Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20446 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20446 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27552/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 625/2020 depositata il 29/01/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE) proponeva opposizione a l decreto ingiuntivo n. 1168/2009 emesso dal Tribunale di Frosinone in favore di RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE), con cui era stato ingiunto alla società opponente il pagamento della somma di €. 623.181,40, oltre interessi moratori ex d.lgs. n. 231/02, a titolo di penale per l’inadempimento del contratto stipulato tra le parti in data 07.06.2006, avente ad oggetto la fornitura di billette in alluminio trasformate in profilati che la società opponente si era impegnata ad acquistare dalla fornitrice COGNOME nella quantità di 200 tonnellate al mese.
1.1. In parziale accoglimento dell’opposizione, per quanto ancora qui di interesse, il Tribunale adìto revocava il decreto ingiuntivo; condannava COGNOME al pagamento in favore di COGNOME della somma di €. 482.236,71 oltre interessi legali, pari alla penale concordata.
La pronuncia del giudice di prime cure veniva impugnata da Bodega innanzi alla Corte d’Appello di Roma, che riassunto il giudizio da ll’appellante a séguito del fallimento di Ralox – rigettava il gravame, così decidendo:
non si condivide l’argomentazione esposta secondo cui, tenuto conto della circostanza confermata dai testi e dal legale rappresentante di COGNOME nel corso dell’interrogatorio formale, i rapporti commerciali tra le parti, consolidati per oltre 10 anni, non erano mai stati disciplinati da un contratto commerciale scritto. Pertanto, terminato il contratto sottoscritto nel 2006 in data 6 giugno 2007, il rapporto commerciale sarebbe proseguito secondo gli usi da sempre praticati sicché, perlomeno dalla data di scadenza del contratto a distanza di un anno dalla stipulazione, in assenza di tacito rinnovo, non poteva applicarsi la clausola penale invocata nel 2009 dalla fornitrice. Di contro, si condivide l’interpretazione del giudice di prime cure del contratto del 07.06.2006: nella corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui
agli artt. 1362 ss. cod. civ., ed in particolare del principio di conservazione previsto dall’art. 1367 cod. civ., la prevista facoltà di disdetta del contratto, da esercitarsi entro il termine di tre mesi prima della sua scadenza naturale, non può che essere correlata alla previsione secondo cui, in mancanza di detta disdetta, il contratto si è tacitamente rinnovato. Ove, invece, si accedesse all’interpretazione proposta dall’appellante, secondo cui il contratto in ogni caso sarebbe venuto a scadere dopo un anno dalla stipula, la dicitura «disdetta tre mesi prima della scadenza» risulterebbe assolutamente priva di senso logico ed improduttiva di qualsiasi effetto;
da tanto deriva che in assenza di tempestiva disdetta proveniente da una delle parti, il contratto di appalto di durata annuale stipulato il 07.06.2006 si è tacitamente rinnovato per due volte, con la conseguenza che l’ambito temporale rispetto al quale commisurare il quantitativo complessivo delle lavorazioni di billette in alluminio eseguite nel più ampio periodo di due anni e mezzo non può essere limitato ai fini del calcolo della penale ad un anno, come richiesto dall’appellante;
va confermata la penale a carico di COGNOME poiché non ricorrono nella fattispecie i presupposti previsti dall’art. 1384 cod. civ. per operare la riduzione equitativa della penale.
La suddetta sentenza è impugnata per la cassazione da RAGIONE_SOCIALE e il ricorso affidato a tre motivi.
Resiste il Fallimento RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti hanno presentato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, il Collegio rileva la tardività della notifica del controricorso a cura del RAGIONE_SOCIALE: il termine per notificare
il ricorso per cassazione a mezzo posta (v. Corte costituzionale n. 477 del 26 novembre 2002) ovvero a mezzo PEC (v. Corte costituzionale, n. 75 del 2019), ai sensi dell’art. 370, comma 1, cod. proc. civ. vigente ratione temporis , viene a scadere nel quarantesimo giorno successivo alla ricezione della notificazione del ricorso (Sez. 3, Sentenza n. 24639 del 03/12/2015, Rv. 638042 – 01).
Nel caso di specie, la data di scadenza della notifica del controricorso sarebbe stata il 09.12.2020, atteso che il ricorso era stato notificato a mezzo PEC in data 30.10.2020, mentre essa risulta effettuata dal RAGIONE_SOCIALE a mezzo PEC in data 10.12.2020.
1.1. Risultando, quindi, elasso il termine all’uopo fissato dall’art. 370 del codice di rito, deve dichiararsi inammissibile il controricorso del RAGIONE_SOCIALE
1.2. Altresì deve essere considerata inammissibile la memoria depositata dal controricorrente, atteso che la parte che non ha notificato e depositato il controricorso nel termine fissato dall’art. 370 cod. proc. civ. ha facoltà di partecipare alla discussione ma non può depositare memorie (Cass. Sez. 2, n. 17471 del 20.08.2020).
Tanto precisato, si può passare all’esame dei motivi di ricorso.
