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Rinuncia alle pretese: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33374/2024, ha rigettato il ricorso di un’impresa edile. L’impresa aveva sottoscritto una rinuncia alle pretese per danni da sospensione lavori, condizionata alla ripresa entro una certa data. Sebbene la ripresa fosse avvenuta in ritardo, la Corte ha ritenuto la rinuncia valida perché il ritardo era imputabile all’impresa stessa, che non aveva prodotto la certificazione antimafia. La Suprema Corte ha chiarito che, per contestare una decisione, non basta lamentare la mancata considerazione di una perizia (CTU), ma occorre indicare un fatto storico preciso e decisivo che il giudice avrebbe ignorato.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia alle Pretese negli Appalti: Quando è Valida la Sottoscrizione?

La firma di un atto di sottomissione in un contratto di appalto pubblico può comportare una rinuncia alle pretese per danni e maggiori oneri subiti. Ma cosa succede se le condizioni pattuite in tale atto, come la data di ripresa dei lavori, non vengono rispettate? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, offre un’importante lezione sulla validità di tali rinunce e sui limiti del ricorso per omesso esame di un fatto decisivo. Analizziamo il caso per comprendere le implicazioni pratiche per imprese e stazioni appaltanti.

I Fatti di Causa

Una associazione temporanea di imprese (ATI) si era aggiudicata un appalto per la realizzazione di un lotto del porto commerciale di una città siciliana. Durante l’esecuzione, i lavori vennero sospesi per la necessità di una perizia di variante, resa indispensabile da eventi eccezionali e da fattori sopravvenuti non imputabili alla stazione appaltante. Per consentire la ripresa delle opere, l’impresa sottoscrisse un atto di sottomissione con cui accettava i nuovi prezzi e rinunciava a ogni pretesa pregressa, inclusi i danni per la sospensione. Tale rinuncia era però subordinata all’approvazione della perizia in tempo utile per riprendere i lavori entro il 30 giugno 1995.

Sebbene le approvazioni necessarie fossero arrivate in tempo, la ripresa effettiva avvenne solo a settembre 1995. L’impresa agì quindi in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni (riserva n. 1) e il pagamento di interessi per ritardati pagamenti (riserva n. 3), sostenendo l’inefficacia della rinuncia.

Mentre il Tribunale di primo grado accolse parzialmente le richieste dell’impresa, la Corte d’Appello ribaltò la decisione. I giudici di secondo grado ritennero la sospensione dei lavori legittima e la rinuncia pienamente valida, poiché il ritardo nella ripresa dei lavori non era colpa della stazione appaltante, ma dell’impresa stessa, che non aveva fornito la necessaria certificazione antimafia.

La Decisione della Corte di Cassazione

L’impresa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo inammissibile e infondato.

La validità della rinuncia alle pretese

Il punto centrale della controversia era la validità della rinuncia alle pretese contenuta nell’atto di sottomissione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, stabilendo che il ricorso dell’impresa era inammissibile perché non affrontava la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte d’Appello aveva chiaramente motivato che gli atti necessari alla ripresa dei lavori (approvazione della perizia e decreto ministeriale) erano stati completati prima della data limite. Il successivo ritardo era da imputare esclusivamente all’appaltatore per il mancato ottenimento della certificazione antimafia, una circostanza che interrompeva il nesso di causalità con la condotta della stazione appaltante.

Il Ruolo della CTU e l’Omesso Esame di un Fatto Storico

L’impresa ricorrente lamentava che la Corte d’Appello avesse completamente ignorato le risultanze della Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) disposta in primo grado, che le era stata favorevole. La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: la CTU non è un “fatto storico”, ma un atto processuale, uno strumento di valutazione per il giudice. Per denunciare un vizio di “omesso esame di un fatto decisivo” ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., la parte non può limitarsi a lamentare la mancata considerazione della perizia, ma deve individuare uno specifico “fatto storico” che da essa emerge e che il giudice ha trascurato. Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno indicato quale fatto decisivo, accertato dal CTU, fosse stato ignorato, rendendo il motivo di ricorso inammissibile.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un rigoroso formalismo processuale. I giudici hanno sottolineato che il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Non è sufficiente essere in disaccordo con la valutazione del giudice d’appello; è necessario dimostrare che quest’ultimo abbia commesso uno specifico errore di diritto o un vizio procedurale, come l’omesso esame di un fatto storico decisivo. La Corte ha chiarito che il ricorrente deve confrontarsi puntualmente con la ratio decidendi della sentenza che contesta. Se la sentenza si basa su una determinata ragione (in questo caso, l’imputabilità del ritardo all’appaltatore), il ricorso deve smontare quella specifica ragione. Limitarsi a riproporre le proprie tesi o a lamentare la mancata considerazione di elementi istruttori, senza indicare un fatto storico preciso, non è sufficiente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza diversi principi chiave in materia di appalti pubblici e processo civile. In primo luogo, un atto di sottomissione che include una rinuncia alle pretese è un accordo vincolante. La sua efficacia può essere contestata solo se le condizioni a cui era subordinato non si sono verificate per colpa della stazione appaltante. Se il mancato avverarsi di una condizione (come la ripresa dei lavori entro una certa data) è causato da un’inadempienza dell’appaltatore, la rinuncia rimane valida ed efficace. In secondo luogo, il ricorso in Cassazione per omesso esame deve essere formulato con estrema precisione: non basta criticare genericamente la valutazione delle prove, ma è obbligatorio identificare un fatto storico, esterno al processo, che, se considerato, avrebbe cambiato l’esito della lite.

Quando è valida la rinuncia alle pretese sottoscritta dall’appaltatore in un atto di sottomissione?
La rinuncia è valida se le condizioni a cui era subordinata si sono verificate per opera della stazione appaltante. Se la ripresa dei lavori, condizione prevista dall’accordo, ritarda per una causa imputabile all’appaltatore (come il mancato ottenimento di una certificazione), la rinuncia resta pienamente efficace e vincolante.

Una perizia tecnica (CTU) può essere considerata un “fatto storico” il cui omesso esame vizia la sentenza?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la consulenza tecnica d’ufficio (CTU) è un elemento istruttorio, non un “fatto storico” in sé. Per contestare una sentenza per “omesso esame di un fatto decisivo”, il ricorrente deve indicare un preciso accadimento fenomenico (un fatto storico) che il giudice ha ignorato, non la semplice mancata considerazione delle conclusioni di un perito.

Cosa succede se la ripresa dei lavori avviene dopo la data pattuita nell’atto di sottomissione?
Se il ritardo non è imputabile alla stazione appaltante, ma a una causa di forza maggiore o a un fatto dell’appaltatore (come in questo caso, la mancanza della certificazione antimafia), le clausole dell’atto di sottomissione, inclusa la rinuncia a pretese precedenti, rimangono valide. L’inefficacia della rinuncia si verificherebbe solo se il ritardo fosse direttamente causato da un’inadempienza della stazione appaltante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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