Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33374 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33374 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4130/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
CURATELA FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente adesiva- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 2248/2019 depositata il 16/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 15.2.1999 la RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale capogruppo e mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE costituita con RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nonché la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Siracusa il Consorzio RAGIONE_SOCIALE Siracusa, chiedendo – sulla scorta di un contratto di appalto avente ad oggetto l’esecuzione del 2° lotto, 2° stralcio, del porto commerciale di Augusta – la condanna al pagamento: di £3.531.707.048 (€1.823.974,47) a titolo di risarcimento danni derivanti dalla sospensione dei lavori dal 6.10.1994 al 27.06.1995, oltre ad interessi e rivalutazione (riserva n.1); dei maggiori interessi da ritardato pagamento dei Sal dal n. IV al n. VIII, oltre a rivalutazione e interessi (riserva n. 2); di £ 278.609.945 (€143.890,03) a titolo di interessi maturati per la ritardata emissione del V° SAL, oltre a rivalutazione ed interessi (riserva n. 3).
A tal fine le attrici hanno esposto che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE di Siracusa con contratto dell’1.12.1989 aveva affidato alla RAGIONE_SOCIALE, capogruppo dell’ATI, l’esecuzione dei predetti lavori per un importo di £ 16.338.517.000, con termine di ultimazione in 15 mesi; che le società rientranti nell’ATI si erano consorziate, costituendo la RAGIONE_SOCIALE; che a causa di impedimenti sorti in corso di esecuzione si era resa necessaria una perizia di variante, che, benché approvata dal Consorzio ASI con nota n. 142 del 15 settembre 1993, non era stata approvata dall’Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno (c.d. Agensud); che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE aveva disposto la sospensione dei lavori con effetto dal 6.10.1994, con verbale del 14.02.1995 firmato dall’impresa con riserva; che in data 27.06.1995 venivano ripresi i lavori, con contestuale firma da parte della RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE. di atto di sottomissione, in cui l’impresa manteneva la riserva sulla sospensione iniziata il 6.10.1994; che i lavori venivano ultimati il 6.9.1997 e collaudati il 14.1.1998; che nella redazione dello Stato Finale la RAGIONE_SOCIALE aveva riportato quattro riserve, di cui la quarta successivamente ritirata; che con delibera n. 115/1998 del 5 ottobre 1998, il Consorzio RAGIONE_SOCIALE aveva rigettato le riserve di RAGIONE_SOCIALE
Si è costituito in giudizio il Consorzio RAGIONE_SOCIALE eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva per essere legittimato il Ministero dei Lavori Pubblici e il difetto di legittimazione attiva della società consortile RAGIONE_SOCIALE e chiedendo il rigetto della domanda.
Si è costituito in giudizio il Ministero, chiedendo il rigetto della domanda del Consorzio RAGIONE_SOCIALE
Hanno spiegato intervento nel corso del giudizio la Curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE e l’I.RAGIONE_SOCIALE
A seguito del fallimento della RAGIONE_SOCIALE si è, inoltre, costituita la Curatela del fallimento.
Il Tribunale di Siracusa, esperita consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza n. 1448/2013, per quanto ancora rileva, ha condannato il Consorzio RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni, quantificati in € 948.715,02, nonché rivalutazione monetaria ed interessi moratori nella misura legale dal 27.6.1995 fino all’effettivo soddisfo.
Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello il Consorzio RAGIONE_SOCIALE a cui hanno resistito RAGIONE_SOCIALEquale società assuntrice del concordato fallimentare della RAGIONE_SOCIALE), il fallimento RAGIONE_SOCIALE ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, chiedendone il rigetto.
La Corte di Appello di Catania, con sentenza n. 2248/2019, ha accolto il gravame e ha rigettato la domanda proposta dalle società appellate.
