedano Cass., n. 20768/2015; Cass., n. 7313/2017; Cass., n. 25128/2024).
A fronte di tale panorama giurisprudenziale, la scarna motivazione della decisione impugnata si limita a richiamare la sola sentenza n. 23834/2010, senza, peraltro, nulla aggiungere in ordine alla specificità della fattispecie concreta, con precipuo riguardo alla già menzionata prolungata inerzia di Fresco Incontro nel richiedere i canoni di locazione dopo l’invio della diffida ad adempiere (della quale pure si fa cenno a pag. 5 della sentenza impugnata, nell’ illustrare il contenuto del l’ appello incidentale). Sussiste, allora, la falsa applicazione delle norme evocate dal motivo di impugnazione in esame, dal momento che il principio di diritto di cui a Cass., n. 23824/2010 viene assunto in una dimensione puramente astratta, non essendo corredato da alcuna motivazione in iure circa la ragione per cui la fattispecie concreta sarebbe da sussumere sotto di esso. E invero, ci si potrebbe interrogare se la logica sottesa alla possibilità della rinuncia all’effetto risolutivo di diritto non si presti a una differenziazione a seconda che tale effetto sia o meno contestato dalla controparte, potendosi ipotizzare che solo nel primo caso la
parte che abbia inviato la diffida ad adempiere, preso atto della contestazione della controparte, rinunci all’effetto risolutivo , in tal modo mostrando di riconoscere (anche tacitamente) la fondatezza della contestazione avversaria (ciò che assorbirebbe il rilievo della circostanza che l’effetto risolutivo è idoneo a provocare la cessazione del rapporto in una dimensione riferibile sia a chi invia la diffida sia a chi la riceve); laddove, nel secondo caso, la mancanza di qualsivoglia contegno contrario al la verificazione dell’effetto risolutivo, da parte del contraente che abbia ricevuto la diffida, precluderebbe la successiva rinuncia da parte del diffidante (posto che essa avrebbe carattere unilaterale).
Per le ragioni suddette il motivo va, dunque, accolto, con conseguente rinvio alla Corte d’appello affinché renda una motivazione in iure sull ‘effettiva ricorrenza, nel caso di specie, della rinunzia all’effetto di cui all’art. 1454 c.c., previo adeguato confronto con i precedenti giurisprudenziali di legittimità sopra richiamati e con possibile spiegazione che se ne è data.
Con il quarto motivo , la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5, c.p.c., vale a dire il recesso ex art. 27 della l. n. 392/1978, manifestato dalla COGNOME mediante la domanda giudiziale con cui, nel 2013, aveva inteso far valere l’inadempimento della locatrice per l’assenza del certificato di prevenzione incendi. La sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 263/2016 (che confermò il rigetto della domanda di risoluzione del contratto proposta da COGNOME) opinò che estranea alla propria cognizione fosse la questione ‘se il contratto ritenersi proseguire o cessare per l’implicito valore di disdetta della domanda di risoluzione, sia pure rigettata’ (pag. 10), cosicché sul punto non può ritenersi calato il giudicato.
Con il quinto motivo, la ricorrente censura la violazione, da parte del Tribunale di Bergamo, dell’art. 1591 c.c., per averla condannata al pagamento della relativa indennità nonostante l’insussistenza
della mora, non avendo la proprietaria mai fatto mostra di voler recuperare la disponibilità dell’immobile .
Con il sesto motivo di ricorso, COGNOME deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. , per avere confermato il decreto ingiuntivo opposto (anche) in punto di oneri condominiali, ‘senza esaminare le puntuali contestazioni formulate dalla ricorrente nei propri atti difensivi, in ordine sia alla mancanza di prova dell’imputabilità degli oneri condominiali oggetto di ricorso monitorio ad COGNOME (quale ipotetica conduttrice dell’immobile), che all’assenza di documenti giustificativi, attestanti i pagamenti effettuati dalla proprietà in luogo della presunta conduttrice delle somme di cui ha chiesto il rimborso alla ricorrente’ (pag. 26 del ricorso per cassazione).
I motivi quarto, quinto e sesto risultano assorbiti dall’accoglimento del terzo.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, RAGIONE_SOCIALE per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale, censura la violazione dell’art. 9 del contratto di locazione del 12/11/2004 e dell’art. 1591 c.c., invocando la ‘riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui determinava nella misura del 50% del canone di locazione l’indennità dovuta per il ritardato rilascio dell’immobile da parte della conduttrice’ , in luogo di una somma equivalente al canone stesso, quale quella convenzionalmente pattuita dalle parti all’art. 9 del contratto (che contemplava una penale pari a 1/365 del canone annuale pro die ).
Il motivo è inammissibile, in quanto si duole dell’assorbimento de l corrispondente motivo d ‘ appello formulato dalla ricorrente incidentale. Invero, l ‘accoglimento del terzo motivo del ricorso principale e la conseguente cassazione della sentenza impugnata consentiranno alla ricorrente incidentale -stante il detto assorbimento e, dunque, il mancato esame dei detti motivi – di sollecitarn e nuovamente l’esame in sede di giudizio di rinvio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo del ricorso principale;
Accoglie il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti; dichiara inammissibile il motivo di ricorso incidentale condizionato proposto da RAGIONE_SOCIALE
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza sezione