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1325, n. 1, 1418 e 1421 cod. civ., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Nullità della clausola sulla durata per carenza del requisito dell’accordo di cui all’art. 1325, comma 1, cod. civ., con riferimento al preteso «rinnovo automatico» del contratto inter partes . Richiesta di pronuncia della Corte di cassazione nel merito, ex art. 384 cod. proc. civ., volta la dichiarazione di nullità della clausola sulla durata di cui al contratto inter partes . La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha rilevato d’ufficio la nullità di una clausola di rinnovo tacito del contratto per difetto di accordo, la
cui validità, invece, costituiva il presupposto-logico giuridico per poter riconoscere l’efficacia della clausola penale. Come, infatti, emerge dalle risultanze delle dichiarazioni testimoniali, la durata di un anno del contratto era stata voluta dalle parti in considerazione della variabilità dei costi fissi ad esso correlati: di conseguenza, l’introduzione nell’accordo di un meccanismo di rinnovo automatico alla scadenza naturale del contratto non è sorretta da un valido consenso. Poiché la nullità della clausola in esame può essere rilevata anche in sede di legittimità, la ricorrente chiede che questa Corte si pronunci nel merito ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ., e dichiari la nullità della clausola sulla durata, con conseguente rigetto delle domande proposte da COGNOME per inefficacia della clausola penale.
3. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione del principio gerarchico dei canoni ermeneutici (artt. 1362, 13666, e 1370 cod. civ.) e del principio di buona fede (artt. 1175, 1176, 1366 e 1375 cod. civ. ), con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. In tesi: il capo della sentenza impugnata con il quale la Corte d’Appello ha affermato la sussistenza di un implicito patto di rinnovo tacito del contratto inter partes è viziato dalla violazione dei canoni ermeneutici e del loro ordine gerarchico, nonché dalla violazione del principio generale della buona fede. Più precisamente: l’erroneità della sentenza consiste nell’aver dato priorità al criterio di cui all’art. 1367 cod. civ., quale criterio di interpretazione oggettiva e integrativa, laddove invece esso trova applicazione solo in caso di insuccesso della ricerca della volontà in concreto sulla base dei criteri strettamente interpretativi, pena la dilatazione dei patti negoziali che va oltre l’effettivo contenuto della c omune intenzione delle parti; né la Corte d’Appello ha fatto applicazione della norma di chiusura contenuta nell’art. 1371 cod. civ. (interpretazione del contratto nel senso meno
gravoso per l’obbligato, se a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti, se a titolo oneroso). Quanto al principio della buona fede: la pretesa fatta valere da COGNOME non è conforme a detto principio, posto che la durata annuale pattuita era una scelta effettuata nell’interesse di COGNOME. Infine, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, la ricorrente ritiene che la frase contenuta nella «clausola di durata» relativa alla «disdetta tre mesi prima della scadenza» ha un significato suo proprio, e cioè che il contratto ha durata di un anno a partire dalla sua sottoscrizione (07.06.2006); nel corso di tale anno, prima della sua naturale scadenza, le parti potranno recedere con un preavviso (disdetta) di tre mesi.
Per ragioni di priorità logica, il secondo motivo sarà esaminato per primo.
Il Collegio rileva la sua infondatezza per le ragioni che seguono.
Risponde ad orientamento consolidato di questa Corte che ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, verificate alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 cod. civ., dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626).
Va d’altro canto sottolineato che, pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve, invero, a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e
non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006 ) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 cod. civ. e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 cod. civ., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295). Il primo di tali criteri (art. 1369 cod. civ.) consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 34795 del 17/11/2021, Rv. 663182 -01; Cass. Sez. L, Sentenza n. 24699 del 14/09/2021, Rv. 662267 -01; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 14882 del 08/06/2018, Rv. 649052 -01).
L a gerarchia dei criteri interpretativi presuppone l’assenza di dubbio sul significato letterale delle parole, anche alla luce del comportamento delle parti: dubbio che, invece, nel caso di specie non era stato dissipato dalla formulazione sintetica della clausola.
4.1. La Corte territoriale, dunque, ha applicato i principi ermeneutici sopra riportati, laddove -richiamandosi a quanto già osservato dal primo giudice – ha voluto dare rilievo allo scopo pratico complessivamente perseguito dalle parti con il contratto stipulato il 07.06.2006, rilevando che «proprio il fatto che le parti siano pervenute, per la prima volta dopo tanti anni, a stipulare un accordo in forma scritta ed a prevedere delle penali, rappresenta chiara manifestazione della volontà di incrementare significativamente i rapporti commerciali già in essere, con conseguenti impegnativi investimenti da effettuarsi, prevedendo nel contempo, in ragione di tali maggiori impegni assunti e del compenso pattuito, un quantitativo minimo mensile di ordini ‘almeno 200 tons mese’ ed una penale ‘di €. 0,15/Kg per i Kg mancanti
alle 200 tons’ al mese » (v. sentenza p. 13, penultimo capoverso, nonché rigo 17).