Il giudice del gravame, per quanto ancora rileva, ha preliminarmente affermato la fondatezza del secondo motivo di appello -relativo alla riserva n. 1 -, con cui il Consorzio RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato la illegittimità della sospensione dei lavori ex art. 30 D.P.R. 1063/1962 disposta con verbale del 14.02.1995. In particolare, la Corte ha ritenuto la legittimità ex art. 30 del citato D.P.R. della predetta sospensione dei lavori, per un verso riconoscendo che la necessità sottesa alla perizia di variante del luglio 1993 di riparare i danni provocati dal sisma del dicembre 1990 integrasse un evento eccezionale, per altro verso ravvisando un pubblico interesse -generato da fattori sopravvenuti non imputabili alla stazione appaltante -nella revisione dei costi di trasporto del materiale lapideo di riempimento; circostanze, dunque, che rendevano imprescindibile l’approvazione da parte dell’ente finanziatore della perizia di variante per la prosecuzione dei lavori.
La Corte di merito ha, inoltre, accolto la censura promossa dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva accolto le richieste contenute nella riserva n. 3, relativa alla debenza di interessi per i ritardati pagamenti delle opere eseguite prima della sospensione dei lavori del 6.10.1994 e liquidate soltanto con il certificato relativo al V° RAGIONE_SOCIALE, emesso il 29.1.1996, con 480 giorni di ritardo. In particolare, il giudice di secondo grado nella parte motiva ha affermato che, afferendo gli interessi ad un corrispettivo inferiore alle rate di acconto dei S.A.L. prevista dal CSA, non potevano essere applicati gli artt. 35 e 36 D.P.R. 1063/1962; che l’impresa appaltatrice aveva sottoscritto in data 27.06.1995 l’atto di sottomissione e il concordamento dei nuovi prezzi dell’appalto, a seguito dell’approvazione della perizia di variante, con rinuncia a ogni pretesa antecedente alla sospensione dei lavori del 6.10.1994; che l’atto di sottomissione subordinava la validità e l’efficacia delle rinunce alla approvazione della perizia di variante e dei verbali di concordamento Nuovi Prezzi in tempo tale da assicurare la ripresa dei lavori entro il 30.6.1995; che la perizia di variante era stata approvata con decreto commissariale del 27.4.1995 e, con decreto del 25.5.1995, il Ministero dei Lavori Pubblici aveva disposto la ripresa dei lavori; che, pertanto, la rinuncia era valida ed efficace, dato che sussistevano tutte le condizioni per la ripresa dei lavori entro il 30.6.1995 e che, l’aver posticipato tale momento soltanto al mese di settembre del 1995, non era dipeso tanto da fatto imputabile alla stazione appaltante -circostanza né dedotta, né provata -quanto dal mancato possesso da parte dell’impresa appaltatrice della certificazione antimafia.
La Corte di Appello ha, infine, ritenuto assorbite le ulteriori questioni inerenti alle riserve n. 1 e n. 3.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE affidandolo a tre motivi.
Ha resistito in giudizio con controricorso adesivo al ricorso principale la Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria.
Ha, altresì, resistito in giudizio con controricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stato dedotto, ex art. 360 co. 1 n. 5, l’omesso esame della consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di primo grado.
Deducono le ricorrenti che la Corte di Appello non avrebbe preso in alcuna considerazione la CTU espletata in primo grado, le cui conclusioni erano state condivise dal Tribunale di Siracusa ai fini dell’accoglimento della domanda relativa alla riserva n. 1.
Il motivo è inammissibile.
Va, preliminarmente, osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 12387/2020; vedi anche Cass. n. 8584/2022; Cass. n. 6322/2023; Cass. n. 18391/2017), ha più volte enunciato il principio di diritto secondo cui l ‘art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, intendendosi per tale un accadimento fenomenico esterno alla dinamica propria del processo. Ne consegue che nel ‘fatto storico’ non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio -atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi, fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) – in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente.
Pertanto, la parte interessata non può genericamente limitarsi a dedurre l’omesso esame delle risultanze della consulenza tecnica, ma deve individuare ed evidenziare un preciso fatto storico sottoposto alla dialettica del contraddittorio dalla difesa, legale o tecnica, di natura decisiva, tale cioè da ribaltare o modificare significativamente l’esito della lite, che il giudice del merito abbia omesso di considerare.
Nel caso di specie, le ricorrenti hanno lamentato l’omessa considerazione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, riportando nel ricorso lunghi passaggi della sentenza di primo grado, che aveva recepito le conclusioni del consulente tecnico, e altrettanto lunghi passaggi motivazionale della sentenza di secondo grado che, nella prospettazione di parte ricorrente, avrebbe omesso di richiamare la stessa consulenza tecnica, ma senza indicare il ‘fatto storico’, decisivo ai fini della decisione, la cui valutazione sarebbe stata omessa.
