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Rinuncia al ricorso: estinzione del giudizio

La Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del giudizio a seguito di una rinuncia al ricorso depositata congiuntamente da tutte le parti. Il caso, originato da una controversia su una garanzia fideiussoria, si conclude senza una decisione nel merito. La Suprema Corte chiarisce che, in caso di rinuncia, non si pronuncia sulle spese e non si applica il raddoppio del contributo unificato, poiché l’inammissibilità non è originaria.

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Rinuncia al ricorso in Cassazione: quando il giudizio si estingue

Un’ordinanza della Corte di Cassazione illustra chiaramente le conseguenze processuali di una rinuncia al ricorso formalizzata da tutte le parti coinvolte. Quando le parti raggiungono un accordo stragiudiziale o decidono, per altre ragioni, di non proseguire il contenzioso, la legge offre uno strumento specifico per porre fine al processo: la rinuncia. Questo provvedimento analizza i requisiti di tale atto e le sue dirette conseguenze, in particolare per quanto riguarda le spese legali e il contributo unificato.

I Fatti di Causa: dalla Garanzia alla Cassazione

La vicenda trae origine da una garanzia fideiussoria legata a un contratto di affitto di alcuni opifici industriali. Una banca aveva prestato garanzia in favore di una società proprietaria dei beni, a copertura delle obbligazioni di una terza società affittuaria. A seguito di inadempimenti, il Fallimento della società proprietaria aveva ottenuto un decreto ingiuntivo contro la banca garante.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto l’opposizione della banca. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, condannando l’istituto di credito al pagamento di una somma considerevole e condannando anche la società affittuaria, chiamata in causa, a rimborsare la banca. Contro questa sentenza, la banca aveva proposto ricorso per cassazione, a cui avevano resistito sia il Fallimento sia la società affittuaria, quest’ultima presentando anche un ricorso incidentale.

La Decisione della Corte e l’impatto della rinuncia al ricorso

Il colpo di scena arriva prima dell’udienza in Cassazione: tutte le parti depositano un atto congiunto di rinuncia, sottoscritto dai rispettivi difensori muniti di procure speciali. La Suprema Corte, preso atto dell’accordo, non entra nel merito della controversia, ma si concentra esclusivamente sugli effetti processuali di tale atto.

La Corte dichiara semplicemente l’estinzione del giudizio. Questo significa che il processo si chiude definitivamente senza un vincitore o un vinto a livello di legittimità. La sentenza d’appello impugnata, pertanto, passa in giudicato, a meno che l’accordo tra le parti non preveda diversamente.

Le Motivazioni della Corte

La decisione si fonda su precise disposizioni del codice di procedura civile. La Corte osserva che l’atto di rinuncia congiunto soddisfa tutti i requisiti previsti dall’art. 390 del codice, essendo stato sottoscritto dai difensori autorizzati con procure speciali. Di conseguenza, scatta l’applicazione dell’art. 391, che impone alla Corte di dichiarare l’estinzione del processo.

Un punto cruciale riguarda le spese legali. Ai sensi dell’art. 391, quarto comma, c.p.c., in caso di estinzione per rinuncia, la Corte non emette alcuna pronuncia sulle spese. Queste sono tipicamente regolate nell’accordo transattivo che le parti hanno raggiunto privatamente e che ha portato alla rinuncia stessa.

Infine, i giudici affrontano la questione del cosiddetto ‘doppio contributo unificato’, previsto dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002 per i ricorsi inammissibili, improcedibili o respinti. La Corte, citando un proprio precedente (Cass. n. 13636/2015), chiarisce che tale sanzione non si applica quando il giudizio si estingue per rinuncia. La ratio è che l’obbligo di versamento sorge solo in caso di inammissibilità ‘originaria’, cioè di un vizio insito nel ricorso sin dall’inizio, e non quando la chiusura del processo deriva da un atto dispositivo successivo delle parti, come la rinuncia.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Rinuncia Congiunta

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale della procedura civile: la volontà delle parti può porre fine a un contenzioso in qualsiasi fase, anche davanti alla Corte di Cassazione. Per gli operatori del diritto, ciò sottolinea l’importanza di redigere atti di rinuncia formalmente ineccepibili, supportati da procure speciali ad hoc.

Dal punto di vista del cliente, la rinuncia congiunta rappresenta lo strumento per formalizzare un accordo transattivo, evitando i costi e le incertezze di una decisione finale della Cassazione. La decisione chiarisce inoltre due aspetti economici importanti: le spese legali del giudizio di legittimità restano a carico delle parti secondo i loro accordi privati, e non vi è il rischio di dover pagare il doppio del contributo unificato, un onere aggiuntivo che altrimenti graverebbe sulla parte ricorrente in caso di esito negativo.

Cosa succede se le parti di un processo in Cassazione presentano una rinuncia congiunta al ricorso?
La Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del giudizio. Ciò significa che il processo si chiude definitivamente senza una decisione nel merito della questione.

In caso di estinzione per rinuncia, chi paga le spese legali del giudizio di Cassazione?
La Corte non emette alcuna pronuncia sulle spese. La loro regolamentazione è lasciata all’accordo privato che le parti hanno stipulato e che ha portato alla rinuncia stessa.

La parte che rinuncia al ricorso deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. Secondo l’ordinanza, le condizioni per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato non sussistono in caso di estinzione per rinuncia, poiché questa non costituisce un’ipotesi di inammissibilità originaria del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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