Tanto giustifica, quindi, il ricorso anche al principio di conservazione ex art. 1367 cod. civ., al fine di pervenire ad una plausibile e non arbitraria ricerca della volontà negoziale delle parti in merito alla possibilità di rinnovo del contratto de qua .
4.2. Quanto al richiamo alla buona fede contenuto nel ricorso: esso costituisce un criterio di interpretazione fondato sull’esigenza definita in dottrina di «solidarietà contrattuale» che si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628). A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale.
Non si comprende, dunque, come detto criterio interpretativo sia stato violato dal giudice di seconde cure il quale, a prescindere dal comportamento dell’appellata e dall’interesse di quest’ultima a non optare per il rinnovo tacito del contratto in considerazione della variabilità dei costi fissi, ha proceduto all’interpretazione dell’accordo del 07.06.2006 alla luce dello scopo pratico complessivamente perseguito da entrambe le parti, nonché alla luce del principio di conservazione del significato di una clausola.
4.3. Passando, ora, all’esame del primo motivo di gravame: la valutazione della validità della «clausola di durata» non può che
passare prima attraverso la sua interpretazione, e non il contrario (come sostenuto in ricorso: p. 20, ultimi due righi; p. 21, 1° capoverso): una volta, cioè, ritenuto dalla Corte territoriale che il significato complessivo della pattuizione di cui si discute debba essere inteso nel senso di ritenere implicitamente rinnovabile il contratto in assenza di disdetta, cade anche la tesi dell’invalidità per mancanza di accordo, sostenuta dalla ricorrente.
Ciò in quanto detto accordo è stato, appunto, rinvenuto dal giudice del merito nelle pieghe della lettera della clausola, sostenuta dallo scopo complessivo della pattuizione, ove assume rilievo -ad insindacabile giudizio della Corte di merito, sorretto da un’argomentazione logica e congrua l’incremento dei rapporti commerciali, con previsione di quantitativi minimi di acquisto della merce, anziché (come sostenuto in ricorso) l’opportunità di rivedere annualmente i costi fissi correlati alla fornitura.
4.3.1. Neanche il primo motivo, pertanto, merita accoglimento.
Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1384 cod. civ., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che la penale applicata a Bodega non poteva essere ridotta ai sensi dell’art 1384 cod. civ., perché non ha tenuto conto del fatto che l’interesse del creditore deve essere valutato anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita, come nel caso di specie.
5.1. Il motivo è infondato.
In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 cod. civ. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare
meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l’obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest’ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione si traduce comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta (per tutte: Cass. Sez. U, Sentenza n. 18128 del 13/09/2005, Rv. 583011 – 01).
Inoltre, il giudice non deve valutare l’interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola – come sembra indicare l’art. 1384 cod. civ., riferendosi all’interesse che il creditore «aveva» all’adempimento – ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita (o è rimasta definitivamente ineseguita), poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 cod. civ., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell’art. 1384 cod. civ., impiegando il verbo «avere» all’imperfetto, si riferisca soltanto all’identificazione dell’interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto (per tutte: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11908 del 19/06/2020, Rv. 658162 -01).
5.2. Tanto ricordato, ritiene il Collegio che il giudice di seconde cure abbia fatto corretta applicazione dei criteri di esercizio del potere di riduzione della penale come sopra sintetizzati, laddove ha raffrontato la parziale esecuzione della prestazione da parte di Bodega con l’interesse della fornitrice RAGIONE_SOCIALE attualizzato al momento
dell’esecuzione del contratto. In effetti, la Corte: a) ha rinvenuto uno squilibrio di partenza in favore della posizione contrattuale della committente rispetto a quella della fornitrice; in tale prospettiva, la finalità della clausola penale in questione è quella di assicurare il mantenimento della sinallagmaticità del rapporto negoziale nell’ipotesi in cui non fosse stato rispettato il quantitativo minimo mensile di lavorazione delle billette d’alluminio da trasformare in profilati promesso da Bodega, in funzione del quale è stata anche pattuita la misura del compenso da corrispondersi a RAGIONE_SOCIALE per le lavorazioni medesime (v. sentenza p. 14, ultimo capoverso); b) ha evidenziato che la quantificazione della penale era stata affidata ad una somma variabile, da calcolarsi moltiplicando l’importo di €. 0,15/Kg per il numero di chilogrammi mancanti rispetto alla quantità minima promessa dalla committente (200 tonnellate mensili), concludendo che tale ammontare non fosse eccessivo in quanto inversamente proporzionale all’adempimento parziale dell’obbligazione assunta dall’appellante di garantire un quantitativo minimo mensile di lavorazioni delle billette di alluminio (v. sentenza p. 15, 1° capoverso).
Trattasi di valutazioni demandate al giudice del merito, non sindacabili in questa sede in quanto adeguatamente e congruamente motivate.
6. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Non si procede alla determinazione delle spese del presente giudizio avendo il Collegio dichiarato inammissibili gli atti difensivi della controparte.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda