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Rinuncia al ricorso: estinzione e spese compensate

Una società finanziaria, dopo aver presentato ricorso in Cassazione contro il rigetto di una domanda di insinuazione al passivo per un’ipoteca, ha effettuato la rinuncia al ricorso. Tale decisione è seguita a una sentenza delle Sezioni Unite che ha chiarito la corretta procedura da seguire. La Corte ha quindi dichiarato l’estinzione del giudizio, compensando le spese legali tra le parti data la sopravvenienza del nuovo orientamento giurisprudenziale.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al ricorso: estinzione del giudizio e compensazione delle spese

La rinuncia al ricorso è un istituto processuale che consente alla parte impugnante di porre fine al giudizio prima della sua conclusione naturale. Questa scelta può essere dettata da varie ragioni, ma assume un rilievo particolare quando è motivata da un mutamento dell’orientamento giurisprudenziale. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di come una sopravvenuta pronuncia delle Sezioni Unite possa rendere opportuna la rinuncia, portando all’estinzione del giudizio e alla compensazione delle spese legali.

I fatti del caso

Una società finanziaria, creditrice in forza di una cessione di credito da parte di un istituto bancario, aveva proposto opposizione allo stato passivo di una società in amministrazione straordinaria. L’obiettivo era ottenere il riconoscimento dell’opponibilità di un’ipoteca iscritta su beni della società insolvente, concessa a garanzia del debito di un terzo soggetto (c.d. terza datrice).

Il giudice delegato aveva dichiarato inammissibile la domanda, e il Tribunale di merito aveva confermato tale decisione, rigettando l’opposizione. La società finanziaria, ritenendo errata la decisione, aveva quindi proposto ricorso per cassazione.

La svolta processuale: l’intervento delle Sezioni Unite

Durante la pendenza del giudizio in Cassazione, è intervenuta una pronuncia fondamentale delle Sezioni Unite (sentenza n. 8557/2023). Questa sentenza ha stabilito un principio di diritto cruciale: i titolari di un diritto di ipoteca o pegno su beni compresi nel fallimento, costituiti a garanzia di debiti di terzi, non possono avvalersi della procedura di verificazione dello stato passivo. Essi devono, invece, intervenire nel procedimento di ripartizione dell’attivo per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni vincolati a loro favore.

Questo nuovo indirizzo nomofilattico ha reso, di fatto, infondato il ricorso della società finanziaria, che si basava su una tesi giuridica non più sostenibile. Consapevole di ciò, la ricorrente ha depositato una memoria con cui dichiarava la rinuncia al ricorso e a tutte le domande in esso contenute.

La decisione della Corte sulla rinuncia al ricorso

Preso atto della rinuncia, la Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 391, comma 2, c.p.c. La questione più interessante, tuttavia, riguardava la regolamentazione delle spese legali.

La società ricorrente, nel rinunciare, aveva chiesto la compensazione delle spese. La Corte ha accolto questa richiesta, riconoscendo che sussistevano i presupposti per derogare alla regola generale della condanna alle spese della parte rinunciante.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la decisione di compensare le spese sulla base del fatto che l’indirizzo nomofilattico chiarito dalle Sezioni Unite era ‘ampiamente sopravvenuto’ rispetto alla proposizione del ricorso. In altre parole, al momento dell’impugnazione, la questione giuridica era ancora controversa, e la posizione della ricorrente non era pretestuosa. La successiva sentenza delle Sezioni Unite ha cambiato il quadro giuridico di riferimento, rendendo inutile la prosecuzione del giudizio. Questa circostanza è stata ritenuta una ragione sufficiente per giustificare la compensazione delle spese tra le parti.

Inoltre, la Corte ha specificato che, in caso di rinuncia, non si applica la sanzione del ‘doppio contributo unificato’ prevista dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002. Tale norma, di natura eccezionale e sanzionatoria, è volta a scoraggiare impugnazioni dilatorie o pretestuose e non si applica alle ipotesi, come quella in esame, in cui l’esito del giudizio è determinato da una sopravvenuta inammissibilità o improcedibilità.

Le conclusioni

Questa ordinanza evidenzia un aspetto importante della dinamica processuale. La rinuncia al ricorso, quando motivata da un mutamento giurisprudenziale sopravvenuto, può portare non solo all’estinzione del giudizio, ma anche alla compensazione delle spese legali. La decisione della Cassazione premia un comportamento processualmente corretto e deflattivo, riconoscendo che la parte ricorrente ha agito in modo ragionevole adeguandosi al nuovo principio di diritto. Ciò conferma che il sistema giudiziario valuta le circostanze specifiche del caso, evitando automatismi sanzionatori quando l’impugnazione, originariamente non infondata, perde la sua ragion d’essere per eventi successivi e non prevedibili.

Cosa succede se una parte rinuncia al ricorso in Cassazione?
Se una parte rinuncia formalmente al ricorso, il giudizio si estingue, come previsto dall’articolo 391 del codice di procedura civile. Questo significa che il processo termina senza una decisione sul merito della questione.

Perché le spese legali sono state compensate in questo caso di rinuncia al ricorso?
Le spese sono state compensate perché la rinuncia è stata determinata da un nuovo orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, emerso dopo la proposizione del ricorso. La Corte ha ritenuto che, poiché al momento dell’impugnazione la questione era ancora dibattuta, non fosse equo addebitare le spese alla parte rinunciante.

In caso di rinuncia al ricorso, si deve pagare il doppio contributo unificato?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che la misura sanzionatoria del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato (il cosiddetto ‘doppio contributo’) non si applica in caso di rinuncia, poiché tale norma è destinata a punire le impugnazioni pretestuose o dilatorie e non le ipotesi di inammissibilità sopravvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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