Va, inoltre, osservato che il motivo è parimenti inammissibile in quanto le ricorrenti non si sono confrontate con la ratio decidendi , dal momento che la Corte di appello ha motivato il rigetto della riserva n. 1, affermando la legittimità della sospensione dei lavori ex art. 30 DPR 1063/62 e le ricorrenti nulla hanno dedotto sul punto.
Con il secondo motivo di ricorso è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 35 D.P.R. n. 1063/1962, per non avere la Corte d’ appello riconosciuto gli interessi moratori in relazione in relazione alla riserva n. 3 oggetto del contenzioso.
Lamentano le ricorrenti che la Corte di merito non ha dato nessun rilievo al fatto, oggetto di discussione tra le parti e documentalmente provato, della ripresa dei lavori in data 27.09.1995; circostanza che, qualora debitamente esaminata,
avrebbe condotto all’operatività dell’art. 6 dell’atto di sottomissione del 27.06.1995 (e, dunque, all’inefficacia della rinuncia dell’impresa appaltatrice alle pretese antecedenti alla sospensione dei lavori del
6.10.1994) e, di conseguenza, all’accoglimento della riserva n. 3.
Ritengono le ricorrenti, inoltre, che il giudice di secondo grado sarebbe incorso nella violazione e falsa applicazione dell’art. 35 D.P.R. n. 1063/1962, per avere affermato l’inapplicabilità degli interessi moratori ad un importo inferiore alla rata di acconto minimo prevista dal SAL.
4. Il motivo è inammissibile per non aver colto la ratio decidendi. Le ricorrenti non si sono minimamente confrontate con la precisa argomentazione della sentenza impugnata che, da un lato, ha dato espressamente dato atto che la ripresa dei lavori era avvenuta nel settembre 1995 e, dall’altro, ha, altresì, evidenziato che gli atti che condizionavano la rinuncia dell’impresa erano stati già posti in essere al momento della sottoscrizione dell’atto di sottomissione (la perizia di variante era già stata approvata con decreto commissariale del 27.4.95; il Ministero LLPP disposto la ripresa dei lavori con decreto del 25.5.1995). Né era stato provato e nemmeno dedotto dalle ricorrenti che la ripresa dei lavori oltre il 30.6.1995 fosse avvenuta per causa imputabile alla stazione appaltante, dipendendo viceversa dal mancato ottenimento della certificazione antimafia da parte dell’impresa appaltatrice.
Accertata l’inammissibilità della censura con cui le ricorrenti hanno l’invalidità e l’inefficacia della rinuncia contenuta nell’atto di sottomissione del 27.6.1995, resta assorbita la ulteriore censura relativa alla mancata applicazione degli interessi moratori, in relazione alla quale, in ogni caso, la Corte d’ appello ha, altresì, correttamente osservato che tali interessi afferivano ad un corrispettivo di circa £ 1.700.000, e quindi inferiore alle rate di acconto dei SAL previste dal capitolato di appalto in £ 2.000.000 (Vedi Cass. n. 9545/2014).
Con il terzo motivo di ricorso, subordinato all’accoglimento della censura per omesso esame di fatto decisivo e al rigetto della censura ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. contenute nel secondo motivo, è stata dedotta la violazione degli artt. 1218, 1223 e 1224 c.c.
Si dolgono le ricorrenti del mancato riconoscimento degli interessi legali, in luogo degli interessi moratori ex art. 35 D.P.R. n. 1063/1962, maturati sul corrispettivo per i lavori eseguiti fino al 6.10.1994, pari a £1.732.082.073, tardivamente corrisposto solo con l’emissione del certificato di pagamento relativo al SAL n. 5 del 29 gennaio 1996, e del mancato riconoscimento della rivalutazione sull’importo degli interessi legali già maturati e dei successivi interessi legali.
Il terzo motivo è assorbito in ragione del mancato accoglimento della censura per omesso esame di fatto decisivo contenuta nel secondo motivo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti nonché la controricorrente adesiva al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 18.000,00, oltre spese prenotate a debito come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 7.11.2024